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GUSTAVO SELVA. Signor Presidente, signor sottosegretario,
se si analizzano le risposte che su questo tema sono state
date dai rappresentanti del Governo, credo che si trovi sempre
la solita terminologia: "costante azione del Governo in difesa
dei diritti umani", "proseguono le azioni negli incontri
bilaterali". Tuttavia, il risultato, purtroppo, è quasi sempre
negativo nei confronti dei regimi comunisti e credo che
l'onorevole Intini personalmente lo sappia molto bene.
L'azione che i Governi italiani - possiamo davvero usare
il plurale - per quanto riguarda la tutela dei diritti umani
nei confronti delle dittature cosiddette di destra è sempre
stata molto decisa, continua e battente; per quanto riguarda,
invece, il sistema comunista essa appare un po' più
tradizionale, per così dire: un colpo al cerchio ed uno alla
botte. In questo caso, il colpo alla botte è stato dato da ciò
che la Repubblica cinese avrebbe consentito nella conferenza
di studio di Lisbona.
Nonostante le affermazioni del Presidente Jiang Zemin,
secondo cui la Cina ha fatto grandi progressi nel campo dei
diritti umani, niente è cambiato negli ultimi tempi. Il Primo
ministro cinese Zhu Rongji ha chiesto al mondo "di avere
pazienza e di non credere ai cosiddetti democratici che non
porterebbero" - ha detto - "nessuna democrazia". Queste sono
parole che i rappresentanti del Governo che vengono a
rispondere alle interpellanze ed alle interrogazioni non
riferiscono mai.
Durante una conferenza stampa, che si è svolta a Pechino
il 14 marzo 1997 - perché anche la mia interpellanza ha
ricevuto risposta dopo due anni e mezzo -, il Primo ministro
Rongji ha detto "di non poterne più di parlare di diritti
umani con tutti gli ospiti stranieri". Non so se al ministro
degli esteri Dini sia stata data la stessa risposta, ma dei
risultati di cui lei ci ha riferito non sappiamo nulla di
concreto. Il primo ministro cinese ha aggiunto che "la Cina,
paese feudale per centinaia di anni, non ha potuto cambiare
tutto in questi cinquant'anni di comunismo": noi possiamo
affermare che ha cambiato, forse peggiorando la situazione.
Il Primo ministro Rongji ha affermato poi: "Noi
desideriamo garantire i diritti umani a tutti i cinesi", ma il
massimo organo legislativo del paese non rende nemmeno conto
di quante siano le esecuzioni capitali che vengono eseguite
ogni anno nella Repubblica di Cina. Nel 1996 - anche le
statistiche arrivano con un certo ritardo - le condanne sono
state 6.100, come viene ricordato nella mia interrogazione -
ma è bene che venga ripetuto perché resti a verbale -, e ne
sono state eseguite ben 4.367. Nel 1997 sono state eseguite
1.644 condanne a morte, ma naturalmente le notizie non vengono
date, perché, come sempre avviene nei regimi comunisti, esse
sono coperte dal segreto di Stato.
Per quanto riguarda l'andamento dei processi, agli
imputati è spesso negato di avere un legale e, nel caso ne sia
incaricato uno, esso ha poco più di un giorno o due per
preparare la difesa (anche queste notizie non sono mai
contenute nelle risposte del Governo). Dopo la condanna a
morte sono previsti da tre a dieci giorni per ricorrere in
appello, ma raramente gli appelli vengono accolti.
La pena di morte viene eseguita in maniera discriminatoria
a seconda delle classi sociali.
Durante la recente visita (recente rispetto alla data
della mia interrogazione) del Presidente cinese Zemin, il
Governo non è intervenuto con la necessaria energia per
illustrare all'ospite l'esigenza di cambiare l'atteggiamento
nei confronti del popolo che forse non condivide le idee del
Governo.
Il nostro Governo ha anche taciuto - questo è l'ultimo
punto che vorrei richiamare all'attenzione dei colleghi per
lasciarlo alla storia del resoconto stenografico - sulle
persecuzioni contro i cattolici cinesi fedeli al Papa. I
nostri senatori Pedrizzi e Bonatesta, all'indomani della
visita di Jang Zemin, hanno criticato questa politica
affermando: "E' inaccettabile che il silenzio sia calato sugli
orrori del Governo comunista nella Repubblica
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popolare cinese, mentre ogni occasione è propizia per
orchestrare campagne pubblicitarie contro le esecuzioni
capitali inflitte negli Stati Uniti". Noi siamo ovviamente
contro la pena di morte e io stesso, come è noto, sono stato
primo firmatario di una mozione per la moratoria della pena
capitale. Su questo punto, ci troviamo perfettamente d'accordo
con le parti che propugnano che anche la Cina possa aderire
alla moratoria internazionale della pena di morte.
La mia insoddisfazione deriva soprattutto dal tono un po'
convenzionale e burocratico della risposta del sottosegretario
Intini, risposta che non penso rifletta il suo spirito.
Attendiamo da questo Governo, come del resto da tutti i
Governi, che anche questa barbara sequenza di crimini di Stato
che vengono commessi contro chi la pensa diversamente possa
trovare una più ferma e decisa condanna da parte del Governo
ed un'azione più propizia a far sì che essa possa terminare
nella Cina comunista (Applausi dei deputati dei gruppi di
Alleanza nazionale e di Forza Italia).
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