Banche dati professionali (ex 3270)
Testi integrali degli Atti Parlamentari della XIII Legislatura

Documento


115308
SMC0651-0022
Bollettino Giunte e Commissioni n. 651 del 23 maggio 2000 - edizione definitiva - (SMC13-651)
(suddiviso in 172 Unità Documento)
Unità Documento n.22 (che inizia a pag.22 dello stampato)
              ...II COMMISSIONE PERMANENTE
                         (Giustizia)
 
 
SEDE REFERENTE
C887; C2213; C3271; C6765; C6909. LAVCOMM
C887; C2213; C3271; C6765; C6909.
Collaboratori e testimoni di giustizia. C. 887 Soda, C. 2213 Mantovano, C. 3271 Li Calzi, C. 6765 Mantovano e C. 6909 Governo, approvato dal Senato.
(Esame e rinvio).
Francesco BONITO. Alfredo MANTOVANO. Il sottosegretario Marianna LI CALZI. Carlo LEONI. Michele SAPONARA. Giovanni MELONI. Anna FINOCCHIARO FIDELBO, presidente.
Martedì 23 maggio 2000. - Presidenza del Presidente Anna FINOCCHIARO FIDELBO. - Intervengono il sottosegretario di Stato per la giustizia Marianna Li Calzi ed il Sottosegretario di Stato per l'interno Massimo Brutti.
ZZSMC ZZRES ZZSMC230500 ZZSMC000523 ZZSMC000500 ZZSMC000000 ZZSMC651 ZZ13 ZZD ZZC2 ZZRE ZZHH ZZII
     La Commissione inizia l'esame del provvedimento
 
                              Pag. 23
 
     Francesco BONITO (DS-U),  relatore,  osserva che vi
  è una triste specificità nella realtà del nostro Paese: il
  radicamento sul territorio, ed in modo particolare nel
  Mezzogiorno d'Italia, di fenomeni diffusi e consolidati di
  criminalità organizzata.  E' altresì noto che la forza
  intimidatoria delle associazioni criminali è elevatissima e
  che ciò ha consentito ad esse di contrapporsi allo Stato per
  anni ed anni, alimentando un diffuso sentimento di omertà.
     Nel 1991 in seguito alla reiterazione di fatti delittuosi
  particolarmente gravi e ad un ampio movimento di opinione
  espressione di un comune sentire popolare, il Parlamento
  discusse ed approvò un sistema di norme con le quali si
  introdusse nel nostro sistema legislativo una speciale
  circostanza attenuante in favore di chi prestava
  collaborazione di notevole importanza in relazione
  all'accertamento ed alla persecuzione di reati di criminalità
  organizzata.  Accanto al trattamento premiale veniva altresì
  disciplinato un sistema di interventi di protezione della
  figura del collaborante e dei suoi familiari.
     Si trattava di uno strumento legislativo di carattere
  eccezionale e di questo tutti, allora, erano coscienti, così
  come vi era consapevolezza che, comunque, le novità non
  contrastavano con lo Stato di diritto.  Non solo, esse si
  appalesavano opportune e necessarie per contrastare con
  maggiore efficacia i fenomeni mafiosi e camorristici, per
  rompere il patto omertoso che vincolava gli affiliati delle
  organizzazioni malavitose, per minarne l'impenetrabilità, per
  sminuirne la forza acquisita rispetto ai testimoni sempre
  timorosi ed ai cittadini costretti al silenzio.  Ebbene la
  scelta di allora, il quadro normativo allora approntato si
  sono rivelati giusti ed efficaci.
     Lo strumento premiale ha consentito allo Stato di ottenere
  risultati straordinari nella lotta contro il crimine
  organizzato, ha restituito fiducia ai cittadini, ha salvato la
  vita di moltissimi nostri concittadini.  Non può certo essere
  sottaciuto, nel contempo, che la legislazione sui pentiti e la
  sua applicazione concreta hanno suscitato infuocate polemiche
  soprattutto di contenuto politico e che forte appare oggi la
  tentazione di porre termine a quello che fu un tentativo,
  rispetto al quale è oggi possibile una valutazione politica,
  tecnico-giuridica e forse anche storica.  Sul punto crede che
  accanto al riconoscimento dei risultati positivi e dei
  successi vadano riconosciuti i limiti che la legislazione sui
  collaboratori di giustizia ha posto in evidenza, i difetti e
  le insufficienze che si sono manifestate, qualche volta le
  deviazioni verificatesi.  Il Parlamento, deve oggi porsi il
  quesito se quella legislazione sia ancora utile e necessaria,
  se una legislazione premiale sia tuttora opportuna, se nel
  nostro paese permanga una pericolosa questione criminale a
  fronte della quale l'incentivo alla dissociazione possa
  svolgere ancora una utile funzione, se i processi di
  criminalità organizzata abbiano ancora bisogno di quella prova
  particolare, di quella prova da taluni efficacemente definita
  ambigua che si concretizza nelle dichiarazioni dei
  collaboranti.
     Ritorna oggi, come nel 1991, una importante questione
  politica, ma non soltanto politica, giacché appaiono evidenti
  le implicazioni ideali, culturali delle scelte che,
  responsabilmente, si è chiamati a compiere: in quali modi, in
  quali termini, con quali limiti, in forza di quali principi,
  magari tra essi confliggenti e quindi da porre in equilibrio,
  in una democrazia moderna è necessario coniugare le garanzie
  ed i diritti individuali dei cittadini con le pressanti
  esigenze di tutela sociale poste dalle violente azioni
  delittuose delle associazioni criminali.  Ebbene soltanto la
  cecità politica o, peggio, soltanto la malafede culturale
  possono oggi indurre a disconoscere la necessità di mantenere
  le scelte politiche del 1991, di mantenere un essenziale
  strumento di contrasto della criminalità organizzata.  La
  coscienza, la consapevolezza dei limiti, degli errori, della
  insufficienza non può e non deve giustificare un annullamento
  del quadro normativo in discussione.
 
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     Tali limiti, tali errori, tali insufficienze devono,
  viceversa, imporre interventi riformatori, emendativi,
  modificativi.  Giova sul punto ricordare, peraltro, che già nel
  1996 l'allora ministro dell'interno Napolitano relazionò al
  Parlamento sullo stato della legislazione relativa ai
  collaboratori di giustizia, lucidamente individuando luci ed
  ombre del sistema e chiaramente indicando rimedi e correttivi.
  E su questa strada si è poi mosso il disegno di legge del
  Governo, approvato il 30 marzo ultimo scorso dal Senato con il
  voto favorevole di maggioranza ed opposizione.
     Il disegno di legge C. 6909, presentato dal Governo nel
  marzo 1997 ed approvato dal Senato il 30 marzo 2000,
  ridefinisce interamente la disciplina riguardante i cosiddetti
  collaboratori di giustizia, contenuta nel decreto legge 15
  gennaio 1991, n. 8, convertito dalla legge 15 marzo 1991, n.
  82.  Gli obbiettivi della riforma sono da individuarsi nel
  superamento degli aspetti più discussi della normativa in
  questione, più volte sottoposta a critiche soprattutto con
  riferimento all'ampiezza dei benefici premiali accordati ai
  collaboratori, ai margini di discrezionalità riconosciuti
  nella ammissione alle misure di protezione, alla scarsa
  efficacia dei meccanismi di controllo sulle attività dei
  soggetti interessati dai benefici.  Le linee portanti del
  provvedimento - confermate anche dopo l'approvazione del
  Senato - possono riassumersi: nell'individuazione di criteri
  più rigorosi e restrittivi in ordine alla selezione dei
  collaboratori, nonché al vaglio delle collaborazioni offerte;
  nella riduzione delle fattispecie di reato per le quali è
  applicata la disciplina premiale; nella distinzione fra le
  fasi dell'ammissione alle misure di protezione e quelle della
  concessione dei possibili benefici di natura penale; nella
  fissazione di un termine tassativo entro il quale il
  collaboratore deve rendere le dichiarazioni sui fatti di cui è
  a conoscenza; nella tendenziale soppressione delle ipotesi di
  concessione, sia pure temporanea, di misure di protezione da
  parte degli organi di pubblica sicurezza; nel
  ridimensionamento dell'importo degli assegni di mantenimento
  attribuiti ai collaboratori.
     Tra le modifiche apportate dal Senato, la più rilevante
  concerne i criteri di valutazione delle dichiarazioni dei
  collaboratori, richiesti per l'accesso alle misure di
  protezione.  E' stato infatti eliminato il riferimento alla
  indispensabilità delle dichiarazioni ai fini delle indagini,
  che costituiva uno dei punto fondanti della nuova disciplina
  proposta dal testo governativo.  La Commissione giustizia del
  Senato ha inoltre introdotto una specifica disposizione di
  tutela dei cosiddetti testimoni di giustizia, ai quali vengono
  riconosciute le speciali misure di protezione anche in
  relazione a contributi non concernenti delitti di mafia o di
  terrorismo.
     La legge 15 novembre 1988, n. 486, attribuiva all'Alto
  Commissario contro la mafia il potere di adottare misure
  idonee a garantire l'incolumità dei soggetti esposti a grave
  pericolo per effetto delle loro dichiarazioni in procedimenti
  di mafia, misure adottabili anche nei confronti dei prossimi
  congiunti.  Successivamente, il decreto-legge 15 gennaio 1991,
  n. 8, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 15
  marzo 1991, n. 82, ha previsto e disciplinato un apposito
  programma di protezione a favore dei soggetti esposti a
  pericolo per aver collaborato con la giustizia in maniera
  determinante - e dei loro prossimi congiunti e conviventi - in
  tutti i casi in cui risultino inadeguate le misure attivabili
  in base alla normativa precedente.  A tal fine è istituita
  presso il Ministero dell'interno una Commissione centrale, cui
  compete la definizione e applicazione del programma.  Le misure
  di protezione e assistenza sono stabilite con decreto
  ministeriale.  In casi di particolare urgenza, le misure di
  protezione possono essere adottate dal Capo della polizia, che
  ne informa il Ministro.  L'articolo 13- ter  del
  decreto-legge n. 8 del 1991 ha, inoltre, previsto che per i
  soggetti ammessi al programma di protezione si possa derogare
  alle norme vigenti nella concessione dei permessi premio e
  delle misure alternative al carcere.
 
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     Il decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 ha dettato norme
  ulteriori.  L'articolo 7, comma 2, ha introdotto l'articolo
  147- bis  fra le norme di attuazione, di coordinamento e
  transitorie del codice di procedura penale, prevedendo che
  l'esame processuale delle persone che collaborano con la
  giustizia avvenga con le cautele necessarie alla tutela della
  persona sottoposta all'esame, quali il collegamento
  audiovisivo per lo svolgimento dell'esame a distanza.
  L'articolo 13 ha previsto ulteriori misure di favore da
  applicare in attesa della definizione dello speciale programma
  di protezione: la custodia in luogo diverso dall'istituto
  penitenziario e l'esecuzione delle misure alternative alla
  detenzione - diverse dalla liberazione anticipata - in base a
  specifiche modalità autorizzate dal procuratore generale
  presso la corte d'appello, d'intesa con il procuratore
  nazionale antimafia in caso di reati di criminalità
  organizzata.  L'articolo 1, comma 2, della legge n. 356 del
  1992, di conversione del decreto-legge n. 306, infine, ha
  demandato ad un decreto legislativo l'attuazione della misura
  speciale del programma di protezione consistente nel
  cambiamento delle generalità, di cui al decreto-legge n. 8 del
  1991.  In attuazione della delega è stato emanato il decreto
  legislativo 29 marzo 1993, n. 119.
     Con il decreto ministeriale 24 novembre 1994, n. 687,
  emanato dal Ministro dell'interno di concerto con il Ministro
  di grazia e giustizia, il Governo ha dato attuazione alle
  disposizioni contenute nel capo II del citato decreto-legge n.
  8 del 1991, in base alle quali è stato posto in capo
  all'Esecutivo il compito di individuare le misure di
  protezione e di assistenza a favore dei collaboratori di
  giustizia, di stabilire i criteri di formulazione dei
  programmi di protezione e di definire le modalità attuative
  delle disposizioni dell'ordinamento penitenziario applicabili
  alle persone ammesse o in attesa di ammissione al programma di
  protezione.  In pari data, 24 novembre 1994, è stato inoltre
  emanato dal Ministero dell'interno un decreto riservato
  contenente norme sui contenuti del programma di protezione,
  sull'assegno di mantenimento, sull'assistenza legale e sulla
  tutela all'estero dei collaboratori di giustizia.
     Quanto ai benefici processuali riconosciuti ai
  collaboratori, va ricordato che l'articolo 8 del decreto-legge
  13 maggio 1991, n. 152 con riferimento ai delitti di stampo
  mafioso, ha previsto che la pena dell'ergastolo sia sostituita
  da quella della reclusione da 12 a 20 anni e le altre pene
  siano diminuite da un terzo alla metà in favore di chi si
  dissoci adoperandosi per evitare che l'attività delittuosa sia
  portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente
  l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per
  la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura
  degli autori dei reati.  Nel caso di false o reticenti
  dichiarazioni si provvede alla revisione della senza emessa
  sulla base di tali dichiarazioni, all'aumento delle pene di
  reato di calunnia e alla sospensione delle misure alternative
  alla detenzione concesse.
     Riferisce quindi sul contenuto del provvedimento,
  rilevando che la nuova normativa è improntata a criteri
  maggiormente rigorosi sia quanto all'ambito dei soggetti cui
  possono applicarsi i benefici e le misure di protezione, sia
  quanto alle garanzie di trasparenza dei meccanismi che
  presiedono all'intera disciplina, in linea con l'obiettivo di
  superare gli aspetti più criticati e discussi della normativa
  vigente.
     In primo luogo, si prevede una graduazione delle misure di
  protezione: misure ordinarie, cui provvede direttamente
  l'autorità di pubblica sicurezza, ovvero, se riguardano
  persone detenute, il Dipartimento dell'amministrazione
  penitenziaria; misure speciali, da adottarsi quando risultino
  inadeguate quelle ordinarie, e che sono di competenza della
  commissione centrale; programmi di protezione, adottati
  anch'esse dalla commissione, e che possono comprendere misure
  aggiuntive, quali misure di assistenza personale ed economica,
  cambiamento delle generalità, iniziative volte a favorire il
  reinserimento sociale del collaboratore.
 
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     Le condizioni legittimanti l'ammissione del soggetto alle
  misure di protezione sono indicate dall'articolo 2 del disegno
  di legge che al comma 3, in particolare, dispone che, ai fini
  dell'applicazione delle misure speciali di protezione, hanno
  rilievo le dichiarazioni, rese nel corso di procedimento
  penale, che rivestano carattere di intrinseca attendibilità,
  di novità o completezza, o appaiono per altri elementi di
  notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini
  del giudizio ovvero per le attività di investigazione sulle
  strutture delle organizzazioni criminali e sugli obiettivi e
  finalità operative di queste.
     Segnala che la formulazione adottata dal Senato differisce
  da quella presente nel testo governativo, nella quale si
  faceva riferimento a dichiarazioni che per novità,
  attendibilità e completezza risultino indispensabili per lo
  sviluppo delle indagini preliminari o ai fini del giudizio.
     Per quanto attiene al programma di protezione, che
  comprende ulteriori misure - fra cui quelle di assistenza
  economica, quelle concernenti il cambio di generalità, e
  quelle idoneee al reinserimento sociale del collaboratore,
  l'articolo 9, comma 5, del decreto-legge n. 8 del 1991, come
  sostituito dall'articolo 2 del disegno di legge, prevede
  infatti che il programma di protezione può essere adottato ove
  le speciali misure di protezione non risultino adeguate alla
  gravità ed attualità del pericolo in cui versa il
  collaboratore.  Il criterio prescelto non risulta quindi
  collegato alla qualità ed utilità della collaborazione ai fini
  delle indagini, ma esclusivamente alla oggettiva situazione di
  rischio gravante sul collaboratore.
     Rileva quindi che la restrizione dell'ambito soggettivo di
  operatività delle misure di protezione consegue alla
  ridefinizione delle fattispecie di reato in presenza delle
  quali può trovare applicazione a disciplina in esame.
  L'articolo 2 del disegno di legge specifica in tal senso che
  le forme di collaborazione, quali definite dal comma 3,
  assumono rilievo con esclusivo riferimento ai delitti commessi
  con finalità di terrorismo o eversione dell'ordine
  costituzionale, o a quelli compresi tra quelli di cui
  all'articolo 51, comma 3- bis,  del codice di procedura
  penale.
     La nuova formulazione esclude dunque dal novero dei reati
  le numerose fattispecie per le quali è richiesto l'arresto
  obbligatorio in flagranza, previste dall'articolo 380 del
  codice penale, e che sono contemplate dal vigente testo
  dell'articolo 9 del decreto-legge n. 8 del 1991.
     Anche in relazione alla protezione dei parenti dei
  collaboratori, riferisce che il disegno di legge introduce una
  disciplina più restrittiva.  L'articolo 9, comma 2, del
  decreto-legge n. 8 del 1991 prevede attualmente che le stesse
  misure applicate ai collaboratori possono essere adottate
  anche nei confronti dei prossimi congiunti, dei conviventi e
  di coloro che sono esposti a grave ed attuale pericolo a causa
  delle relazioni che intrattengono con i collaboratori
  medesimi.
     Altre importanti modifiche sono introdotte dall'articolo 3
  del disegno di legge, con riferimento alla commissione
  centrale per la definizione ed applicazione dello speciale
  programma di protezione.  Ferma restando la composizione,
  vengono modificati i requisiti richiesti per i membri diversi
  dal presidente.  Questi devono essere scelti fra persone che
  abbiano maturato esperienze nel settore e siano in possesso di
  cognizioni relative alle tendenze della criminalità
  organizzata, e che non siano addetti ad uffici che svolgono
  continuativamente attività di investigazione e indagine
  preliminare su fatti concernenti criminalità organizzata di
  tipo mafioso o terroristico.
     L'altra importante novità riguardante la commissione
  centrale è prevista con l'introduzione del comma
  2- quinquies  allo stesso articolo 10 del decreto-legge n.
  8 del 1991, con il quale si modifica il regime delle
  sospensioni cautelari dei provvedimenti della commissione in
  materia di misure di protezione.
     La norma approvata dal Senato preclude l'accesso alla
  tutela cautelare avverso i soli provvedimenti della
  commissione centrale con cui vengono adottate le misure di
  protezione.  Per i provvedimenti
 
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  di revoca o modifica delle misure, si prevede invece - comma
  2- sexies  - un procedimento abbreviato, in parte simile a
  quello vigente per i trasferimenti dei magistrati.
     L'articolo 4 del disegno di legge sostituisce
  integralmente l'articolo 11 del decreto-legge n. 8 del 1991,
  concernente la procedura di ammissione alle misure di
  protezione.  La commissione è ora competente anche per
  l'adozione delle misure speciali oltre che per i programmi di
  protezione, e si pronuncia su proposta formulata dal
  procuratore della Repubblica competente, ovvero dal Capo della
  polizia, previo parere del Procuratore della Repubblica.
     Peraltro, il successivo articolo 6, sostitutivo
  dell'articolo 13 del decreto-legge n. 8 del 1991, prevede che,
  in casi di eccezionale urgenza che non consentono di attendere
  la deliberazione della commissione, il Capo della polizia può
  autorizzare l'autorità provinciale di pubblica sicurezza ad
  avvalersi degli stanziamenti previsti dall'articolo 17 del
  decreto-legge n. 8 del 1991.  La commissione può richiedere il
  parere del procuratore nazionale antimafia e dei procuratori
  generali presso le corti d'appello al fine di verificare se le
  informazioni acquisite da tali organi nell'ambito di
  procedimenti pendenti possano essere utili per deliberazioni
  della commissione stessa.
     Si sofferma, quindi, su ulteriori importanti modifiche
  riguardanti i provvedimenti di competenza della commissione,
  recate dall'articolo 6, che sostituisce l'articolo 13 del
  decreto-legge n. 8 del 1991.  In primo luogo, si introduce la
  possibilità che la commissione adotti un piano provvisorio di
  protezione, in casi di particolare gravità, e comunque in
  presenza di richiesta avanzata dall'autorità competente.
  Misure provvisorie possono essere adottate, anche
  dall'autorità di pubblica sicurezza, in situazioni di
  urgenza.
     Per la definizione delle misure speciali di protezione,
  nonché del contenuto del piano provvisorio, si fa invio ai
  decreti previsti dall'articolo 17- bis,  comma 1,
  introdotto dall'articolo 17 del disegno di legge.  Tuttavia, il
  comma 4 dell'articolo 13, come sostituito dall'articolo 6 in
  esame, precisa che le misure di protezione possono consistere:
  nella predisposizione di misure di tutela da eseguire a cura
  degli organi di polizia, di accorgimenti tecnici di sicurezza,
  di misure necessarie al trasferimento in comuni diversi da
  quelli di residenza del soggetto, di interventi contingenti
  finalizzati ad agevolare il reinserimento sociale, di modalità
  particolari per la custodia in istituti di pena.
     Qualora la commissione decida di adottare un programma
  speciale di protezione, le misure adottabili sono, oltre
  quelle ora indicate: il trasferimento delle persone non
  detenute in luoghi protetti, modalità speciali di tenuta della
  documentazione misure di assistenza personale ed economica,
  cambiamento delle generalità ai sensi del decreto legislativo
  n. 119 del 1993, misure idonee al reinserimento sociale,
  nonché altre misure straordinarie che si rendano necessarie.
  L'adozione di misure di assistenza economica viene quindi
  prevista solo nella ipotesi del programma speciale di
  protezione.
     La Commissione Giustizia del Senato, sottolinea, ha
  introdotto inoltre una consistente riduzione dell'importo di
  tali misure.
     Altre disposizioni contenute nel nuovo articolo 13
  riguardano la tutela dei collaboratori che si trovino in stato
  di detenzione, nelle more dell'adozione delle speciali misure
  o del programma di protezione.
     Il quadro delle condizioni richieste per l'accesso alle
  misure di protezione viene ulteriormente arricchito
  dall'articolo 5 del disegno di legge, che, modificando
  l'articolo 12 del decreto-legge n. 8 del 1991, integra gli
  impegni che la persona interessata deve assumere all'atto
  della sottoscrizione dell'atto recante le speciali misure.
  Agli oneri già prescritti dal testo vigente, vengono aggiunti:
  l'obbligo di sottoporsi all'interrogatorio e ad ogni altro
  atto di indagine, compreso quello che prevede la redazione del
  verbale illustrativo; l'impegno a non incontrare o contattare
  persone che collaborino con la
 
                              Pag. 28
 
  giustizia o che risultino dedite al crimine; l'obbligo di
  specificare i beni posseduti o controllati, anche
  indirettamente, e, dopo l'ammissione alle misure speciali, di
  versare il denaro frutto di attività illecite; l'autorità
  giudiziaria dovrà provvedere al sequestro immediato dei beni e
  del denaro.
     L'articolo 7 prevede l'abrogazione degli articoli
  13- bis  e 13- ter  del decreto-legge n. 8 del 1991.
  Vengono infatti soppresse le norme che consentono la
  detenzione extracarceraria di collaboratori per i quali sia in
  corso la definizione del programma di protezione (articolo
  13- bis),  nonché quelle che permettono, anche in deroga
  alle disciplina vigente, la concessione di permessi premio e
  di altri benefici ai soggetti ammessi al programma di
  protezione, (articolo 13- ter).
     L'articolo 8, mediante inserimento di un articolo
  13- quater  nel decreto-legge n. 8 del 1991, delinea il
  quadro delle cause da cui deriva la revoca delle misure di
  protezione.  Il comma 1 del nuovo articolo precisa che le
  misure di protezioni hanno carattere temporaneo, e possono
  essere revocate sia in relazione all'attualità del pericolo,
  sia con riferimento alla condotta delle persone interessate ed
  all'osservanza degli impegni assunti.
     L'articolo 9 reca alcune modifiche all'articolo 14 del
  decreto-legge, confermando la competenza del Servizio centrale
  di protezione (struttura inserita nell'ambito del Dipartimento
  di pubblica sicurezza), per l'attuazione dei programmi
  speciali di protezione deliberati dalla commissione
  centrale.
     L'articolo 10 sostituisce l'articolo 15 del decreto-legge
  n. 8 del 1991, prevedendo che nell'ambito del programma di
  protezione può essere autorizzato, con decreto del Ministro
  dell'interno, il cambiamento delle generalità del
  collaboratore di giustizia.
     Si sofferma quindi sull'articolo 16- bis  che
  introduce uno specifico istituto processuale, il verbale
  illustrativo dei contenuti della collaborazione.
     In particolare, rileva l'importanza che assume il termine
  per la collaborazione, dal momento in cui manifesta al
  magistrato la volontà di collaborare con la giustizia, il
  soggetto ha centottanta giorni per rendere le dichiarazioni
  relative a notizie in suo possesso.
     Riferisce, quindi, che i successivi cinque articoli
  aggiunti al decreto-legge n.8 del 1991 contengono nuove
  previsioni relative al trattamento premiale dei collaboratori
  di giustizia.
     L'articolo 16- ter  prevede che la concessione delle
  attenuanti possa essere concessa dal giudice solo previa
  verifica nel termine prescritto della sottoscrizione da parte
  del soggetto del verbale illustrativo dei contenuti della
  collaborazione.
     L'articolo 16- quater  precisa in particolare le
  modalità di acquisizione al fascicolo del P.M. di parti del
  verbale illustrativo in caso di interrogatorio o testimonianza
  del dichiarante in altro procedimento o in procedimento
  connesso.
     L'articolo 16- quinquies  stabilisce la possibilità di
  richiedere la revisione della condanna in caso di ulteriori
  reati commessi dal collaboratore o di falsità o reticenza
  delle sue dichiarazioni prevedendo, in particolare, la
  rinnovazione del giudizio in caso di sentenza non ancora
  definitiva.
     Il successivo articolo 16- sexies  esclude che
  l'attività di collaborazione possa avere come automatica
  conseguenza la revoca della custodia cautelare o la sua
  sostituzione con altra misura coercitiva meno grave.
     L'articolo 16- septies  restringe l'accesso dei
  collaboratori a taluni benefici penitenziari in deroga ai
  limiti di pena previsti dalla legge eliminando l'attuale
  automatismo che ne lega la concessione alla semplice
  sottoposizione del soggetto al programma di protezione.
     La principale novità introdotta dalla nuova disciplina
  consiste nell'impossibilità di accesso dei collaboratori di
  giustizia ai benefici penitenziari (esclusi i permessi premio)
  in deroga ai limiti di pena previsti dalla legge prima di aver
  scontato almeno
 
                              Pag. 29
 
  un quarto della pena inflitta ovvero dieci anni in caso di
  condanna all'ergastolo.
     La revoca o la modifica dei benefici penitenziari,
  disposta d'ufficio o su iniziativa del procuratore generale
  presso la corte d'appello o del procuratore nazionale
  antimafia, consegue alle stesse condotte tenute dal soggetto
  che possono comportare la revoca o la modifica delle misure
  speciali di protezione ovvero la revisione delle sentenze che
  hanno concesso attenuanti per la collaborazione.
     Dopo aver concluso l'illustrazione del disegno di legge in
  esame, si sofferma sul contenuto delle abbinate proposte di
  legge e conclude depositando in Commissione uno studio
  comparato sulla problematica del trattamento giuridico e
  processuale dei "pentiti", così come viene affrontato negli
  ordinamenti di Germania, Gran Bretagna, Portogallo, Spagna e
  Stati Uniti.
 
     Alfredo MANTOVANO (AN), pur riservandosi di intervenire
  nel prosieguo dell'esame del provvedimento, avanza la proposta
  di valutare l'opportunità di procedere ad uno stralcio delle
  disposizioni inerenti la specifica materia dei testimoni di
  giustizia, al fine di rendere possibile un più celere ed
  approfondito esame di tale materia.  Nel riconoscere che il
  disegno di legge proveniente dal Senato disciplina, anche se
  nel più ampio contesto delle garanzie processuali e delle
  misure di protezione relative ai collaboratori di giustizia,
  anche la posizione dei testimoni di giustizia, cioè delle
  parti offese del reato, fa notare che per la complessità e la
  delicatezza delle questioni affrontate dall'intero
  provvedimento, non può escludersi l'ipotesi di un rinvio
  dell'esame all'altro ramo del Parlamento, il che implicherebbe
  di fatto un forte rallentamento dell' iter  del testo in
  esame.  Ritiene quindi preferibile procedere al disabbinamento
  della proposta di legge n. 6765, da lui presentata, rilevando
  che sulla stessa non si è ancora svolta una approfondita
  discussione in nessuna sede istituzionale.  Osservando che
  nella specifica materia dei testimoni di giustizia si è
  comunque registrato un ampio consenso e un forte interesse
  manifestato dalle diverse parti politiche, auspica che
  l'accoglimento della proposta di stralcio su tale materia
  possa contribuire ad una tempestiva approvazione della
  normativa riguardante i testimoni di giustizia.
 
     Francesco BONITO (DS-U),  relatore,  dichiara di
  non condividere la proposta di stralciare dal disegno di legge
  in esame la disciplina inerente le parti offese dal reato, in
  quanto tale ipotesi renderebbe certamente più lento l'esame
  dell'intero provvedimento.  Fa quindi notare che la proposta di
  legge n. 6765, di cui si chiede il disabbinamento, trova
  sostanziale recepimento nel testo approvato dal Senato.  Pur
  ribadendo pertanto l'opportunità di svolgere un unitario esame
  parlamentare della disciplina riguardante i collaboratori di
  giustizia e i testimoni di giustizia, rileva che all'esito
  della discussione generale in Commissione si potrà comunque
  valutare l'eventuale sussistenza dei presupposti per procedere
  ad uno stralcio nel senso indicato dal deputato Mantovano.
  Ricorda quindi l'ampia ed articolata discussione sul
  provvedimento in esame già svolta al Senato, cui hanno
  partecipato tutte le forze politiche; il che, sottolinea,
  potrebbe costituire, qualora ne ricorrano le condizioni,
  premessa indispensabile per una opportuna ed auspicabile
  approvazione in sede legislativa del testo in esame.
 
     Il sottosegretario Marianna LI CALZI, pur riservandosi
  di intervenire più approfonditamente nel prosieguo dell'esame,
  sottopone all'attenzione della Commissione due riflessioni di
  carattere politico generale.  In primo luogo evidenzia che il
  Senato ha inteso stralciare dal provvedimento in esame la
  parte inerente alla normativa processuale, ovvero la questione
  del valore da attribuire alle dichiarazioni dei pentiti;
  sottolinea a tal riguardo che spetterà alla Commissione optare
  per il mantenimento di tale impostazione, oppure al contrario
  far rientrare la suddetta problematica nell'esame del disegno
  di legge in oggetto.  In secondo luogo, in relazione alla
  questione della
 
                              Pag. 30
 
  normativa transitoria, rileva l'incongruità delle previsioni
  del testo in esame, che prevedono che fino alla emanazione dei
  previsti regolamenti opera la precedente disciplina,
  rinviandosi in tal senso al decreto-legge n. 8 del 1991; fa
  notare al riguardo che nel 1994 sono stati emanati ulteriori
  regolamenti, cui più opportunamente avrebbe dovuto farsi
  rinvio.
 
     Carlo LEONI (DS-U), pur comprendendo le ragioni che
  ispirano la proposta avanzata dal deputato Mantovano, e che
  attengono alla esigenza di rendere chiaro presso la pubblica
  opinione che i testimoni di giustizia esigono un trattamento
  ed una disciplina differente rispetto a quella prevista per i
  collaboratori di giustizia, si dichiara contrario allo
  stralcio richiesto dal deputato Mantovano, in quanto ciò
  ritarderebbe inevitabilmente l' iter  di un provvedimento
  estremamente urgente ed importante.  Nel richiamare quindi
  l'ampio ed articolato dibattito svoltosi al Senato su tale
  provvedimento, auspica il verificarsi delle condizioni
  necessarie per l'approvazione dello stesso in sede
  legislativa.  In conclusione, considera non inopportuna la
  scelta adottata dal Senato volta a stralciare dal testo in
  esame la normativa di carattere processuale.
 
     Michele SAPONARA (FI) si associa alla proposta di
  stralciare dal provvedimento in esame la parte relativa ai
  testimoni di giustizia, come richiesto dal deputato Mantovano,
  del quale condivide gli argomenti addotti.
 
     Giovanni MELONI (comunista) sottolinea la necessità di
  non rallentare l' iter  del provvedimento in esame,
  soprattutto sulla considerazione del forte consenso che lo
  stesso ha ricevuto al Senato da parte di tutte le forze
  politiche.  Evidenzia che l'eventuale stralcio della disciplina
  inerente i testimoni di giustizia desterebbe, presso
  l'opinione pubblica, la sensazione di voler rallentare
  l'approvazione della delicata e complessa normativa
  riguardante i collaboratori di giustizia.  Pur comprendendo le
  valutazioni espresse dal deputato Mantovano, reputa
  preferibile concludere la discussione generale sul
  provvedimento nel suo complesso, rinviando ad una successiva
  fase la valutazione circa la sussistenza dei presupposti per
  un eventuale stralcio della parte riguardante i testimoni di
  giustizia.
 
     Alfredo MANTOVANO (AN), nel contestare agli argomenti
  svolti in opposizione alla proposta da lui avanzata, richiama
  l'attenzione della Commissione sulla relazione approvata
  recentemente dalla Commissione antimafia, nella quale si
  evince l'opportunità di prevedere una separata disciplina
  delle due categorie di soggetti, i collaboratori e i testimoni
  di giustizia.  Sottolinea quindi che l'eventuale stralcio della
  disciplina riguardante i testimoni di giustizia non
  necessariamente implicherebbe un rallentamento dell' iter
  di approvazione del disegno di legge proveniente dal
  Senato.
     Il sottosegretario Massimo BRUTTI evidenzia che il disegno
  di legge in esame costituisce frutto di una lunga e complessa
  elaborazione, rappresentando altresì il punto di incontro e di
  sintesi delle posizioni espresse da tutti i gruppi politici,
  sia di maggioranza che di opposizione.  Rileva che, su un tema
  così delicato quale la normativa sui collaboratori e testimoni
  di giustizia, sussiste un forte interesse del Governo alla
  immediata entrata in vigore delle disposizioni in essa
  contenute.  Dichiara di condividere la tesi di fondo espressa
  dal deputato Mantovano, inerente la necessità di disciplinare
  in modo differenziato, anche sotto il profilo del dettato
  legislativo, le due categorie interessate dal provvedimento.
  Tale distinzione, rileva, rappresenterebbe peraltro un forte
  messaggio rivolto agli stessi apparati delle forze di polizia
  e all'intera opinione pubblica.  Nel manifestare una posizione
  di disponibilità del Governo circa l'individuazione degli
  strumenti tecnici più adeguati per raggiungere tale risultato,
  ribadisce la pur rilevante esigenza di garantire tempi brevi
  per l'esame del provvedimento nel suo complesso.
 
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     Francesco BONITO (DS-U),  relatore,  nel concordare
  con le valutazioni espresse dal sottosegretario Brutti,
  sottolinea che ogni decisione in merito alla opportunità di
  operare uno stralcio rispetto al provvedimento nel suo
  complesso potrà essere valutata solo a seguito della
  discussione generale, al fine di verificare approfonditamente
  la sussistenza dei presupposti che rendano possibile accedere
  alla richiesta formulata dal deputato Mantovano.
 
     Anna FINOCCHIARO FIDELBO,  presidente,  nessun
  altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame
  ad altra seduta.
 
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