| Onorevoli Colleghi! - Nel marzo 1995, in uno
scantinato di Francavilla Fontana, centro del brindisino,
venivano sorprese ventidue operaie poco più che bambine,
intente alla confezione di camicie che sarebbero poi state
commercializzate da grandi marchi della moda pronta nazionale.
Secondo le indagini compiute dai carabinieri queste bambine
lavoravano, tutti i giorni, dalle otto di mattina alle sette
di sera, per una paga giornaliera di quattordicimila lire.
Tale situazione, emersa in questo episodio di cronaca, non
risulta essere però frutto di circostanze isolate e limitate.
In quella cittadina, infatti, decine di laboratori sono
destinati a questa forma di produzione decentrata, tanto che
Francavilla Fontana viene definita la "patria delle camicie"
ed i fenomeni di sfruttamento sembrano essere diffusi. Già nel
1994 due imprenditori tessili furono arrestati con l'accusa di
sequestro di persona per avere segregato le operaie fino al
termine del lavoro, chiudendole a chiave nel laboratorio.
Si tratta di episodi gravi, collocati in un contesto di
estremo disagio economico e sociale, entro modelli di sviluppo
economico distorto, dove alla necessità di percepire un
reddito vengono sacrificati i più elementari diritti mettendo
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a rischio soprattutto i soggetti più deboli, ed in particolare
le giovani donne.
Si tratta di un contesto ove le illegalità nel mercato del
lavoro sono diffuse, non solo nel settore tessile, ma anche in
agricoltura e nella cantieristica meccanica ed edile. Un
contesto ove è difficile persino un censimento delle attività
economiche e dell'occupazione, data la condizione di
clandestinità di molti laboratori ed officine o l'abusività
dei cantieri determinata dall'intreccio della loro attività
con l'economia criminale ed il riciclaggio di denaro
sporco.
Emerge dunque un quadro in cui il confine fra legalità ed
illegalità è estremamente sottile mentre la condizione di
lavoro, in particolare dei minori, rappresenta la cartina di
tornasole di una situazione in cui la ricerca esasperata del
profitto ad ogni costo, intrecciata con il disagio e
l'esclusione, contribuisce a creare quella miscela esplosiva
che mina sempre più alla radice il livello di coesione sociale
del nostro paese.
L'episodio di Francavilla Fontana è dunque solo la punta
di un iceberg di un fenomeno poco conosciuto in tutte le
sue dimensioni ed implicazioni di natura sociale, che non
coinvolge soltanto il Mezzogiorno ed è oggi drammaticamente
connesso anche con il fenomeno dell'immigrazione.
Si registra dunque l'assenza di azioni politiche
specificatamente rivolte a ridurre il disagio sociale
dell'infanzia ed in grado quindi di contrastare efficacemente
il fenomeno, a partire da una decisa battaglia contro lo
sfruttamento del lavoro minorile.
La presente proposta di legge, pur non intervenendo sugli
aspetti sociali più ampi che motivano il fenomeno dello
sfruttamento dei minori, individua le indispensabili misure
per colpire in maniera penalmente rilevante coloro che
sfruttano il lavoro minorile sia individualmente che in
maniera associata. Questa misura si rende necessaria quale
deterrente, mentre l'introduzione del reato di tipo
associativo vuole sottolineare la contiguità fra la
criminalità organizzata e le organizzazioni che sfruttano in
forma di attività economica, formalmente legale, il lavoro dei
minori.
Una nuova frontiera viene inoltre aperta per colpire
l'utilizzo dei minori in spettacoli cinematografici o
televisivi che possano essere gravemente lesivi della
formazione psichica e morale. Si tratta questa di una
necessità indotta in particolare dall'espandersi sempre più
preoccupante dell'impiego di minori in spettacoli di carattere
pornografico.
Altro elemento strettamente intrecciato con lo
sfruttamento del lavoro minorile è il fenomeno della
dispersione scolastica.
Per quanto attiene, ad esempio, all'istruzione elementare,
il tasso medio nazionale degli alunni non valutati per
interruzione della frequenza scolastica in corso d'anno, per
motivi non conosciuti dalla scuola era, relativamente all'anno
scolastico 1992-1993, dello 0,07.
In alcune regioni del Mezzogiorno tale tasso si raddoppia
o addirittura si triplica: si pensi al 0,15 della Campania,
allo 0,17 della Calabria, allo 0,20 della Sicilia. Quale
termine di paragone si noti che nelle regioni del nord-est
tale tasso è praticamente vicino allo zero, ed in tutto il
centro-nord non supera mai la media nazionale.
Appare evidente che tale questione necessita di interventi
di natura legislativa complessi, che riguardano sia la sfera
del funzionamento dell'istruzione pubblica che di sostegno
sociale. La presente proposta di legge si limita ad una misura
che, pur non agendo sulle cause più profonde del fenomeno,
introduce tuttavia il deterrente dell'arresto fino ad un anno
e con l'ammenda fino a due milioni.
L'assassinio del dodicenne pakistano Iqbal Masih, divenuto
simbolo della lotta contro lo sfruttamento del lavoro minorile
nella confezione di tappeti, ha disvelato al mondo intero una
situazione intollerabile. Iqbal, dopo essere stato incatenato
per dieci anni ad un telaio, con l'obbligo di intrecciare 10
mila nodi al giorno per una paga quotidiana di 55 lire, si è
ribellato al suo stato di schiavitù diventando un leader del
"Fronte di liberazione dal lavoro forzato" in nome di altri
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otto milioni di suoi coetanei che lavorano in Pakistan in
analoghe condizioni. Per questo è stato ucciso.
Questo fenomeno, di proporzioni immani, si parla infatti
di cento-duecento milioni di bambini coinvolti nel mondo in
forme di sfruttamento abbietto, è chiaramente il frutto di uno
sviluppo diseguale e distorto sul piano internazionale. E'
l'altra faccia dell'esasperata ondata liberista che,
nell'estrema mobilità di capitali e merci, basa la possibilità
di competizione sulla compressione dei costi di produzione e
del lavoro in primo luogo. Ciò avviene troppo spesso in
spregio di normative di protezione sociale, di sicurezza, di
diritti sindacali. Il " dumping sociale" diviene così
pratica normale nell'economia di mercato di fine secolo.
L'oggettiva difficoltà ad intervenire su una problematica
così complessa non può far venir meno l'esigenza da parte di
interventi degli Stati nazionali e degli organismi
internazionali affinché l'attività economica non produca, nel
suo sviluppo, così palesi ed evidenti violazioni della dignità
umana. Si avverte, in altri termini, l'esigenza di atti, anche
segnati dall'unilateralità e dal volontarismo, che tuttavia si
propongano di indicare soluzioni possibili ai fini di
un'inversione di tendenza.
La questione dell'introduzione di una "clausola sociale"
negli accordi commerciali internazionali era stata già
dibattuta in seno all'" Uruguay Round ", non trovando
sufficienti consensi e punti di equilibrio fra gli interessi
del mondo industrializzato e quelli dei paesi del terzo mondo,
timorosi, questi ultimi, che una normativa eccessivamente
vincolante finisse per vanificare i vantaggi derivanti dalla
caduta di barriere protezionistiche da parte dei Paesi
sviluppati.
Esiste tuttavia un precedente significativo, costituito
dall'articolo 22 dell'accordo GATT, che impone misure
restrittive per i beni prodotti con il lavoro carcerario. Il
senso della "clausola sociale" è quello di estendere tali
restrizioni a tutti i beni prodotti in assenza del rispetto di
quelle convenzioni dell'Organizzazione internazionale del
lavoro (OIL) che costituiscono il corpus dei diritti
fondamentali del lavoro: interdizione del lavoro minorile, del
lavoro forzato, garanzia dei diritti sindacali, assenza di
discriminazioni di razza, sesso, religione o credo
politico.
La presente proposta di legge raccoglie dunque questa
ispirazione proponendo che l'Italia, in via unilaterale e come
contributo ad una necessaria ed auspicata soluzione di
carattere internazionale, bandisca dal proprio territorio
merci prodotte in assenza di tali garanzie minime.
La presente proposta di legge non contraddice l'impegno
alla ricerca di soluzioni più articolate che si propongano non
solo azioni sanzionatorie ma anche di promozione di migliori
condizioni nei paesi terzi, oltre che la definizione di
strumenti internazionali di monitoraggio, controllo ed
informazione, evitando i rischi, sempre presenti, che nel
quadro così distorto dell'economia mondiale i vincoli di
giustizia sociale finiscano per produrre, sulle popolazioni
più povere, effetti ancor più negativi dei mali che abbiamo
denunciato. Resta tuttavia davanti al nostro Paese una grande
battaglia di civiltà e giustizia, che deve essere combattuta
con ogni mezzo ed a cui questa proposta vuole portare un
contributo.
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