| Onorevoli Deputati! - Il principio di
uguaglianza costituisce il cardine della moderna civiltà
giuridica e il frutto di una lunga evoluzione storica. Non
discriminazione tra gli esseri umani sia come singoli, sia in
quanto gruppi sociali (minoranze etniche) è divenuto -
giustamente - imperativo etico-civile fondamentale. Non sempre
è stato così. In altri tempi, ad esempio, agli schiavi, ai
negri e persino alle donne non veniva riconosciuta la
personalità giuridica.
Oggi il principio di non discriminazione deve essere
riconosciuto nell'ambito delle diverse età e condizioni di una
medesima esistenza umana, particolarmente con riferimento alle
fasi apparentemente marginali: quella della vita nascente,
morente e sofferente. Si tratta di riconoscere, anche
nell'ambito giuridico, che embrione, feto, neonato, bambino,
ragazzo, adolescente, giovane, adulto, anziano, vecchio sono
diversi nomi con cui si indica una identica realtà, un
identico soggetto, lo stesso essere personale, lo stesso uomo.
Soprattutto la vita umana prenatale è sottoposta a rischi di
varia natura. Urge una completa disciplina dell'intervento
manipolatore dell'uomo nell'ambito della genetica. Per questo
è preliminare la definizione dello "statuto giuridico
dell'embrione umano", come richiesto anche dal Parlamento
europeo nelle due risoluzioni del 16 marzo 1989 sui problemi
etici e giuridici della ingegneria genetica e della
procreazione artificiale umana. Anche nel campo dell'aborto,
dove nella riflessione giuridica si accavallano e si combinano
in vario modo concetti diversi ("stato di necessità",
"conflitto di diritti e di interessi", "tutela della vita",
"autodeterminazione della donna", "servizio sociale") è
indispensabile individuare con chiarezza il significato
giuridico dell'essere umano nella fase più
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giovane della sua
esistenza. Lo esige la stessa legge 22 maggio 1978, n. 194, la
cui affermazione iniziale ("la Repubblica tutela la vita umana
fin dal suo inizio") deve meglio essere precisata.
Il trasferimento del principio di eguaglianza (o di non
discriminazione) nell'ambito giuridico implica il
riconoscimento della soggettività giuridica ad ogni essere
umano in quanto tale, indipendentemente da qualsiasi
condizione o circostanza. La soggettività (detta anche
personalità o capacità) giuridica implica l'attitudine ad
essere titolari di diritti o doveri. Non è necessaria la
titolarità attuale, è sufficiente la possibilità anche in
futuro. Ogni uomo, ad esempio, può avere il diritto di
proprietà, anche se in atto non possiede nulla. In ogni caso è
sufficiente anche l'attribuzione di un solo diritto per
riconoscere la personalità giuridica. Essa, infatti, è
definita anche come "centro di riferimento di diritti o
doveri".
L'articolo 1 del codice civile dice, attualmente, che "la
capacità giuridica si acquista dal momento della nascita", ma
subito aggiunge: "i diritti che la legge riconosce al
concepito sono subordinati all'evento della nascita". Una tale
formulazione, di origine romanistica, ha suscitato una
quantità enorme di discussioni. Come si può escludere la
"capacità" del concepito, se gli si riconoscono dei diritti?
In ogni caso la norma è stata scritta quando ancora non
esistevano le moderne discussioni sullo "statuto giuridico
dell'embrione umano" e tanto meno le problematiche sulla
manipolazione genetica, sulla procreazione artificiale e
sull'aborto, così come oggi vengono poste. Inoltre il citato
articolo 1 è stato pensato soltanto con riferimento al diritto
privato e cioè prevalentemente agli aspetti patrimoniali. Ma
la personalità giuridica è unica e si estende ad ogni ambito
del diritto, sia privato che pubblico. Se si riconosce - come
ha fatto la sentenza n. 25 del 1975 della Corte costituzionale
- che anche il concepito è titolare del diritto alla vita,
garantito a livello costituzionale dall'articolo 2 della
Costituzione ("La Repubblica riconosce e garantisce i diritti
dell'uomo"), come si fa ad escluderne - già secondo il diritto
positivo vigente - la soggettività giuridica? Del resto nello
stesso codice civile, quale modificato dalla riforma del
diritto di famiglia del 1975, a parte le disposizioni
patrimoniali in tema di successione e donazione a favore del
concepito, esiste una norma - l'articolo 254 - che riconosce
indirettamente il carattere personale del concepito in quanto
consente il riconoscimento del figlio naturale, in un
qualsiasi momento successivo al concepimento.
Queste riflessioni inducono a proporre una modifica (tanto
piccola formalmente quanto intensa dal punto di vista
contenutistico) dell'articolo 1, primo comma, del codice
civile. Si tratta di stabilire che ogni uomo ha la capacità
giuridica in quanto uomo, cioè che la soggettività giuridica
ha origine dal concepimento e non dalla nascita. Si ritiene
peraltro di non dover intervenire nella complessa disciplina
dei diritti patrimoniali legati alle successioni e alle
donazioni, per i quali l'eliminazione della condizione della
nascita comporterebbe mutamenti complessi nel regime
successorio, che meglio dovrebbero essere valutati. Va perciò
introdotto al secondo comma del medesimo articolo 1
l'aggettivo "patrimoniale". Senza di esso, infatti,
resterebbero irrisolte le attuali discussioni sulla
soggettività giuridica generale del concepito. Con la
modifica, invece, nessun dubbio resta sulla completa
attribuzione al concepito dei diritti personali (alla vita, ma
anche alla famiglia ed alla identità genetica) mentre per
quelli patrimoniali può restare la condizione della
nascita.
A nessuno può sfuggire l'altissimo significato della
proposta, che intende portare a compimento - almeno dal punto
di vista della cultura giuridica - il moto vasto e complesso
di tutta la storia alle nostre spalle verso l'eguaglianza di
tutti gli esseri umani.
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