| La Commissione inizia l'esame del provvedimento
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Francesco BONITO (DS-U), relatore, osserva che vi
è una triste specificità nella realtà del nostro Paese: il
radicamento sul territorio, ed in modo particolare nel
Mezzogiorno d'Italia, di fenomeni diffusi e consolidati di
criminalità organizzata. E' altresì noto che la forza
intimidatoria delle associazioni criminali è elevatissima e
che ciò ha consentito ad esse di contrapporsi allo Stato per
anni ed anni, alimentando un diffuso sentimento di omertà.
Nel 1991 in seguito alla reiterazione di fatti delittuosi
particolarmente gravi e ad un ampio movimento di opinione
espressione di un comune sentire popolare, il Parlamento
discusse ed approvò un sistema di norme con le quali si
introdusse nel nostro sistema legislativo una speciale
circostanza attenuante in favore di chi prestava
collaborazione di notevole importanza in relazione
all'accertamento ed alla persecuzione di reati di criminalità
organizzata. Accanto al trattamento premiale veniva altresì
disciplinato un sistema di interventi di protezione della
figura del collaborante e dei suoi familiari.
Si trattava di uno strumento legislativo di carattere
eccezionale e di questo tutti, allora, erano coscienti, così
come vi era consapevolezza che, comunque, le novità non
contrastavano con lo Stato di diritto. Non solo, esse si
appalesavano opportune e necessarie per contrastare con
maggiore efficacia i fenomeni mafiosi e camorristici, per
rompere il patto omertoso che vincolava gli affiliati delle
organizzazioni malavitose, per minarne l'impenetrabilità, per
sminuirne la forza acquisita rispetto ai testimoni sempre
timorosi ed ai cittadini costretti al silenzio. Ebbene la
scelta di allora, il quadro normativo allora approntato si
sono rivelati giusti ed efficaci.
Lo strumento premiale ha consentito allo Stato di ottenere
risultati straordinari nella lotta contro il crimine
organizzato, ha restituito fiducia ai cittadini, ha salvato la
vita di moltissimi nostri concittadini. Non può certo essere
sottaciuto, nel contempo, che la legislazione sui pentiti e la
sua applicazione concreta hanno suscitato infuocate polemiche
soprattutto di contenuto politico e che forte appare oggi la
tentazione di porre termine a quello che fu un tentativo,
rispetto al quale è oggi possibile una valutazione politica,
tecnico-giuridica e forse anche storica. Sul punto crede che
accanto al riconoscimento dei risultati positivi e dei
successi vadano riconosciuti i limiti che la legislazione sui
collaboratori di giustizia ha posto in evidenza, i difetti e
le insufficienze che si sono manifestate, qualche volta le
deviazioni verificatesi. Il Parlamento, deve oggi porsi il
quesito se quella legislazione sia ancora utile e necessaria,
se una legislazione premiale sia tuttora opportuna, se nel
nostro paese permanga una pericolosa questione criminale a
fronte della quale l'incentivo alla dissociazione possa
svolgere ancora una utile funzione, se i processi di
criminalità organizzata abbiano ancora bisogno di quella prova
particolare, di quella prova da taluni efficacemente definita
ambigua che si concretizza nelle dichiarazioni dei
collaboranti.
Ritorna oggi, come nel 1991, una importante questione
politica, ma non soltanto politica, giacché appaiono evidenti
le implicazioni ideali, culturali delle scelte che,
responsabilmente, si è chiamati a compiere: in quali modi, in
quali termini, con quali limiti, in forza di quali principi,
magari tra essi confliggenti e quindi da porre in equilibrio,
in una democrazia moderna è necessario coniugare le garanzie
ed i diritti individuali dei cittadini con le pressanti
esigenze di tutela sociale poste dalle violente azioni
delittuose delle associazioni criminali. Ebbene soltanto la
cecità politica o, peggio, soltanto la malafede culturale
possono oggi indurre a disconoscere la necessità di mantenere
le scelte politiche del 1991, di mantenere un essenziale
strumento di contrasto della criminalità organizzata. La
coscienza, la consapevolezza dei limiti, degli errori, della
insufficienza non può e non deve giustificare un annullamento
del quadro normativo in discussione.
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Tali limiti, tali errori, tali insufficienze devono,
viceversa, imporre interventi riformatori, emendativi,
modificativi. Giova sul punto ricordare, peraltro, che già nel
1996 l'allora ministro dell'interno Napolitano relazionò al
Parlamento sullo stato della legislazione relativa ai
collaboratori di giustizia, lucidamente individuando luci ed
ombre del sistema e chiaramente indicando rimedi e correttivi.
E su questa strada si è poi mosso il disegno di legge del
Governo, approvato il 30 marzo ultimo scorso dal Senato con il
voto favorevole di maggioranza ed opposizione.
Il disegno di legge C. 6909, presentato dal Governo nel
marzo 1997 ed approvato dal Senato il 30 marzo 2000,
ridefinisce interamente la disciplina riguardante i cosiddetti
collaboratori di giustizia, contenuta nel decreto legge 15
gennaio 1991, n. 8, convertito dalla legge 15 marzo 1991, n.
82. Gli obbiettivi della riforma sono da individuarsi nel
superamento degli aspetti più discussi della normativa in
questione, più volte sottoposta a critiche soprattutto con
riferimento all'ampiezza dei benefici premiali accordati ai
collaboratori, ai margini di discrezionalità riconosciuti
nella ammissione alle misure di protezione, alla scarsa
efficacia dei meccanismi di controllo sulle attività dei
soggetti interessati dai benefici. Le linee portanti del
provvedimento - confermate anche dopo l'approvazione del
Senato - possono riassumersi: nell'individuazione di criteri
più rigorosi e restrittivi in ordine alla selezione dei
collaboratori, nonché al vaglio delle collaborazioni offerte;
nella riduzione delle fattispecie di reato per le quali è
applicata la disciplina premiale; nella distinzione fra le
fasi dell'ammissione alle misure di protezione e quelle della
concessione dei possibili benefici di natura penale; nella
fissazione di un termine tassativo entro il quale il
collaboratore deve rendere le dichiarazioni sui fatti di cui è
a conoscenza; nella tendenziale soppressione delle ipotesi di
concessione, sia pure temporanea, di misure di protezione da
parte degli organi di pubblica sicurezza; nel
ridimensionamento dell'importo degli assegni di mantenimento
attribuiti ai collaboratori.
Tra le modifiche apportate dal Senato, la più rilevante
concerne i criteri di valutazione delle dichiarazioni dei
collaboratori, richiesti per l'accesso alle misure di
protezione. E' stato infatti eliminato il riferimento alla
indispensabilità delle dichiarazioni ai fini delle indagini,
che costituiva uno dei punto fondanti della nuova disciplina
proposta dal testo governativo. La Commissione giustizia del
Senato ha inoltre introdotto una specifica disposizione di
tutela dei cosiddetti testimoni di giustizia, ai quali vengono
riconosciute le speciali misure di protezione anche in
relazione a contributi non concernenti delitti di mafia o di
terrorismo.
La legge 15 novembre 1988, n. 486, attribuiva all'Alto
Commissario contro la mafia il potere di adottare misure
idonee a garantire l'incolumità dei soggetti esposti a grave
pericolo per effetto delle loro dichiarazioni in procedimenti
di mafia, misure adottabili anche nei confronti dei prossimi
congiunti. Successivamente, il decreto-legge 15 gennaio 1991,
n. 8, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 15
marzo 1991, n. 82, ha previsto e disciplinato un apposito
programma di protezione a favore dei soggetti esposti a
pericolo per aver collaborato con la giustizia in maniera
determinante - e dei loro prossimi congiunti e conviventi - in
tutti i casi in cui risultino inadeguate le misure attivabili
in base alla normativa precedente. A tal fine è istituita
presso il Ministero dell'interno una Commissione centrale, cui
compete la definizione e applicazione del programma. Le misure
di protezione e assistenza sono stabilite con decreto
ministeriale. In casi di particolare urgenza, le misure di
protezione possono essere adottate dal Capo della polizia, che
ne informa il Ministro. L'articolo 13- ter del
decreto-legge n. 8 del 1991 ha, inoltre, previsto che per i
soggetti ammessi al programma di protezione si possa derogare
alle norme vigenti nella concessione dei permessi premio e
delle misure alternative al carcere.
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Il decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 ha dettato norme
ulteriori. L'articolo 7, comma 2, ha introdotto l'articolo
147- bis fra le norme di attuazione, di coordinamento e
transitorie del codice di procedura penale, prevedendo che
l'esame processuale delle persone che collaborano con la
giustizia avvenga con le cautele necessarie alla tutela della
persona sottoposta all'esame, quali il collegamento
audiovisivo per lo svolgimento dell'esame a distanza.
L'articolo 13 ha previsto ulteriori misure di favore da
applicare in attesa della definizione dello speciale programma
di protezione: la custodia in luogo diverso dall'istituto
penitenziario e l'esecuzione delle misure alternative alla
detenzione - diverse dalla liberazione anticipata - in base a
specifiche modalità autorizzate dal procuratore generale
presso la corte d'appello, d'intesa con il procuratore
nazionale antimafia in caso di reati di criminalità
organizzata. L'articolo 1, comma 2, della legge n. 356 del
1992, di conversione del decreto-legge n. 306, infine, ha
demandato ad un decreto legislativo l'attuazione della misura
speciale del programma di protezione consistente nel
cambiamento delle generalità, di cui al decreto-legge n. 8 del
1991. In attuazione della delega è stato emanato il decreto
legislativo 29 marzo 1993, n. 119.
Con il decreto ministeriale 24 novembre 1994, n. 687,
emanato dal Ministro dell'interno di concerto con il Ministro
di grazia e giustizia, il Governo ha dato attuazione alle
disposizioni contenute nel capo II del citato decreto-legge n.
8 del 1991, in base alle quali è stato posto in capo
all'Esecutivo il compito di individuare le misure di
protezione e di assistenza a favore dei collaboratori di
giustizia, di stabilire i criteri di formulazione dei
programmi di protezione e di definire le modalità attuative
delle disposizioni dell'ordinamento penitenziario applicabili
alle persone ammesse o in attesa di ammissione al programma di
protezione. In pari data, 24 novembre 1994, è stato inoltre
emanato dal Ministero dell'interno un decreto riservato
contenente norme sui contenuti del programma di protezione,
sull'assegno di mantenimento, sull'assistenza legale e sulla
tutela all'estero dei collaboratori di giustizia.
Quanto ai benefici processuali riconosciuti ai
collaboratori, va ricordato che l'articolo 8 del decreto-legge
13 maggio 1991, n. 152 con riferimento ai delitti di stampo
mafioso, ha previsto che la pena dell'ergastolo sia sostituita
da quella della reclusione da 12 a 20 anni e le altre pene
siano diminuite da un terzo alla metà in favore di chi si
dissoci adoperandosi per evitare che l'attività delittuosa sia
portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente
l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per
la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura
degli autori dei reati. Nel caso di false o reticenti
dichiarazioni si provvede alla revisione della senza emessa
sulla base di tali dichiarazioni, all'aumento delle pene di
reato di calunnia e alla sospensione delle misure alternative
alla detenzione concesse.
Riferisce quindi sul contenuto del provvedimento,
rilevando che la nuova normativa è improntata a criteri
maggiormente rigorosi sia quanto all'ambito dei soggetti cui
possono applicarsi i benefici e le misure di protezione, sia
quanto alle garanzie di trasparenza dei meccanismi che
presiedono all'intera disciplina, in linea con l'obiettivo di
superare gli aspetti più criticati e discussi della normativa
vigente.
In primo luogo, si prevede una graduazione delle misure di
protezione: misure ordinarie, cui provvede direttamente
l'autorità di pubblica sicurezza, ovvero, se riguardano
persone detenute, il Dipartimento dell'amministrazione
penitenziaria; misure speciali, da adottarsi quando risultino
inadeguate quelle ordinarie, e che sono di competenza della
commissione centrale; programmi di protezione, adottati
anch'esse dalla commissione, e che possono comprendere misure
aggiuntive, quali misure di assistenza personale ed economica,
cambiamento delle generalità, iniziative volte a favorire il
reinserimento sociale del collaboratore.
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Le condizioni legittimanti l'ammissione del soggetto alle
misure di protezione sono indicate dall'articolo 2 del disegno
di legge che al comma 3, in particolare, dispone che, ai fini
dell'applicazione delle misure speciali di protezione, hanno
rilievo le dichiarazioni, rese nel corso di procedimento
penale, che rivestano carattere di intrinseca attendibilità,
di novità o completezza, o appaiono per altri elementi di
notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini
del giudizio ovvero per le attività di investigazione sulle
strutture delle organizzazioni criminali e sugli obiettivi e
finalità operative di queste.
Segnala che la formulazione adottata dal Senato differisce
da quella presente nel testo governativo, nella quale si
faceva riferimento a dichiarazioni che per novità,
attendibilità e completezza risultino indispensabili per lo
sviluppo delle indagini preliminari o ai fini del giudizio.
Per quanto attiene al programma di protezione, che
comprende ulteriori misure - fra cui quelle di assistenza
economica, quelle concernenti il cambio di generalità, e
quelle idoneee al reinserimento sociale del collaboratore,
l'articolo 9, comma 5, del decreto-legge n. 8 del 1991, come
sostituito dall'articolo 2 del disegno di legge, prevede
infatti che il programma di protezione può essere adottato ove
le speciali misure di protezione non risultino adeguate alla
gravità ed attualità del pericolo in cui versa il
collaboratore. Il criterio prescelto non risulta quindi
collegato alla qualità ed utilità della collaborazione ai fini
delle indagini, ma esclusivamente alla oggettiva situazione di
rischio gravante sul collaboratore.
Rileva quindi che la restrizione dell'ambito soggettivo di
operatività delle misure di protezione consegue alla
ridefinizione delle fattispecie di reato in presenza delle
quali può trovare applicazione a disciplina in esame.
L'articolo 2 del disegno di legge specifica in tal senso che
le forme di collaborazione, quali definite dal comma 3,
assumono rilievo con esclusivo riferimento ai delitti commessi
con finalità di terrorismo o eversione dell'ordine
costituzionale, o a quelli compresi tra quelli di cui
all'articolo 51, comma 3- bis, del codice di procedura
penale.
La nuova formulazione esclude dunque dal novero dei reati
le numerose fattispecie per le quali è richiesto l'arresto
obbligatorio in flagranza, previste dall'articolo 380 del
codice penale, e che sono contemplate dal vigente testo
dell'articolo 9 del decreto-legge n. 8 del 1991.
Anche in relazione alla protezione dei parenti dei
collaboratori, riferisce che il disegno di legge introduce una
disciplina più restrittiva. L'articolo 9, comma 2, del
decreto-legge n. 8 del 1991 prevede attualmente che le stesse
misure applicate ai collaboratori possono essere adottate
anche nei confronti dei prossimi congiunti, dei conviventi e
di coloro che sono esposti a grave ed attuale pericolo a causa
delle relazioni che intrattengono con i collaboratori
medesimi.
Altre importanti modifiche sono introdotte dall'articolo 3
del disegno di legge, con riferimento alla commissione
centrale per la definizione ed applicazione dello speciale
programma di protezione. Ferma restando la composizione,
vengono modificati i requisiti richiesti per i membri diversi
dal presidente. Questi devono essere scelti fra persone che
abbiano maturato esperienze nel settore e siano in possesso di
cognizioni relative alle tendenze della criminalità
organizzata, e che non siano addetti ad uffici che svolgono
continuativamente attività di investigazione e indagine
preliminare su fatti concernenti criminalità organizzata di
tipo mafioso o terroristico.
L'altra importante novità riguardante la commissione
centrale è prevista con l'introduzione del comma
2- quinquies allo stesso articolo 10 del decreto-legge n.
8 del 1991, con il quale si modifica il regime delle
sospensioni cautelari dei provvedimenti della commissione in
materia di misure di protezione.
La norma approvata dal Senato preclude l'accesso alla
tutela cautelare avverso i soli provvedimenti della
commissione centrale con cui vengono adottate le misure di
protezione. Per i provvedimenti
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di revoca o modifica delle misure, si prevede invece - comma
2- sexies - un procedimento abbreviato, in parte simile a
quello vigente per i trasferimenti dei magistrati.
L'articolo 4 del disegno di legge sostituisce
integralmente l'articolo 11 del decreto-legge n. 8 del 1991,
concernente la procedura di ammissione alle misure di
protezione. La commissione è ora competente anche per
l'adozione delle misure speciali oltre che per i programmi di
protezione, e si pronuncia su proposta formulata dal
procuratore della Repubblica competente, ovvero dal Capo della
polizia, previo parere del Procuratore della Repubblica.
Peraltro, il successivo articolo 6, sostitutivo
dell'articolo 13 del decreto-legge n. 8 del 1991, prevede che,
in casi di eccezionale urgenza che non consentono di attendere
la deliberazione della commissione, il Capo della polizia può
autorizzare l'autorità provinciale di pubblica sicurezza ad
avvalersi degli stanziamenti previsti dall'articolo 17 del
decreto-legge n. 8 del 1991. La commissione può richiedere il
parere del procuratore nazionale antimafia e dei procuratori
generali presso le corti d'appello al fine di verificare se le
informazioni acquisite da tali organi nell'ambito di
procedimenti pendenti possano essere utili per deliberazioni
della commissione stessa.
Si sofferma, quindi, su ulteriori importanti modifiche
riguardanti i provvedimenti di competenza della commissione,
recate dall'articolo 6, che sostituisce l'articolo 13 del
decreto-legge n. 8 del 1991. In primo luogo, si introduce la
possibilità che la commissione adotti un piano provvisorio di
protezione, in casi di particolare gravità, e comunque in
presenza di richiesta avanzata dall'autorità competente.
Misure provvisorie possono essere adottate, anche
dall'autorità di pubblica sicurezza, in situazioni di
urgenza.
Per la definizione delle misure speciali di protezione,
nonché del contenuto del piano provvisorio, si fa invio ai
decreti previsti dall'articolo 17- bis, comma 1,
introdotto dall'articolo 17 del disegno di legge. Tuttavia, il
comma 4 dell'articolo 13, come sostituito dall'articolo 6 in
esame, precisa che le misure di protezione possono consistere:
nella predisposizione di misure di tutela da eseguire a cura
degli organi di polizia, di accorgimenti tecnici di sicurezza,
di misure necessarie al trasferimento in comuni diversi da
quelli di residenza del soggetto, di interventi contingenti
finalizzati ad agevolare il reinserimento sociale, di modalità
particolari per la custodia in istituti di pena.
Qualora la commissione decida di adottare un programma
speciale di protezione, le misure adottabili sono, oltre
quelle ora indicate: il trasferimento delle persone non
detenute in luoghi protetti, modalità speciali di tenuta della
documentazione misure di assistenza personale ed economica,
cambiamento delle generalità ai sensi del decreto legislativo
n. 119 del 1993, misure idonee al reinserimento sociale,
nonché altre misure straordinarie che si rendano necessarie.
L'adozione di misure di assistenza economica viene quindi
prevista solo nella ipotesi del programma speciale di
protezione.
La Commissione Giustizia del Senato, sottolinea, ha
introdotto inoltre una consistente riduzione dell'importo di
tali misure.
Altre disposizioni contenute nel nuovo articolo 13
riguardano la tutela dei collaboratori che si trovino in stato
di detenzione, nelle more dell'adozione delle speciali misure
o del programma di protezione.
Il quadro delle condizioni richieste per l'accesso alle
misure di protezione viene ulteriormente arricchito
dall'articolo 5 del disegno di legge, che, modificando
l'articolo 12 del decreto-legge n. 8 del 1991, integra gli
impegni che la persona interessata deve assumere all'atto
della sottoscrizione dell'atto recante le speciali misure.
Agli oneri già prescritti dal testo vigente, vengono aggiunti:
l'obbligo di sottoporsi all'interrogatorio e ad ogni altro
atto di indagine, compreso quello che prevede la redazione del
verbale illustrativo; l'impegno a non incontrare o contattare
persone che collaborino con la
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giustizia o che risultino dedite al crimine; l'obbligo di
specificare i beni posseduti o controllati, anche
indirettamente, e, dopo l'ammissione alle misure speciali, di
versare il denaro frutto di attività illecite; l'autorità
giudiziaria dovrà provvedere al sequestro immediato dei beni e
del denaro.
L'articolo 7 prevede l'abrogazione degli articoli
13- bis e 13- ter del decreto-legge n. 8 del 1991.
Vengono infatti soppresse le norme che consentono la
detenzione extracarceraria di collaboratori per i quali sia in
corso la definizione del programma di protezione (articolo
13- bis), nonché quelle che permettono, anche in deroga
alle disciplina vigente, la concessione di permessi premio e
di altri benefici ai soggetti ammessi al programma di
protezione, (articolo 13- ter).
L'articolo 8, mediante inserimento di un articolo
13- quater nel decreto-legge n. 8 del 1991, delinea il
quadro delle cause da cui deriva la revoca delle misure di
protezione. Il comma 1 del nuovo articolo precisa che le
misure di protezioni hanno carattere temporaneo, e possono
essere revocate sia in relazione all'attualità del pericolo,
sia con riferimento alla condotta delle persone interessate ed
all'osservanza degli impegni assunti.
L'articolo 9 reca alcune modifiche all'articolo 14 del
decreto-legge, confermando la competenza del Servizio centrale
di protezione (struttura inserita nell'ambito del Dipartimento
di pubblica sicurezza), per l'attuazione dei programmi
speciali di protezione deliberati dalla commissione
centrale.
L'articolo 10 sostituisce l'articolo 15 del decreto-legge
n. 8 del 1991, prevedendo che nell'ambito del programma di
protezione può essere autorizzato, con decreto del Ministro
dell'interno, il cambiamento delle generalità del
collaboratore di giustizia.
Si sofferma quindi sull'articolo 16- bis che
introduce uno specifico istituto processuale, il verbale
illustrativo dei contenuti della collaborazione.
In particolare, rileva l'importanza che assume il termine
per la collaborazione, dal momento in cui manifesta al
magistrato la volontà di collaborare con la giustizia, il
soggetto ha centottanta giorni per rendere le dichiarazioni
relative a notizie in suo possesso.
Riferisce, quindi, che i successivi cinque articoli
aggiunti al decreto-legge n.8 del 1991 contengono nuove
previsioni relative al trattamento premiale dei collaboratori
di giustizia.
L'articolo 16- ter prevede che la concessione delle
attenuanti possa essere concessa dal giudice solo previa
verifica nel termine prescritto della sottoscrizione da parte
del soggetto del verbale illustrativo dei contenuti della
collaborazione.
L'articolo 16- quater precisa in particolare le
modalità di acquisizione al fascicolo del P.M. di parti del
verbale illustrativo in caso di interrogatorio o testimonianza
del dichiarante in altro procedimento o in procedimento
connesso.
L'articolo 16- quinquies stabilisce la possibilità di
richiedere la revisione della condanna in caso di ulteriori
reati commessi dal collaboratore o di falsità o reticenza
delle sue dichiarazioni prevedendo, in particolare, la
rinnovazione del giudizio in caso di sentenza non ancora
definitiva.
Il successivo articolo 16- sexies esclude che
l'attività di collaborazione possa avere come automatica
conseguenza la revoca della custodia cautelare o la sua
sostituzione con altra misura coercitiva meno grave.
L'articolo 16- septies restringe l'accesso dei
collaboratori a taluni benefici penitenziari in deroga ai
limiti di pena previsti dalla legge eliminando l'attuale
automatismo che ne lega la concessione alla semplice
sottoposizione del soggetto al programma di protezione.
La principale novità introdotta dalla nuova disciplina
consiste nell'impossibilità di accesso dei collaboratori di
giustizia ai benefici penitenziari (esclusi i permessi premio)
in deroga ai limiti di pena previsti dalla legge prima di aver
scontato almeno
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un quarto della pena inflitta ovvero dieci anni in caso di
condanna all'ergastolo.
La revoca o la modifica dei benefici penitenziari,
disposta d'ufficio o su iniziativa del procuratore generale
presso la corte d'appello o del procuratore nazionale
antimafia, consegue alle stesse condotte tenute dal soggetto
che possono comportare la revoca o la modifica delle misure
speciali di protezione ovvero la revisione delle sentenze che
hanno concesso attenuanti per la collaborazione.
Dopo aver concluso l'illustrazione del disegno di legge in
esame, si sofferma sul contenuto delle abbinate proposte di
legge e conclude depositando in Commissione uno studio
comparato sulla problematica del trattamento giuridico e
processuale dei "pentiti", così come viene affrontato negli
ordinamenti di Germania, Gran Bretagna, Portogallo, Spagna e
Stati Uniti.
Alfredo MANTOVANO (AN), pur riservandosi di intervenire
nel prosieguo dell'esame del provvedimento, avanza la proposta
di valutare l'opportunità di procedere ad uno stralcio delle
disposizioni inerenti la specifica materia dei testimoni di
giustizia, al fine di rendere possibile un più celere ed
approfondito esame di tale materia. Nel riconoscere che il
disegno di legge proveniente dal Senato disciplina, anche se
nel più ampio contesto delle garanzie processuali e delle
misure di protezione relative ai collaboratori di giustizia,
anche la posizione dei testimoni di giustizia, cioè delle
parti offese del reato, fa notare che per la complessità e la
delicatezza delle questioni affrontate dall'intero
provvedimento, non può escludersi l'ipotesi di un rinvio
dell'esame all'altro ramo del Parlamento, il che implicherebbe
di fatto un forte rallentamento dell' iter del testo in
esame. Ritiene quindi preferibile procedere al disabbinamento
della proposta di legge n. 6765, da lui presentata, rilevando
che sulla stessa non si è ancora svolta una approfondita
discussione in nessuna sede istituzionale. Osservando che
nella specifica materia dei testimoni di giustizia si è
comunque registrato un ampio consenso e un forte interesse
manifestato dalle diverse parti politiche, auspica che
l'accoglimento della proposta di stralcio su tale materia
possa contribuire ad una tempestiva approvazione della
normativa riguardante i testimoni di giustizia.
Francesco BONITO (DS-U), relatore, dichiara di
non condividere la proposta di stralciare dal disegno di legge
in esame la disciplina inerente le parti offese dal reato, in
quanto tale ipotesi renderebbe certamente più lento l'esame
dell'intero provvedimento. Fa quindi notare che la proposta di
legge n. 6765, di cui si chiede il disabbinamento, trova
sostanziale recepimento nel testo approvato dal Senato. Pur
ribadendo pertanto l'opportunità di svolgere un unitario esame
parlamentare della disciplina riguardante i collaboratori di
giustizia e i testimoni di giustizia, rileva che all'esito
della discussione generale in Commissione si potrà comunque
valutare l'eventuale sussistenza dei presupposti per procedere
ad uno stralcio nel senso indicato dal deputato Mantovano.
Ricorda quindi l'ampia ed articolata discussione sul
provvedimento in esame già svolta al Senato, cui hanno
partecipato tutte le forze politiche; il che, sottolinea,
potrebbe costituire, qualora ne ricorrano le condizioni,
premessa indispensabile per una opportuna ed auspicabile
approvazione in sede legislativa del testo in esame.
Il sottosegretario Marianna LI CALZI, pur riservandosi
di intervenire più approfonditamente nel prosieguo dell'esame,
sottopone all'attenzione della Commissione due riflessioni di
carattere politico generale. In primo luogo evidenzia che il
Senato ha inteso stralciare dal provvedimento in esame la
parte inerente alla normativa processuale, ovvero la questione
del valore da attribuire alle dichiarazioni dei pentiti;
sottolinea a tal riguardo che spetterà alla Commissione optare
per il mantenimento di tale impostazione, oppure al contrario
far rientrare la suddetta problematica nell'esame del disegno
di legge in oggetto. In secondo luogo, in relazione alla
questione della
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normativa transitoria, rileva l'incongruità delle previsioni
del testo in esame, che prevedono che fino alla emanazione dei
previsti regolamenti opera la precedente disciplina,
rinviandosi in tal senso al decreto-legge n. 8 del 1991; fa
notare al riguardo che nel 1994 sono stati emanati ulteriori
regolamenti, cui più opportunamente avrebbe dovuto farsi
rinvio.
Carlo LEONI (DS-U), pur comprendendo le ragioni che
ispirano la proposta avanzata dal deputato Mantovano, e che
attengono alla esigenza di rendere chiaro presso la pubblica
opinione che i testimoni di giustizia esigono un trattamento
ed una disciplina differente rispetto a quella prevista per i
collaboratori di giustizia, si dichiara contrario allo
stralcio richiesto dal deputato Mantovano, in quanto ciò
ritarderebbe inevitabilmente l' iter di un provvedimento
estremamente urgente ed importante. Nel richiamare quindi
l'ampio ed articolato dibattito svoltosi al Senato su tale
provvedimento, auspica il verificarsi delle condizioni
necessarie per l'approvazione dello stesso in sede
legislativa. In conclusione, considera non inopportuna la
scelta adottata dal Senato volta a stralciare dal testo in
esame la normativa di carattere processuale.
Michele SAPONARA (FI) si associa alla proposta di
stralciare dal provvedimento in esame la parte relativa ai
testimoni di giustizia, come richiesto dal deputato Mantovano,
del quale condivide gli argomenti addotti.
Giovanni MELONI (comunista) sottolinea la necessità di
non rallentare l' iter del provvedimento in esame,
soprattutto sulla considerazione del forte consenso che lo
stesso ha ricevuto al Senato da parte di tutte le forze
politiche. Evidenzia che l'eventuale stralcio della disciplina
inerente i testimoni di giustizia desterebbe, presso
l'opinione pubblica, la sensazione di voler rallentare
l'approvazione della delicata e complessa normativa
riguardante i collaboratori di giustizia. Pur comprendendo le
valutazioni espresse dal deputato Mantovano, reputa
preferibile concludere la discussione generale sul
provvedimento nel suo complesso, rinviando ad una successiva
fase la valutazione circa la sussistenza dei presupposti per
un eventuale stralcio della parte riguardante i testimoni di
giustizia.
Alfredo MANTOVANO (AN), nel contestare agli argomenti
svolti in opposizione alla proposta da lui avanzata, richiama
l'attenzione della Commissione sulla relazione approvata
recentemente dalla Commissione antimafia, nella quale si
evince l'opportunità di prevedere una separata disciplina
delle due categorie di soggetti, i collaboratori e i testimoni
di giustizia. Sottolinea quindi che l'eventuale stralcio della
disciplina riguardante i testimoni di giustizia non
necessariamente implicherebbe un rallentamento dell' iter
di approvazione del disegno di legge proveniente dal
Senato.
Il sottosegretario Massimo BRUTTI evidenzia che il disegno
di legge in esame costituisce frutto di una lunga e complessa
elaborazione, rappresentando altresì il punto di incontro e di
sintesi delle posizioni espresse da tutti i gruppi politici,
sia di maggioranza che di opposizione. Rileva che, su un tema
così delicato quale la normativa sui collaboratori e testimoni
di giustizia, sussiste un forte interesse del Governo alla
immediata entrata in vigore delle disposizioni in essa
contenute. Dichiara di condividere la tesi di fondo espressa
dal deputato Mantovano, inerente la necessità di disciplinare
in modo differenziato, anche sotto il profilo del dettato
legislativo, le due categorie interessate dal provvedimento.
Tale distinzione, rileva, rappresenterebbe peraltro un forte
messaggio rivolto agli stessi apparati delle forze di polizia
e all'intera opinione pubblica. Nel manifestare una posizione
di disponibilità del Governo circa l'individuazione degli
strumenti tecnici più adeguati per raggiungere tale risultato,
ribadisce la pur rilevante esigenza di garantire tempi brevi
per l'esame del provvedimento nel suo complesso.
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Francesco BONITO (DS-U), relatore, nel concordare
con le valutazioni espresse dal sottosegretario Brutti,
sottolinea che ogni decisione in merito alla opportunità di
operare uno stralcio rispetto al provvedimento nel suo
complesso potrà essere valutata solo a seguito della
discussione generale, al fine di verificare approfonditamente
la sussistenza dei presupposti che rendano possibile accedere
alla richiesta formulata dal deputato Mantovano.
Anna FINOCCHIARO FIDELBO, presidente, nessun
altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame
ad altra seduta.
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