| Onorevoli Colleghi! - Tredici anni sono trascorsi
dall'entrata in vigore della legge 4 maggio 1983, n. 184,
durante i quali è stato possibile osservare lo stato della
condizione dei minori in Italia, fare confronti con altri
Paesi e verificare su alcuni punti la necessità di un
aggiornamento della legge.
I criteri che avevano ispirato i legislatori di allora
erano l'adeguamento della normativa nazionale alle direttive
contenute nella Convenzione di Strasburgo del 1967, lo
snellimento delle procedure, ma soprattutto la necessità di
due innovazioni: l'introduzione dell'istituto dell'affidamento
e la regolamentazione dell'adozione internazionale che
iniziava in quel periodo a divenire fenomeno diffuso. I
risultati ottenuti dalla legge sono senz'altro positivi, basta
un dato estremamente eloquente per darne il senso: dal 1967
circa 70.000 bambini hanno trovato una famiglia. Oggi però
alcune modifiche si rendono necessarie sia per le esperienze
compiute, sia per i continui mutamenti che caratterizzano la
società. E l'adozione come pochi altri istituti giuridici è
densa di contenuti sociali.
Troppo spesso una parte della stampa, attraverso un taglio
semplificatorio, "filmografico" e disinformante, si pone di
fronte al problema in modo sbagliato. Con molta frequenza
questo viene affrontato dal versante, distorto, di desideri di
maternità o paternità frustrati o impossibilitati a
realizzarsi. Sempre più l'assenza di certezza di regole a
livello internazionale rischia di consegnare alla criminalità
organizzata il futuro di tanti minori. E' bene quindi ribadire
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innanzi tutto la prospettiva nella quale ci si deve porre
nell'affrontare il perseguimento dell'interesse del minore,
del suo diritto ad affetti stabili ed alla serenità.
Questa proposta di legge fa propri molti dei suggerimenti
avanzati dalla relazione conclusiva dell' Indagine
conoscitiva sull'adozione, della Commissione giustizia
della Camera dei deputati nella X Legislatura, proposta
dall'onorevole Bianca Guidetti Serra. Prima della stesura di
questo progetto di riforma, si è ritenuto inoltre opportuno
consultare alcuni operatori ed esperti della materia sotto i
diversi profili, giudici del tribunale dei minori, assistenti
sociali e associazioni delle famiglie.
La prima domanda che sorge è: per quali ragioni 40.000
minori oggi restano in istituto malgrado la legge n. 184 del
1983 abbia regolato l'affidamento e l'adozione? Il fenomeno
dell'istituzionalizzazione è troppo spesso ignorato. Esso
dev'essere considerato un abuso sul minore poiché la mancanza,
o la sola insufficienza, di rapporti stabili e personalizzati
provoca carenze affettive che arrecano effetti negativi tali
da pregiudicare, in modo spesso irrimediabile l'evoluzione
psichica e spesso anche fisica del bambino. Primo compito deve
essere quindi quello di fare cessare tale stato di fatto.
Ma perché questo sia veramente possibile è indispensabile
che il Parlamento approvi al più presto un'organica riforma
del settore assistenziale. Infatti, gli strumenti che a questo
fine la legge n. 184 offre sono molto spesso inutilizzabili,
sia per la insufficienza e l'inefficienza dei servizi e,
talvolta, perfino per la loro totale mancanza in alcune
regioni.
Il carattere di fondo della legge n. 184 è definito dal
suo primo articolo che stabilisce il diritto del minore ad
essere educato nell'ambito della propria famiglia. Ma troppo
spesso, per carenze nei servizi e negli enti che devono
applicarla e per il disordine del settore assistenziale, tale
principio viene disatteso. E' questo il caso dei numerosissimi
minori istituzionalizzati o affidati che provengono da
famiglie in disagiate condizioni economiche. Con gli articoli
1, 2, 3 e 4 della presente proposta si vogliono pertanto
indicare soluzioni ed affrontare problematiche su cui la legge
n. 184 si è rivelata carente.
Proponiamo innanzitutto con l'articolo 1 di affermare,
accanto al diritto del minore ad essere educato nella propria
famiglia, il corrispondente diritto della famiglia che
incontra difficoltà economiche nell'educazione dei propri
figli, ad essere aiutata dalle istituzioni e dalla
collettività. In particolare abbiamo voluto specificare che
soltanto ove il minore risulti privo della necessaria
assistenza, nonostante gli interventi di sostegno alla sua
famiglia da parte dello Stato, dell'ente locale e di singoli
cittadini, esso possa essere affidato, in via temporanea, ad
altra famiglia o singole persone.
In particolare si prevede un aiuto alle famiglie con i
seguenti interventi (articolo 3):
a) un assegno familiare speciale da parte della
Cassa unica assegni familiari (CUAF);
b) un contributo dell'ente locale;
c) la priorità per l'assegnazione di alloggio da
parte di enti pubblici o privati;
d) l'inclusione nella riserva del 12 per cento di
assunzioni di lavoratori appartenenti a categorie "deboli",
dei genitori del minore;
e) l'elevazione del limite di età per i concorsi
pubblici.
Si tenga presente che nel 1992 soltanto 5.000 dei 17.000
miliardi di contributi versati all'INPS per gli assegni
familiari sono stati poi erogati ai beneficiari.
Con la presente proposta di legge si prevede inoltre una
responsabilizzazione degli enti locali relativamente
all'erogazione di un contributo alle famiglie, alla quale è
subordinata l'erogazione dell'assegno familiare speciale
(articolo 3, comma 4).
E' altresì necessaria la creazione di una figura di
"assistente domiciliare" (articolo 2). Tale forma di aiuto è
stata realizzata in varie città italiane con il conseguimento
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di ottimi risultati: l'idea-base è di inserire per alcune ore
del giorno nella famiglia che abbia difficoltà nella guida dei
figli una persona con compiti di aiuto negli impegni
casalinghi e nella cura dei minori anche sotto il profilo
scolastico.
Il numero di famiglie e di singole persone disposte ad
accogliere un minore in affidamento familiare è purtroppo
ancora scarso rispetto alla effettiva necessità. Per questo
con l'articolo 7 della presente proposta di legge, si cerca di
individuare una nuova modalità di aiuto ai minori in
difficoltà. Si tratta di una sorta di "madrinaggio" o
"padrinaggio" che non sottragga il minore alla propria
famiglia. I cittadini che vogliono aiutare un bambino
bisognoso possono, sotto garanzia e sorveglianza delle
istituzioni competenti in materia, stabilire un rapporto di
"complementarietà" con i genitori aiutandoli economicamente e
stabilendo una relazione con il minore stesso. E' una forma di
"affidamento parziale" che si colloca nell'ambito del mutuo
aiuto tra famiglie, della solidarietà, del volontariato
micro-comunitario, e pertanto già possibile e silenziosamente
esistente, ma sancirla per legge con la campagna di
informazione che ne conseguirebbe, significherebbe
sensibilizzare i cittadini, offrire una formula anche a chi
non può impegnarsi in un affidamento, e un'ulteriore
possibilità di scelta ai genitori in difficoltà. Il controllo
delle istituzioni è indispensabile per garantire il minore da
eventuali forme di sfruttamento.
Possiamo fare l'esempio dei genitori tossicodipendenti o
detenuti, delle ragazze madri sole, che rappresentano alcuni
dei principali casi sociali di provenienza dei bambini in
adozione o in affidamento e che, a causa della loro
condizione, non possono prendersi cura dei figli per tutto il
tempo necessario, ma non per questo devono essere considerati
genitori di "serie B" passibili di facili giudizi o
provvedimenti. L'istituzionalizzazione sarebbe in questo caso
del tutto dannosa e l'affidamento, che per definizione prevede
la residenza presso gli affidatari, risulterebbe invece un
provvedimento eccessivo.
L'articolo 6 della legge n. 184 del 1983 stabilisce
l'idoneità all'adozione soltanto per le coppie sposate,
presupponendo così un modello di famiglia esclusivamente
limitato a quello tradizionale. Durante i trascorsi tredici
anni dalla data dell'entrata in vigore della legge n. 184
molte abitudini e costumi sociali si sono modificati ed è
notevolmente aumentato il numero delle coppie conviventi che
non contraggono matrimonio.
E' necessario quindi che anche questa proposta di legge
prenda atto del modificarsi del concetto di famiglia.
Attualmente in Italia non esiste una regolamentazione del
rapporto more uxorio, che è urgente approvare, ma le
indagini effettuate dagli assistenti sociali prima di
deliberare la capacità di una coppia ad adottare sono
sicuramente una garanzia ben maggiore di un certificato di
matrimonio.
E' cambiata inoltre negli individui la percezione di sé, e
molti sono coloro che scelgono di vivere da soli. Non per
questo però sono da considerarsi impossibilitati o incapaci di
creare attorno ad un bambino quella situazione di affetti ed
attenzioni di cui ha bisogno. Si deve quindi prevedere la
possibilità di adozione da parte di singole persone anche
nell'articolo in cui vengono definiti i soggetti che possono
averne l'idoneità (articolo 8).
D'altra parte, la stessa legge n. 184, con l'articolo 44,
rende possibile questo tipo di adozione in casi particolari, e
in altri articoli ritiene altrettanto validi ed importanti i
legami che si possono stabilire con un solo genitore.
All'articolo 25 afferma:
"4. Se uno dei coniugi muore o diviene incapace durante
l'affidamento preadottivo, l'adozione nell'interesse del
minore, può essere ugualmente disposta ad istanza dell'altro
coniuge nei confronti di entrambi, con effetto per il coniuge
deceduto dalla data della morte.
5. Se nel corso dell'affidamento preadottivo interviene
separazione tra i coniugi affidatari, l'adozione può essere
disposta nei confronti di uno solo o di entrambi,
nell'esclusivo interesse del minore qualora i coniugi ne
facciano richiesta".
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E ugualmente tali legami si ritengono importanti
nell'articolo 27 dove si legge:
"2. Se l'adozione è disposta nei confronti della moglie
separata, ai sensi dell'articolo 25, l'adottato assume il
cognome della famiglia di lei".
E' bene segnalare inoltre che, nell'ambito dei Paesi
dell'Unione europea, l'adozione da parte di singoli è
espressamente consentita in tutti i Paesi, eccetto in
Danimarca, Italia e Paesi Bassi.
Occorre sottolineare che è importante cambiare la legge
per adeguarla a costumi sociali che si modificano, ma per
evitare inutili ideologismi è bene chiarire che essendo molte
le coppie che richiedono l'adozione mentre pochi sono i
bambini da adottare, il giudice, che si muove nell'esclusivo
interesse del minore e decide per il medesimo la situazione
che offre le migliori condizioni di completezza degli affetti,
sarà portato quasi inevitabilmente a scegliere più spesso una
coppia che un single.
L'articolo 6 deve essere modificato anche per quanto
riguarda i limiti di età. Oggi i percorsi di formazione e i
processi di inserimento nel mondo del lavoro sono più lunghi,
si sceglie una vita di coppia e si decide di avere figli più
tardi, si vive mediamente più a lungo, si andrà in pensione
più tardi, i moderni mezzi di comunicazione rendono più
omogeneo il livello di partecipazione alla vita sociale. Si
rende quindi necessaria una modifica dei limiti di età nel
modo indicato dalla presente proposta di legge per adeguare la
legge, anche su questo aspetto, alle trasformazioni sociali in
atto.
Il numero di bambini aventi i requisiti di età richiesti
da chi vuole adottare in Italia è in continua diminuzione. Ciò
avviene non solo per il basso tasso di natalità ma anche per
l'aumento del controllo delle nascite anche nei ceti più
poveri, sicuramente segno di progresso civile del nostro
Paese. Questi fenomeni comportano che il desiderio di
maternità o paternità si indirizzi verso i Paesi del terzo
mondo ove è possibile ottenere bambini molto piccoli ed in
tempi brevi. Troppo spesso però si sono verificati casi di
"commercio" di bambini attraverso la falsificazione dei
documenti.
Quando la legge n. 184 del 1983 è stata approvata il
problema non aveva l'attuale rilevanza e pertanto gli
strumenti allora previsti risultano assai deboli rispetto alla
realtà odierna.
Innanzi tutto l'attuale normativa non afferma un principio
imprescindibile: il diritto del minore a crescere e ad essere
pertanto adottato nel suo Paese natale (articolo 10). Il
grande sviluppo nell'ultimo decennio dell'adozione
internazionale non fa che riflettere il grande squilibrio
sociale ed economico del mondo e per questo è destinato ad
aumentare nei prossimi anni.
Pochissimo si è fatto però nel nostro Paese. Come bene
esprime la relazione conclusiva dell' Indagine conoscitiva
sull'adozione del 1992 già citata: "negli anni passati sia
il Ministero degli esteri che il Ministero dell'interno si
sono mossi con incertezza e difficoltà nelle operazioni di
verifica della regolarità delle procedure adottate nel Paese
straniero e della posizione del minore al momento dell'entrata
in Italia, nonché in riferimento ai servizi e l'assistenza
offerti alla coppia italiana che si reca all'estero". E' la
comunità internazionale tutta che deve affrontare con
responsabilità tale argomento, iniziando a creare una minima
cornice normativa di riferimento e di garanzie per difendere i
minori abbandonati dei Paesi sottosviluppati, offrendo loro la
possibilità di un futuro migliore. E' infatti solo con
provvedimenti e norme stabilite di concerto tra più Paesi, con
una rete normativa ben salda a livello mondiale che si può
affrontare concretamente il problema del mercato dei minori e
operare per smascherare le organizzazioni illegali che
sottraggono figli a famiglie povere del terzo mondo per poi
rivenderli a coppie di Paesi ricchi, oppure, nella peggiore
delle ipotesi, per alimentare il mercato degli organi
espiantati. Il recepimento, anche da parte del nostro Paese,
della "Convenzione per la tutela dei bambini e la cooperazione
nell'adozione internazionale", predisposta dalla Conferenza de
L'Aja in data 29 maggio 1993, può segnare l'inizio di un nuovo
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rigore e di una più completa articolazione delle leggi
internazionali. Anche la Convenzione ONU sui diritti del
fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata
dall'Italia il 27 maggio 1991, può essere un efficace
strumento di riferimento comune. E' urgente inoltre che il
Governo italiano si adoperi per stipulare convenzioni
bilaterali con i Paesi dai quali proviene il maggior numero di
bambini adottati al fine di garantire, in particolare,
l'omogeneità delle rispettive regolamentazioni e lo scambio di
informazioni fra le diverse autorità competenti.
La Convenzione de L'Aja fornisce importanti indicazioni
sulla necessità di trasparenza dei percorsi e delle pratiche
attraverso le quali si giunge all'adozione di un minore e che
oggi, di fatto, sono i più disparati e inaffidabili; soltanto
una assoluta minoranza ricorre infatti ad associazioni
autorizzate, mentre la maggior parte si serve di missionari o
avvocati nonché di equivoche figure di mediatori. Seguendo le
indicazioni della Convenzione la presente proposta di legge
offre garanzie in tal senso, stabilendo il ricorso
obbligatorio ad enti autorizzati (articolo 14), e stabilisce
con precisione gli accertamenti da svolgere (articoli 11 e
12).
Ma il punto più importante della Convenzione de L'Aja è
l'istituzione, in ogni Stato, di un'autorità centrale in
materia che viene prevista dall'articolo 16 della presente
proposta di legge con la denominazione di "Comitato
interministeriale per l'affidamento e l'adozione dei minori".
A tale autorità competono responsabilità che riguardano sia
l'affidamento e l'adozione nazionale che l'adozione
internazionale. Si verrebbe a creare così un organismo
centrale altamente competente in materia che, attraverso i
suoi compiti di supervisione e coordinamento, ma anche di
informazione e di ricerca, sarebbe in grado di contribuire ad
un profondo miglioramento dell'attuale, difficile,
situazione.
Da più parti infine viene sollecitata una precisazione
circa la durata del decreto di idoneità all'adozione
internazionale. Infatti, la situazione degli aspiranti
genitori adottivi può cambiare, ci possono essere mutamenti
delle condizioni di salute, di lavoro o nel rapporto di
coppia. Per questo è necessario stabilire un limite massimo di
durata dell'idoneità, come pure, per le stesse ragioni, è
necessario stabilire il decadimento di esso dopo una prima
adozione (articolo 12).
La presente proposta di legge vuole essere aperta a tutti
i contributi degli operatori sociali e del diritto e delle
associazioni, per ottenere dal Parlamento con l'apporto di
tutti i gruppi politici una legge migliore "nell'esclusivo
interesse dei minori".
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