| Una delegazione della Commissione affari esteri e
comunitari della Camera dei deputati, composta dai deputati
Marco Pezzoni, Giovanni Bianchi e Marco Zacchera, si è recata
in missione in Etiopia, Eritrea, Gibuti e Somalia, dal 6
all'11 aprile 2000, per acquisire approfondimenti conoscitivi
in merito al conflitto tra Etiopia ed Eritrea, nonché in odine
alla "questione somala", sulla quale è in corso un'iniziativa
di pace proposta dal Presidente della Repubblica di Gibuti,
attualmente presidente dell'IGAD (Autorità Intergovernativa
per lo sviluppo). La delegazione ha potuto constatare, in
tutta l'area visitata, quanto sia richiesta e sollecitata da
tutti la presenza politica, culturale ed economica
dell'Italia, probabilmente come in nessun altra area del
mondo.
Per quanto riguarda il conflitto etiopico-eritreo, la
delegazione ha potuto valutare l'attuale stato dei rapporti
tra i due paesi, nonché lo stato dei negoziati in corso che si
basano sulla mediazione dell'attuale Presidenza dell'OUA, in
capo all'Algeria. Nel corso della visita in Etiopia, si è
peraltro, prestata particolare attenzione alla situazione di
emergenza alimentare, dovuta alla grave carestia che sta
colpendo il paese, e alla conseguente necessità di aiuti
alimentari da parte della Comunità internazionale. La
delegazione, inoltre, ha potuto prendere in esame l'andamento
dell'attività di cooperazione allo sviluppo italiana nei due
paesi. Infine, sia in Etiopia che in Eritrea la delegazione,
nel corso di incontri con rappresentanti della Comunità
italiana nei due paesi, ha preso atto della situazione in cui
queste versano e dei problemi dalle stesse sollevati. In
Etiopia si è altresì discusso della restituzione dell'Obelisco
di Axum da parte dell'Italia, tematica nei confronti della
quale gli etiopici hanno dimostrato forte sensibilità.
Per quanto concerne il tentativo di riconciliazione della
Somalia che sta portando avanti il Presidente di Gibuti, la
delegazione ha avuto modo di esprimere il suo sostegno a tale
iniziativa, fortemente condivisa anche da parte del Parlamento
italiano, oltre che da parte del Governo. La delegazione ha,
inoltre, potuto acquisire elementi informativi e conoscitivi
in merito alla posizione sostenuta dalle amministrazioni
autonome del Somaliland e dal Puntland nei confronti della
iniziativa gibutina.
La delegazione ha effettuato i seguenti incontri a livello
parlamentare e governativo:
In Etiopia:
Primo ministro, Meles Zenawi;
Vice ministro per lo sviluppo economico e per la
cooperazione, Mulatu Teshome;
Presidente della Camera dei rappresentanti del popolo,
Dawit Yohannes;
Presidente della Camera della Federazione, Almaz
Meku;
Membri della Commissione esteri del Parlamento e del
gruppo di amicizia italo-etiopico;
Commissario per la prevenzione e gestione delle calamità,
Simon Mechale;
Direttore generale per l'America e l'Europa del Ministero
degli esteri, Hiruy Amanuel;
Segretario generale dell'Organizzazione per l'Unità
africana, Salim Ahmed Salim.
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In Eritrea:
Segretario politico del partito al governo (PFDJ),
Yemane Ghebreab;
Presidente dell'Unione nazionale delle donne eritree e
membro dell'Assemblea nazionale, Luul Ghebreab;
Membri dell'Assemblea nazionale, Germano Nati e
Woldenkiel Abraha;
Ministro della sanità, Saleh Meki;
Segretario generale del Ministero degli esteri, Tesfai
Ghirmazion.
A Gibuti:
Presidente della Repubblica, Omar Guelleh;
Ministro degli esteri ad interim;
Segretario generale del Ministero degli esteri.
In Somalia:
"Presidente" del Somaliland, Ibrahim Egal, i suoi
ministri e i membri delle due Assemblee nazionali;
"Presidente" del Puntland, Adbullahi Yusuf, i suoi
ministri e il comitato di Presidenza dell'Assemblea
parlamentare locale.
La delegazione è stata accolta con amicizia e cordialità
in tutti i paesi visitati; per quanto riguarda, in
particolare, Etiopia, Eritrea e Somalia, gli interlocutori
hanno, infatti, sottolineato i buoni rapporti esistenti con
l'Italia, dovuti soprattutto a motivazioni di natura
storico-culturale ed economica.
Di seguito, sono riportati in forma sintetica i contenuti
dei colloqui svolti nei diversi paesi, ricondotti alle due
questioni principali sopra ricordate, e cioè il conflitto
Etiopia-Eritrea e l'iniziativa di pace per la riconciliazione
somala.
2. Il conflitto Etiopia-Eritrea.
Lo stato dei rapporti tra i due paesi e l'eventuale
ripresa del conflitto è stato il tema principale dibattuto nel
corso degli incontri svolti sia in Etiopia che in Eritrea.
In entrambi i paesi sono state ripercorse, con differenti
interpretazioni sulle reali cause, le fasi del conflitto fin
dal suo inizio nel maggio 1998 ed è stata altresì ricordata
l'evoluzione del piano di pace dell'OUA, composto
sostanzialmente da un Accordo quadro, dalle modalità esecutive
dell'Accordo stesso ed, infine, dai " technical
arrengements ", dei quali è stata chiesta una nuova
formulazione dall'Etiopia. Entrambi i paesi ritengono
indispensabile la presenza e l'iniziativa politica dell'Italia
in sede di mediazione internazionale.
Per quanto riguarda in particolare gli incontri svolti in
Etiopia, particolarmente significativo è stato il lungo
colloquio con il Primo ministro Meles Zenawi, nel corso
del quale è stata in primo luogo fornita dallo stesso una
ricostruzione dettagliata della cronologia, delle cause e
delle fasi del conflitto.
Nel sottolineare che il movimento tigrino ha sempre
sostenuto l'autodeterminazione del popolo eritreo, il Primo
ministro ha tenuto a precisare che, non appena arrivato al
governo del paese, sono state adottate misure che
facilitassero il processo di indipendenza dell'Eritrea. Meles
Zenawi ha inoltre ricordato che, all'indomani del
referendum, l'Etiopia è stato il primo fra i paesi
stranieri a riconoscere il nuovo stato eritreo e che i
rapporti tra i due paesi sono stati all'inizio molto stretti e
di grande amicizia, anche grazie alla flessibilità dimostrata
dall'Etiopia. Successivamente, da parte eritrea, è stata
avanzata la richiesta di adottare una valuta diversa dal
birr etiopico - che si era continuato ad usare anche in
Eritrea - e solo dopo un dibattito durato anni si addivenì ad
un accordo sulla valuta, decidendo che i pagamenti sarebbero
stati effettuati in dollari americani, decisione che non venne
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ben accettata dall'Eritrea. Fu quello l'inizio di un processo
di logoramento sempre crescente delle relazioni tra i due
paesi, che ha portato, nel maggio 1998, a quello che gli
etiopici considerano occupazione di alcuni territori di
confine da parte di truppe eritree. L'Etiopia non era
preparata ad affrontare un conflitto bellico; essa disponeva,
infatti, di un esercito poco attrezzato, non essendosi posta,
sino ad allora, il problema della difesa ma principalmente
quello di combattere la povertà e il sottosviluppo.
Iniziarono così i primi tentavi di mediazione e dopo il
loro fallimento è stata la volta dell'OUA, che ha proceduto
con il piano di pace sopra ricordato.
Per quanto riguarda la posizione etiopica in merito
all'Accordo quadro, alle modalità esecutive e ai " technical
arrengements ", Meles Zenawi ha fatto presente che la prima
elaborazione di questi ultimi non era coerente con i primi due
e che, pertanto, ne è sta chiesta una revisione. Dopo otto
mesi di trattative con il presidente algerino - attuale
presidente dell'OUA - il problema è stato risolto ma la nuova
formulazione non ha trovato d'accordo gli eritrei. L'Algeria
ha quindi proposto ad entrambe le parti di partecipare ai
" proximity talks ", che avrebbero dovuto avere luogo il
20 marzo 2000 ad Algeri, data posticipata - su richiesta
eritrea - al successivo 25 marzo. Poiché neanche questa data è
stata accettata dall'Eritrea, attualmente si è in attesa che
ne venga fissata una nuova.
Dopo aver precisato che l'Etiopia intende tornare allo
status quo antecedente a quello che considerano
"aggressione" del maggio 1998 e che l'Eritrea sta continuando
a portare avanti atteggiamenti provocatori per scatenare
nuovamente il conflitto, il Primo ministro si è dichiarato
pronto ad affrontare lo scontro bellico, non potendo l'Etiopia
continuare ad accettare una situazione di " no peace, no
war ". E' stato fatto osservare, peraltro, che tale scelta è
in un certo senso obbligata, poiché l'Etiopia non può
continuare a sostenere spese belliche (negli ultimi anni le
spese militari sono notevolmente aumentate), non può
permettersi che la cooperazione internazionale subisca un
arresto, e, da ultimo, deve fronteggiare con impegno anche la
drammatica crisi alimentare. L'interesse principale
dell'Etiopia è pertanto quello di porre fine alla situazione
di stallo che si è venuta a creare - che danneggia più
l'Etiopia che non l'Eritrea -, anche a costo di riprendere il
conflitto, per poter successivamente tornare ad interessarsi
dei problemi che più stanno a cuore del Governo etiopico, e
cioè la lotta alla povertà e lo sviluppo economico del paese.
A giudizio della delegazione la ripresa del conflitto sarebbe
la conseguenza di una precisa scelta politica e non un fatto
ineluttabile: tra l'altro, ad avviso di esperti militari di
paesi terzi, il riaccendersi del conflitto, questa volta, non
si limiterebbe a un reciproco sfondamento delle frontiere tesa
a colpire il cuore e il cervello politico dell'avversario, con
effetti ancor più drammatici - rispetto al conflitto
precedente - sul piano della perdita di vite umane.
Il Presidente ha, infine, espresso apprezzamento per il
lavoro che sta svolgendo il sottosegretario Rino Serri in
qualità di Rappresentante speciale della Presidenza
dell'Unione europea per il conflitto Etiopia-Eritrea, al quale
da atto di aver tentato di ridurre in seno all'Europa la
politica dei " double standards", cioè dei due pesi e
delle due misure. In proposito, ha fatto riferimento al fatto
che le situazioni di crisi all'interno di paesi della comunità
internazionale non sempre vengono gestite dalla stessa con i
medesimi criteri, come dimostrano, ad esempio, le pressioni
esercitate sull'Etiopia, al momento del conflitto, da parte
della comunità internazionale e in particolare dell'Unione
europea attraverso il blocco dell'erogazione dei fondi per la
bilancia dei pagamenti, misure che invece non sono state
adottate nei confronti dell'Uganda, paese anche questo in
guerra. Analogamente, ha ricordato che il Consiglio di
sicurezza delle Nazioni unite ha adottato risoluzioni per
l'embargo nei confronti dell'Etiopia, mentre le medesime
sanzioni
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non sono state irrogate ad altri paesi in situazioni simili,
tra cui il Congo. Dopo aver sottolineato che, in caso di un
riaccendersi del conflitto, sarebbe a rischio anche la
corresponsione degli aiuti da parte dei donatori - aiuti di
cui invece l'Etiopia necessita fortemente a causa
dell'emergenza alimentare in atto -, il Primo ministro Meles
Zenawi ha invitato l'Italia ad adottare le iniziative
possibili al fine di contrastare la politica dei " double
standards " in Europa e a continuare a sostenere
l'iniziativa di pace dell'OUA, auspicandone l'accettazione da
parte dell'Eritrea.
Opinioni analoghe sull'origine del conflitto e sulle
ragioni dell'Etiopia, sono state espresse durante l'incontro,
presso la sede del Parlamento, con il Presidente della Camera
dei rappresentanti del popolo, Dawit Yohannes, che ha
sottolineato come il suo paese dal 1991 al 1995 ha seriamente
lavorato ad un'opera di ristrutturazione democratica e di
sviluppo economico, che potrebbe essere compromesso a causa
del conflitto. Circa le cause del conflitto, il Presidente ha
osservato che per l'Etiopia si è trattato di difendersi
dall'aggressione e dall'invasione perpetrata a suoi danni ad
opera dell'Eritrea. Per quanto riguarda lo stato di
avanzamento del Piano di pace, anche il Presidente Dawit
Yohannes ha confermato che questo si trova in una fase di
stallo a causa della mancanza di volontà, da parte
dell'Eritrea, di accettare l'ultima versione dei " technical
arrengements" proposti dalla presidenza algerina
dell'OUA.
Il Presidente Dawit Yohannes, infine, ha auspicato che il
Parlamento e il Governo italiani sostengano la iniziativa di
pace della presidenza gibutina dell'IGAD per la Somalia.
Anche nell'incontro con il Direttore generale per
l'America e l'Europa del Ministero degli esteri, Hiruy
Amanuel, il quale ha innanzitutto ripercorso le fasi del
conflitto fin dal suo inizio nel maggio 1998, è stato
chiaramente fatto presente che l'Etiopia accetta di negoziare
la pace con l'Eritrea a condizione che si torni ai confini
esistenti al 5 maggio 1998 e che, quindi, l'Eritrea
restituisca i territori occupati. Solo successivamente sarà
possibile pervenire ad una demarcazione dei confini, sulla
base dei trattati coloniali firmati con l'Italia e
l'Inghilterra. Il direttore ha inoltre richiamato l'attenzione
della delegazione sul problema - molto sentito dalla
popolazione etiopica - dei 400.000 sfollati in attesa di
ritornare nelle proprie case.
Infine, anche da parte del Direttore generale Hiruy
Amanuel sono stati espressi apprezzamenti per il ruolo
costruttivo svolto e per il contributo apportato dal senatore
Rino Serri a sostegno dell'iniziativa dell'OUA.
Per quanto riguarda poi gli incontri svolti in Eritrea,
nel lungo colloquio con il segretario politico del partito al
governo (PFDJ), Yemane Ghebreab, - al quale hanno
partecipato anche il Presidente dell'Unione nazionale delle
donne eritree e membro dell'Assemblea nazionale, Luul
Ghebreab, nonché alcuni membri dell'Assemblea nazionale,
Germano Nati e Woldenkiel Abraha - lo stesso ha
innanzitutto tenuto a precisare di essere stato fin
dall'inizio coinvolto nei negoziati con l'Etiopia, essendo
peraltro anche stato membro della Commissione istituita per la
demarcazione dei confini.
Dopo aver riconosciuto il ruolo svolto dall'Italia nel
ricercare una soluzione pacifica al conflitto tra i due paesi
e nel portare all'attenzione dell'Europa la questione, anche
attraverso il lavoro condotto dal senatore Serri, Yemane
Ghebreab ha tuttavia evidenziato come il suo paese ritenga che
il sostegno internazionale e anche la posizione dell'Italia
siano state influenzate da erronee interpretazioni. In primo
luogo, la comunità internazionale ritiene che l'Etiopia sia
più considerata dell'Eritrea - come dimostra che ad Addis
Abeba vi sono rappresentanze diplomatiche di 90 paesi -;
inoltre, l'Italia, per non essere sospettata di sbilanciamenti
a favore dell'Eritrea, ha dimostrato troppa disponibilità nei
confronti dell'Etiopia, cosa che è stata sfruttata da questo a
proprio favore. Infine, ciò che ha influenzato
significativamente il comportamento
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della comunità internazionale è stata la posizione assunta
dagli USA, secondo cui si è ritenuto necessario salvaguardare
l'Etiopia nei suoi equilibri interni, perché altrimenti
avrebbe rischiato il collasso.
Passando ad illustrare la posizione eritrea in merito al
conflitto, Yemane Ghebreab ha sottolineato che l'Eritrea, che
vorrebbe evitare il riaccendersi dello scontro bellico, ha da
sempre chiesto che venisse imposto il cessate il fuoco e la
cessazione delle ostilità, cosa che la comunità internazionale
è solita fare in presenza di guerre, ma che non ha fatto in
occasione del conflitto Etiopia-Eritrea perché, a suo avviso,
non si è voluto evidenziare il rifiuto da parte dell'Etiopia
non accetterebbe.
Nel riferire i dettagli anche cronologici della fasi del
conflitto e dei tentativi di pace pregressi, Yemane Ghebreab
ha precisato che l'iniziativa di pace dell'OUA, contenuta
nell'"Accordo quadro" non ha portato a risultati positivi
anche a causa del fatto che non sono mai stati definiti con
esattezza quali fossero i territori dai quali l'Eritrea si
sarebbe dovuta ritirare e, alla richiesta di avere
chiarificazioni al riguardo, l'OUA non ha mai fornito alcuna
delucidazione. E' stato, altresì, ricordato che, all'offensiva
etiopica del febbraio 1999, le Nazioni unite imposero una
moratoria degli attacchi aerei, minacciando sanzioni in caso
di violazione. Tuttavia, nonostante l'Etiopia abbia continuato
a bombardare Massaua e Assab, nessuna sanzione le fu irrogata
dalla comunità internazionale. Yemane Ghebreab ha quindi
rammentato che fu proprio l'Etiopia, successivamente
all'Accordo quadro - accettato dall'Eritrea -, a rifiutare di
firmarlo in quanto sarebbe stato necessario un nuovo documento
sulle modalità esecutive. Alla sua presentazione ad Algeri,
esso venne accettato subito dall'Eritrea, mentre l'Etiopia si
dichiarò disposta ad accettarlo dopo alcune iniziali riserve.
Al momento stabilito per la firma, l'Etiopia chiese un terzo
documento, che, una volta elaborato, venne anche questo
accettato dall'Eritrea. Sebbene per il terzo documento, i
cosiddetti " technical arrengements ", fosse sostenuto
esplicitamente dal mediatore algerino che si trattava di un
documento immodificabile e non negoziabile, l'Etiopia ne
chiese comunque una revisione. Dopo circa otto mesi di
trattative condotte, senza il coinvolgimento dell'Eritrea, tra
Algeria ed Etiopia, con il supporto di USA e Italia, è stato
presentato ed è stato sottoposto al suo paese tale nuovo
documento, sul quale, comprensibilmente, l'Eritrea ha chiesto
di poter riflettere e discutere.
Circa la mancata partecipazione del Presidente eritreo
Isaias ad Algeri su invito dell'OUA, Yemane Ghebreab ha
precisato che l'Eritrea, prima di incontrarsi con l'Etiopia,
desidera conoscere previamente l'oggetto della discussione,
sapere ad esempio se la nuova versione dei " technical
arrengements " sia negoziabile considerato che è stata
formulata sulla base delle sole richieste etiopiche e se,
quindi, sia consentito all'Eritrea presentare proposte
emendative. In questa fase, quindi, l'Eritrea rivendica una
pari dignità rispetto all'Etiopia e, dunque, il diritto
all'emendabilità del testo anche da parte sua.
A suo avviso, risulterebbe chiaramente l'intenzione
dell'Etiopia di non addivenire ad una soluzione pacifica,
credendo erroneamente di poter sconfiggere militarmente e di
distruggere economicamente l'Eritrea.
Infine, è stato sottolineato che la pace non può essere
raggiunta privilegiando le richieste di un paese a danno
dell'altro e che, per accertare la buona fede di entrambi i
paesi, i primi due documenti, verbalmente accettati, debbano
anche essere formalmente firmati.
A conclusione del suo intervento, Yemane Ghebreab ha
ritenuto necessario, per il buon fine del piano di pace
dell'OUA, che l'Algeria si comporti con chiarezza e lealtà e
che, quindi, chiarendo se il documento sia aperto o meno a
modifiche, si ristabilisca la parità negoziale delle due
parti: l'Eritrea vuole un Accordo che sia in grado, nella sua
attuazione, di portare effettivamente alla pace.
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Sullo stato dell'iniziativa di pace dell'OUA la
delegazione ha potuto ascoltare anche il segretario generale
dell'OUA, Salim Amhed Salim, incontrato ad Addis Abeba,
sede dell'Organizzazione, il quale ha innanzitutto ricordato
che la Presidenza algerina - promotrice del piano di pace -
sta per scadere e che pertanto sarebbe necessario quanto prima
che le due parti si incontrassero ad Algeri per i proximity
talks.
Dopo avere fatto presente che entrambe le parti hanno
accettato i due primi documenti - l'Accordo quadro e le
modalità esecutive -, e quindi di ritirarsi dai territori
occupati, e che attualmente si sta discutendo solo
dell'attuazione degli accordi già accettati, ha ritenuto che
si possa giungere alla pace solo se tutti e due i paesi sono
realmente intenzionati a raggiungerla. Il segretario dell'OUA
ha pertanto auspicato che l'Italia possa contribuire a
persuadere le due parti ad andare ai proximity talks,
sottolineando che il passare del tempo non giova ad una
soluzione pacifica, poiché, nelle more, in Etiopia
aumenterebbero i problemi interni al governo di Meles Zenawi,
la cui politica è criticata dai "falchi" del suo partito.
Analoghi problemi, invece, non esistono in Eritrea dove la
leadership è unica e non è contestata.
Inoltre, ha tenuto a precisare - in seguito ad un
interrogativo posto dalla delegazione - che l'OUA non ha mai
dichiarato l'immodificabilità del terzo documento cosiddetto
dei " technical arrengements ", nonostante sia questa
l'opinione eritrea; si trattava, infatti, di un documento in
via di elaborazione, non ancora discusso congiuntamente dalle
due parti, e pertanto ancora suscettibile di correzioni e
aggiustamenti.
2.1 L'emergenza alimentare.
La missione in Etiopia si è svolta in un momento di grave
crisi per il paese, colpito dalla carestia e,
conseguentemente, da una drammatica situazione di emergenza
alimentare.
In tutti i colloqui svolti dalla delegazione, gli
interlocutori etiopici hanno sottolineato che, oltre al
problema del conflitto con l'Eritrea, grande preoccupazione
destava la difficile e seria crisi alimentare in atto
specialmente nel sud del paese, dovuta alla siccità.
La questione è stata in particolare discussa nel corso dei
colloqui con il vice ministro per lo sviluppo economico e per
la cooperazione, Mulatu Teshome, con il Commissario per
l'Ente etiopico per la prevenzione e gestione delle calamità,
Simon Mechale, nonché con il Direttore generale del
Ministero degli esteri, Hiruy Amanuel.
Il vice ministro Mulatu Teshome ha fatto presente
che la causa della carestia era da ricondurre principalmente
alla carenza di piogge in un paese che non può gestire
correttamente il sistema delle acque, mancando di adeguati
sistemi di irrigazione, di invasi per la raccolta delle acque,
ecc. Al riguardo, è stata lamentata l'assenza di programmi di
finanziamenti da parte della Banca mondiale, che
consentirebbero una implementazione dell'insufficiente e
oramai superato sistema di irrigazione esistente. Alla luce di
ciò, ha auspicato che l'Italia si faccia interprete presso la
comunità internazionale dell'esigenza di affrontare e
risolvere il problema della gestione delle acque in Etiopia e
dell'intero bacino del Nilo.
Anche durante il colloquio con il Commissario per l'Ente
etiopico per la prevenzione e gestione delle calamità,
Simon Mechale, l'attenzione si è concentrata sulla
situazione di emergenza alimentare, le cui cause sono state
individuate dal Commissario nella scarsità di piogge unita ad
una mancato razionale sfruttamento dei non pochi corsi d'acqua
esistenti sul territorio del paese.
L'ammontare delle persone colpite dalla carestia, nella
sola Etiopia, è stato stimato in circa 7,7 milioni di persone,
con il rischio di un aumento fino a 10 milioni nei prossimi
mesi. A questi vanno aggiunti altri 8 milioni di persone a
rischio in Somalia, Uganda, Kenya e Sudan. Oltre alle vittime
della siccità, il
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Commissario ha sottolineato che vanno ricomprese tra le
vittime della crisi alimentare anche i circa 400.000 sfollati
dai territori occupati dall'Eritrea a seguito della guerra,
che necessitano di aiuti alimentari e di materiali di
sistemazione temporanea, di approvvigionamento idrico e di
assistenza sanitaria.
Il fabbisogno necessario per far fronte alla calamità è
stato stimato in 898.000 tonnellate di aiuti alimentari, di
cui ne sono state ricevute solo 335.000. Il Commissario ha
inoltre paventato il rischio di un arrivo contestuale degli
aiuti da parte della comunità internazionale e di una
conseguente situazione di congestione del porto di Gibuti,
presso il quale viene scaricata la maggior parte degli
aiuti.
E' stato ricordato poi che, a causa del ritardo con cui
avviene la reintegrazione dello "stock nazionale" da parte dei
donatori, l'Ente è stato costretto a ridurre la razione
mensile per persona da 15 a 12,5 kg. e a prevedere di
conferire aiuti solo all'80% della popolazione colpita, che
per la maggior parte si trova nel sud del paese. Infine, è
stata evidenziata l'urgenza e la necessità non solo di aiuti
alimentari ma anche di assistenza sanitaria e, nelle zone
rurali, anche di acqua per il bestiame.
Alla domanda posta dalla delegazione se una
riorganizzazione della attività di distribuzione degli aiuti
che vedesse coinvolti anche altri soggetti accanto alle
autorità etiopiche potrebbe giovare ad una più rapida ed
efficiente gestione della crisi, il Commissario ha risposto
che il problema non è di natura logistica ma di oggettiva
mancanza di risorse. E' stato infatti fatto rilevare che
l'Ente etiopico per la prevenzione e gestione delle calamità
dispone di uffici regionali preposti alla distribuzione degli
aiuti, ai quali compete peraltro anche l'adozione di
determinate decisioni, e che, semmai, solo le ONG sarebbero in
grado di gestire l'attività di distribuzione, poiché gli altri
donatori non dispongono di strutture distributive.
Per quanto riguarda i mezzi di trasporto da poter
utilizzare per distribuire gli aiuti, il Commissario ha
precisato che l'Ente dispone di 2.400 camion, di cui 400
nuovi, che raggiungono il porto di Gibuti, caricano gli aiuti
utilizzando tre moli e provvedono quindi al trasporto in
Etiopia e alla loro distribuzione. Oltre al porto di Gibuti,
gli aiuti giungono in parte anche attraverso quello di
Berbera, utilizzato in particolare dall'Unione europea. Il
Commissario ha infine assicurato che le attività di carico,
trasporto e distribuzione degli aiuti non recano alcun
problema e che eventuali difficoltà potrebbero essere
determinate da una congestione degli aiuti presso i porti, che
si potrebbe verificare ove non si procedesse ad una adeguata
programmazione degli aiuti da parte dei donatori. In
conclusione, il Commissario ha fatto notare che l'effettiva
risposta dei donatori è inferiore alle aspettative e che, in
particolare l'Unione europea, che abitualmente fornisce al
paese circa la metà dei fabbisogni alimentari di emergenza,
non si è ancora impegnata ufficialmente.
Anche il Direttore generale del Ministero degli esteri,
Hiruy Amanuel, ha posto l'accento sull'allarme provocato
dalla sicurezza alimentare, che coinvolge l'11% della
popolazione. Le cause di tale problema, che se non risolto
definitivamente con interventi strutturali continuerà a
preoccupare in futuro i governi e la popolazione etiopici,
sono state individuate, innanzitutto, nel clima secco e poco
piovoso e nella mancanza di sistemi di irrigazione, in secondo
luogo, nella circostanza che l'85% della popolazione vive in
zone rurali, con una produzione agricola di pura sussistenza,
basata su piccoli appezzamenti di terreno coltivati. In
presenza di tali condizioni, il Direttore ha prefigurato un
progressivo abbandono delle zone rurali, con conseguente
aumento della urbanizzazione.
Il tema dell'emergenza alimentare dovuta alla siccità è
stato dibattuto anche durante gli incontri con i Presidenti
dei due rami del Parlamento, Dawit Yohannes e Almaz
Meku. Anche in tale occasione, si è auspicato un immediato
intervento della comunità internazionale.
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Infine, collegata in un certo senso all'emergenza
alimentare è la grossa questione dello sfruttamento delle
acque del Nilo, il cui affluente Nilo blu nasce in Etiopia dal
Lago Tana per poi ricongiungersi con il Nilo bianco. Dopo aver
precisato che l'85% delle acque che raggiunge l'Egitto
proviene dall'Etiopia, il Direttore ha auspicato che il
problema possa quanto prima essere risolto attraverso un
accordo tra i due paesi sulla utilizzazione delle acque, in
mancanza del quale i rapporti non potrebbero essere
equilibrati. Interpellato su tale tema anche il presidente
della Camera dei rappresentanti del popolo, Dawit Yohannes,
nel corso del colloquio nella sede del Parlamento, lo
stesso ha ritenuto necessario che la Banca mondiale finanzi un
progetto di utilizzazione delle acque del Nilo, che va
considerato un sistema idrico internazionale, ed ha fatto
presente che il problema principale deriva dal fatto che
l'Egitto e il Sudan intenderebbero utilizzare quasi il 100%
delle acque del Nilo, sulla base di un accordo degli anni
'50.
3. La questione somala.
L'iniziativa di pace del Presidente di Gibuti, Omar
Guelleh, annunciata nel settembre 1999 a New York
all'Assemblea generale delle Nazioni unite e presentata a
novembre scorso al vertice IGAD di Gibuti, è volta
all'organizzazione di una "Conferenza di riconciliazione
nazionale" prevista per la fine del mese di aprile. La
Conferenza, alla quale sono stati chiamati a partecipare
rappresentanti degli intellettuali, della società civile della
Somalia nella suo complesso e della diaspora somala, con
l'esclusione dei cosiddetti Warlord (signori della
guerra) e dei capi clan, dovrebbe portare alla nomina di un
parlamento e di un governo.
Tale iniziativa è stata oggetto dei colloqui svolti a
Gibuti e nelle aree della Somalia visitate dalla delegazione
(Somaliland e Puntland).
Nel corso degli incontri a Gibuti, in particolare durante
il colloquio con il Ministro degli esteri ad interim,
che ha puntualmente illustrato la genesi e le finalità
dell'iniziativa, è stato attribuito un rilievo significativo
alla natura della iniziativa di pace, che punta al superamento
della visione tribale e che coinvolge tutta la società civile,
e che per questo va sostenuta. In tale ottica, è stato rivolto
un invito alla delegazione, affinché l'Italia sostenga e
supporti incondizionatamente l'iniziativa gibutina. Inoltre, è
stata evidenziata l'inopportunità di una visita della
delegazione della Commissione esteri del Parlamento italiano
nel Somaliland e nel Puntland, che, a suo avviso, sarebbe
stata interpretata come un implicito riconoscimento da parte
dell'Italia delle due entità, che come è noto, non sono
riconosciute da alcun paese della Comunità internazionale.
In risposta alle preoccupazioni sollevate, la delegazione
ha assicurato che l'Italia ha sostenuto fin dall'inizio e
continua a sostenere l'iniziativa di pace di Gibuti e che la
visita nelle due regioni normalizzate - le uniche, peraltro,
in cui sarebbe stato possibile recarsi per motivi di sicurezza
- sarebbe stata finalizzata al tentativo di persuadere le
autorità locali di entrambi Somaliland e Puntland a non
contrastare e ad aderire all'iniziativa di pace avanzata da
Gibuti. Le medesime preoccupazioni e relative rassicurazioni
sono state espresse nel corso dell'incontro con il cosiddetto
"gruppo di saggi" convocato ufficialmente dal Presidente Omar
Guelleh a partecipare alla Conferenza di riconciliazione
nazionale.
Infine, nel corso del colloquio con rappresentanti
dell'Assemblea nazionale di Gibuti, dopo aver espresso
l'auspicio di un rafforzamento dei rapporti a livello
istituzionale tra i due Parlamenti, è stato affrontato il
problema della cancellazione del debito, nei confronti del
quale la delegazione italiana ha assicurato che, nell'ambito
dell'esame del disegno di legge C. 6662 sulla riduzione del
debito estero dei paesi maggiormente indebitati, avrebbe
valutato la possibilità di una drastica riduzione del debito
di Gibuti, sebbene non rientri tra i paesi con reddito
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annuo per persona inferiore ai 300 US , limite al di sopra
del quale il disegno di legge non prevede l'applicabilità
delle misure di riduzione.
Nell'ambito dei colloqui tenutisi a Gibuti, particolare
interesse ha suscitato quello con il Presidente Omar
Guelleh, che ha avuto luogo di ritorno dalle visite nel
Somaliland e nel Puntland. Il Presidente ha tenuto a precisare
che la sua iniziativa di pace è volta esclusivamente alla
unità della Somalia, ed è stata avanzata dopo che per anni i
warlord si sono combattuti senza ottenere alcun
risultato, se non quello di gettare il paese nel terrore e
nella povertà. Per tali ragioni si è pensato ad un processo di
riconciliazione al quale far partecipare rappresentanti della
società somala diversi dai warlord, che pertanto
risulterebbero estromessi; a suo avviso, coloro i quali, dopo
aver condotto alcune aree del paese ad una fase di
normalizzazione e di stabilità, non ritengano di intraprendere
il percorso da lui proposto, dimostrano inequivocabilmente di
non voler realmente perseguire l'obiettivo dell'unità somala,
ma esclusivamente di voler difendere i propri interessi e
mantenere la posizione oggi raggiunta.
Rispetto all'iniziativa di pace del Presidente Omar
Guelleh, le autorità incontrate ad Hargeisa nel Somaliland, in
particolare il "Presidente" Ibrahim Egal e i suoi
ministri, hanno innanzitutto precisato di aver accettato
l'iniziativa di Gibuti per la ricostituzione dello Stato,
allorquando la stessa fu avanzata a New York. Oltre alle
difficoltà di carattere generale in cui versa la Somalia,
dovute soprattutto alla situazione critica in cui versa il sud
del paese, è stato fatto rilevare che l'iniziativa non può più
continuare ad essere sostenuta, poiché le autorità locali
medesime non sono state convocate ufficialmente a partecipare
alla Conferenza di pacificazione, se non in qualità di
semplici advisors esterni. E' stata, infatti, lamentata
l'assenza della previsione di uno specifico ed appropriato
ruolo per quelle che oggi rappresentano, di fatto, l'Autorità
nella regione e che meglio di qualunque Paese straniero
conoscono la storia della Somalia e comprendono la ragioni più
profonde dei conflitti inerclanici. A loro avviso,
l'iniziativa avrebbe potuto avere successo solo ove si fosse
pensato, in primo luogo, alla riconciliazione del sud del
paese e solo successivamente alla organizzazione della
Conferenza. Nei termini in cui essa, invece, è stata posta da
Gibuti, l'iniziativa di pace è stata considerata dal
Presidente Egal molto distante dalla realtà sociale, culturale
e storica della Somalia, nonché volta principalmente a minare
e compromettere i risultati raggiunti nel Somaliland e ad
isolare e danneggiare le sue autorità.
Infine, è stato riconosciuto l'interesse dimostrato nei
confronti della Somalia dall'Italia, unico paese della
Comunità internazionale che può avere una visione più
realistica della complessa situazione somala e comprenderne i
diversi risvolti, economici, politici, culturali.
La delegazione italiana, dopo aver espresso apprezzamenti
per il grado di sviluppo e di pacificazione raggiunto nel
Somaliland grazie all'impegno del Presidente Egal e dei suoi
uomini, ha tuttavia sottolineato l'importanza che l'iniziativa
di Gibuti sia sostenuta dalla Comunità internazionale in
generale e, in particolare, dall'Italia, e che anche il
Somaliland contribuisca al buon fine della stessa.
A tale proposito, il Presidente Egal ha ribadito che
sarebbe disposto a sostenere il Piano di pace solo qualora
Gibuti apportasse correzioni al programma di pacificazione, al
fine di tenere in considerazione la situazione esistente nel
Somaliland, senza il rischio che lo stesso possa essere in
alcun modo pregiudicato.
Per quanto riguarda i colloqui avuti a Bosaaso - famoso
porto che ha visto esplodere lo scandalo delle navi della
cooperazione italiana e che è stato teatro delle ultime
indagini della giornalista Ilaria Alpi - con le autorità del
Puntland, e in particolare con il "Presidente" Abdullahi
Yusuf, la delegazione italiana ha confermato la sua
posizione già espressa a Gibuti e nel Somaliland a favore
dell'iniziativa di pace e ha sottolineato l'importanza
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della partecipazione anche del Puntland al processo di
ricostituzione della Somalia avviato da Gibuti.
Gli interlocutori somali, dopo aver ringraziato per
l'interessamento dimostrato dall'Italia ai problemi della
Somalia e dopo aver sottolineato le differenze della loro
posizione rispetto a quella del Somaliland - quest'ultimo
infatti si proclama secessionista mentre il Puntland non ha
mire secessionistiche ma si ritiene parte di uno Stato
federale non ancora formato -, attribuendo infatti particolare
importanza all'unità somala, hanno fatto presente che, a loro
avviso, le amministrazioni già formate potrebbero essere di
grande aiuto per la riunificazione del paese. E' stato altresì
sottolineato che, sebbene il Puntland abbia inizialmente
sostenuto ed accolto l'iniziativa di Gibuti, tuttavia con il
progredire di tale iniziativa si è assistito ad una serie di
errori da parte gibutina che si sono concretizzati
principalmente nell'aver estromesso le autorità del Puntland
dal processo di pace - peraltro non convocati ufficialmente -,
con una scelta inappropriata dei delegati alla Conferenza di
riconciliazione nazionale. A loro avviso, infatti, è
inopportuno che per partecipare alla Conferenza di
riconciliazione siano state contattate persone del Puntland
non rappresentative della società, è contestabile che il Piano
di pace non preveda adeguati criteri di selezione delle
persone che, successivamente allo svolgimento della
Conferenza, formeranno l'Assemblea (Transitional National
Assembly), non è infine assolutamente condivisibile la
decisione - che ritengono sia stata già compiuta da Gibuti -
di coloro che saranno chiamati a far parte del Governo della
Somalia riunificata. E' stato altresì rappresentato il rischio
che, una volta formato tale Governo sotto il patrocinio di
Gibuti, questi ne chieda il riconoscimento alla Comunità
internazionale.
L'eventuale partecipazione e sostegno all'iniziativa di
Gibuti sarebbe possibile solo ove fosse possibile correggere i
difetti dai quali la stessa è inficiata: oltre a quelli già
indicati, il Presidente Yusuf ha sottolineato la eccessiva
vicinanza del momento previsto per lo svolgimento della
Conferenza che, invece, andrebbe a suo avviso rinviata ad un
momento successivo, in attesa che anche il sud del paese
raggiunga un significativo grado di pacificazione.
Infine, è stato manifestato alla delegazione italiana
l'avviso secondo cui la delegazione stessa rischiava di
incorrere nell'errore di non interpretare correttamente i
reali interessi ed obiettivi di Gibuti.
4. Le comunità italiane in Etiopia e in Eritrea.
Durante la visita ad Addis Abeba, la delegazione ha avuto
modo di incontrare, presso il "circolo Juventus",
rappresentanti della Comunità italiana ivi residente, presenti
soprattutto nella capitale, i quali hanno richiamato
l'attenzione su alcune questioni sulle quali auspicano una
maggiore attenzione da parte delle istituzioni, nonché sui
problemi che si trovano ad affrontare nei rapporti con le
autorità locali.
Innanzitutto, è stata sottolineata l'importanza di una
rapida conclusione dell'iter delle leggi per l'esercizio del
diritto di voto all'estero, atteso da molti anni. In secondo
luogo, è stata lamentata una forte carenza nell'assistenza
sanitaria: non sempre i medicinali necessari sono disponibili
sul mercato, mancano le attrezzature sanitarie minime, non
operano molti medici. Tra le problematiche sollevate,
particolare rilievo assume quella della difficoltà di ottenere
licenze e permessi per l'esercizio di qualsiasi tipo di
attività imprenditoriale. I rappresentanti degli imprenditori
operanti in Etiopia hanno sottolineato il rilievo che assume
l'Accordo bilaterale sulla promozione e protezione degli
investimenti, che tuttavia a loro avviso necessita di qualche
correzione, ed hanno altresì messo in evidenza l'esigenza che
si completino le operazioni di indennizzo per le proprietà
italiane espropriate durante la dittatura di Menghitsu.
Infine, è
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stato sottolineato il problema del collocamento degli
italiani che dovessero reimpatriare con lo status di
profugo.
In conclusione, dopo aver lamentato la scarsa qualità
della programmazione di RAI-International, i rappresentanti
dei connazionali residenti in Etiopia hanno auspicato una
maggiore attenzione alle problematiche esposte da parte delle
istituzioni italiane.
Anche ad Asmara si è svolto un incontro, presso la "Casa
degli italiani", con i rappresentanti della Comunità italiana
ivi residente (circa 800 unità), i quali hanno messo in luce
più o meno le medesime questioni sollevate ad Addis Abeba. In
particolare, sono state lamentate carenze nell'assistenza
sanitaria, nella previdenza sociale, nella attività di
comunicazione ed informazione svolta da RAI-International,
nonché nella situazione in cui versano gli insegnanti della
scuola italiana.
5. La cooperazione allo sviluppo.
Altri temi ampiamente trattati nel corso dei colloqui
avuti in tutti i paesi visitati, sono stati quelli della
attività di cooperazione allo sviluppo e della cancellazione o
riduzione del debito estero dei paesi poveri.
In Etiopia, durante l'incontro con il vice ministro per lo
sviluppo economico e per la cooperazione, Mulatu
Teshome, lo stesso ha rilevato il nuovo impulso registrato
in termini quantitativi e qualitativi della cooperazione tra i
due paesi con la firma, lo scorso giugno, del Programma paese.
Il vice ministro ha poi sottolineato che il conflitto tra
l'Eritrea e l'Etiopia, e la conseguente posizione attendista
assunta dalla maggior parte dei donatori, sta incidendo
negativamente sulle iniziative di sviluppo promosse dal
governo etiopico e che prevedono il contributo di molti paesi
donatori.
La delegazione ha replicato, facendo presente che nel
Parlamento - presso cui è in corso di esame la riforma della
cooperazione allo sviluppo - si sta facendo strada la
"politica dell'inclusione", secondo cui vanno previste misure
sanzionatorie nelle situazioni di conflitto solo in casi
eccezionali, poiché le sanzioni generano solo instabilità e
insicurezza.
Inoltre, è stato ricordato, dai membri della delegazione,
che l'Etiopia è il paese al quale l'Italia dedica il maggior
volume di aiuti e che figura tra i paesi beneficiari delle
misure di riduzione del debito contenute nel disegno di legge
C. 6662, in corso di esame in sede referente presso la
Commissione esteri della Camera.
In Eritrea, che non ha debito estero, l'attenzione si è
concentrata prevalentemente sulla cooperazione e sui rapporti
bilaterali tra Italia ed Eritrea. Nel corso del colloquio con
Yemane Ghebreab, lo stesso, dopo aver ricordato che
l'Eritrea beneficia di aiuti allo sviluppo italiani fin dal
1993, ha auspicato che i programmi paese vengano elaborati
anche con il contributo eritreo e vengano gestiti direttamente
dal paese medesimo. Inoltre, è stato fatto rilevare che i
programmi di sviluppo e cooperazione necessitano di
un'implementazione e di un'attuazione più snella e rapida.
Infine, da parte eritrea è venuto l'auspicio ad un
incremento sia del commercio tra Italia e Eritrea, sia degli
investimenti italiani nel paese, ad esempio nel campo della
floricultura e della orticultura. A suo avviso, infatti,
l'Italia non comprende appieno la potenzialità degli
investimenti italiani (come dimostra peraltro anche il fatto
che l'Alitalia ha sospeso i collegamenti aerei con Asmara).
AGGIORNAMENTI.
1) Riesplode il conflitto tra Etiopia ed Eritrea.
Dopo l'insuccesso della mediazione di Algeri - 1^/5 maggio -
che ha visto l'impossibilità di arrivare ad un accordo tra le
parti sul terzo documento, venerdì 12 maggio l'Etiopia ha
lanciato una grande offensiva militare su più fronti,
giustificandola con la necessità di riprendersi quei territori
oggetto dei negoziati. In realtà, lo sfondamento militare
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dell'Etiopia appare impressionante per ampiezza e profondità
dei fronti coinvolti. Oltre 1 milioni di sfollati dimostrano
la gravità del nuovo dramma che si sta consumando nell'area.
Il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha chiesto inutilmente il
"cessate il fuoco" e previsto forme di embargo sulle armi che,
al momento, sembrano impotenti a fermare la guerra. Il
sottosegretario Rino Serri è stato prima ad Asmara e quindi ad
Addis Abeba, nel tentativo di fare accettare dalle parti una
proposta che ha il sostegno dell'Unione europea, dell'Algeria,
e dell'ONU.
2) Conferenza di Gibuti. E' stata effettivamente
convocata e ha avuto inizio i primi giorni del mese di maggio.
Da segnalare che dalla primitiva impostazione la Presidenza
della Conferenza sta passando ad un approccio più flessibile,
inserendo elementi di realismo politico, con particolare
attenzione alle realtà che si autoamministrano. Va segnalato
che, in questo quadro, il Puntland ha inviato un proprio
delegato, mentre il Somaliland preferisce mantenere ancora la
propria distanza dal processo avviato.
3) Carestia. L'aggravarsi della situazione di
emergenza alimentare in tutta l'area ha richiesto una
revisione italiana ed europea dei propri piani di aiuto. Ai 12
miliardi forniti in aiuto alimentare all'Etiopia e ai 7
miliardi per l'Eritrea, è stato programmato un ulteriore
intervento per un ammontare di 6 miliardi di lire (3
all'Etiopia e 3 all'Eritrea). Oltre a questi aiuti, l'Ufficio
emergenza del DGCS ha stanziato 2 miliardi e 200 milioni per
l'Etiopia (500 milioni sotto forma di integratori alimentari
consegnati in queste settimane; accantonamento di 500 milioni
di lire per l'invio di un nuovo aereo umanitario; 1 miliardo e
200 milioni per finanziare progetti di irrigazione nell'area
somala attraversata dallo Uebi Scebeli). Per l'Eritrea, un
fondo di 500 milioni presso l'Ufficio per la cooperazione di
Asmara.
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