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Testi integrali degli Atti Parlamentari della XIII Legislatura

Documento


115325
SMC0651-0039
Bollettino Giunte e Commissioni n. 651 del 23 maggio 2000 - edizione definitiva - (SMC13-651)
(suddiviso in 172 Unità Documento)
Unità Documento n.39 (che inizia a pag.40 dello stampato)
              ...III COMMISSIONE PERMANENTE
                 (Affari esteri e comunitari)
 
 
...COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE
...MISSIONE. LAVCOMM
...MISSIONE.
Relazione sulla missione nel Corno d'Africa. Introduzione.
Martedì 23 maggio 2000. - Presidenza del Presidente Achille OCCHETTO.
ZZSMC ZZRES ZZSMC230500 ZZSMC000523 ZZSMC000500 ZZSMC000000 ZZSMC651 ZZ13 ZZD ZZTX ZZC3 ZZNO ZZXX
     Una delegazione della Commissione affari esteri e
  comunitari della Camera dei deputati, composta dai deputati
  Marco Pezzoni, Giovanni Bianchi e Marco Zacchera, si è recata
  in missione in Etiopia, Eritrea, Gibuti e Somalia, dal 6
  all'11 aprile 2000, per acquisire approfondimenti conoscitivi
  in merito al conflitto tra Etiopia ed Eritrea, nonché in odine
  alla "questione somala", sulla quale è in corso un'iniziativa
  di pace proposta dal Presidente della Repubblica di Gibuti,
  attualmente presidente dell'IGAD (Autorità Intergovernativa
  per lo sviluppo).  La delegazione ha potuto constatare, in
  tutta l'area visitata, quanto sia richiesta e sollecitata da
  tutti la presenza politica, culturale ed economica
  dell'Italia, probabilmente come in nessun altra area del
  mondo.
     Per quanto riguarda il conflitto etiopico-eritreo, la
  delegazione ha potuto valutare l'attuale stato dei rapporti
  tra i due paesi, nonché lo stato dei negoziati in corso che si
  basano sulla mediazione dell'attuale Presidenza dell'OUA, in
  capo all'Algeria.  Nel corso della visita in Etiopia, si è
  peraltro, prestata particolare attenzione alla situazione di
  emergenza alimentare, dovuta alla grave carestia che sta
  colpendo il paese, e alla conseguente necessità di aiuti
  alimentari da parte della Comunità internazionale.  La
  delegazione, inoltre, ha potuto prendere in esame l'andamento
  dell'attività di cooperazione allo sviluppo italiana nei due
  paesi.  Infine, sia in Etiopia che in Eritrea la delegazione,
  nel corso di incontri con rappresentanti della Comunità
  italiana nei due paesi, ha preso atto della situazione in cui
  queste versano e dei problemi dalle stesse sollevati.  In
  Etiopia si è altresì discusso della restituzione dell'Obelisco
  di Axum da parte dell'Italia, tematica nei confronti della
  quale gli etiopici hanno dimostrato forte sensibilità.
     Per quanto concerne il tentativo di riconciliazione della
  Somalia che sta portando avanti il Presidente di Gibuti, la
  delegazione ha avuto modo di esprimere il suo sostegno a tale
  iniziativa, fortemente condivisa anche da parte del Parlamento
  italiano, oltre che da parte del Governo.  La delegazione ha,
  inoltre, potuto acquisire elementi informativi e conoscitivi
  in merito alla posizione sostenuta dalle amministrazioni
  autonome del Somaliland e dal Puntland nei confronti della
  iniziativa gibutina.
     La delegazione ha effettuato i seguenti incontri a livello
  parlamentare e governativo:
  In Etiopia:
     Primo ministro, Meles Zenawi;
     Vice ministro per lo sviluppo economico e per la
  cooperazione,  Mulatu Teshome;
     Presidente della Camera dei rappresentanti del popolo,
  Dawit Yohannes;
     Presidente della Camera della Federazione,  Almaz
  Meku;
     Membri della Commissione esteri del Parlamento e del
  gruppo di amicizia italo-etiopico;
     Commissario per la prevenzione e gestione delle calamità,
  Simon Mechale;
     Direttore generale per l'America e l'Europa del Ministero
  degli esteri,  Hiruy Amanuel;
     Segretario generale dell'Organizzazione per l'Unità
  africana,  Salim Ahmed Salim.
 
                              Pag. 41
 
  In Eritrea:
     Segretario politico del partito al governo (PFDJ),
  Yemane Ghebreab;
     Presidente dell'Unione nazionale delle donne eritree e
  membro dell'Assemblea nazionale,  Luul Ghebreab;
     Membri dell'Assemblea nazionale,  Germano Nati e
  Woldenkiel Abraha;
     Ministro della sanità,  Saleh Meki;
     Segretario generale del Ministero degli esteri,  Tesfai
  Ghirmazion.
  A Gibuti:
     Presidente della Repubblica,  Omar Guelleh;
     Ministro degli esteri  ad interim;
     Segretario generale del Ministero degli esteri.
  In Somalia:
     "Presidente" del Somaliland,  Ibrahim Egal,  i suoi
  ministri e i membri delle due Assemblee nazionali;
     "Presidente" del Puntland,  Adbullahi Yusuf,  i suoi
  ministri e il comitato di Presidenza dell'Assemblea
  parlamentare locale.
     La delegazione è stata accolta con amicizia e cordialità
  in tutti i paesi visitati; per quanto riguarda, in
  particolare, Etiopia, Eritrea e Somalia, gli interlocutori
  hanno, infatti, sottolineato i buoni rapporti esistenti con
  l'Italia, dovuti soprattutto a motivazioni di natura
  storico-culturale ed economica.
     Di seguito, sono riportati in forma sintetica i contenuti
  dei colloqui svolti nei diversi paesi, ricondotti alle due
  questioni principali sopra ricordate, e cioè il conflitto
  Etiopia-Eritrea e l'iniziativa di pace per la riconciliazione
  somala.
  2.  Il conflitto Etiopia-Eritrea.
     Lo stato dei rapporti tra i due paesi e l'eventuale
  ripresa del conflitto è stato il tema principale dibattuto nel
  corso degli incontri svolti sia in Etiopia che in Eritrea.
     In entrambi i paesi sono state ripercorse, con differenti
  interpretazioni sulle reali cause, le fasi del conflitto fin
  dal suo inizio nel maggio 1998 ed è stata altresì ricordata
  l'evoluzione del piano di pace dell'OUA, composto
  sostanzialmente da un Accordo quadro, dalle modalità esecutive
  dell'Accordo stesso ed, infine, dai " technical
  arrengements ", dei quali è stata chiesta una nuova
  formulazione dall'Etiopia.  Entrambi i paesi ritengono
  indispensabile la presenza e l'iniziativa politica dell'Italia
  in sede di mediazione internazionale.
     Per quanto riguarda in particolare gli incontri svolti in
  Etiopia, particolarmente significativo è stato il lungo
  colloquio con il Primo ministro  Meles Zenawi,  nel corso
  del quale è stata in primo luogo fornita dallo stesso una
  ricostruzione dettagliata della cronologia, delle cause e
  delle fasi del conflitto.
     Nel sottolineare che il movimento tigrino ha sempre
  sostenuto l'autodeterminazione del popolo eritreo, il Primo
  ministro ha tenuto a precisare che, non appena arrivato al
  governo del paese, sono state adottate misure che
  facilitassero il processo di indipendenza dell'Eritrea.  Meles
  Zenawi ha inoltre ricordato che, all'indomani del
  referendum,  l'Etiopia è stato il primo fra i paesi
  stranieri a riconoscere il nuovo stato eritreo e che i
  rapporti tra i due paesi sono stati all'inizio molto stretti e
  di grande amicizia, anche grazie alla flessibilità dimostrata
  dall'Etiopia.  Successivamente, da parte eritrea, è stata
  avanzata la richiesta di adottare una valuta diversa dal
  birr etiopico -  che si era continuato ad usare anche in
  Eritrea - e solo dopo un dibattito durato anni si addivenì ad
  un accordo sulla valuta, decidendo che i pagamenti sarebbero
  stati effettuati in dollari americani, decisione che non venne
 
                              Pag. 42
 
  ben accettata dall'Eritrea.  Fu quello l'inizio di un processo
  di logoramento sempre crescente delle relazioni tra i due
  paesi, che ha portato, nel maggio 1998, a quello che gli
  etiopici considerano occupazione di alcuni territori di
  confine da parte di truppe eritree.  L'Etiopia non era
  preparata ad affrontare un conflitto bellico; essa disponeva,
  infatti, di un esercito poco attrezzato, non essendosi posta,
  sino ad allora, il problema della difesa ma principalmente
  quello di combattere la povertà e il sottosviluppo.
     Iniziarono così i primi tentavi di mediazione e dopo il
  loro fallimento è stata la volta dell'OUA, che ha proceduto
  con il piano di pace sopra ricordato.
     Per quanto riguarda la posizione etiopica in merito
  all'Accordo quadro, alle modalità esecutive e ai " technical
  arrengements ", Meles Zenawi ha fatto presente che la prima
  elaborazione di questi ultimi non era coerente con i primi due
  e che, pertanto, ne è sta chiesta una revisione.  Dopo otto
  mesi di trattative con il presidente algerino - attuale
  presidente dell'OUA - il problema è stato risolto ma la nuova
  formulazione non ha trovato d'accordo gli eritrei.  L'Algeria
  ha quindi proposto ad entrambe le parti di partecipare ai
  " proximity talks ", che avrebbero dovuto avere luogo il
  20 marzo 2000 ad Algeri, data posticipata - su richiesta
  eritrea - al successivo 25 marzo.  Poiché neanche questa data è
  stata accettata dall'Eritrea, attualmente si è in attesa che
  ne venga fissata una nuova.
     Dopo aver precisato che l'Etiopia intende tornare allo
  status quo  antecedente a quello che considerano
  "aggressione" del maggio 1998 e che l'Eritrea sta continuando
  a portare avanti atteggiamenti provocatori per scatenare
  nuovamente il conflitto, il Primo ministro si è dichiarato
  pronto ad affrontare lo scontro bellico, non potendo l'Etiopia
  continuare ad accettare una situazione di " no peace, no
  war ".  E' stato fatto osservare, peraltro, che tale scelta è
  in un certo senso obbligata, poiché l'Etiopia non può
  continuare a sostenere spese belliche (negli ultimi anni le
  spese militari sono notevolmente aumentate), non può
  permettersi che la cooperazione internazionale subisca un
  arresto, e, da ultimo, deve fronteggiare con impegno anche la
  drammatica crisi alimentare.  L'interesse principale
  dell'Etiopia è pertanto quello di porre fine alla situazione
  di stallo che si è venuta a creare - che danneggia più
  l'Etiopia che non l'Eritrea -, anche a costo di riprendere il
  conflitto, per poter successivamente tornare ad interessarsi
  dei problemi che più stanno a cuore del Governo etiopico, e
  cioè la lotta alla povertà e lo sviluppo economico del paese.
  A giudizio della delegazione la ripresa del conflitto sarebbe
  la conseguenza di una precisa scelta politica e non un fatto
  ineluttabile: tra l'altro, ad avviso di esperti militari di
  paesi terzi, il riaccendersi del conflitto, questa volta, non
  si limiterebbe a un reciproco sfondamento delle frontiere tesa
  a colpire il cuore e il cervello politico dell'avversario, con
  effetti ancor più drammatici - rispetto al conflitto
  precedente - sul piano della perdita di vite umane.
     Il Presidente ha, infine, espresso apprezzamento per il
  lavoro che sta svolgendo il sottosegretario Rino Serri in
  qualità di Rappresentante speciale della Presidenza
  dell'Unione europea per il conflitto Etiopia-Eritrea, al quale
  da atto di aver tentato di ridurre in seno all'Europa la
  politica dei " double standards",  cioè dei due pesi e
  delle due misure.  In proposito, ha fatto riferimento al fatto
  che le situazioni di crisi all'interno di paesi della comunità
  internazionale non sempre vengono gestite dalla stessa con i
  medesimi criteri, come dimostrano, ad esempio, le pressioni
  esercitate sull'Etiopia, al momento del conflitto, da parte
  della comunità internazionale e in particolare dell'Unione
  europea attraverso il blocco dell'erogazione dei fondi per la
  bilancia dei pagamenti, misure che invece non sono state
  adottate nei confronti dell'Uganda, paese anche questo in
  guerra.  Analogamente, ha ricordato che il Consiglio di
  sicurezza delle Nazioni unite ha adottato risoluzioni per
  l'embargo nei confronti dell'Etiopia, mentre le medesime
  sanzioni
 
                              Pag. 43
 
  non sono state irrogate ad altri paesi in situazioni simili,
  tra cui il Congo.  Dopo aver sottolineato che, in caso di un
  riaccendersi del conflitto, sarebbe a rischio anche la
  corresponsione degli aiuti da parte dei donatori - aiuti di
  cui invece l'Etiopia necessita fortemente a causa
  dell'emergenza alimentare in atto -, il Primo ministro Meles
  Zenawi ha invitato l'Italia ad adottare le iniziative
  possibili al fine di contrastare la politica dei " double
  standards " in Europa e a continuare a sostenere
  l'iniziativa di pace dell'OUA, auspicandone l'accettazione da
  parte dell'Eritrea.
     Opinioni analoghe sull'origine del conflitto e sulle
  ragioni dell'Etiopia, sono state espresse durante l'incontro,
  presso la sede del Parlamento, con il Presidente della Camera
  dei rappresentanti del popolo,  Dawit Yohannes,  che ha
  sottolineato come il suo paese dal 1991 al 1995 ha seriamente
  lavorato ad un'opera di ristrutturazione democratica e di
  sviluppo economico, che potrebbe essere compromesso a causa
  del conflitto.  Circa le cause del conflitto, il Presidente ha
  osservato che per l'Etiopia si è trattato di difendersi
  dall'aggressione e dall'invasione perpetrata a suoi danni ad
  opera dell'Eritrea.  Per quanto riguarda lo stato di
  avanzamento del Piano di pace, anche il Presidente Dawit
  Yohannes ha confermato che questo si trova in una fase di
  stallo a causa della mancanza di volontà, da parte
  dell'Eritrea, di accettare l'ultima versione dei " technical
  arrengements"  proposti dalla presidenza algerina
  dell'OUA.
     Il Presidente Dawit Yohannes, infine, ha auspicato che il
  Parlamento e il Governo italiani sostengano la iniziativa di
  pace della presidenza gibutina dell'IGAD per la Somalia.
     Anche nell'incontro con il Direttore generale per
  l'America e l'Europa del Ministero degli esteri,  Hiruy
  Amanuel,  il quale ha innanzitutto ripercorso le fasi del
  conflitto fin dal suo inizio nel maggio 1998, è stato
  chiaramente fatto presente che l'Etiopia accetta di negoziare
  la pace con l'Eritrea a condizione che si torni ai confini
  esistenti al 5 maggio 1998 e che, quindi, l'Eritrea
  restituisca i territori occupati.  Solo successivamente sarà
  possibile pervenire ad una demarcazione dei confini, sulla
  base dei trattati coloniali firmati con l'Italia e
  l'Inghilterra.  Il direttore ha inoltre richiamato l'attenzione
  della delegazione sul problema - molto sentito dalla
  popolazione etiopica - dei 400.000 sfollati in attesa di
  ritornare nelle proprie case.
     Infine, anche da parte del Direttore generale Hiruy
  Amanuel sono stati espressi apprezzamenti per il ruolo
  costruttivo svolto e per il contributo apportato dal senatore
  Rino Serri a sostegno dell'iniziativa dell'OUA.
     Per quanto riguarda poi gli incontri svolti in Eritrea,
  nel lungo colloquio con il segretario politico del partito al
  governo (PFDJ),  Yemane Ghebreab,  - al quale hanno
  partecipato anche il Presidente dell'Unione nazionale delle
  donne eritree e membro dell'Assemblea nazionale,  Luul
  Ghebreab,  nonché alcuni membri dell'Assemblea nazionale,
  Germano Nati e Woldenkiel Abraha -  lo stesso ha
  innanzitutto tenuto a precisare di essere stato fin
  dall'inizio coinvolto nei negoziati con l'Etiopia, essendo
  peraltro anche stato membro della Commissione istituita per la
  demarcazione dei confini.
     Dopo aver riconosciuto il ruolo svolto dall'Italia nel
  ricercare una soluzione pacifica al conflitto tra i due paesi
  e nel portare all'attenzione dell'Europa la questione, anche
  attraverso il lavoro condotto dal senatore Serri, Yemane
  Ghebreab ha tuttavia evidenziato come il suo paese ritenga che
  il sostegno internazionale e anche la posizione dell'Italia
  siano state influenzate da erronee interpretazioni.  In primo
  luogo, la comunità internazionale ritiene che l'Etiopia sia
  più considerata dell'Eritrea - come dimostra che ad Addis
  Abeba vi sono rappresentanze diplomatiche di 90 paesi -;
  inoltre, l'Italia, per non essere sospettata di sbilanciamenti
  a favore dell'Eritrea, ha dimostrato troppa disponibilità nei
  confronti dell'Etiopia, cosa che è stata sfruttata da questo a
  proprio favore.  Infine, ciò che ha influenzato
  significativamente il comportamento
 
                              Pag. 44
 
  della comunità internazionale è stata la posizione assunta
  dagli USA, secondo cui si è ritenuto necessario salvaguardare
  l'Etiopia nei suoi equilibri interni, perché altrimenti
  avrebbe rischiato il collasso.
     Passando ad illustrare la posizione eritrea in merito al
  conflitto, Yemane Ghebreab ha sottolineato che l'Eritrea, che
  vorrebbe evitare il riaccendersi dello scontro bellico, ha da
  sempre chiesto che venisse imposto il cessate il fuoco e la
  cessazione delle ostilità, cosa che la comunità internazionale
  è solita fare in presenza di guerre, ma che non ha fatto in
  occasione del conflitto Etiopia-Eritrea perché, a suo avviso,
  non si è voluto evidenziare il rifiuto da parte dell'Etiopia
  non accetterebbe.
     Nel riferire i dettagli anche cronologici della fasi del
  conflitto e dei tentativi di pace pregressi, Yemane Ghebreab
  ha precisato che l'iniziativa di pace dell'OUA, contenuta
  nell'"Accordo quadro" non ha portato a risultati positivi
  anche a causa del fatto che non sono mai stati definiti con
  esattezza quali fossero i territori dai quali l'Eritrea si
  sarebbe dovuta ritirare e, alla richiesta di avere
  chiarificazioni al riguardo, l'OUA non ha mai fornito alcuna
  delucidazione.  E' stato, altresì, ricordato che, all'offensiva
  etiopica del febbraio 1999, le Nazioni unite imposero una
  moratoria degli attacchi aerei, minacciando sanzioni in caso
  di violazione.  Tuttavia, nonostante l'Etiopia abbia continuato
  a bombardare Massaua e Assab, nessuna sanzione le fu irrogata
  dalla comunità internazionale.  Yemane Ghebreab ha quindi
  rammentato che fu proprio l'Etiopia, successivamente
  all'Accordo quadro - accettato dall'Eritrea -, a rifiutare di
  firmarlo in quanto sarebbe stato necessario un nuovo documento
  sulle modalità esecutive.  Alla sua presentazione ad Algeri,
  esso venne accettato subito dall'Eritrea, mentre l'Etiopia si
  dichiarò disposta ad accettarlo dopo alcune iniziali riserve.
  Al momento stabilito per la firma, l'Etiopia chiese un terzo
  documento, che, una volta elaborato, venne anche questo
  accettato dall'Eritrea.  Sebbene per il terzo documento, i
  cosiddetti " technical arrengements ", fosse sostenuto
  esplicitamente dal mediatore algerino che si trattava di un
  documento immodificabile e non negoziabile, l'Etiopia ne
  chiese comunque una revisione.  Dopo circa otto mesi di
  trattative condotte, senza il coinvolgimento dell'Eritrea, tra
  Algeria ed Etiopia, con il supporto di USA e Italia, è stato
  presentato ed è stato sottoposto al suo paese tale nuovo
  documento, sul quale, comprensibilmente, l'Eritrea ha chiesto
  di poter riflettere e discutere.
     Circa la mancata partecipazione del Presidente eritreo
  Isaias ad Algeri su invito dell'OUA, Yemane Ghebreab ha
  precisato che l'Eritrea, prima di incontrarsi con l'Etiopia,
  desidera conoscere previamente l'oggetto della discussione,
  sapere ad esempio se la nuova versione dei " technical
  arrengements " sia negoziabile considerato che è stata
  formulata sulla base delle sole richieste etiopiche e se,
  quindi, sia consentito all'Eritrea presentare proposte
  emendative.  In questa fase, quindi, l'Eritrea rivendica una
  pari dignità rispetto all'Etiopia e, dunque, il diritto
  all'emendabilità del testo anche da parte sua.
     A suo avviso, risulterebbe chiaramente l'intenzione
  dell'Etiopia di non addivenire ad una soluzione pacifica,
  credendo erroneamente di poter sconfiggere militarmente e di
  distruggere economicamente l'Eritrea.
     Infine, è stato sottolineato che la pace non può essere
  raggiunta privilegiando le richieste di un paese a danno
  dell'altro e che, per accertare la buona fede di entrambi i
  paesi, i primi due documenti, verbalmente accettati, debbano
  anche essere formalmente firmati.
     A conclusione del suo intervento, Yemane Ghebreab ha
  ritenuto necessario, per il buon fine del piano di pace
  dell'OUA, che l'Algeria si comporti con chiarezza e lealtà e
  che, quindi, chiarendo se il documento sia aperto o meno a
  modifiche, si ristabilisca la parità negoziale delle due
  parti: l'Eritrea vuole un Accordo che sia in grado, nella sua
  attuazione, di portare effettivamente alla pace.
 
                              Pag. 45
 
     Sullo stato dell'iniziativa di pace dell'OUA la
  delegazione ha potuto ascoltare anche il segretario generale
  dell'OUA,  Salim Amhed Salim,  incontrato ad Addis Abeba,
  sede dell'Organizzazione, il quale ha innanzitutto ricordato
  che la Presidenza algerina - promotrice del piano di pace -
  sta per scadere e che pertanto sarebbe necessario quanto prima
  che le due parti si incontrassero ad Algeri per i  proximity
  talks.
     Dopo avere fatto presente che entrambe le parti hanno
  accettato i due primi documenti - l'Accordo quadro e le
  modalità esecutive -, e quindi di ritirarsi dai territori
  occupati, e che attualmente si sta discutendo solo
  dell'attuazione degli accordi già accettati, ha ritenuto che
  si possa giungere alla pace solo se tutti e due i paesi sono
  realmente intenzionati a raggiungerla.  Il segretario dell'OUA
  ha pertanto auspicato che l'Italia possa contribuire a
  persuadere le due parti ad andare ai  proximity talks,
  sottolineando che il passare del tempo non giova ad una
  soluzione pacifica, poiché, nelle more, in Etiopia
  aumenterebbero i problemi interni al governo di Meles Zenawi,
  la cui politica è criticata dai "falchi" del suo partito.
  Analoghi problemi, invece, non esistono in Eritrea dove la
  leadership  è unica e non è contestata.
     Inoltre, ha tenuto a precisare - in seguito ad un
  interrogativo posto dalla delegazione - che l'OUA non ha mai
  dichiarato l'immodificabilità del terzo documento cosiddetto
  dei " technical arrengements ", nonostante sia questa
  l'opinione eritrea; si trattava, infatti, di un documento in
  via di elaborazione, non ancora discusso congiuntamente dalle
  due parti, e pertanto ancora suscettibile di correzioni e
  aggiustamenti.
  2.1 L'emergenza alimentare.
     La missione in Etiopia si è svolta in un momento di grave
  crisi per il paese, colpito dalla carestia e,
  conseguentemente, da una drammatica situazione di emergenza
  alimentare.
     In tutti i colloqui svolti dalla delegazione, gli
  interlocutori etiopici hanno sottolineato che, oltre al
  problema del conflitto con l'Eritrea, grande preoccupazione
  destava la difficile e seria crisi alimentare in atto
  specialmente nel sud del paese, dovuta alla siccità.
     La questione è stata in particolare discussa nel corso dei
  colloqui con il vice ministro per lo sviluppo economico e per
  la cooperazione,  Mulatu Teshome,  con il Commissario per
  l'Ente etiopico per la prevenzione e gestione delle calamità,
  Simon Mechale,  nonché con il Direttore generale del
  Ministero degli esteri,  Hiruy Amanuel.
     Il vice ministro  Mulatu Teshome  ha fatto presente
  che la causa della carestia era da ricondurre principalmente
  alla carenza di piogge in un paese che non può gestire
  correttamente il sistema delle acque, mancando di adeguati
  sistemi di irrigazione, di invasi per la raccolta delle acque,
  ecc.  Al riguardo, è stata lamentata l'assenza di programmi di
  finanziamenti da parte della Banca mondiale, che
  consentirebbero una implementazione dell'insufficiente e
  oramai superato sistema di irrigazione esistente.  Alla luce di
  ciò, ha auspicato che l'Italia si faccia interprete presso la
  comunità internazionale dell'esigenza di affrontare e
  risolvere il problema della gestione delle acque in Etiopia e
  dell'intero bacino del Nilo.
     Anche durante il colloquio con il Commissario per l'Ente
  etiopico per la prevenzione e gestione delle calamità,
  Simon Mechale,  l'attenzione si è concentrata sulla
  situazione di emergenza alimentare, le cui cause sono state
  individuate dal Commissario nella scarsità di piogge unita ad
  una mancato razionale sfruttamento dei non pochi corsi d'acqua
  esistenti sul territorio del paese.
     L'ammontare delle persone colpite dalla carestia, nella
  sola Etiopia, è stato stimato in circa 7,7 milioni di persone,
  con il rischio di un aumento fino a 10 milioni nei prossimi
  mesi.  A questi vanno aggiunti altri 8 milioni di persone a
  rischio in Somalia, Uganda, Kenya e Sudan.  Oltre alle vittime
  della siccità, il
 
                              Pag. 46
 
  Commissario ha sottolineato che vanno ricomprese tra le
  vittime della crisi alimentare anche i circa 400.000 sfollati
  dai territori occupati dall'Eritrea a seguito della guerra,
  che necessitano di aiuti alimentari e di materiali di
  sistemazione temporanea, di approvvigionamento idrico e di
  assistenza sanitaria.
     Il fabbisogno necessario per far fronte alla calamità è
  stato stimato in 898.000 tonnellate di aiuti alimentari, di
  cui ne sono state ricevute solo 335.000.  Il Commissario ha
  inoltre paventato il rischio di un arrivo contestuale degli
  aiuti da parte della comunità internazionale e di una
  conseguente situazione di congestione del porto di Gibuti,
  presso il quale viene scaricata la maggior parte degli
  aiuti.
     E' stato ricordato poi che, a causa del ritardo con cui
  avviene la reintegrazione dello "stock nazionale" da parte dei
  donatori, l'Ente è stato costretto a ridurre la razione
  mensile per persona da 15 a 12,5 kg. e a prevedere di
  conferire aiuti solo all'80% della popolazione colpita, che
  per la maggior parte si trova nel sud del paese.  Infine, è
  stata evidenziata l'urgenza e la necessità non solo di aiuti
  alimentari ma anche di assistenza sanitaria e, nelle zone
  rurali, anche di acqua per il bestiame.
     Alla domanda posta dalla delegazione se una
  riorganizzazione della attività di distribuzione degli aiuti
  che vedesse coinvolti anche altri soggetti accanto alle
  autorità etiopiche potrebbe giovare ad una più rapida ed
  efficiente gestione della crisi, il Commissario ha risposto
  che il problema non è di natura logistica ma di oggettiva
  mancanza di risorse.  E' stato infatti fatto rilevare che
  l'Ente etiopico per la prevenzione e gestione delle calamità
  dispone di uffici regionali preposti alla distribuzione degli
  aiuti, ai quali compete peraltro anche l'adozione di
  determinate decisioni, e che, semmai, solo le ONG sarebbero in
  grado di gestire l'attività di distribuzione, poiché gli altri
  donatori non dispongono di strutture distributive.
     Per quanto riguarda i mezzi di trasporto da poter
  utilizzare per distribuire gli aiuti, il Commissario ha
  precisato che l'Ente dispone di 2.400 camion, di cui 400
  nuovi, che raggiungono il porto di Gibuti, caricano gli aiuti
  utilizzando tre moli e provvedono quindi al trasporto in
  Etiopia e alla loro distribuzione.  Oltre al porto di Gibuti,
  gli aiuti giungono in parte anche attraverso quello di
  Berbera, utilizzato in particolare dall'Unione europea.  Il
  Commissario ha infine assicurato che le attività di carico,
  trasporto e distribuzione degli aiuti non recano alcun
  problema e che eventuali difficoltà potrebbero essere
  determinate da una congestione degli aiuti presso i porti, che
  si potrebbe verificare ove non si procedesse ad una adeguata
  programmazione degli aiuti da parte dei donatori.  In
  conclusione, il Commissario ha fatto notare che l'effettiva
  risposta dei donatori è inferiore alle aspettative e che, in
  particolare l'Unione europea, che abitualmente fornisce al
  paese circa la metà dei fabbisogni alimentari di emergenza,
  non si è ancora impegnata ufficialmente.
     Anche il Direttore generale del Ministero degli esteri,
  Hiruy Amanuel,  ha posto l'accento sull'allarme provocato
  dalla sicurezza alimentare, che coinvolge l'11% della
  popolazione.  Le cause di tale problema, che se non risolto
  definitivamente con interventi strutturali continuerà a
  preoccupare in futuro i governi e la popolazione etiopici,
  sono state individuate, innanzitutto, nel clima secco e poco
  piovoso e nella mancanza di sistemi di irrigazione, in secondo
  luogo, nella circostanza che l'85% della popolazione vive in
  zone rurali, con una produzione agricola di pura sussistenza,
  basata su piccoli appezzamenti di terreno coltivati.  In
  presenza di tali condizioni, il Direttore ha prefigurato un
  progressivo abbandono delle zone rurali, con conseguente
  aumento della urbanizzazione.
     Il tema dell'emergenza alimentare dovuta alla siccità è
  stato dibattuto anche durante gli incontri con i Presidenti
  dei due rami del Parlamento,  Dawit Yohannes  e  Almaz
  Meku.  Anche in tale occasione, si è auspicato un immediato
  intervento della comunità internazionale.
 
                              Pag. 47
 
     Infine, collegata in un certo senso all'emergenza
  alimentare è la grossa questione dello sfruttamento delle
  acque del Nilo, il cui affluente Nilo blu nasce in Etiopia dal
  Lago Tana per poi ricongiungersi con il Nilo bianco.  Dopo aver
  precisato che l'85% delle acque che raggiunge l'Egitto
  proviene dall'Etiopia, il Direttore ha auspicato che il
  problema possa quanto prima essere risolto attraverso un
  accordo tra i due paesi sulla utilizzazione delle acque, in
  mancanza del quale i rapporti non potrebbero essere
  equilibrati.  Interpellato su tale tema anche il presidente
  della Camera dei rappresentanti del popolo,  Dawit Yohannes,
  nel corso del colloquio nella sede del Parlamento, lo
  stesso ha ritenuto necessario che la Banca mondiale finanzi un
  progetto di utilizzazione delle acque del Nilo, che va
  considerato un sistema idrico internazionale, ed ha fatto
  presente che il problema principale deriva dal fatto che
  l'Egitto e il Sudan intenderebbero utilizzare quasi il 100%
  delle acque del Nilo, sulla base di un accordo degli anni
  '50.
  3.  La questione somala.
     L'iniziativa di pace del Presidente di Gibuti, Omar
  Guelleh, annunciata nel settembre 1999 a New York
  all'Assemblea generale delle Nazioni unite e presentata a
  novembre scorso al vertice IGAD di Gibuti, è volta
  all'organizzazione di una "Conferenza di riconciliazione
  nazionale" prevista per la fine del mese di aprile.  La
  Conferenza, alla quale sono stati chiamati a partecipare
  rappresentanti degli intellettuali, della società civile della
  Somalia nella suo complesso e della diaspora somala, con
  l'esclusione dei cosiddetti  Warlord  (signori della
  guerra) e dei capi clan, dovrebbe portare alla nomina di un
  parlamento e di un governo.
     Tale iniziativa è stata oggetto dei colloqui svolti a
  Gibuti e nelle aree della Somalia visitate dalla delegazione
  (Somaliland e Puntland).
     Nel corso degli incontri a Gibuti, in particolare durante
  il colloquio con il Ministro degli esteri  ad interim,
  che ha puntualmente illustrato la genesi e le finalità
  dell'iniziativa, è stato attribuito un rilievo significativo
  alla natura della iniziativa di pace, che punta al superamento
  della visione tribale e che coinvolge tutta la società civile,
  e che per questo va sostenuta.  In tale ottica, è stato rivolto
  un invito alla delegazione, affinché l'Italia sostenga e
  supporti incondizionatamente l'iniziativa gibutina.  Inoltre, è
  stata evidenziata l'inopportunità di una visita della
  delegazione della Commissione esteri del Parlamento italiano
  nel Somaliland e nel Puntland, che, a suo avviso, sarebbe
  stata interpretata come un implicito riconoscimento da parte
  dell'Italia delle due entità, che come è noto, non sono
  riconosciute da alcun paese della Comunità internazionale.
     In risposta alle preoccupazioni sollevate, la delegazione
  ha assicurato che l'Italia ha sostenuto fin dall'inizio e
  continua a sostenere l'iniziativa di pace di Gibuti e che la
  visita nelle due regioni normalizzate - le uniche, peraltro,
  in cui sarebbe stato possibile recarsi per motivi di sicurezza
  - sarebbe stata finalizzata al tentativo di persuadere le
  autorità locali di entrambi Somaliland e Puntland a non
  contrastare e ad aderire all'iniziativa di pace avanzata da
  Gibuti.  Le medesime preoccupazioni e relative rassicurazioni
  sono state espresse nel corso dell'incontro con il cosiddetto
  "gruppo di saggi" convocato ufficialmente dal Presidente Omar
  Guelleh a partecipare alla Conferenza di riconciliazione
  nazionale.
     Infine, nel corso del colloquio con rappresentanti
  dell'Assemblea nazionale di Gibuti, dopo aver espresso
  l'auspicio di un rafforzamento dei rapporti a livello
  istituzionale tra i due Parlamenti, è stato affrontato il
  problema della cancellazione del debito, nei confronti del
  quale la delegazione italiana ha assicurato che, nell'ambito
  dell'esame del disegno di legge C. 6662 sulla riduzione del
  debito estero dei paesi maggiormente indebitati, avrebbe
  valutato la possibilità di una drastica riduzione del debito
  di Gibuti, sebbene non rientri tra i paesi con reddito
 
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  annuo per persona inferiore ai 300 US , limite al di sopra
  del quale il disegno di legge non prevede l'applicabilità
  delle misure di riduzione.
     Nell'ambito dei colloqui tenutisi a Gibuti, particolare
  interesse ha suscitato quello con il Presidente  Omar
  Guelleh,  che ha avuto luogo di ritorno dalle visite nel
  Somaliland e nel Puntland.  Il Presidente ha tenuto a precisare
  che la sua iniziativa di pace è volta esclusivamente alla
  unità della Somalia, ed è stata avanzata dopo che per anni i
  warlord  si sono combattuti senza ottenere alcun
  risultato, se non quello di gettare il paese nel terrore e
  nella povertà.  Per tali ragioni si è pensato ad un processo di
  riconciliazione al quale far partecipare rappresentanti della
  società somala diversi dai  warlord,  che pertanto
  risulterebbero estromessi; a suo avviso, coloro i quali, dopo
  aver condotto alcune aree del paese ad una fase di
  normalizzazione e di stabilità, non ritengano di intraprendere
  il percorso da lui proposto, dimostrano inequivocabilmente di
  non voler realmente perseguire l'obiettivo dell'unità somala,
  ma esclusivamente di voler difendere i propri interessi e
  mantenere la posizione oggi raggiunta.
     Rispetto all'iniziativa di pace del Presidente Omar
  Guelleh, le autorità incontrate ad Hargeisa nel Somaliland, in
  particolare il "Presidente"  Ibrahim Egal  e i suoi
  ministri, hanno innanzitutto precisato di aver accettato
  l'iniziativa di Gibuti per la ricostituzione dello Stato,
  allorquando la stessa fu avanzata a New York.  Oltre alle
  difficoltà di carattere generale in cui versa la Somalia,
  dovute soprattutto alla situazione critica in cui versa il sud
  del paese, è stato fatto rilevare che l'iniziativa non può più
  continuare ad essere sostenuta, poiché le autorità locali
  medesime non sono state convocate ufficialmente a partecipare
  alla Conferenza di pacificazione, se non in qualità di
  semplici  advisors  esterni.  E' stata, infatti, lamentata
  l'assenza della previsione di uno specifico ed appropriato
  ruolo per quelle che oggi rappresentano, di fatto, l'Autorità
  nella regione e che meglio di qualunque Paese straniero
  conoscono la storia della Somalia e comprendono la ragioni più
  profonde dei conflitti inerclanici.  A loro avviso,
  l'iniziativa avrebbe potuto avere successo solo ove si fosse
  pensato, in primo luogo, alla riconciliazione del sud del
  paese e solo successivamente alla organizzazione della
  Conferenza.  Nei termini in cui essa, invece, è stata posta da
  Gibuti, l'iniziativa di pace è stata considerata dal
  Presidente Egal molto distante dalla realtà sociale, culturale
  e storica della Somalia, nonché volta principalmente a minare
  e compromettere i risultati raggiunti nel Somaliland e ad
  isolare e danneggiare le sue autorità.
     Infine, è stato riconosciuto l'interesse dimostrato nei
  confronti della Somalia dall'Italia, unico paese della
  Comunità internazionale che può avere una visione più
  realistica della complessa situazione somala e comprenderne i
  diversi risvolti, economici, politici, culturali.
     La delegazione italiana, dopo aver espresso apprezzamenti
  per il grado di sviluppo e di pacificazione raggiunto nel
  Somaliland grazie all'impegno del Presidente Egal e dei suoi
  uomini, ha tuttavia sottolineato l'importanza che l'iniziativa
  di Gibuti sia sostenuta dalla Comunità internazionale in
  generale e, in particolare, dall'Italia, e che anche il
  Somaliland contribuisca al buon fine della stessa.
     A tale proposito, il Presidente Egal ha ribadito che
  sarebbe disposto a sostenere il Piano di pace solo qualora
  Gibuti apportasse correzioni al programma di pacificazione, al
  fine di tenere in considerazione la situazione esistente nel
  Somaliland, senza il rischio che lo stesso possa essere in
  alcun modo pregiudicato.
     Per quanto riguarda i colloqui avuti a Bosaaso - famoso
  porto che ha visto esplodere lo scandalo delle navi della
  cooperazione italiana e che è stato teatro delle ultime
  indagini della giornalista Ilaria Alpi - con le autorità del
  Puntland, e in particolare con il "Presidente"  Abdullahi
  Yusuf,  la delegazione italiana ha confermato la sua
  posizione già espressa a Gibuti e nel Somaliland a favore
  dell'iniziativa di pace e ha sottolineato l'importanza
 
                              Pag. 49
 
  della partecipazione anche del Puntland al processo di
  ricostituzione della Somalia avviato da Gibuti.
     Gli interlocutori somali, dopo aver ringraziato per
  l'interessamento dimostrato dall'Italia ai problemi della
  Somalia e dopo aver sottolineato le differenze della loro
  posizione rispetto a quella del Somaliland - quest'ultimo
  infatti si proclama secessionista mentre il Puntland non ha
  mire secessionistiche ma si ritiene parte di uno Stato
  federale non ancora formato -, attribuendo infatti particolare
  importanza all'unità somala, hanno fatto presente che, a loro
  avviso, le amministrazioni già formate potrebbero essere di
  grande aiuto per la riunificazione del paese.  E' stato altresì
  sottolineato che, sebbene il Puntland abbia inizialmente
  sostenuto ed accolto l'iniziativa di Gibuti, tuttavia con il
  progredire di tale iniziativa si è assistito ad una serie di
  errori da parte gibutina che si sono concretizzati
  principalmente nell'aver estromesso le autorità del Puntland
  dal processo di pace - peraltro non convocati ufficialmente -,
  con una scelta inappropriata dei delegati alla Conferenza di
  riconciliazione nazionale.  A loro avviso, infatti, è
  inopportuno che per partecipare alla Conferenza di
  riconciliazione siano state contattate persone del Puntland
  non rappresentative della società, è contestabile che il Piano
  di pace non preveda adeguati criteri di selezione delle
  persone che, successivamente allo svolgimento della
  Conferenza, formeranno l'Assemblea  (Transitional National
  Assembly),  non è infine assolutamente condivisibile la
  decisione - che ritengono sia stata già compiuta da Gibuti -
  di coloro che saranno chiamati a far parte del Governo della
  Somalia riunificata.  E' stato altresì rappresentato il rischio
  che, una volta formato tale Governo sotto il patrocinio di
  Gibuti, questi ne chieda il riconoscimento alla Comunità
  internazionale.
     L'eventuale partecipazione e sostegno all'iniziativa di
  Gibuti sarebbe possibile solo ove fosse possibile correggere i
  difetti dai quali la stessa è inficiata: oltre a quelli già
  indicati, il Presidente Yusuf ha sottolineato la eccessiva
  vicinanza del momento previsto per lo svolgimento della
  Conferenza che, invece, andrebbe a suo avviso rinviata ad un
  momento successivo, in attesa che anche il sud del paese
  raggiunga un significativo grado di pacificazione.
     Infine, è stato manifestato alla delegazione italiana
  l'avviso secondo cui la delegazione stessa rischiava di
  incorrere nell'errore di non interpretare correttamente i
  reali interessi ed obiettivi di Gibuti.
  4.  Le comunità italiane in Etiopia e in Eritrea.
     Durante la visita ad Addis Abeba, la delegazione ha avuto
  modo di incontrare, presso il "circolo Juventus",
  rappresentanti della Comunità italiana ivi residente, presenti
  soprattutto nella capitale, i quali hanno richiamato
  l'attenzione su alcune questioni sulle quali auspicano una
  maggiore attenzione da parte delle istituzioni, nonché sui
  problemi che si trovano ad affrontare nei rapporti con le
  autorità locali.
     Innanzitutto, è stata sottolineata l'importanza di una
  rapida conclusione dell'iter delle leggi per l'esercizio del
  diritto di voto all'estero, atteso da molti anni.  In secondo
  luogo, è stata lamentata una forte carenza nell'assistenza
  sanitaria: non sempre i medicinali necessari sono disponibili
  sul mercato, mancano le attrezzature sanitarie minime, non
  operano molti medici.  Tra le problematiche sollevate,
  particolare rilievo assume quella della difficoltà di ottenere
  licenze e permessi per l'esercizio di qualsiasi tipo di
  attività imprenditoriale.  I rappresentanti degli imprenditori
  operanti in Etiopia hanno sottolineato il rilievo che assume
  l'Accordo bilaterale sulla promozione e protezione degli
  investimenti, che tuttavia a loro avviso necessita di qualche
  correzione, ed hanno altresì messo in evidenza l'esigenza che
  si completino le operazioni di indennizzo per le proprietà
  italiane espropriate durante la dittatura di Menghitsu.
  Infine, è
 
                              Pag. 50
 
  stato sottolineato il problema del collocamento degli
  italiani che dovessero reimpatriare con lo status di
  profugo.
     In conclusione, dopo aver lamentato la scarsa qualità
  della programmazione di RAI-International, i rappresentanti
  dei connazionali residenti in Etiopia hanno auspicato una
  maggiore attenzione alle problematiche esposte da parte delle
  istituzioni italiane.
     Anche ad Asmara si è svolto un incontro, presso la "Casa
  degli italiani", con i rappresentanti della Comunità italiana
  ivi residente (circa 800 unità), i quali hanno messo in luce
  più o meno le medesime questioni sollevate ad Addis Abeba.  In
  particolare, sono state lamentate carenze nell'assistenza
  sanitaria, nella previdenza sociale, nella attività di
  comunicazione ed informazione svolta da RAI-International,
  nonché nella situazione in cui versano gli insegnanti della
  scuola italiana.
  5.  La cooperazione allo sviluppo.
     Altri temi ampiamente trattati nel corso dei colloqui
  avuti in tutti i paesi visitati, sono stati quelli della
  attività di cooperazione allo sviluppo e della cancellazione o
  riduzione del debito estero dei paesi poveri.
     In Etiopia, durante l'incontro con il vice ministro per lo
  sviluppo economico e per la cooperazione,  Mulatu
  Teshome,  lo stesso ha rilevato il nuovo impulso registrato
  in termini quantitativi e qualitativi della cooperazione tra i
  due paesi con la firma, lo scorso giugno, del Programma paese.
  Il vice ministro ha poi sottolineato che il conflitto tra
  l'Eritrea e l'Etiopia, e la conseguente posizione attendista
  assunta dalla maggior parte dei donatori, sta incidendo
  negativamente sulle iniziative di sviluppo promosse dal
  governo etiopico e che prevedono il contributo di molti paesi
  donatori.
     La delegazione ha replicato, facendo presente che nel
  Parlamento - presso cui è in corso di esame la riforma della
  cooperazione allo sviluppo - si sta facendo strada la
  "politica dell'inclusione", secondo cui vanno previste misure
  sanzionatorie nelle situazioni di conflitto solo in casi
  eccezionali, poiché le sanzioni generano solo instabilità e
  insicurezza.
     Inoltre, è stato ricordato, dai membri della delegazione,
  che l'Etiopia è il paese al quale l'Italia dedica il maggior
  volume di aiuti e che figura tra i paesi beneficiari delle
  misure di riduzione del debito contenute nel disegno di legge
  C. 6662, in corso di esame in sede referente presso la
  Commissione esteri della Camera.
     In Eritrea, che non ha debito estero, l'attenzione si è
  concentrata prevalentemente sulla cooperazione e sui rapporti
  bilaterali tra Italia ed Eritrea.  Nel corso del colloquio con
  Yemane Ghebreab,  lo stesso, dopo aver ricordato che
  l'Eritrea beneficia di aiuti allo sviluppo italiani fin dal
  1993, ha auspicato che i programmi paese vengano elaborati
  anche con il contributo eritreo e vengano gestiti direttamente
  dal paese medesimo.  Inoltre, è stato fatto rilevare che i
  programmi di sviluppo e cooperazione necessitano di
  un'implementazione e di un'attuazione più snella e rapida.
     Infine, da parte eritrea è venuto l'auspicio ad un
  incremento sia del commercio tra Italia e Eritrea, sia degli
  investimenti italiani nel paese, ad esempio nel campo della
  floricultura e della orticultura.  A suo avviso, infatti,
  l'Italia non comprende appieno la potenzialità degli
  investimenti italiani (come dimostra peraltro anche il fatto
  che l'Alitalia ha sospeso i collegamenti aerei con Asmara).
  AGGIORNAMENTI.
     1)  Riesplode il conflitto tra Etiopia ed Eritrea.
  Dopo l'insuccesso della mediazione di Algeri - 1^/5 maggio -
  che ha visto l'impossibilità di arrivare ad un accordo tra le
  parti sul terzo documento, venerdì 12 maggio l'Etiopia ha
  lanciato una grande offensiva militare su più fronti,
  giustificandola con la necessità di riprendersi quei territori
  oggetto dei negoziati.  In realtà, lo sfondamento militare
 
                              Pag. 51
 
  dell'Etiopia appare impressionante per ampiezza e profondità
  dei fronti coinvolti.  Oltre 1 milioni di sfollati dimostrano
  la gravità del nuovo dramma che si sta consumando nell'area.
  Il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha chiesto inutilmente il
  "cessate il fuoco" e previsto forme di embargo sulle armi che,
  al momento, sembrano impotenti a fermare la guerra.  Il
  sottosegretario Rino Serri è stato prima ad Asmara e quindi ad
  Addis Abeba, nel tentativo di fare accettare dalle parti una
  proposta che ha il sostegno dell'Unione europea, dell'Algeria,
  e dell'ONU.
     2)  Conferenza di Gibuti.  E' stata effettivamente
  convocata e ha avuto inizio i primi giorni del mese di maggio.
  Da segnalare che dalla primitiva impostazione la Presidenza
  della Conferenza sta passando ad un approccio più flessibile,
  inserendo elementi di realismo politico, con particolare
  attenzione alle realtà che si autoamministrano.  Va segnalato
  che, in questo quadro, il Puntland ha inviato un proprio
  delegato, mentre il Somaliland preferisce mantenere ancora la
  propria distanza dal processo avviato.
     3)  Carestia.  L'aggravarsi della situazione di
  emergenza alimentare in tutta l'area ha richiesto una
  revisione italiana ed europea dei propri piani di aiuto.  Ai 12
  miliardi forniti in aiuto alimentare all'Etiopia e ai 7
  miliardi per l'Eritrea, è stato programmato un ulteriore
  intervento per un ammontare di 6 miliardi di lire (3
  all'Etiopia e 3 all'Eritrea).  Oltre a questi aiuti, l'Ufficio
  emergenza del DGCS ha stanziato 2 miliardi e 200 milioni per
  l'Etiopia (500 milioni sotto forma di integratori alimentari
  consegnati in queste settimane; accantonamento di 500 milioni
  di lire per l'invio di un nuovo aereo umanitario; 1 miliardo e
  200 milioni per finanziare progetti di irrigazione nell'area
  somala attraversata dallo Uebi Scebeli).  Per l'Eritrea, un
  fondo di 500 milioni presso l'Ufficio per la cooperazione di
  Asmara.
 
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