| FRANCO CORLEONE, Sottosegretario di Stato per la
giustizia. Sì, potrebbero anche essere presi ad esempio da
qualcuno. A San Vittore lo scorso anno è stato prodotto un
film dal titolo Campo corto che non è la denuncia delle
condizioni di invivibilità del carcere bensì una prova
artistica, un film d'arte importante.
Potrei continuare l'elenco di fatti straordinariamente
positivi che vengono compiuti in molti istituti carcerari, ma
il problema è che oggi da questo sistema di isole non
collegate tra loro occorre passare ad una politica comune a
tutti gli istituti. Non è più accettabile che in alcuni
istituti possano essere svolte talune attività e si pongano in
atto trattamenti molto avanzati, mentre in altri tutto ciò non
è consentito e si vive a livello di zoo. Questa è la
contraddizione che dobbiamo superare.
Mi preme sottolineare che la proposta di legge in esame è
stata assegnata alla Commissione lavoro cosicché non sono solo
gli esperti della Commissione giustizia ad occuparsi del
carcere che, in questa occasione, è diventato materia di esame
da parte di una Commissione che si occupa di una questione
fondamentale per tutti i cittadini, compresi quelli detenuti.
Questo provvedimento affronta un nodo su cui il principio
costituzionale della pena, intesa come strumento rieducativo e
volto al reinserimento del condannato, gioca tutto il suo
senso.
Istruzione e lavoro sono le chiavi affinché non vi sia
recidiva. Alle obiezioni dei cittadini che si preoccupano
della sicurezza e di chi, vista la disoccupazione esistente in
Italia, si chiede per quale motivo si debba dare lavoro ai
detenuti, dobbiamo fornire la seguente risposta: se vogliamo
evitare la recidiva e se vogliamo maggior sicurezza, si deve
utilizzare il passaggio in carcere affinché esso non sia una
scuola di incattivimento e non produca un rientro nella
società ancor più rabbioso. Al contrario, si deve fare in modo
che l'ex detenuto ritorni nella società con opportunità di
vita, di lavoro e di cittadinanza.
Pag. 26
Non voglio dipingere i detenuti come se fossero vittime,
ma dobbiamo sapere che la maggior parte di essi in Italia sono
il frutto dell'emarginazione e della marginalità sociale: se
nelle prigioni vi sono oltre il 35 per cento di
tossicodipendenti, se vi è un numero straordinario di
immigrati poveri, se vi sono malati non solo di AIDS, ma anche
di epatite B e di TBC, nonché persone con disagi psichiatrici,
vuol dire che il carcere è diventato il luogo a cui la
collettività pensa di devolvere la soluzione e la cura delle
ferite sociali.
Si pone, dunque, il problema di che cosa sia lo Stato
sociale nel nostro paese, in che cosa debba consistere la
riforma del welfare State e se non si debba partire, nel
considerare tutto ciò, proprio dai nomi e cognomi dei più
deboli che sono nelle carceri. Si pone, altresì, l'esigenza di
affrontare il problema delle leggi (ad esempio, sulla
tossicodipendenza) che hanno come conseguenza la presenza di
metà dei detenuti, per violazioni dirette o indirette della
legge (mi riferisco ai reati commessi per procacciarsi il
denaro necessario per assumere sostanze stupefacenti). Ci si
deve chiedere, inoltre, se non sia giunto il momento di
attuare una politica di riduzione del danno, una politica
intelligente sulla tossicodipendenza che non demandi al
carcere la soluzione di tali problemi. Ma questa, forse, è
altra questione.
Signor Presidente, ritengo che la relazione dell'onorevole
Schmid sia stata assolutamente puntuale. Gli interventi degli
onorevoli Marengo e Taborelli hanno fornito alcuni elementi
importanti di riflessione, soprattutto sulla dimensione delle
risorse da assegnare al provvedimento in esame: si tratta di
risorse assolutamente limitate ed adatte solo alla
sperimentazione, ovvero alla verifica se tale impegno possa
portare risultati. Infatti, se dall'esito dell'utilizzo di
tali risorse verificassimo la disponibilità di aziende,
dobbiamo sapere sin da ora che la cifra destinata al
provvedimento è assolutamente insufficiente. Si tratta,
dunque, di un provvedimento utile, in quanto può dare un segno
che si va nella giusta direzione; esso può aiutare la
sperimentazione, ma dobbiamo sapere sin da ora che, se la
sperimentazione darà risultati positivi, saranno necessari più
fondi: quelli attualmente stanziati sarebbero assolutamente
inadeguati. Il problema dei fondi vale anche per tutte le
altre questioni inerenti alle carceri: dall'edilizia
penitenziaria al problema del personale, nell'ambito del quale
mancano totalmente alcune figure, come quelle degli educatori,
degli assistenti sociali, del personale
tecnico-amministrativo.
Non va poi dimenticato il problema delle condizioni di
vita degli appartenenti alla polizia penitenziaria che, come è
stato qui ricordato, fanno un lavoro difficile e devono essere
anche loro sostenuti attraverso un processo di formazione
continua, per essere adeguati al rapporto con una popolazione
detenuta molto, molto difficile, non foss'altro per i problemi
di lingua, di costume e di cultura rappresentati dalla
presenza addirittura maggioritaria, in alcune carceri del
centro-nord d'Italia, di cittadini stranieri. Ciò determina
problemi ancora più complessi, anche perché quella parte di
detenuti non può neppure aspirare a quei benefici
dell'ordinamento penitenziario di cui alla cosiddetta legge
Gozzini, i quali consentono oggi alle carceri di non
esplodere.
Allora, i problemi sono enormi e datano da molto tempo,
ma, quel che è peggio, si sono anche aggravati degli ultimi
anni. E' stato ricordato che, se nel 1990 i detenuti erano
circa 30 mila e lavoravano nelle carceri 10 mila persone, in
tutti questi anni hanno continuato a lavorare nelle carceri 10
mila persone, ma oggi i detenuti sono 54.500 e si avviano ad
essere 55 mila - facendo una previsione molto facile -, dopo
di che saranno 56, 57 mila e così via, e chissà quando ci
fermeremo. Tutto ciò crea una situazione di sovraffollamento e
di difficoltà straordinaria. Solo dal dicembre 1998 ad oggi i
detenuti sono passati da 47 mila a 55 mila, senza che siano
cambiate le leggi.
Se mi consentite, è difficile credere a quelle voci
polemiche che parlano del carcere come di un hotel a quattro
stelle, con le porte girevoli: quello che vediamo
Pag. 27
è che non sono affatto alberghi di lusso (anzi, credo che
l'onorevole Marengo abbia definito "stalle" alcune celle che
taluni, pudicamente, chiamano stanze), bensì luoghi
sovraffollati. La legge Simeone era stata criminalizzata come
legge "svuota carceri": in realtà, come ho già chiarito, la
popolazione detenuta ha avuto un incremento esponenziale ed è
destinata ad aumentare.
Ecco, allora, le difficoltà in cui ci dibattiamo. Il
problema è che il lavoro esterno, di cui all'articolo 21, ed
il lavoro dei semiliberi riguardano solo 1.500 unità: troppo
poche. Anche qui sono in atto sperimentazioni avanzatissime,
come l'accordo con la Telecom ed il lavoro, in Lombardia, con
le ASL per la programmazione e la trascrizione delle ricette
dei medicinali: lavori quindi avanzati, ma che coinvolgono
troppo poche persone. Penso che il quadro che ho delineato
possa farci comprendere come questo provvedimento elimini
ostacoli legislativi e fornisca possibilità di
sperimentazione. E' ovvio che dobbiamo rendere gli istituti
vivibili, nonché attrezzati per lo svolgimento del lavoro,
tenendo conto anche del decreto legislativo n. 626 del 1994
che impone, anche agli istituti penitenziari, di fare fronte
alle condizioni di difficoltà.
Il dibattito di questa mattina si svolge fra un'emergenza
storica ed il delinearsi di una prospettiva di cambiamento e
di riforma che finalmente si basa saldamente su alcuni
pilastri, come ha ricordato l'onorevole Schmid. Mi riferisco,
in primo luogo, al riordino del dipartimento che darà
finalmente, al personale dell'amministrazione, una prospettiva
di carriera più dignitosa, responsabile ed ambiziosa, con il
riconoscimento della carriera dirigenziale e direttiva al
personale amministrativo e alla polizia penitenziaria che,
finora, era un corpo acefalo. Proprio ieri abbiamo ottenuto il
via libera da parte della Camera per poter avviare il riordino
del dipartimento al fine di garantire condizioni di lavoro
dignitose per chi opera.
In secondo luogo, deve essere realizzato un regolamento
non ottuso per migliorare la qualità della vita e dei diritti
dei cittadini detenuti. Voglio fare un appello: mi auguro che
quello che viene definito sciopero bianco, vale a dire
l'applicazione alla lettera del regolamento attuale, che
significa afflizione maggiore per i detenuti, venga sospeso:
abbiamo bisogno che nelle carceri non ci sia una lotta tra
guardie e ladri, ma il superamento delle difficoltà di questi
giorni.
Garantendo i due principi che ho ricordato, assicurando,
con questo provvedimento, il lavoro e ponendosi il problema
delle condizioni di salute sia dei detenuti sia di chi lavora
all'interno di un carcere, possiamo sperare che cambi
finalmente la realtà delle carceri e che se ne possa parlare
non perché accadono tragedie, ma per fare in modo che il
carcere diventi uno di quei momenti in cui il paese si
specchia e si rispecchia. Questo ci consentirà di dire che la
nostra società non esclude, ma include.
| |