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Onorevoli Colleghi! - Il testo unificato approvato dalla
Commissione è, in sostanza, una delega. Sono convinta che più
apporti, più idee, più esperienze come quelle che sarebbero
potute venire da una discussione in Parlamento, in ogni punto
di questa riforma che ha in sé grandi implicazioni, avrebbero
portato ad una legge capace di "capire", di "comprendere", il
presente per dare fondamento alla nostra scuola, alla scuola
dei nostri giovani, dei docenti che aspettano questa riforma
da decenni, di chi nella società attende dalla scuola e dagli
studi nella scuola una base larga e profonda per le necessità
di oggi e per la società a venire.
Allora si sarebbe parlato di riforma, questo era nelle
aspettative, non di un riordino. Il riordino, tuttavia,
diventa riforma del Governo per delega. Significa che il
Governo può metterci di suo la sostanza, i particolari e le
linee settoriali, e questo fuori del Parlamento, al di fuori
delle forze vive del Paese, delle rappresentanze. Il Governo
farà il meglio, mi si può obiettare. Ma il Governo è una parte
non è il tutto del nostro Paese. Il Governo è l'organo che
deve mettere in atto le decisioni del Parlamento, a meno che
la Costituzione non sia cambiata o che non la si voglia
cambiare, magari tacitamente, con le innumerevoli deleghe
ormai nelle mani del Governo per infinite questioni, settori e
problemi. Basta vedere le deleghe delle leggi "Bassanini".
Il testo unificato sul riordino dei cicli dell'istruzione
contiene pochi articoli per "riformare" l'intero sistema di
istruzione in Italia. Significa che si tratta, in pratica, di
una delega in bianco: quali saranno i contenuti reali, gli
assetti, i settori, i programmi?
Noi abbiamo bisogno di una scuola che oggi sia cardine e
motore, non tanto e non solo per acquisizioni di conoscenze,
di competenze chiuse in sé, quanto per acquisizioni di
conoscenze e capacità tali da proiettare il periodo formativo
a scuola oltre la scuola stessa. Le intenzioni di agganciare
la scuola alla società fanno da muro alla scuola stessa. La
società, infatti, va molto più in fretta di qualsiasi scuola,
in qualsiasi paese. Giustamente e necessariamente. Ma una
scuola che sia tale andrà oltre il presente perché avrà dato
ai giovani affinamenti di capacità, orientamenti critici ed
altro che possono avere valore molto oltre il diploma e la
gioventù.
Fare dei nostri giovani dei docili esecutori proprio per
quelle "capacità, conoscenze, competenze" adeguate? O dare ai
nostri giovani strumenti e possibilità tali da far agire le
loro capacità e conoscenze nella apertura a società e a
cittadinanze più piene e meno discriminanti, nella ricerca di
strade anche nuove e diverse rispetto a quelle che stiamo
percorrendo? Che non sono le migliori possibili, tutt'altro, o
per lo meno non è detto che lo siano.
Gli ordinamenti e la riforma dei cicli scolastici sono
solo la forma giuridica e organizzativa che la scuola prende
quando essa si concretizza in legge. La riforma reale della
scuola è molto più complessa e non può esaurirsi nella
discussione dei contenitori giuridici e organizzativi.
La scuola deve, infatti, produrre uno sguardo critico sul
mondo. Vediamo.
L'infanzia.
E' necessario che una proposta parta dall'analisi sociale,
da una riflessione su come nel nostro tempo si sono
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trasformate le età della vita, quale ritmo ha preso la
crescita umana, quali peculiarità prendono oggi l'infanzia,
l'adolescenza e la condizione giovanile. La scuola accompagna
l'organizzazione dei tempi di vita dei ragazzi e delle loro
società. Quali bisogni è possibile leggere nell'organizzazione
dei tempi della nostra vita? E come ci si può ad essi riferire
per fare riforma della scuola?
L'infanzia è il primo terreno di verifica. Il nostro è un
secolo che ha giocato non a favore dell'infanzia, ma per una
progressiva marginalità dei bambini e delle bambine.
L'autonomia infantile è, ci pare, il punto su cui ragionare.
Come può la scuola garantire un passaggio delicato tra la
famiglia e l'affidamento ad altri adulti, gli insegnanti, per
la formazione del piccolo cittadino. La famiglia è una risorsa
primaria, emotiva ed educativa, per i piccoli, ma l'autonomia
dal senso proprietario che inevitabilmente i genitori
esercitano sui piccoli è un primo passo verso l'acquisizione
della cittadinanza. Con quali tempi della scuola, in quali
anni, con quale scansione di orari e di ritmi si devono
affidare i piccoli alla scuola: questo dovrebbe costituire il
primo tratto della riforma.
Pensando ad una scolarizzazione precoce si pensa
erroneamente ad una precoce accelerazione degli apprendimenti
cognitivi. Non deve essere così. Nei nidi e nella scuola
dell'infanzia il problema è la socializzazione e l'innesto di
esperienze di relazione, è la conduzione dei bambini e delle
bambine in un universo di linguaggi più differenziato e più
ricco di quello familiare. Nidi e scuola dell'infanzia
rimuovono le prime differenze e possono evitare i primi
ritardi rispetto alla scuola che verrà. L'ultimo anno
obbligatorio della scuola dell'infanzia è una dichiarazione
dell'importanza di questo intervento precoce. Certo se la
proposta non si accompagna ad un impegno dello Stato per la
scuola pubblica per tutti i bambini, si incorre nel paradosso
di una scuola obbligatoria, ma che obbliga, in assenza di
scuole pubbliche, ad utilizzare la scuola privata.
La scuola di base unitaria ci pare buona cosa. Pensiamo
che sia opportuno un ritmo più semplice di quanto propone il
Governo. Un ciclo di quattro anni, da sei fino a nove anni, a
tempo pieno, unitario nel progetto e nell'impianto
educativo.
Il tempo pieno non è solo un modulo organizzativo, ma
un'occasione per i bambini di esperienze educative globali. La
formazione della mente vive insieme alla formazione alle
relazioni, al gioco, alla creatività: a tempo pieno
appunto.
L'adolescenza.
Pensiamo ad un ulteriore ciclo di quattro anni, fino a
tredici anni, in cui si prenda il problema della adolescenza
come punto di riferimento. Una scuola più individualizzata nei
percorsi, più adattata alle differenze personali e culturali
degli adolescenti. Una scuola delle ragazze e dei ragazzi, che
tra apprendimento ed esperienza educativa si danno gli
strumenti per la formazione di un io personale certo. E' una
scuola in cui deve vivere la didattica di progetto e una forte
articolazione temporale, regolata dall'autonomia didattica e
dall'autogoverno dei tempi. Una scuola in cui si insegna
tramite laboratori, in cui le relazioni della classe si
intrecciano con ritmi organizzativi più articolati, sia per i
tempi e gli orari sia per i contenuti.
Nel testo unificato approvato dalla Commissione appare con
forza una convinta adesione alle idee portanti del mondo
imprenditoriale sulla formazione. Scuola della flessibilità,
addestramento e orientamento precoce. Ma vediamo con ordine.
Innanzi tutto l'obbligatorietà. Se si scegliesse di innalzare
la scuola obbligatoria fino a quindici anni, di fatto non solo
non si avrebbe una reale dilatazione della frequenza degli
studenti, ma paradossalmente un titolo di studio a quindici
anni indurrebbe ad una uscita precoce e anticipata molte
ragazze e ragazzi, convinti che la scuola non è per loro,
oppure illusi da scelte di orientamento al lavoro già operate
nel senso comune della famiglia.
Un livello così basso di scolarità si arrende
all'ideologia ancora confindustriale di una "didattica breve"
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in vista di una disponibilità al lavoro precario, saltuario,
appunto la flessibilità, nuova magia dell'orizzonte dei nostri
ceti imprenditoriali che non vedono altra possibilità per lo
sviluppo. In questa ottica si legge anche la proposta
dell'apprendistato del testo uscito dalla commissione.
Subalternità culturale al Patto del lavoro, ancora. Non si può
condividere. La stiamo contrastando nell'azione parlamentare
e, ci pare, sia sul punto del lavoro precario sia su quello di
una scuola resa variabile dipendente dall'economia e del
pragmatismo d'impresa, un punto strategicamente perdente per
l'avvenire del paese.
La secondaria deve iniziare con un biennio obbligatorio
fino a sedici anni. Deve essere il secondo momento, dopo il
primo livello della scuola di base, di consolidamento unitario
delle conoscenze. Devono essere semplificati i curriculi di
apprendimento; il lavoro, la società, la tecnica, i linguaggi
e la conoscenza della natura devono essere oggetto critico
della ricerca culturale dei giovani e non obiettivo di
adeguamento subalterno. Questa ci pare l'uscita positiva
dall'impostazione gentiliana della scuola. La scuola deve
essere poi giocata, nel triennio successivo, tra studio e
prime esperienze di avvicinamento al lavoro. In prospettiva
obbligatoria fino a 18 anni.
Questa è la prospettiva realistica di allineamento agli
altri sistemi formativi europei. Una scuola che si riorganizza
nei tempi, comincia ad adattarsi per diventare il primo
livello di un ulteriore passo della formazione, a carattere
permanente, non più solo rivolta ai giovani, ma capace di
offrire ai bisogni di sviluppo delle persone, in ogni età
della vita, un riferimento culturale e formativo.
Maria LENTI, Relatore di minoranza.
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