| Onorevoli Deputati! - Il provvedimento costituisce la
reiterazione dei decreti-legge 15 novembre 1993, n. 455, 14
gennaio 1994, n. 23, 17 marzo 1994, n. 176, 16 maggio 1994, n.
291, 15 luglio 1994, n. 447, 8 settembre 1994, n. 535, 9
novembre 1994, n. 627, 13 gennaio 1995, n. 7, 13 marzo 1995,
n. 69, 12 maggio 1995, n. 165, 7 luglio 1995, n. 276, 7
settembre 1995, n. 374, 8 novembre 1995, n. 466, e 8 gennaio
1996, n. 9, decaduti per mancata conversione; al pari dei
precedenti, intende dare attuazione alla revisione
dell'articolo 68 della Costituzione operata con la legge
costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3. Rimane ferma, ed anzi
rafforzata, la ragione che aveva già spinto a scegliere la
procedura d'urgenza, consistente nella necessità di assicurare
che la norma costituzionale fosse prontamente accompagnata da
disposizioni atte a definirne le modalità operative.
Quanto ai contenuti, peraltro, il testo normativo presenta
rilevanti elementi di novità rispetto a quello dei precedenti
decreti-legge. Per il debito ossequio alla volontà
parlamentare, il Governo ha infatti ritenuto di dover
riproporre, nella circostanza - salve limitate varianti intese
a migliorare la formulazione delle singole disposizioni dal
punto di vista strettamente tecnico - il testo approvato dal
Senato in sede di conversione del decreto-legge 8 gennaio
1996, n. 9, che apporta ampie modifiche all'originario
articolato governativo. Ciò pur nella consapevolezza che il
dibattito parlamentare e le incertezze cui dà adito
l'interpretazione del dettato costituzionale imporranno,
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verosimilmente, una ulteriore riflessione in ordine a
determinate soluzioni di particolare delicatezza, soprattutto
per quanto attiene alla ricerca dei giusti punti di equilibrio
fra esigenze del procedimento giurisdizionale e prerogative
parlamentari.
L'articolo 1 sostituisce il secondo periodo dell'articolo
343, comma 3, del codice di procedura penale, già contenente
una disciplina specifica per il caso in cui la necessità
dell'autorizzazione a procedere concernesse un membro del
Parlamento e della Corte costituzionale. Alla luce del nuovo
regime delle immunità introdotto dalla citata legge
costituzionale n. 3 del 1993, tale disciplina viene surrogata
con un più generico rinvio alle speciali e prevalenti
disposizioni dettate, in materia, da fonti di rango
costituzionale.
L'articolo 2 attiene all'immunità sostanziale prevista dal
primo comma dell'articolo 68 della Costituzione in rapporto
alle opinioni espresse ed ai voti dati nell'esercizio delle
funzioni parlamentari.
Al riguardo, il comma 1, rispondendo ad una esigenza
avvertita nella pratica, chiarisce anzitutto che la citata
disposizione costituzionale trova comunque applicazione in
rapporto agli atti tipici attraverso cui si esplicano le
predette funzioni, senza peraltro escludere la possibilità che
l'immunità si estenda anche ad attività divulgative connesse
svolte fuori del Parlamento, delle quali è cenno nel
successivo comma 3.
Quanto alla valutazione circa l'applicabilità della norma
costituzionale nel singolo caso concreto, essa viene rimessa
principalmente alla Camera di appartenenza del parlamentare,
in applicazione del principio, espresso anche dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 1150 del 1988, secondo cui le
prerogative parlamentari implicano il potere dell'organo, a
cui tutela sono poste, di valutarne l'effettiva ricorrenza.
Il meccanismo procedurale all'uopo prefigurato è
finalizzato, da un lato, ad evitare "interferenze"
nell'esercizio da parte del Parlamento e della magistratura
dei rispettivi poteri, e, dall'altro, ad assicurare una
sollecita decisione sulla questione.
Più in dettaglio, il comma 2 stabilisce, in via
preliminare, l'obbligo del giudice di procedere alla immediata
separazione dei procedimenti giurisdizionali, nei quali è
rilevata o eccepita l'applicabilità dell'articolo 68, primo
comma, della Costituzione, dagli eventuali procedimenti
riuniti.
Ai sensi del comma 3, il giudice dichiara direttamente
l'esistenza dell'ipotesi di insindacabilità, senza necessità
di preventivo interpello della Camera di appartenenza del
parlamentare, in tutti i casi in cui ne ravvisi i presupposti.
Lo stesso comma precisa, poi, in rapporto al tipo di
procedimento ed alle sue fasi, la forma che il provvedimento è
destinato ad assumere, dettando, altresì, con specifico
riferimento al processo civile, disposizioni volte a rendere
più celere la pronuncia.
L'opposta ipotesi, in cui il giudice ritenga cioè non
fondata l'eccezione di applicabilità della disposizione
costituzionale, trova disciplina nel successivo comma 4. In
tal caso, il giudice provvede con ordinanza non impugnabile
(da emettere senza ritardo, o, se si tratti di processo
civile, nella stessa udienza o nei cinque giorni successivi),
disponendo la trasmissione degli atti alla Camera alla quale
il membro del Parlamento appartiene o apparteneva al momento
del fatto, affinché deliberi se quest'ultimo concerna o meno
opinioni espresse o voti dati nell'esercizio delle funzioni
parlamentari.
La predetta trasmissione - che avviene "direttamente"
(ossia senza il tramite ministeriale e gerarchico) - comporta,
a norma del comma 5, la sospensione del procedimento, fino
alla deliberazione della Camera, e comunque, ad evitare troppo
lunghe situazioni di stasi, per un periodo non superiore a
novanta giorni, prorogabile di ulteriori trenta giorni dalla
Camera competente. La sospensione non impedisce, peraltro, il
compimento degli atti urgenti.
Il comma 6 aggiunge che quando la questione sorge nel
corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero
trasmette entro dieci giorni gli atti al giudice (per le
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indagini preliminari), perché provveda a norma dei precedenti
commi 3 e 4.
Si prevede, inoltre, al comma 7, che la Camera possa
essere investita della questione dell'applicabilità
dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, anche
direttamente dal parlamentare interessato. In tale ipotesi,
peraltro, la sospensione del procedimento ha luogo solo
qualora la Camera ne faccia richiesta.
In ogni caso in cui la Camera affermi l'operatività del
disposto costituzionale, l'autorità giudiziaria è tenuta a
conformarsi alla deliberazione, salvo che venga sollevato
conflitto di attribuzione, con effetto sospensivo del
procedimento (comma 8).
Da ultimo, il comma 9 estende la disciplina sopra
delineata anche ai procedimenti disciplinari, nel limite della
compatibilità.
L'articolo 3 reca le disposizioni attuative del secondo e
terzo comma dell'articolo 68 della Costituzione. Si è
preferita, in proposito, la collocazione della norma extra
codicem, poiché, a fronte della nuova lettura del dettato
costituzionale, vertendosi in ipotesi di autorizzazione al
compimento di specifici atti, si è fuori dell'ambito delle
"condizioni di procedibilità" e, dunque, delle possibili
integrazioni alla disciplina degli articoli 343 e 344 del
codice di procedura penale.
Non si è ritenuto praticabile, d'altra parte,
l'inserimento della previsione nel libro del codice dedicato
ai soggetti (e, specificamente, nel titolo relativo
all'imputato), in quanto l'autorizzazione va richiesta anche
per atti che, pur relativi a procedimenti nei quali il
parlamentare non assume la qualità di "indagato" o di
imputato, incidono comunque sulle garanzie riservate al membri
del Parlamento (si pensi, così, ad una intercettazione
sull'utenza telefonica del parlamentare disposta in rapporto
ad altra persona "indagata" che con lui conviva). Né, infine,
è parso opportuno inserire la norma nell'ambito delle
disposizioni in materia di indagini preliminari, in quanto
l'autorizzazione può essere richiesta anche in altre fasi del
procedimento.
La soluzione adottata prevede che l'obbligo di proporre la
richiesta ricada sull'autorità che ha emesso il provvedimento
e che la richiesta medesima debba essere formulata con
riferimento all'atto concreto da eseguire, anziché con
generico riguardo al tipo di atto che si intende disporre.
La scelta di imporre l'autorizzazione della Camera per
ogni specifico atto "particolarmente garantito" da eseguire è
rigorosamente in linea con la previsione costituzionale;
mentre quella di demandare la richiesta all'autorità che ha
emesso il provvedimento si spiega, da un lato, con la
opportunità di non far pronunciare il Parlamento su richieste
che potrebbero non essere accolte dall'autorità competente e,
dall'altro, di non "vincolare" quest'ultima alle scelte del
Parlamento. In aderenza alle ricordate modifiche apportate dal
Senato al decreto-legge n. 9 del 1996, si è fatto riferimento
generico all'"autorità", anziché all'"autorità giudiziaria",
onde abbracciare nell'ambito applicativo della norma anche le
ipotesi in cui un provvedimento incidente, lato sensu,
sulla libertà personale possa essere adottato dall'autorità
amministrativa (un esempio potrebbe essere costituito dal
foglio di via obbligatorio, di competenza del questore).
Anche in questo caso, si è inoltre previsto che la
richiesta di autorizzazione sia rivolta "direttamente" al
Parlamento, eliminando così, rispetto all'autorità
giudiziaria, sia il tramite del Ministero di grazia e
giustizia, sia quello gerarchico: e ciò nell'ottica di
ottenere la massima contrazione dei tempi procedurali, in
risposta ad una esigenza tanto più avvertita nell'ambito della
nuova disciplina, in cui l'autorizzazione concerne singoli e
specifici atti, l'efficacia dei quali spesso dipende dalla
rapidità di esecuzione.
L'articolo 4 riguarda tanto l'ordinanza prevista
dall'articolo 2, comma 4, quanto la richiesta di
autorizzazione prevista dall'articolo 3. Con riferimento ad
entrambi gli atti si prevede che l'autorità competente enunci
il fatto oggetto del procedimento, indicando le eventuali
norme di cui si assume la violazione, e fornisca alla Camera
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gli elementi sui quali il provvedimento si fonda. La norma
indirettamente chiarisce che tali elementi sono ostensibili
all'assemblea, mentre gli atti eventualmente trasmessi - che
possono risultare coperti da segreto, particolarmente
nell'ipotesi di cui all'articolo 2, comma 6 - sono conoscibili
solo dalla Giunta per le autorizzazioni. Spetterà ai
regolamenti parlamentari dettare le opportune norme
organizzative in materia, in guisa da tutelare adeguatamente
le esigenze di segretezza delle indagini.
L'articolo 5 contiene una disciplina totalmente innovativa
attinente alle intercettazioni "non mirate" (eseguite, cioè,
nell'ambito di procedimenti riguardanti terzi e su utenze non
proprie del parlamentare) di conversazioni o comunicazioni cui
il parlamentare medesimo abbia preso parte: intercettazioni
insuscettive, per intuitive ragioni, di ricadere nell'ambito
di applicazione delle disposizioni in tema di autorizzazione
preventiva dettate dall'articolo 3.
In proposito, le nuove disposizioni si muovono in duplice
direzione. Da un lato, cioè, dissipando i possibili dubbi
circa la riferibilità a tali intercettazioni della guarentigia
prevista dal terzo comma dell'articolo 68 della Costituzione,
si prevede che, qualora intenda utilizzare le intercettazioni
in discorso, l'autorità giudiziaria (formula atta a
comprendere anche, ed in primis, il pubblico ministero,
essendo normalmente il giudice già intervenuto in precedenza)
debba richiedere, sia pure in via successiva rispetto
all'esecuzione dell'operazione, l'autorizzazione alla Camera
di appartenenza del parlamentare. Tale richiesta deve essere
formulata entro dieci giorni dalla ricezione dei verbali e
delle registrazioni, in modo tale da evitare che - una volta
"scoperto" che una data utenza è destinataria, magari
abituale, di comunicazioni del membro del Parlamento - la
prosecuzione delle intercettazioni possa tradursi in una
surrettizia elusione delle prescrizioni dell'articolo 3.
Dall'altro lato, onde evitare che vengano rese di pubblico
dominio intercettazioni che pure sono destinate a non essere
utilizzate nel procedimento, o perché irrilevanti in rapporto
a quest'ultimo, o perche l'autorizzazione alla loro
utilizzazione è stata negata dalla Camera, si stabilisce che i
relativi verbali e registrazioni non possano essere oggetto di
deposito a norma dell'articolo 268, commi 4 e 5, del codice di
procedura penale - deposito a seguito del quale il loro
contenuto diverrebbe liberamente pubblicabile (articoli 114,
comma 7, e 329, comma 1, del codice di procedura penale) - se
non dopo l'ottenimento dell'autorizzazione.
Nell'intento di prevenire, comunque, un eccessivo
allungamento dei tempi del procedimento, viene delineato un
meccanismo di silenzio-assenso, in forza del quale, decorso il
termine di sessanta giorni dalla richiesta di autorizzazione
senza che la Camera abbia provveduto, l'autorità giudiziaria è
facultata a reiterare la richiesta stessa; mentre, se neppure
nei sessanta giorni successivi alla reiterazione interviene il
diniego, l'autorizzazione si intende concessa.
Da ultimo, a maggior tutela della riservatezza del
parlamentare, viene stabilito che, nei casi in cui - per le
ragioni sopra indicate - le intercettazioni risultino
inutilizzabili, debba disporsi l'immediata distruzione della
relativa documentazione.
Sempre in riferimento alla materia delle intercettazioni
"non mirate", l'articolo 6 stabilisce, con disposizione a
carattere transitorio, che la disciplina di cui all'articolo 5
trovi applicazione anche nei procedimenti in corso alla data
di entrata in vigore del decreto, salvo che le intercettazioni
siano già state utilizzate in giudizio. Viene opportunamente
precisato, altresì, che l'avvenuto compimento delle attività
di cui al comma 2 del medesimo articolo 5 - ossia la ricezione
dei verbali e delle registrazioni da parte dell'autorità
giudiziaria ed il loro deposito a norma dell'articolo 268,
commi 4 e 5, del codice di procedura penale - non costituisce
ragione di esonero dall'obbligo di richiedere
l'autorizzazione.
L'articolo 7 fissa la data di entrata in vigore del
provvedimento.
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