| Il sottosegretario Ornella PILONI ricorda che la
questione dei rapporti fra cooperativa e socio lavoratore è
molto dibattuta in dottrina e frequentemente oggetto di
controversie sulla quale non si è consolidato, fino ad oggi,
un indirizzo giurisprudenziale univoco.
Il lavoratore socio, di fatto, è prestatore d'opera che
ricava il reddito da un'attività svolta in una posizione che
si colloca diversamente sia da quella del lavoratore
subordinato, sia da quella del lavoratore autonomo: il lavoro
viene svolto secondo direttive ed in modo organizzato,
tuttavia il reddito comprende una quota degli utili della
società. Lo svolgimento di tale attività lavorativa è
meritevole di tutela previdenziale, come ogni altra forma di
lavoro, secondo i principi dettati dalla Costituzione. Per
assicurare la tutela il legislatore con norme speciali ha
operato una fictio iuris per la quale, equiparando ai
lavoratori dipendenti i soci, ha esteso a questi ultimi
diverse forme di tutela previdenziale.
L'articolo 8 della legge n. 236 del 1993 ha equiparato la
posizione dei soci lavoratori ai lavoratori dipendenti, in
relazione alle procedure per l'intervento straordinario della
cassa integrazione guadagni e per ciò che riguarda il
trattamento di mobilità.
Inoltre, l'articolo 24 della legge n. 196 del 1997 ha
esteso ai soci lavoratori, in deroga alle limitazioni
preesistenti, l'assicurazione per la disoccupazione,
l'indennità di mobilità (consentendo anche l'iscrizione degli
interessati nelle liste di collocamento ai fini
dell'erogazione delle prestazioni) ed, infine, le disposizioni
riguardanti il trattamento di fine rapporto.
L'orientamento più recente della Corte di cassazione è
quello di ritenere tuttora vigente l'obbligo, fissato
dall'articolo 2 del regio decreto legge n.1422 del 1924, di
versare i contributi previdenziali a favore dei soci
lavoratori. La giurisprudenza ha anche stabilito che nelle
controversie tra socio e ente cooperativo la competenza è del
giudice del lavoro nel caso in cui le pretese economiche non
riguardino esclusivamente il rapporto societario ma anche
compensi per il lavoro svolto.
Inoltre segnala l'estensione al settore cooperativo della
legge n. 863 del 1984, di cui si fa cenno nell'interrogazione,
a seguito dell'orientamento espresso dal Ministero del lavoro
cui l'Inps si è puntualmente attenuto.
Sottolinea, quindi, che la mera equiparazione non è
sufficiente ad estendere istituti la cui disciplina non faccia
riferimento espressamente, quali destinatari, ai soci delle
cooperative di produzione e lavoro. Al contrario, la
disposizione normativa richiamata nell'interrogazione ha per
destinatari esclusivamente i datori di lavoro che non siano
cooperative di produzione e lavoro. Il problema non è solo di
carattere formalistico e terminologico, poiché, tra l'altro,
il rapporto associativo che lega il socio lavoratore alla
cooperativa è sottratto alla normativa sul collocamento.
Tuttavia, la questione potrà essere letta sotto una nuova
luce a seguito dell'approvazione del disegno di legge n. 3512
attualmente all'esame del Senato, recante specifiche
disposizioni in materia di revisione della legislazione sulle
società cooperative.
Tale disegno di legge mira a delineare organicamente la
figura del socio lavoratore superando le difficoltà
interpretative che hanno fin qui caratterizzato gli aspetti
previdenziali del rapporto associativo a causa della
sedimentazione di disposizioni non sempre coerenti.
Maria Celeste NARDINI (misto-RC-PRO) prende atto con
soddisfazione dell'esame al Senato di un provvedimento la cui
approvazione supererebbe la problematica sollevata.
Tuttavia tiene a puntualizzare che l'agevolazione a cui si
fa riferimento nel testo dell'interrogazione non riguarda
l'ammontare dei contributi bensì la possibilità di versamenti
rateali.
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