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Testi integrali degli Atti Parlamentari della XIII Legislatura

Documento


115164
STA0722-0040
Somm. e Sten. d'Aula n. 722 del 12 maggio 2000 (STA13-722)
(suddiviso in 42 Unità Documento)
Unità Documento n.40 (che inizia a pag.25 dello stampato)
(il TITOLO si trova nell'Unità Documento n.23)
DISCUSSIONE: C5967; C1823, C2283, C2359. ...(Replica del Governo - A. C. 5967) LAVASS
...DISCUSSIONE: C5967; C1823, C2283, C2359. ...(Replica del Governo - A. C. 5967)
FRANCO CORLEONE, Sottosegretario di Stato per la giustizia. ZZGOV GOVERNO
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO GIOVANARDI (ore 11,05)
ZZSTA ZZRES ZZSTA120500 ZZSTA000512 ZZSTA000500 ZZSTA000000 ZZSTA722 ZZ13 ZZDI ZZLL
    FRANCO CORLEONE,  Sottosegretario di Stato per la
  giustizia.  Sì, potrebbero anche essere presi ad esempio da
  qualcuno.  A San Vittore lo scorso anno è stato prodotto un
  film dal titolo  Campo corto  che non è la denuncia delle
  condizioni di invivibilità del carcere bensì una prova
  artistica, un film d'arte importante.
     Potrei continuare l'elenco di fatti straordinariamente
  positivi che vengono compiuti in molti istituti carcerari, ma
  il problema è che oggi da questo sistema di isole non
  collegate tra loro occorre passare ad una politica comune a
  tutti gli istituti.  Non è più accettabile che in alcuni
  istituti possano essere svolte talune attività e si pongano in
  atto trattamenti molto avanzati, mentre in altri tutto ciò non
  è consentito e si vive a livello di zoo.  Questa è la
  contraddizione che dobbiamo superare.
     Mi preme sottolineare che la proposta di legge in esame è
  stata assegnata alla Commissione lavoro cosicché non sono solo
  gli esperti della Commissione giustizia ad occuparsi del
  carcere che, in questa occasione, è diventato materia di esame
  da parte di una Commissione che si occupa di una questione
  fondamentale per tutti i cittadini, compresi quelli detenuti.
  Questo provvedimento affronta un nodo su cui il principio
  costituzionale della pena, intesa come strumento rieducativo e
  volto al reinserimento del condannato, gioca tutto il suo
  senso.
     Istruzione e lavoro sono le chiavi affinché non vi sia
  recidiva.  Alle obiezioni dei cittadini che si preoccupano
  della sicurezza e di chi, vista la disoccupazione esistente in
  Italia, si chiede per quale motivo si debba dare lavoro ai
  detenuti, dobbiamo fornire la seguente risposta: se vogliamo
  evitare la recidiva e se vogliamo maggior sicurezza, si deve
  utilizzare il passaggio in carcere affinché esso non sia una
  scuola di incattivimento e non produca un rientro nella
  società ancor più rabbioso.  Al contrario, si deve fare in modo
  che l'ex detenuto ritorni nella società con opportunità di
  vita, di lavoro e di cittadinanza.
 
                              Pag. 26
 
     Non voglio dipingere i detenuti come se fossero vittime,
  ma dobbiamo sapere che la maggior parte di essi in Italia sono
  il frutto dell'emarginazione e della marginalità sociale: se
  nelle prigioni vi sono oltre il 35 per cento di
  tossicodipendenti, se vi è un numero straordinario di
  immigrati poveri, se vi sono malati non solo di AIDS, ma anche
  di epatite B e di TBC, nonché persone con disagi psichiatrici,
  vuol dire che il carcere è diventato il luogo a cui la
  collettività pensa di devolvere la soluzione e la cura delle
  ferite sociali.
     Si pone, dunque, il problema di che cosa sia lo Stato
  sociale nel nostro paese, in che cosa debba consistere la
  riforma del  welfare State  e se non si debba partire, nel
  considerare tutto ciò, proprio dai nomi e cognomi dei più
  deboli che sono nelle carceri.  Si pone, altresì, l'esigenza di
  affrontare il problema delle leggi (ad esempio, sulla
  tossicodipendenza) che hanno come conseguenza la presenza di
  metà dei detenuti, per violazioni dirette o indirette della
  legge (mi riferisco ai reati commessi per procacciarsi il
  denaro necessario per assumere sostanze stupefacenti).  Ci si
  deve chiedere, inoltre, se non sia giunto il momento di
  attuare una politica di riduzione del danno, una politica
  intelligente sulla tossicodipendenza che non demandi al
  carcere la soluzione di tali problemi.  Ma questa, forse, è
  altra questione.
     Signor Presidente, ritengo che la relazione dell'onorevole
  Schmid sia stata assolutamente puntuale.  Gli interventi degli
  onorevoli Marengo e Taborelli hanno fornito alcuni elementi
  importanti di riflessione, soprattutto sulla dimensione delle
  risorse da assegnare al provvedimento in esame: si tratta di
  risorse assolutamente limitate ed adatte solo alla
  sperimentazione, ovvero alla verifica se tale impegno possa
  portare risultati.  Infatti, se dall'esito dell'utilizzo di
  tali risorse verificassimo la disponibilità di aziende,
  dobbiamo sapere sin da ora che la cifra destinata al
  provvedimento è assolutamente insufficiente.  Si tratta,
  dunque, di un provvedimento utile, in quanto può dare un segno
  che si va nella giusta direzione; esso può aiutare la
  sperimentazione, ma dobbiamo sapere sin da ora che, se la
  sperimentazione darà risultati positivi, saranno necessari più
  fondi: quelli attualmente stanziati sarebbero assolutamente
  inadeguati.  Il problema dei fondi vale anche per tutte le
  altre questioni inerenti alle carceri: dall'edilizia
  penitenziaria al problema del personale, nell'ambito del quale
  mancano totalmente alcune figure, come quelle degli educatori,
  degli assistenti sociali, del personale
  tecnico-amministrativo.
     Non va poi dimenticato il problema delle condizioni di
  vita degli appartenenti alla polizia penitenziaria che, come è
  stato qui ricordato, fanno un lavoro difficile e devono essere
  anche loro sostenuti attraverso un processo di formazione
  continua, per essere adeguati al rapporto con una popolazione
  detenuta molto, molto difficile, non foss'altro per i problemi
  di lingua, di costume e di cultura rappresentati dalla
  presenza addirittura maggioritaria, in alcune carceri del
  centro-nord d'Italia, di cittadini stranieri.  Ciò determina
  problemi ancora più complessi, anche perché quella parte di
  detenuti non può neppure aspirare a quei benefici
  dell'ordinamento penitenziario di cui alla cosiddetta legge
  Gozzini, i quali consentono oggi alle carceri di non
  esplodere.
     Allora, i problemi sono enormi e datano da molto tempo,
  ma, quel che è peggio, si sono anche aggravati degli ultimi
  anni.  E' stato ricordato che, se nel 1990 i detenuti erano
  circa 30 mila e lavoravano nelle carceri 10 mila persone, in
  tutti questi anni hanno continuato a lavorare nelle carceri 10
  mila persone, ma oggi i detenuti sono 54.500 e si avviano ad
  essere 55 mila - facendo una previsione molto facile -, dopo
  di che saranno 56, 57 mila e così via, e chissà quando ci
  fermeremo.  Tutto ciò crea una situazione di sovraffollamento e
  di difficoltà straordinaria.  Solo dal dicembre 1998 ad oggi i
  detenuti sono passati da 47 mila a 55 mila, senza che siano
  cambiate le leggi.
     Se mi consentite, è difficile credere a quelle voci
  polemiche che parlano del carcere come di un hotel a quattro
  stelle, con le porte girevoli: quello che vediamo
 
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  è che non sono affatto alberghi di lusso (anzi, credo che
  l'onorevole Marengo abbia definito "stalle" alcune celle che
  taluni, pudicamente, chiamano stanze), bensì luoghi
  sovraffollati.  La legge Simeone era stata criminalizzata come
  legge "svuota carceri": in realtà, come ho già chiarito, la
  popolazione detenuta ha avuto un incremento esponenziale ed è
  destinata ad aumentare.
     Ecco, allora, le difficoltà in cui ci dibattiamo.  Il
  problema è che il lavoro esterno, di cui all'articolo 21, ed
  il lavoro dei semiliberi riguardano solo 1.500 unità: troppo
  poche.  Anche qui sono in atto sperimentazioni avanzatissime,
  come l'accordo con la Telecom ed il lavoro, in Lombardia, con
  le ASL per la programmazione e la trascrizione delle ricette
  dei medicinali: lavori quindi avanzati, ma che coinvolgono
  troppo poche persone.  Penso che il quadro che ho delineato
  possa farci comprendere come questo provvedimento elimini
  ostacoli legislativi e fornisca possibilità di
  sperimentazione.  E' ovvio che dobbiamo rendere gli istituti
  vivibili, nonché attrezzati per lo svolgimento del lavoro,
  tenendo conto anche del decreto legislativo n. 626 del 1994
  che impone, anche agli istituti penitenziari, di fare fronte
  alle condizioni di difficoltà.
     Il dibattito di questa mattina si svolge fra un'emergenza
  storica ed il delinearsi di una prospettiva di cambiamento e
  di riforma che finalmente si basa saldamente su alcuni
  pilastri, come ha ricordato l'onorevole Schmid.  Mi riferisco,
  in primo luogo, al riordino del dipartimento che darà
  finalmente, al personale dell'amministrazione, una prospettiva
  di carriera più dignitosa, responsabile ed ambiziosa, con il
  riconoscimento della carriera dirigenziale e direttiva al
  personale amministrativo e alla polizia penitenziaria che,
  finora, era un corpo acefalo.  Proprio ieri abbiamo ottenuto il
  via libera da parte della Camera per poter avviare il riordino
  del dipartimento al fine di garantire condizioni di lavoro
  dignitose per chi opera.
     In secondo luogo, deve essere realizzato un regolamento
  non ottuso per migliorare la qualità della vita e dei diritti
  dei cittadini detenuti.  Voglio fare un appello: mi auguro che
  quello che viene definito sciopero bianco, vale a dire
  l'applicazione alla lettera del regolamento attuale, che
  significa afflizione maggiore per i detenuti, venga sospeso:
  abbiamo bisogno che nelle carceri non ci sia una lotta tra
  guardie e ladri, ma il superamento delle difficoltà di questi
  giorni.
     Garantendo i due principi che ho ricordato, assicurando,
  con questo provvedimento, il lavoro e ponendosi il problema
  delle condizioni di salute sia dei detenuti sia di chi lavora
  all'interno di un carcere, possiamo sperare che cambi
  finalmente la realtà delle carceri e che se ne possa parlare
  non perché accadono tragedie, ma per fare in modo che il
  carcere diventi uno di quei momenti in cui il paese si
  specchia e si rispecchia.  Questo ci consentirà di dire che la
  nostra società non esclude, ma include.
 
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