| DOMENICO IZZO. Signor Presidente, signor rappresentante
del Governo, mi sono determinato a presentare questo atto di
sindacato ispettivo poiché ho la sensazione, anzi, direi la
certezza, che alcuni aspetti legati al tema generale del
lavoro in agricoltura nel Mezzogiorno siano affrontati e
valutati in modo ingiustamente ideologico.
Io provengo da una regione nella quale vi è un'agricoltura
di avanguardia, soprattutto nella piana del Metapontino, dove
vengono coltivati a fragoleto circa 700 ettari di terreno.
Basti pensare che per coltivare ciascuno di questi 700 ettari
necessitano dalle 600 alle 700 giornate lavorative: una
moltiplicazione renderebbe facile comprendere la mole di
manodopera occupata solamente in questo settore. A questo si
deve aggiungere l'importante settore della frutta
primaverile-estiva di varietà precoce e si deve ulteriormente
aggiungere il fatto che in alcune regioni tipicamente
frutticole d'Italia per l'elevato costo di produzione si è
smesso di produrre pesche, albicocche, susine ed altro.
Dunque, queste produzioni si sono delocalizzate verso il
Mezzogiorno d'Italia e verso la Basilicata ed il Metapontino
in particolare.
In definitiva, signor rappresentante del Governo, si
verifica un estremo paradosso per cui, mentre abbiamo - e
l'abbiamo davvero - una disoccupazione a due cifre molto
preoccupante, per lo svolgimento di tantissimi lavori non
abbiamo manodopera sufficiente, con il risultato che alcune
colture non vengono effettuate, proprio perché manca la
possibilità di eseguire le necessarie cure colturali.
Devo dire, a questo proposito, che la vera disoccupazione
del Mezzogiorno è quella di tipo intellettuale, poiché
esistono molti giovani che hanno conseguito un titolo di
studio, per il quale si sono impegnati, e che legittimamente
aspirano a svolgere un lavoro coerente con gli studi fatti,
mentre si è portati sempre a ritenere che quello legato
all'agricoltura sia un lavoro "vile" o comunque non
qualificato.
Signor Presidente, tenga conto che chi dirada le piante o
raccoglie la frutta può provocare all'azienda danni
incalcolabili, perché staccare dalla pianta, nella fase del
diradamento, il frutto sbagliato significa incidere in modo
pesante sulla qualità finale del prodotto, così come durante
la fase delicatissima della raccolta essere incapaci di
discernere il frutto che va staccato da quello che non va
staccato significa mandare sul mercato o un frutto acerbo,
sgradito al consumatore, che pesa di meno, è meno colorito, ha
meno zuccheri e quindi è anche meno salutare e utile per chi
lo mangia, oppure, al contrario, lasciare sulla pianta un
frutto che va raccolto e che, trascorso anche un solo giorno,
tende a "smaturare", per cui perde acqua e non può più essere
trasportato ed avviato ai mercati. Tutte queste operazioni
vanno fatte in una frazione di secondo: infatti, l'operatore,
che deve essere altamente professionalizzato, deve poter
decidere in una frazione di secondo dove deve dirigere la sua
mano. Non è un lavoro pesante, ma è un
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lavoro da specialisti. Allora non capisco perché non si
voglia estendere il lavoro interinale al settore
dell'agricoltura, per il quale sembra un abito tagliato su
misura. Se si considera che in agricoltura è tipica la
stagionalità di tanti interventi lavorativi; se si considera
l'estrema varietà pedoclimatica del nostro paese, per cui
questa stagionalità si moltiplica nelle varie regioni
d'Italia, c'è da chiedersi che cosa impedirebbe l'intervento
di agenzie specializzate, alle quali dobbiamo chiedere
certamente che venga garantito il salario contrattuale ed alle
quali altrettanto certamente dobbiamo chiedere che i
lavoratori siano adeguatamente assicurati e che i loro
contributi previdenziali vengano regolarmente versati. Perché
dobbiamo impedire che esistano queste agenzie che possono
rappresentare un'interfaccia fra la domanda e l'offerta del
lavoro e possono coprire l'arco delle varie stagioni, fornendo
un lavoro pressoché continuo ai lavoratori ed assicurando lo
svolgimento di determinante operazioni colturali, nel periodo
giusto, alle imprese che si occupano di questo tipo di
coltivazione?
Vi sono alcuni paradossi fra i quali anche la possibilità
di utilizzare manodopera extracomunitaria. Assistiamo ad un
atteggiamento spesso xenofobo da parte della destra, e a tale
proposito devo rilevare che gli immigrati, dalla destra,
vengono considerati - signor Presidente, mi scusi la
similitudine - come un vasino da notte: quando scappa la pipì,
lo si cerca affannosamente, ma dopo averla fatta, visto che
manda cattivo odore, lo si mette quanto più lontano possibile.
Questa è la considerazione degli immigrati che hanno alcuni
nostri onorevoli colleghi della destra e della Lega. Invece, è
vero il contrario: in tutti i paesi in cui vi è stata
immigrazione, a crescere e svilupparsi è stato principalmente
il paese e successivamente anche gli immigrati, quelli che
hanno avuto voglia di lavorare e capacità e inventiva per
sapersi inserire.
Signor Presidente, nel Mezzogiorno, in particolare in
alcune regioni che hanno una disoccupazione rilevante, accade
che i lavori agricoli non li voglia fare più nessuno.
Pertanto, dovremmo rinunciare ad un settore economico ancora
importante per quelle zone e che incide sulla produzione della
ricchezza e sulla bilancia commerciale agroalimentare del
nostro paese. Infatti, se dovessimo essere costretti ad
importare ulteriori quantità di derrate agricole,
provocheremmo un danno enorme al nostro paese, perché
impediremmo lo sviluppo sia della produzione sia dell'indotto
che ruota intorno all'agricoltura. Va tenuto conto che
impiantare un ettaro di fragoleto costa circa 60 milioni di
lire, le quali vanno a vantaggio di chi produce gli archi
delle serre, la plastica per coprirle, le piantine, i
trattori, i fertilizzanti, i fitofarmaci, e così via. In
pratica, l'indotto che ruota intorno a questo importante
settore fattura migliaia di miliardi e, se dovesse venir meno
la produzione, ne risentirebbe sfavorevolmente anche
l'economia di altre regioni d'Italia dove non si fa
agricoltura ma altro.
La domanda è d'obbligo: perché mai non dovremmo avere a
cuore le sorti di questo settore che produce bene e con una
professionalità che ci viene invidiata dagli altri paesi
europei? E' vero che vi sono paesi "rampanti" che producono
forse anche più di noi, ma sul piano della sicurezza
alimentare, della genuinità e della salubrità dei prodotti
ritengo che le produzioni italiane non abbiano nulla da
imparare da nessuno.
Signor Presidente, signor rappresentante del Governo,
abbiamo tentato, con uno strumento legislativo, di estendere
il lavoro interinale al settore agricolo. Lo abbiamo fatto in
modo maldestro con la legge n. 196 del 1997, che, all'articolo
1, comma 3, dà la possibilità di sperimentare il lavoro
interinale in agricoltura e nell'edilizia. Abbiamo fatto un
nuovo tentativo con l'articolo 64 della legge finanziaria per
il 2000 - la legge n. 488 del 1999 -, ma abbiamo limitato
questo aspetto agli impiegati. In agricoltura, di gente che
sta dietro la scrivania non ce n'è molta: ci sarà anche
qualcuno che fa servizi alle imprese, ma servono più che altro
braccia
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per coltivare la terra. Persone con la penna, in verità, ne
servono in quantità infinitamente minore.
Signor Presidente, poiché noi in modo maldestro abbiamo
tentato di dare una risposta, spero che il Governo voglia non
trincerarsi dietro l'ignoranza di chi non conosce i processi e
quindi li sottovaluta, ma voglia prendere atto che vi è un
mondo economico vitale, promettente, che rappresenta una
risorsa per aree del paese che hanno bisogno di crescere e di
svilupparsi; questo mondo economico non deve essere compresso,
le energie di questo mondo devono essere liberate e debbono
esserlo non agendo esclusivamente sul costo del lavoro ma
agendo sulla professionalità degli addetti. Perché se una
giornata di lavoro costa 50-60-70 o anche 100 mila lire, direi
che ciò è pressoché ininfluente; in altre parole se il costo
di un lavoratore, che è in grado di raccogliere per sua
capacità due o cinque quintali di frutta, è di 40 o di 100
mila lire, ciò non fa differenza ed allora noi dobbiamo
puntare su una professionalizzazione sempre maggiore.
I corsi professionali vanno fatti per queste qualifiche
professionali; bisogna creare delle agenzie che, saltando le
fasi burocratiche del collocamento, che è ancora farraginoso,
antimoderno e antiquato, consentano all'imprenditore di
disporre in tempo reale della manodopera necessaria,
consentano a quest'ultima di poter lavorare tutti i giorni e
impediscano addirittura l'evasione contributiva. E', infatti,
molto più facile controllare che una agenzia versi i
contributi previdenziali e assistenziali per tutti i suoi
dipendenti che andare a controllare 10 mila piccole imprese
sul territorio, ciascuna delle quali deve versare i propri
contributi.
In altre parole, dobbiamo superare una visione
assurdamente ideologica del problema; dobbiamo guardare alla
realtà delle questioni; dobbiamo, come Governo e come
Parlamento, dare risposte a questi temi che non possono
attendere e che causano solo danni senza che vi sia alcuna
utilità sia per i produttori sia per i lavoratori sia per il
paese.
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