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Testi integrali degli Atti Parlamentari della XIII Legislatura

Documento


156
DDL0004-0002
Relazione Camera n. 4-A quater - di minoranza - (DDL13-4-A-quater)
(suddiviso in 7 Unità Documento)
Unità Documento n.2 (che inizia a pag.5 dello stampato)
...C4Aquater, C280Aquater, C1653Aquater, C2493bisAquater, C3390Aquater, C3883Aquater, C3952Aquater, C4397Aquater, C4416Aquater, C4552Aquater. TESTIPDL
...C4Aquater, C280Aquater, C1653Aquater, C2493bisAquater, C3390Aquater, C3883Aquater, C3952Aquater, C4397Aquater, C4416Aquater, C4552Aquater.
RELAZIONE
ZZDDL ZZDDLC ZZNAVA ZZMIN4 ZZDDLC4A4 ZZ13 ZZRL ZZMI
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     Onorevoli Colleghi! - Il testo unificato approvato dalla
  Commissione è, in sostanza, una delega.  Sono convinta che più
  apporti, più idee, più esperienze come quelle che sarebbero
  potute venire da una discussione in Parlamento, in ogni punto
  di questa riforma che ha in sé grandi implicazioni, avrebbero
  portato ad una legge capace di "capire", di "comprendere", il
  presente per dare fondamento alla nostra scuola, alla scuola
  dei nostri giovani, dei docenti che aspettano questa riforma
  da decenni, di chi nella società attende dalla scuola e dagli
  studi nella scuola una base larga e profonda per le necessità
  di oggi e per la società a venire.
     Allora si sarebbe parlato di riforma, questo era nelle
  aspettative, non di un riordino.  Il riordino, tuttavia,
  diventa riforma del Governo per delega.  Significa che il
  Governo può metterci di suo la sostanza, i particolari e le
  linee settoriali, e questo fuori del Parlamento, al di fuori
  delle forze vive del Paese, delle rappresentanze.  Il Governo
  farà il meglio, mi si può obiettare.  Ma il Governo è una parte
  non è il tutto del nostro Paese.  Il Governo è l'organo che
  deve mettere in atto le decisioni del Parlamento, a meno che
  la Costituzione non sia cambiata o che non la si voglia
  cambiare, magari tacitamente, con le innumerevoli deleghe
  ormai nelle mani del Governo per infinite questioni, settori e
  problemi.  Basta vedere le deleghe delle leggi "Bassanini".
     Il testo unificato sul riordino dei cicli dell'istruzione
  contiene pochi articoli per "riformare" l'intero sistema di
  istruzione in Italia.  Significa che si tratta, in pratica, di
  una delega in bianco: quali saranno i contenuti reali, gli
  assetti, i settori, i programmi?
     Noi abbiamo bisogno di una scuola che oggi sia cardine e
  motore, non tanto e non solo per acquisizioni di conoscenze,
  di competenze chiuse in sé, quanto per acquisizioni di
  conoscenze e capacità tali da proiettare il periodo formativo
  a scuola oltre la scuola stessa.  Le intenzioni di agganciare
  la scuola alla società fanno da muro alla scuola stessa.  La
  società, infatti, va molto più in fretta di qualsiasi scuola,
  in qualsiasi paese.  Giustamente e necessariamente.  Ma una
  scuola che sia tale andrà oltre il presente perché avrà dato
  ai giovani affinamenti di capacità, orientamenti critici ed
  altro che possono avere valore molto oltre il diploma e la
  gioventù.
     Fare dei nostri giovani dei docili esecutori proprio per
  quelle "capacità, conoscenze, competenze" adeguate?  O dare ai
  nostri giovani strumenti e possibilità tali da far agire le
  loro capacità e conoscenze nella apertura a società e a
  cittadinanze più piene e meno discriminanti, nella ricerca di
  strade anche nuove e diverse rispetto a quelle che stiamo
  percorrendo?  Che non sono le migliori possibili, tutt'altro, o
  per lo meno non è detto che lo siano.
     Gli ordinamenti e la riforma dei cicli scolastici sono
  solo la forma giuridica e organizzativa che la scuola prende
  quando essa si concretizza in legge.  La riforma reale della
  scuola è molto più complessa e non può esaurirsi nella
  discussione dei contenitori giuridici e organizzativi.
     La scuola deve, infatti, produrre uno sguardo critico sul
  mondo.  Vediamo.
  L'infanzia.
     E' necessario che una proposta parta dall'analisi sociale,
  da una riflessione su come nel nostro tempo si sono
 
                               Pag. 6
 
  trasformate le età della vita, quale ritmo ha preso la
  crescita umana, quali peculiarità prendono oggi l'infanzia,
  l'adolescenza e la condizione giovanile.  La scuola accompagna
  l'organizzazione dei tempi di vita dei ragazzi e delle loro
  società.  Quali bisogni è possibile leggere nell'organizzazione
  dei tempi della nostra vita?  E come ci si può ad essi riferire
  per fare riforma della scuola?
     L'infanzia è il primo terreno di verifica.  Il nostro è un
  secolo che ha giocato non a favore dell'infanzia, ma per una
  progressiva marginalità dei bambini e delle bambine.
  L'autonomia infantile è, ci pare, il punto su cui ragionare.
  Come può la scuola garantire un passaggio delicato tra la
  famiglia e l'affidamento ad altri adulti, gli insegnanti, per
  la formazione del piccolo cittadino.  La famiglia è una risorsa
  primaria, emotiva ed educativa, per i piccoli, ma l'autonomia
  dal senso proprietario che inevitabilmente i genitori
  esercitano sui piccoli è un primo passo verso l'acquisizione
  della cittadinanza.  Con quali tempi della scuola, in quali
  anni, con quale scansione di orari e di ritmi si devono
  affidare i piccoli alla scuola: questo dovrebbe costituire il
  primo tratto della riforma.
     Pensando ad una scolarizzazione precoce si pensa
  erroneamente ad una precoce accelerazione degli apprendimenti
  cognitivi.  Non deve essere così.  Nei nidi e nella scuola
  dell'infanzia il problema è la socializzazione e l'innesto di
  esperienze di relazione, è la conduzione dei bambini e delle
  bambine in un universo di linguaggi più differenziato e più
  ricco di quello familiare.  Nidi e scuola dell'infanzia
  rimuovono le prime differenze e possono evitare i primi
  ritardi rispetto alla scuola che verrà.  L'ultimo anno
  obbligatorio della scuola dell'infanzia è una dichiarazione
  dell'importanza di questo intervento precoce.  Certo se la
  proposta non si accompagna ad un impegno dello Stato per la
  scuola pubblica per tutti i bambini, si incorre nel paradosso
  di una scuola obbligatoria, ma che obbliga, in assenza di
  scuole pubbliche, ad utilizzare la scuola privata.
     La scuola di base unitaria ci pare buona cosa.  Pensiamo
  che sia opportuno un ritmo più semplice di quanto propone il
  Governo.  Un ciclo di quattro anni, da sei fino a nove anni, a
  tempo pieno, unitario nel progetto e nell'impianto
  educativo.
     Il tempo pieno non è solo un modulo organizzativo, ma
  un'occasione per i bambini di esperienze educative globali.  La
  formazione della mente vive insieme alla formazione alle
  relazioni, al gioco, alla creatività: a tempo pieno
  appunto.
  L'adolescenza.
     Pensiamo ad un ulteriore ciclo di quattro anni, fino a
  tredici anni, in cui si prenda il problema della adolescenza
  come punto di riferimento.  Una scuola più individualizzata nei
  percorsi, più adattata alle differenze personali e culturali
  degli adolescenti.  Una scuola delle ragazze e dei ragazzi, che
  tra apprendimento ed esperienza educativa si danno gli
  strumenti per la formazione di un io personale certo.  E' una
  scuola in cui deve vivere la didattica di progetto e una forte
  articolazione temporale, regolata dall'autonomia didattica e
  dall'autogoverno dei tempi.  Una scuola in cui si insegna
  tramite laboratori, in cui le relazioni della classe si
  intrecciano con ritmi organizzativi più articolati, sia per i
  tempi e gli orari sia per i contenuti.
     Nel testo unificato approvato dalla Commissione appare con
  forza una convinta adesione alle idee portanti del mondo
  imprenditoriale sulla formazione.  Scuola della flessibilità,
  addestramento e orientamento precoce.  Ma vediamo con ordine.
  Innanzi tutto l'obbligatorietà.  Se si scegliesse di innalzare
  la scuola obbligatoria fino a quindici anni, di fatto non solo
  non si avrebbe una reale dilatazione della frequenza degli
  studenti, ma paradossalmente un titolo di studio a quindici
  anni indurrebbe ad una uscita precoce e anticipata molte
  ragazze e ragazzi, convinti che la scuola non è per loro,
  oppure illusi da scelte di orientamento al lavoro già operate
  nel senso comune della famiglia.
     Un livello così basso di scolarità si arrende
  all'ideologia ancora confindustriale di una "didattica breve"
 
                               Pag. 7
 
  in vista di una disponibilità al lavoro precario, saltuario,
  appunto la flessibilità, nuova magia dell'orizzonte dei nostri
  ceti imprenditoriali che non vedono altra possibilità per lo
  sviluppo.  In questa ottica si legge anche la proposta
  dell'apprendistato del testo uscito dalla commissione.
  Subalternità culturale al Patto del lavoro, ancora.  Non si può
  condividere.  La stiamo contrastando nell'azione parlamentare
  e, ci pare, sia sul punto del lavoro precario sia su quello di
  una scuola resa variabile dipendente dall'economia e del
  pragmatismo d'impresa, un punto strategicamente perdente per
  l'avvenire del paese.
     La secondaria deve iniziare con un biennio obbligatorio
  fino a sedici anni.  Deve essere il secondo momento, dopo il
  primo livello della scuola di base, di consolidamento unitario
  delle conoscenze.  Devono essere semplificati i curriculi di
  apprendimento; il lavoro, la società, la tecnica, i linguaggi
  e la conoscenza della natura devono essere oggetto critico
  della ricerca culturale dei giovani e non obiettivo di
  adeguamento subalterno.  Questa ci pare l'uscita positiva
  dall'impostazione gentiliana della scuola.  La scuola deve
  essere poi giocata, nel triennio successivo, tra studio e
  prime esperienze di avvicinamento al lavoro.  In prospettiva
  obbligatoria fino a 18 anni.
     Questa è la prospettiva realistica di allineamento agli
  altri sistemi formativi europei.  Una scuola che si riorganizza
  nei tempi, comincia ad adattarsi per diventare il primo
  livello di un ulteriore passo della formazione, a carattere
  permanente, non più solo rivolta ai giovani, ma capace di
  offrire ai bisogni di sviluppo delle persone, in ogni età
  della vita, un riferimento culturale e formativo.
                       Maria LENTI,  Relatore di minoranza.
 
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