| BRUNO SOLAROLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro,
il bilancio e la programmazione economica. Signor
Presidente, onorevoli colleghi, rispondere a questa
interpellanza, oltre che doveroso per ovvie ragioni
istituzionali, è in questo caso assai opportuno perché
consente di portare un po' di chiarezza su un tema che
ultimamente ha dato luogo a numerose polemiche ed a grida di
allarme (ho sentito il suo attacco "messo all'asta!": ma quale
messo all'asta!) prive di reale fondamento, come sarà facile
capire da quanto verrà qui detto. Il Ministero del tesoro, del
bilancio e della programmazione economica avrebbe ben
volentieri ceduto, non perché si trovi in difficoltà a
rispondere a questa o ad altre interpellanze ed
interrogazioni, il passo al Ministero per i beni e le attività
culturali; purtroppo, per titolarità di azione rispetto al
foro italico, è costretto a rispondere in via principale e
diretta.
Il foro italico è un complesso imponente che possiede un
indubbio valore urbanistico ed architettonico e che comprende
strutture preziose per la città ed i suoi abitanti. Si tratta,
però - qui dobbiamo metterci d'accordo -, come in Italia è
stato costume diffuso (costume che vorrei fosse abbandonato e
non ripristinato), di un bene la cui utilizzazione
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è stata affidata a scelte parziali ed occasionali, non
inserite in una strategia coerente, da un lato, con le sue
potenzialità e dall'altro, con le opportunità da offrire ai
cittadini. Basti riflettere sulla decisione, per così dire
eterodossa, di utilizzare una delle più pregevoli architetture
inserite in quel complesso come aula per processi di
particolare rilevanza.
Il primo Governo di questa legislatura affrontò subito,
nell'ambito della vasta strategia di interventi riformatori
contenuti nel suo programma, anche il tema dei beni demaniali
non utilizzati o utilizzati male. La questione, come si
ricorderà, era stata oggetto di dibattiti, ma anche di studi e
valutazioni sia di carattere tecnico, sia di carattere
economico e politico. Da decenni si ripeteva che lo Stato
possedeva patrimoni immobiliari colossali che né venivano
messi in vendita, né venivano utilizzati e che, quindi, pur
investendo potenzialità notevoli, viceversa rappresentavano
per l'erario, cioè per i cittadini, solo onerosissimi
costi.
Si trattava, dunque, di una questione economica il cui
significato, però, andava molto oltre gli aspetti puramente
finanziari. Ciò che veniva giustamente denunciato era
l'incapacità del potere pubblico di usare quei beni
nell'interesse della collettività sulla quale, al contrario,
venivano fatti gravare i costi dovuti soltanto
all'inefficienza. Non vi era, quindi, alcun beneficio per i
cittadini, ma vi erano soltanto costi per le casse
pubbliche.
Tale situazione venne affrontata dal Governo Prodi
attraverso la costituzione di una commissione che individuò
152 beni demaniali, ai quali venne attribuito un valore
commerciale di circa 2.000 miliardi, la cui dismissione ne
avrebbe consentito una proficua valorizzazione; fra quei beni
rientrava il complesso del foro italico. All'epoca non
emersero né polemiche, né contestazioni; al contrario, si
registrò qualche commento positivo per la prospettiva di una
nuova efficienza nell'utilizzo dei beni demaniali insieme, per
la verità, con qualche giustificato scetticismo sulla
possibilità concreta di tradurre in pratica gli intendimenti.
Tale scetticismo trovò poi conferma nelle difficoltà
incontrate dal Ministero del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica nell'attivare operativamente il
meccanismo dei fondi immobiliari nei quali erano stati
inseriti i primi beni demaniali disponibili. A quelle
difficoltà ha cercato di porre rimedio l'intervento
legislativo effettuato con l'ultima legge finanziaria, che
prevede procedimenti di vendita diretta attuabili per
decreto.
Nel marzo scorso, è stato firmato il decreto dei ministri
del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e
delle finanze necessario per attivare le procedure. Da allora
(si era prossimi alla campagna elettorale) è esplosa la
polemica. Gli argomenti messi in campo fino ad oggi fanno
riferimento, però, a rischi la cui consistenza, come è stato
detto all'inizio, è nulla. Si teme che Roma e i suoi cittadini
vengano privati di una risorsa preziosa; si teme che le
strutture del foro italico possano essere stravolte; si teme
che esse possano essere trasformate in centri commerciali; si
paventano intenti speculativi: nulla di tutto ciò ha
fondamento ed alcune argomentazioni contenute
nell'interpellanza sembrano anch'esse frutto di qualche
equivoco. Ad esempio, quando si paventa che lo sport italiano
ed il CONI verrebbero privati di una sede prestigiosa, si
interpreta l'intento del Governo in maniera completamente
rovesciata; ugualmente, quando si rivendica che il foro
italico è oggi in uso secondo la sua destinazione naturale, si
trascura che la sua utilizzazione riguarda solo una parte
limitata delle strutture e che anche le strutture utilizzate
lo sono in maniera parziale ed occasionale, oltreché in malo
modo. Ciò che l'iniziativa assunta per il foro italico dovrà
produrre è la fortissima valorizzazione di tutte le sue
strutture; la loro utilizzazione integrale da parte della
cittadinanza; il loro impiego per una molteplicità di usi che
saranno ovviamente sportivi (e quindi il CONI ha pieno titolo
per conservare i suoi spazi), ma anche di intrattenimento e di
arricchimento
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culturale. Ricordo che del foro italico fanno parte taluni
edifici pregiati, spazi verdi, campi sportivi, piscine.
Onorevole Testa, quanti sono oggi i romani che possono
usufruire di queste strutture, se si esclude il pubblico
domenicale per le partite di calcio? In Inghilterra, in
Francia, in Spagna e in Olanda abbiamo esempi clamorosi di
riconversioni di strutture paragonabili al foro italico ad usi
aperti al pubblico e meglio integrati nel tessuto sociale
delle città. Perché questo non dovrebbe accadere anche in
Italia?
Questi, onorevoli colleghi, sono gli obiettivi che
vogliamo perseguire e questo è ciò che accadrà se tale
processo potrà andare a compimento.
La trasformazione di un imponente complesso, oggi sotto
utilizzato e fruibile dalla collettività solamente in piccola
parte (sostanzialmente, solo per assistere alle partite di
calcio), in una grande struttura articolata e polivalente,
aperta alla cittadinanza, alle attività sportive,
professionali e dilettantistiche, a disposizione del tempo
libero di tutti come risorsa civile e culturale di una grande
capitale europea qual è Roma.
Onorevole Testa, se ho ben inteso le sue parole, mi pare
che gli obiettivi che si intendono raggiungere siano comuni.
Se l'obiettivo comune è quello di valorizzare tutte le
potenzialità di questa struttura a vantaggio della città e
delle attività sportive e culturali, non vorrei che ci
trovassimo però in posizioni opposte per cui, alla fine, lei
finirebbe per remare di fronte a coloro i quali, anche in
questo caso come in altri, vogliono conservare una struttura
inefficiente e male utilizzata! Tutto ciò, naturalmente, non
potrebbe avvenire gravando su risorse finanziarie pubbliche;
potrebbe, viceversa, avvenire con relativa facilità
convogliando su questo progetto capitali privati che a tal
fine possano trovare soddisfacente remunerazione. Ciò è quanto
viene fatto da anni all'estero ed è quanto è stato
raccomandato da tempo da tutte le scuole economiche a tutte le
forze politiche che hanno voce in Italia!
Quanto ai vincoli normativi che i deputati interpellanti
temono che siano violati, possiamo dare totale rassicurazione:
nessuno intende attuare colpi di mano; nessuno sta progettando
violazioni! Le procedure fin qui seguite hanno scrupolosamente
rispettato e attuato la normativa vigente. Adesso, il
Ministero per i beni culturali - che ha già espresso un primo
parere dicendo quali fossero i vincoli e quali fossero quindi
le parti del complesso vincolate e quali no: la maggioranza
sono vincolate, mi pare che siano nove su dodici - farà avere,
nei tempi previsti di altri tre mesi da quando ha espresso il
primo parere e da quando il Ministero ha richiesto il secondo
parere, il suo responso sui nove beni compresi nel compendio
per i quali ha dichiarato l'esistenza di interesse
storico-artistico; a quel responso verranno conformate le
decisioni successive.
In questo caso la procedura prevede l'obbligatorietà del
decreto che stabilisce quali siano i beni; l'invio dell'elenco
dei beni con le loro caratteristiche al Ministero per i beni
culturali; tre mesi di tempo perché tale Ministero segnali
quali siano i vincoli e quindi le parti vincolate e quelle non
vincolate (questa parte è stata fatta: mi pare che nove parti
su dodici abbiano vincoli). Poi occorreranno altri tre mesi
per decidere quali siano gli ostacoli, anche rispetto ai
processi di eventuale alienazione, cui quei vincoli comportano
(oltre che all'utilizzo, ovviamente). Ciò significa che
qualsiasi operazione venga decisa e intrapresa non potrà che
essere condizionata a vincoli stringenti sulla destinazione
d'uso, sulle valutazioni da introdurre e sul coordinamento che
dovrà essere instaurato con il comune di Roma e con gli altri
soggetti pubblici coinvolti, per garantire nel modo più certo
il raggiungimento delle finalità perseguite, a vantaggio
esclusivo della collettività. Per concludere (ma lo dico solo
per dare un'informazione anche se l'onorevole Testa ne è ben
consapevole, perché credo che abbiamo vissuto quest'esperienza
dallo stesso punto di osservazione), è bene ricordare che le
operazioni finanziarie
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(aspetto che io considero secondario) relative al foro
italico sono già inserite nel bilancio 2000. Ciò significa che
il Parlamento, le autorità legali e l'intera cittadinanza
devono avere le più ampie garanzie su ciò che verrà fatto, ma
che ogni ritardo e ogni rallentamento legati a polemiche
infondate o a timori privi di riscontro rappresenteranno un
danno per i cittadini, per la città di Roma e per il bilancio
dello Stato. Comunque, in conclusione, posso garantire che c'è
una procedura in atto. Una volta raccolti i pareri definitivi
del Ministero per i beni culturali sull'efficacia e sul valore
dei vincoli da rispettare e una volta raccolti anche gli
interessi del mondo culturale e sportivo che ruota attorno al
foro italico (non c'è solo il CONI, ma anche la terza
università di Roma), si deciderà come procedere, ma nel
rispetto dei vincoli e cercando di realizzare un obiettivo di
piena valorizzazione e di utilizzo di alto livello di quel
complesso che ha un valore che nessuno disconosce.
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