| LUCIO MARENGO. Non è compito della cooperativa farlo, ma
delle istituzioni: è compito delle istituzioni all'interno
delle strutture carcerarie. Nelle carceri dodici persone
convivono in una cella di 12 metri quadri, un metro quadro a
persona: sono spazi angusti ed è vergognoso ciò che accada. Mi
sono recato a trovare Simonelli, uno dei presunti responsabili
dello scandalo della missione "Arcobaleno" e la prima cosa che
mi ha detto è stata: "direi qualsiasi cosa pur di uscire da
questo carcere". Un altro, Tenaglia, mi chiedeva la cortesia
di avere una coperta perché stava morendo di freddo. Questo è
il carcere! E' un lager, non un carcere. Se lo scopo
deve essere tentare anche il recupero del detenuto, bisogna
migliorare le condizioni di vita all'interno del carcere
proprio con la formazione professionale laddove sia
possibile.
Occorre insegnare un mestiere a questi detenuti e, se è
possibile, convincere il potenziale datore di lavoro che non
tutti i detenuti sono delinquenti nel vero senso della parola,
ma vi è chi è finito in carcere per motivi diversi ed è
disponibile a recuperarsi, perché, se non vi è la sua volontà
in tal senso, nulla possono fare le istituzioni. Noi diciamo:
concertiamo, diamo una mano, ma vigiliamo su queste
cooperative. Bisogna vigilare su di esse, perché le
cooperative sociali hanno una strana funzione, godono di
sgravi fiscali e, nella suddivisione degli utili, rimane poco
a chi lavora e molto a chi gestisce le cooperative.
Le prime iniziative che il Ministero della giustizia deve
adottare, attraverso i riferimenti che ha sul territorio - i
provveditorati alle opere pubbliche carcerarie -, devono
essere tese a migliorare le condizioni delle carceri. In un
secondo momento, dovrà valutare anche l'ipotesi di un lavoro
autonomo all'interno delle carceri, come ad esempio la
produzione artigianale. Ciò è possibile: la direttrice del
carcere di Turi, una zona agricola in cui si coltivano alcune
particolari qualità di frutta, quali la ciliegia, la pesca ed
altri prodotti locali, affermava che, anche attraverso la
formazione professionale, potrebbe essere insegnato ai
detenuti un mestiere utile nel vero senso della parola.
Chiediamo, quindi, che si mettano in pratica, con
l'intenzione di perseguirle con la collaborazione di tutti,
tutte le iniziative necessarie a rendere vivibile il carcere,
in cui, sì, deve essere scontata per intero la pena, ma
garantendo il minimo di vivibilità, utilizzando, signor
sottosegretario, le carceri che già ci sono. I 160 miliardi
che il ministro Fassino vuole utilizzare per realizzare nuove
carceri vengano utilizzati per migliorare quelle già
esistenti: lo si faccia subito.
Vengano controllate le carceri: in quello di Bari, ad
esempio, anni fa fu istituito un ospedale che non è mai
entrato in funzione. Gli ispettori ministeriali, anziché
starsene a Roma, così come i tanti magistrati inutili del
Ministero della giustizia, vadano in giro per le carceri;
facciano bene al Ministero e al nostro paese, perché detenere
la gente in quella maniera significa privarla della
dignità.
Questo chiediamo al Ministero e al ministro, ai quali non
imputiamo le carenze, la cui responsabilità è dei funzionari
del Ministero, che hanno il dovere di provvedere, ed anche dei
magistrati di periferia, che sicuramente conoscono bene le
condizioni delle carceri, ma si sono sempre guardati dal
denunciare all'autorità sanitaria i soprusi ai quali i
detenuti ogni giorno sono costretti a sottostare.
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