Banche dati professionali (ex 3270)
Testi integrali degli Atti Parlamentari della XIII Legislatura

Documento


194980
SMC0769-0178
Bollettino Giunte e Commissioni n. 769 del 7 marzo 2001 - edizione definitiva - (SMC13-769)
(suddiviso in 225 Unità Documento)
Unità Documento n.178 (che inizia a pag.218 dello stampato)
               ...COMMISSIONE PARLAMENTARE
                         DI INCHIESTA
       sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite
                       ad esso connesse
 
 
...UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI
...SMALTIMENTO RIFIUTI E BONIFICA SITI CONTAMINATI. LAVCOMM
...SMALTIMENTO RIFIUTI E BONIFICA SITI CONTAMINATI.
DOCUMENTO SULLE TECNOLOGIE RELATIVE ALLO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI ED ALLA BONIFICA DEI SITI CONTAMINATI
ZZSMC ZZRES ZZSMC070301 ZZSMC010307 ZZSMC000301 ZZSMC000001 ZZSMC769 ZZ13 ZZD ZZTX ZZC39 ZZNO ZZXX
             (Relatore: senatore Franco Asciutti)
  PREMESSA.
      Con l'avvicinarsi della chiusura dei lavori della XIII
  legislatura, è necessario fare un bilancio sullo stato
  dell'arte delle tecnologie di smaltimento dei rifiuti e sulla
  bonifica dei siti contaminati, utilizzando il bagaglio di
  esperienze e di informazioni acquisito dalla Commissione nel
  corso di specifici sopralluoghi presso gli impianti che
  producono o gestiscono lo smaltimento o la bonifica, durante
  gli incontri e le audizioni delle associazioni degli
  industriali locali, delle forze di polizia giudiziaria, della
  magistratura, dei prefetti, delle associazioni ambientaliste,
  dei comitati dei cittadini, degli operatori del settore , dei
  consorzi, di tutte quelle realtà, cioè, che nella problematica
  dello smaltimento e della bonifica sono coinvolti a diversi
  livelli di responsabilità.  Nel presente documento si è
  pertanto tenuto conto delle relazioni tematiche già emanate
  dalla Commissione in materia di amianto, di rifiuti solidi
  urbani, di rifiuti ospedalieri, di rifiuti industriali, di
  incentivi alle aziende che operano traguardando allo sviluppo
  sostenibile e ai principi dell'Emas (Environmental management
  Audit Scheme) o che si sottopongono volontaristicamente alle
  procedure di certificazione del sito e dell'attività.  In
  sostanza la Commissione, nel corso dei suoi tre anni di
  lavoro, ha sempre guardato con estremo interesse al panorama
  nazionale dell'imprenditoria nel settore dei rifiuti e delle
  bonifiche, studiandone le evoluzioni, cercando di cogliere
  segnali ed evidenze che facessero capire se essa stesse
  percorrendo la strada di un sistema industriale di gestione
  dei rifiuti tecnologicamente avanzato,   in grado di
  realizzare una vera e propria gestione integrata del ciclo
  globale non solo dei rifiuti urbani ma soprattutto di quelli
  speciali industriali.  Occorre a questo punto riflettere sulla
  considerazione che i rifiuti speciali industriali, per qualità
  e quantità in gioco, costituiscono il vero problema da
  affrontare, senza con ciò minimizzare sulle realtà
  emergenziali dei rifiuti solidi urbani che affliggono al
  momento 4 grandi regioni del sud del Paese e che proprio in
  questi giorni si sono estremamente amplificate nella regione
  Campania.  L'argomento della gestione dei rifiuti nell'ottica
  di uno sviluppo sostenibile, è stato di cosi grande interesse
  per la Commissione che questa, a conferma di quanto illustrato
  in un dibattito alla Camera dei deputati nel novembre 1999 dal
  Presidente Scalia con la relazione sul biennio di attività
  della Commissione, ha organizzato a Milano il 29 giugno 2000,
  presso l'Università Bocconi, il convegno- dibattito "Verso un
  sistema
 
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  industriale per la gestione dei rifiuti".  Il decreto
  legislativo n. 22/97 ha recepito 3 importanti direttive
  comunitarie in materia di rifiuti ed imballaggi (91/186,
  91/685 e 94/62/CE).  Ha rappresentato un punto di svolta
  epocale per la gestione dei rifiuti che era impostata,
  unicamente, sulla filosofia dello smaltimento (rifiuto a
  perdere) spostando il baricentro delle attività sui temi del
  recupero e del riciclo.  Senza facili ottimismi si può
  affermare che, a quattro anni dall'entrata in vigore della
  riforma, il settore dei rifiuti sta entrando in una fase di
  profonde e radicali trasformazioni che dovrebbero consentirgli
  di superare gli attuali limiti strutturali e tecnologici che
  sono all'origine della scarsa qualità ambientale dei servizi
  erogati a fronte di costi elevati e crescenti (fenomeno molto
  più accentuato nelle regioni del Mezzogiorno).  La situazione
  di partenza d'altronde era di estrema arretratezza con alcune
  patologie tipiche di sistemi pubblici "protetti", come sono i
  servizi ambientali nel nostro Paese, con una forte regolazione
  ambientale ed una regolazione economica insufficiente.  Ciò che
  appare oggi necessario, come riconoscono tutti gli
  osservatori, è un sistema di gestione integrata in grado di
  farsi carico, con continuità ed in modo economicamente ed
  ecologicamente sostenibile, del problema dei rifiuti
  affermando, concretamente, i principi comunitari: riduzione
  all'origine, riuso, riciclo e recupero di materiali ed energia
  di cui lo smaltimento in sicurezza rappresenta la fase finale
  e residuale dell'intero ciclo.  C'è la necessità di superare
  alcuni ritardi, costituiti in particolare dal completamento
  della normativa attuativa prevista dal decreto legislativo n.
  22/97 (rifiuti pericolosi, compost, cdr, assimilabilità,
  discariche, ecc.) dal recepimento da parte delle regioni del
  quadro normativo, adeguando i rispettivi piani di gestione dei
  rifiuti dalla definizione degli ambiti territoriali ottimali
  (ATO) (avviati timidamente in pochissime realtà), dalla
  realizzazione di un sistema di impianti integrato e
  tecnologicamente avanzato.  Gravi e numerose sono altresì le
  deviazioni da un sistema corretto di gestione che producono
  gravi danni ambientali, a volte irreversibili.  La produzione
  nazionale di rifiuti viene stimata dalla Commissione in circa
  108 milioni di tonnellate di cui irca 28 di rifiuti solidi
  urbani e il rimanente di rifiuti speciali pericolosi e non
  pericolosi.  Il sistema di smaltimento nazionale già a partire
  dagli anni '80 ha mostrato forti carenze e lacune ,
  alimentando le attività e i traffici illegali assai lucrosi
  della malavita organizzata.  La Commissione valuta che oltre il
  30% di rifiuti speciali industriali non sia gestito
  correttamente o lo sia in maniera illecita per cui almeno 35
  milioni di tonnellate non si conosce il destino finale.  Le
  cifre del "fatturato in nero" sono allarmanti e sono stimate
  dalla Commissione in circa 15.000 miliardi l'anno con una
  evasione di almeno 2000 miliardi da parte del circuito
  illegale.  Nel settore della termodistruzione in cui fino agli
  anni '80 l'Italia aveva investito in ricerca e tecnologie , il
  non efficace abbattimento delle diossine e dei furani emessi
  dagli inceneritori di prima generazione, alimentava la
  "sindrome di Seveso", la paura cioè delle popolazioni per la
  dispersione in ambiente delle diossine come nell'incidente
  Icmesa di Seveso.  Qesta situazione è alla base della perdita,
  nel nostro Paese,dell'innovazione nel campo tecnologico, della
  ricerca e dello sviluppo, nel momento in cui, nel resto
  dell'Europa, si sviluppavano tecnologie di combustione
 
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  e di abbattimento delle emissioni in grado di garantire i
  limiti assai stringenti imposti dalle direttive comunitarie in
  tema di emissioni.  Ancora oggi, nel nostro Paese, il ricorso
  alla discarica rimane, per il 79%, circa la via di smaltimento
  preferita mentre la termodistruzione è ferma al 6.6%, valore
  che colloca l'Italia come fanalino di coda di tutti i Paesi
  europei in cui il ricorso alla termodistruzione si attesta
  intorno ad un valore medio del 25%.  Il nostro parco
  impiantistico, mostra ormai i suoi anni ed è pressoché
  inadeguato, se si escludono come vedremo, alcuni casi di
  eccellenza per cui è sempre più difficile e costoso contenere
  le emissioni entro i limiti di legge.  La situazione appare
  meno drammatica di quanto in effetti sia poichè non sempre i
  controlli delle ARPA vengono effettuati sugli impianti con la
  necessaria frequenza e attenzione.  A fronte di un deficit
  impiantistico, si segnalano iniziative da parte dei privati
  che operano con i loro impianti di trattamento o all'interno
  di grandi aziende o con proprie piattaforme e di alcuni comuni
  come quello di Modena da tempo impegnati nei trattamenti.  Il
  ruolo degli Enti di ricerca quali Enea e CNR, si è dimostrato
  negli ultimi tempi in grado di reagire e sviluppare alcune
  tecnologie , alcune delle quali brevettate, per il trattamento
  di termodistruzione di prodotti organici e di inertizzazione
  dei rifiuti pericolosi industriali come per esempio l'amianto.
  La presa di coscienza, da parte della Commissione, di tale
  situazione deficitaria a livello nazionale, ha stimolato i
  Commissari ad effettuare dei confronti con le altre realtà
  gestionali dei Paesi del nord Europa recandosi in visita, nel
  mese di settembre 2000, presso alcuni siti di trattamento
  della Germania, Finlandia, Svezia, Danimarca, al fine anche di
  verificare l'esistenza di un sistema industriale per la
  gestione integrata dei rifiuti.  Di certo, la cultura nord
  europea ( statunitense e canadese nel caso dei Paesi d'oltre
  Oceano), mostra di essere più avanzata, più strutturata e
  interiorizzata rispetto alla nostra.  Anche il sistema delle
  filiere, apprezzabile per certi versi per i risultati
  raggiunti sul versante degli imballaggi derivanti dal sistema
  produttivo, non è ancora ad un livello adeguato sul versante
  delle filiere da raccolte differenziate comunali, risentendo
  delle difficoltà iniziali per organizzare il CONAI e soffrendo
  la mancanza di un mercato consistente del recupero dei
  materiali.  Certo è comunque che il rallentamento che ancora si
  registra nelle operazioni di riciclo e in quelle di
  riciclaggio nelle filiere, ha risentito del ricorso alle
  procedure semplificate da parte della imprenditoria degli
  ecofurbi che ha colto l'occasione per realizzare ricicli
  virtuali e non virtuosi di materiali con evidenti danni per
  l'ambiente e con attività truffaldine, come purtroppo la
  Commissione ha avuto modo di verificare in più occasioni, "de
  visu".  Alcune filiere inoltre, come quella della plastica,
  contrariamente a quella dell'alluminio assai profittevole e ad
  alto risparmio energetico, non sembrano economicamente
  appetibili per il riciclo materiale, atteso che la plastica di
  riciclo sfiora il costo della materia prima vergine e le sue
  caratteristiche meccaniche si deteriorano notevolmente a
  partire dal terzo ciclo di recupero, anche se è possibile in
  alcuni casi specifici spingersi a ricicli superiori alle tre
  volte.  Occorre tuttavia rilevare qualche caso di eccellenza
  riferibile all'attività di alcune aziende quali la Cobea di
  Bergamo e la Ecoselecta che opera in Trentino-Alto Adige e che
  si stanno sempre
 
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  più imponendo sul mercato per il riciclo delle plastiche nel
  settore del PET e di altri polimeri plastici.  La Ecoselecta,
  peraltro, ha vinto un progetto Life della Comunità europea in
  materia di riciclo.In alcuni casi, può essere economicamente
  più profittevole in tema di rapporto costi/benefici, l'avvio
  dei materiali plastici alla termodistruzione con recupero
  energetico.  Occorre però ricordare che proprio per tali
  materiali, in ogni caso contenenti significative percentuali
  di cloro, la combustione determina i maggiori problemi
  ambientali e sanitari in rapporto alle già ricordate
  condizioni medie del nostro parco di inceneritori.  Ritardi
  sensibili si osservano anche nel settore della raccolta
  differenziata delle frazioni secche ed umide dei rifiuti
  solidi urbani e dell'impiantistica esistente ad esso
  correlata, in alcuni casi obsoleta e che, di là dai valori
  previsti dalla normativa, si attesta mediamente al 14% a
  livello nazionale.  Un dato preoccupante da segnalare e che non
  facilità di certo il consenso delle popolazioni alla
  installazione di qualsivoglia impianto di trattamento o di
  recupero di rifiuti è una sorta di  ipersensibilità,  da
  qualche tempo ingeneratasi nella popolazione che vive anche in
  realtà urbane o suburbane degradate.  Si tratta di una vera e
  propria sindrome  Nimby   (Not in my backyard)  che
  esaspera gli animi, non aiuta e incoraggia l'imprenditoria e
  favorisce i lucrosi affari della malavita organizzata.  Il caso
  eclatante della Campania di questi giorni è sotto gli occhi di
  tutti, dove, in molte situazioni, gli amministratori -sindaci
  in testa- hanno addirittura respinto la localizzazione in aree
  industriali di impianti di vagliatura e di compostaggio, a
  basso impatto ambientale, e, in ogni caso, necessari per
  evitare di trasformare la crisi dei rifiuti in emergenza
  sanitaria.  Il confronto con i Paesi nord europei ci vede, al
  momento e per quanto sopra detto, perdenti non solo in
  riferimento alla quantità degli impianti in esercizio ma anche
  alla qualità tecnologica.  Non appare diversa la situazione per
  ciò che riguarda le tecnologie di bonifica dei siti
  contaminati in quanto, oltre ai ritardi accumulati nella
  emanazione della norma attuativa, si registra ancora un basso
  interesse da parte della imprenditoria nostrana.  Non è
  difficile infatti vedere all'opera aziende straniere (europee
  e americane) che per tempo hanno sviluppato tecnologie in
  situ, on site ed off site in grado di soddisfare tutte le
  esigenze delle imprese chiamate a bonificare i propri siti.  La
  contaminazione dei suoli e dei sottosuoli peraltro, nel nostro
  Paese, è assai diffusa.  Almeno 15 siti sono stati dichiarati
  di importanza nazionale e quindi i relativi progetti di
  bonifica sono avocati a sè dal Ministero dell'ambiente (che, a
  fronte di un primo finanziamento di circa 560 miliardi con la
  legge n. 426/98 ha stanziato con l'ultima manovra finanziaria
  un ulteriore finanziamento di circa 500 miliardi) presso il
  quale solo ora, a seguito dell'ultima legge finanziaria, si
  sta formando una commissione di esperti per valutarli.  I
  grandi siti contaminati sono quelli di aziende come l'Enichem
  di Porto Marghera, di Priolo, di Gela, di Brindisi, come
  l'Acna di Cengio, come altri siti della costiera domiziana
  compromessi dagli interramenti abusivi di rifiuti pericolosi,
  come gli impianti di Bagnoli etc.  A questi "grandi" siti
  contaminati occorre aggiungere quelli derivanti dai censimenti
  ai senso del decreto del ministero dell'Ambiente del 16 maggio
  1989 e quelli assai diffusi e derivanti dalla dismissione dei
 
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  serbatoi interrati del settore petrolifero della
  distribuzione e vendita di carburanti.  In tale settore,
  infatti, sono previsti almeno 25000 interventi per il prossimo
  futuro.  In conclusione si deve constatare che il sistema
  Italia è in forte ritardo nel settore dello smaltimento e
  dell'impiantistica ad esso correlata, mostra forti dipendenze
  dalle tecnologie straniere, anche se all'orizzonte cominciano
  a profilarsi iniziative di privati e degli Enti di ricerca in
  grado di mettere a disposizione impianti e innovazioni
  tecnologiche.
                          CAPITOLO I
  4.1  LE TECNOLOGIE DEL CICLO DEI RIFIUTI
        LA NORMATIVA NAZIONALE SULLA GESTIONE DEI
  RIFIUTI.
      Tutte le operazioni di impianto relative allo smaltimento
  e al recupero dei rifiuti, nonché quelle relative alla
  bonifica dei siti contaminati sono regolate, per ciò che
  riguarda le autorizzazioni e/o le comunicazioni, dal decreto
  legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.  Infatti, all'articolo 27
  dello stesso, si fa riferimento esplicito "alla approvazione
  del progetto degli impianti di smaltimento e di recupero dei
  rifiuti".  L'articolo 28 tratta invece della "autorizzazione
  all'esercizio di smaltimento e recupero", mentre l'articolo29
  è relativo "all'autorizzazione di impianti di ricerca e
  sperimentazione".  L'articolo 33 regolamenta inoltre le
  operazioni di recupero, mentre il decreto del Ministero
  dell'Ambiente del 5 febbraio 1998 si riferisce alle norme
  tecniche per il recupero dei rifiuti non pericolosi come
  materiali con procedure semplificate.  La deliberazione del
  Comitato interministeriale del 27 luglio 1984, ancora vigente,
  contiene le disposizioni per la prima applicazione
  dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 10
  settembre 1982 n. 915 e concerne lo smaltimento dei rifiuti.
  La Commissione deve rilevare che l'attuale ricorso alla
  disciplina attuativa del 1984 sopra specificato, oltre che
  incompatibile con i dettami e le finalità del decreto
  legislativo n. 22/97, potrebbe altresì causare dei pregiudizi
  per l'ambiente e la salute pubblica.  Infatti va evidenziato
  che il decreto legislativo n. 22/97 ha ampliato le classi di
  pericolosità dei rifiuti dalle due previste dal decreto del
  Presidente della Repubblican. 915/82 (tossicità e nocività)
  alle 14 attuali, tra cui vanno certamente ricompresi rifiuti,
  quali per esempio, i fanghi di alchilazione, le sode esauste
  ed altri.  Per tali rifiuti è fatto oggi divieto di smaltimento
  secondo i criteri e le concentrazioni imposti dall'allegato A
  del decreto del Presidente della Repubblica n. 915/82, cui la
  deliberazione del 27.7.84 fa riferimento. Né d'altra parte
  appare corretto il ricorso al sistema dei codici CER in questo
  specifico settore perché, per un verso quei codici rispondono
  a criteri e finalità ben diversi (criteri definiti dalle norme
  sull'etichettatura), per l'altro, proprio quel codice contiene
  in sé l'indicazione della natura pericolosa del rifiuto.  Si
  rende pertanto necessario un intervento deciso del Governo per
 
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  colmare la contraddizione insita nel sistema, attraverso
  l'emanazione della norma di attuazione prevista.  Ciò anche al
  fine di consentire la possibilità di controlli univoci nel
  settore.  In attesa dell'auspicato intervento normativo di cui
  sopra, la Commissione ritiene opportuno evidenziare come
  l'utilizzo di tecnologie di trattamento e recupero dei rifiuti
  consentirebbe, se applicato correttamente, quantomeno di
  minimizzare gli effetti pregiudizievoli causati dal ricorso
  alla vecchia normativa.  Va inoltre evidenziato che,
  relativamente alle disposizioni generali dettate dal Decreto
  legislativo n. 22/97, sono vigenti anche le norme seguenti
  norme integrative:
        DM 19 novembre 1997 n. 503 " Regolamento recante norme
  per l'attuazione delle direttive 89/369/CEE e 89/429/CEE ,
  concernenti la prevenzione dell'inquinamento atmosferico
  provocato dagli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e
  la disciplina delle emissioni e delle condizioni di
  combustione degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani,
  di rifiuti speciali non pericolosi, nonché di taluni rifiuti
  sanitari"
        DM 20 novembre 1997 n. 476 " Regolamento recante norme
  per il recepimento delle direttive 91/157/CEE e 93/68/CEE in
  materia di pile ed accumulatori contenenti sostanze
  pericolose"
        Decreto legislativo 22 maggio 1999 n. 209 " Attuazione
  della direttiva 96/59/CE relativa allo smaltimento dei
  policlorodifenili e dei policlorotrifenili (PCB/PCT)"
        DM n. 124 del 25 febbraio 2000 " Regolamento recante i
  valori limite di emissione e le norme tecniche riguardanti le
  caratteristiche e le condizioni di esercizio degli impianti di
  incenerimento e coincenerimento dei rifiuti pericolosi in
  attuazione della direttiva 94//67//CE ai sensi del decreto del
  Presidente della Repubblica 24/05/88 n. 203 e del Decereto
  legislativo n. 22/97".
        LE CINQUE R:  RIDUZIONE ALL'ORIGINE, RIUSO, RECUPERO DI
  MATERIALI, RICICLO DI MATERIALI, RICICLO DI ENERGIA.
      La regola delle 5 R è il principo cardine su cui si basa
  il nuovo sistema gestionale dei rifiuti.Come si è visto in
  premessa, l'emanazione del decreto legislativo n. 22 del 5
  febbraio 1997 prevede un cambiamento di rotta nel settore dei
  rifiuti in quanto si passa dalla filosofia dello smaltimento
  del rifiuto a perdere a quella del "rifiuto da recuperare"
  come materiale o energia attraverso una gestione integrata che
  permetta la realizzazione dei principi dello sviluppo
  sostenibile.  L'obiettivo di tale gestione integrata è quello
  di realizzare una riduzione a monte della quantità e della
  pericolosità dei rifiuti, di aumentare la quota parte
  destinata al riciclo dei materiali (carta, plastica, vetro,
  metalli) nelle filiere partendo dalla raccolta differenziata
  dei rifiuti solidi urbani, di favorire la termodistruzione con
  recupero di energia dai materiali non riciclabili recependo
  nel contempo le direttive CEE 89/1369, 89/429 e 94/67
  sull'incenerimento e di destinare solo una quota residuale
  alle discariche controllate che dovranno accogliere solo
  rifiuti inerti o resi inerti.
 
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      a)  Riduzione all'origine.
      Significa produrre meno rifiuti sia in termini
  volumetrici che quantitativi.  Si può realizzare con la
  modifica delle lavorazioni, scegliendo opportunamente le
  materie prime, realizzando l'ottimizzazione dei cicli di
  produzione.  In tal modo per es, si possono produrre
  contenitori di plastica più leggeri ma egualmente resistenti
  meccanicamente, realizzati con polimeri a minor impatto
  ambientale (es plastica realizzata con PET,
  polietilen-tereftalato, anzichè con PVC, polivinil-cloruro.  Si
  possono produrre in sostanza imballaggi meno voluminosi , più
  leggeri, più facili da riciclare.
      b)  Riuso
      Riscoprire le buone abitudini di una volta, quando la
  bottiglia del latte per es.veniva restituita al lattaio,
  lavata, sterilizzata e riempita nuovamente e ciò per
  tantissime volte.  Il concetto dei contenitori riutilizzabili
  per i detersivi liquidi e solidi, per gli oli lubrificanti,
  per tanti altri beni anche alimentari, fatte salve le norme
  igienico-sanitarie, sta nuovamente facendosi strada in Europa.
  La buona pratica dei "dispensers" significa in fondo andare a
  rifornirsi di prodotti distribuiti da grossi contenitori nei
  supermercati o in genere nei sistemi di grande distribuzione
  utilizzando sempre lo stesso contenitore fino al termine del
  suo ciclo naturale di vita.  Quindi è come rifornirsi di
  prodotti "alla spina" utilizzando sempre lo stesso contenitore
  pulito : così facendo spariranno tutti i contenitori intermedi
  e le confezioni più varie e quindi notevoli quantità di
  rifiuti.
      c)  Recupero dei materiali.
      Viene realizzato con le cosiddette "raccolte
  differenziate".  I rifiuti solidi urbani possono essere già
  separati in casa per singole tipologie immessi in appositi
  contenitori di vario colore per la plastica, carta, vetro,
  metalli, frazione umida etc e conferiti quindi in piattaforme
  attrezzate dalle autorità comunali oppure essere raccolti in
  casa per frazione secca(carta, plastica, vetro, metallo) e
  frazione umida e conferiti a cassonetti per
  multimateriale(secca) e frazione umida.  O ancora conferiti tal
  quali in cassonetti verdi con separazione a valle da parte di
  appositi impianti di cernita e separazione realizzati dai
  Comuni o da consorzi misti (pubblico-privato)
      d)  Riciclo dei materiali.
      Le frazioni secche vengono avviate ad impianti di riciclo
  (le cosiddette filiere) in cui la carta, la plastica, il
  vetro, il metallo, il legno vengono rilavorati ossia immessi
  in un ciclo produttivo (riciclaggio) che li trasforma
  nuovamente in materiali riutilizzabili.  La frazione umida è
  invece avviata agli impianti di compostaggio per ottenere
  compost da riutilizzare per ripristini ambientali (
  es.riempimenti di cave abbandonate ) se ottenuto dai rifiuti
  tal quali o come ammendante agricolo nei terreni o come
  fertilizzante se ottenuto da frazioni organiche selezionate
  (es. sfalci di giardini, residui verdi da mercatali etc).
 
                              Pag. 225
 
      Il nostro Paese, tradizionalmente povero di materie
  prime, ha da tempo sviluppato tecnologie e tecniche di
  riciclaggio delle materie residuali dai cicli produttivi per
  mezzo di una serie di circuiti di raccolta e di valorizzazione
  dei rifiuti.  Tali sistemi di recupero sono stati, ed in parte
  lo sono ancora, legati all'attività di singoli soggetti sia
  nelle fasi di raccolta, che in quelle di selezione,
  trattamento, commercializzazione e reimpiego.  A seguito della
  emanazione del decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997,
  si è costituito il Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI) ai
  sensi dell'articolo 41 dello stesso decreto.  Il CONAI opera
  utilizzando l'esistenza dei circuiti già attivi di cui sopra,
  integrandosi e inserendosi nelle strutture esistenti con il
  compito di adempiere alla raccolta dei rifiuti da imballaggio
  e per garantire il raccordo con l'attività di raccolta
  differenziata (frazioni secche e d umide) dei rifiuti raccolti
  dalla Pubblica Amministrazione (Comuni).  Il CONAI e i sei
  Consorzi hanno, rispetto ai tradizionali circuiti di raccolta
  e valorizzazione, una peculiarità che consiste nel profilo
  istituzionale del sistema Conai-Consorzi di filiera che, per
  legge è costituito dai produttori e dagli utilizzatori di
  imballaggi secondo il principio della "responsabilità
  condivisa".  Vale però la pena notare che, il decollo del
  Consorzio Nazionale Imballaggi è avvenuto dopo che con la
  legge n. 426/98 si è stabilita l'obbligatorietà dell'adesione
  al CONAI, peraltro su indicazione stessa del sistema delle
  imprese.  La normativa ha fissato obiettivi di recupero e di
  riciclaggio.  I sei Consorzi per il recupero e riciclo sono il
  CNA (acciaio), alluminio (CIAL), la carta (Comieco), il legno
  (Rilegno), la plastica (Corepla), il vetro (Coreve).  Occorre
  tenere presente che il riciclo, indicato all'interno
  dell'attività di recupero dal decreto legislativo n. 22/97, è
  da intendersi come l'insieme delle attività e delle operazioni
  che, a partire dalla selezione e dal trattamento dei rifiuti
  raccolti, comportano l'impiego della materia prima secondaria
  attraverso i processi di riciclaggio.  Il riciclaggio invece è
  da intendersi come un processo di produzione in cui vengono
  utilizzati i rifiuti come materia prima per ottenere un nuovo
  prodotto finito.  In tal senso sui parla di processi di
  riciclaggio.  Va quindi chiarito che vi sono due filoni
  industriali: uno è quello dell'industria del riciclo in senso
  stretto che si riferisce ai processi di riciclaggio in cui la
  materia prima seconda, per come sopra detto, è trasformata in
  un nuovo prodotto finito (che quindi esclude tutte le fasi a
  monte di tale processo: quelle, per esempio, svolte dagli
  operatori che esercitano attività di raccolta e selezione) e
  un altro che attiene all'industria del riciclo in senso più
  ampio che si riferisce alle attività successive alla raccolta
  che vanno dalla selezione, al trasporto, al trattamento,
  finalizzate alle operazioni di riciclaggio ed in più ai
  processi di riciclaggio in senso proprio.  Con l'intenzione di
  rendere chiara la presentazione dei dati, si è costruito un
  modello che raffigura anno per anno i quantitativi di
  imballaggi post-consumo avviati a recupero e riciclo.  La
  suddivisione in Tabelle, riportate in allegato, mantiene il
  criterio, adottato dal CONAI, di distinguere tra i diversi
  flussi di provenienza, per arrivare ai quantitativi di
  recupero complessivo:
        Rifiuti di imballaggio riciclati provenienti da
  servizio pubblico (rientranti nella privativa comunale).
 
                              Pag. 226
 
        Rifiuti di imballaggio riciclati provenienti da
  superfici private.
        Rifiuti di imballaggi avviati a recupero energetico.
        Rifiuti di imballaggi recuperati complessivamente.
      Tutti i quantitativi riportati nelle Tabelle
  dell'allegato ed inerenti il riciclo si intendono al netto
  degli scarti e delle impurità eventualmente presenti in fase
  di raccolta.  Si tratta di dati consolidati fino al 1998 -1999
  e delle proiezioni al 2002, nella ipotesi che il trend di
  crescita sia proporzianale ad una maggiore interiorizzazione
  dei principi dello sviluppo sostenibile da parte di tutti i
  soggetti coinvolti.  L'analisi delle tabelle cui si è fatto
  riferimento precedentemente, evidenzia un trend di crescita
  annuale significativo e costante.  Appare importante
  sottolineare come, nel caso di due materiali (alluminio e
  vetro), il raggiungimento degli obiettivi complessivi di
  recupero sia attuato attraverso il riciclo di materiale
  proveniente da raccolte urbane.  La seconda componente del
  recupero prevista dalla normativa è costituita dal recupero
  energetico effettuato negli impianti presenti sul territorio
  nazionale.  Lo sviluppo, considerato nel corso degli anni a
  venire, risulta essere congruente con quello ipotizzato dai
  diversi attori del sistema in merito alle previsioni di messa
  in funzione di nuovi impianti dedicati alla
  termovalorizzazione del rifiuto urbano tal quale e alla
  costruzione di impianti dedicati alla trasformazione del
  rifiuto in combustibile derivato da rifiuti (C.D.R.).  Con
  l'implementazione operativa dell'accordo quadro ANCI-CONAI,
  relativo al materiale raccolto su superficie pubblica, le
  prospettive di sviluppo sono contraddistinte da una fase di
  decollo significativo dell'intero sistema.  E' opportuno ora
  fare alcune considerazioni filiera per filiera, dello stato
  dell'arte e del posizionamento dell'industria italiana nel più
  generale contesto internazionale.
      La filiera dell'acciaio.
      L'acciaio rappresenta uno dei materiali maggiormente
  impiegati nei più svariati campi e settori produttivi, tra i
  quali, quello degli imballaggi.  Per le sue caratteristiche
  presenta la possibilità di essere agevolmente riciclato, vale
  a dire reimpiegato nei processi di produzione come materia
  prima secondaria nelle acciaierie e nelle fonderie,
  assicurando in tale modo anche un risparmio energetico
  rispetto ai processi produttivi basati sulla trasformazione
  del minerale.Paese notoriamente povero di giacimenti minerari,
  l'Italia ha saputo sviluppare una industria siderurgica
  elettrica tra le più avanzate ed efficienti al mondo
  sfruttando come fonte di materia prima proprio i rottami di
  metalli ferrosi.Nel 1998 l'industria siderurgica nazionale ha
  movimentato più di 15 milioni di tonnellate di rottame di
  ferro, di cui circa 10,1 milioni di tonnellate di provenienza
  domestica e quasi 5 di importazione estera.  Il riciclaggio
  vero e proprio, vale a dire il reimpiego del materiale
  ottenuto dagli imballaggi ferrosi domestici o industriali
  raccolti, avviene presso acciaierie o fonderie con le quali il
  CNA stipula accordi commerciali diretti.Confrontando la
  siderurgia nazionale con quella dei partner europei e dei
  principali produttori mondiali di acciaio è possibile
 
                              Pag. 227
 
  evidenziare come l'industria nazionale presenti una
  potenzialità di movimentazione dei rottami di ferro
  assolutamente superiore alla media europea e di gran lunga più
  elevata di quella dei maggiori produttori mondiali di acciaio
  (USA, Russia, Giappone e Cina).La leadership nazionale
  nell'impiego di tecnologie di riciclo nel settore siderurgico
  sì conferma anche a livello mondiale, dove nessuno dei
  maggiori Paesi produttori possiede una specializzazione
  analoga a quella italiana.  Le tabelle 8, 9 e 10, mostrano
  rispettivamente, un bilancio quantitativo dei rottami di
  provenienza nazionale ed estera, il ricilaggio degli
  imballaggi in acciaio, ed un confronto a livello
  internazionale tra i processi di produzione in Europa e nei
  principali Paesi, riferito al 1998.
      La filiera dell'alluminio.
      Il riciclo dei manufatti di alluminio ha da sempre
  rappresentato una attività redditizia e diffusamente
  praticata, per le caratteristiche del materiale che ne
  consentono un reimpiego pressoché infinito, e per le economie
  che permette di conseguire.  Poiché la composizione chimica
  dell'alluminio rimane inalterata durante le rifusione, il
  reimpiego si presenta infatti privo di significative
  problematiche.  La rifusione dei rottami dei rottami di
  allumino consente inoltre di risparmiare circa il 95%
  dell'energia altrimenti richiesta per ottenere un equivalente
  quantitativo di alluminio primario dalla bauxite.  L'industria
  nazionale ha impiegato nel 1998 circa 785.000 t di rottami di
  alluminio di provenienza nazionale ed estera (vedi Tabella 11,
  riferita al 1998) , a fronte di un consumo complessivo di
  alluminio primario (ottenuto dal minerale) e secondario
  (ottenuto dalla rifusione di rottami) di circa 1.540.000 t
  (Tabella 12).Sulla base di questi dati si può notare come più
  del 50% del consumo nazionale di alluminio venga soddisfatto
  da rottami di provenienza nazionale ed estera.  Gli imballaggi
  hanno rappresentato nel 1998 circa il 2,8% dei rottami di
  raccolta domestica complessivamente riciclati.  Le Tabelle 13 e
  14, riportano rispettivamenete, il reimpiego dei rottami di
  alluminio per il 1998 e la produzione di alluminio secondario
  nei principali Paesi europei.
      La filiera della carta.
      Per avere un quadro completo dell'utilizzo di carta e
  cartone da macero nell'industria cartaria è necessario
  considerare, oltre ai quantitativi di rifiuti di imballaggio
  raccolti ed avviati a processi di riciclaggio, anche le
  dinamiche import/export ed i quantitativi di rifiuti
  cellulosici non di imballaggio raccolti e riciclati.
  Analizzando la tipologia e la provenienza del macero
  utilizzato dall'industria cartaria nazionale (vedi Tabelle 15
  e 16, riferite al 1998) risulta evidente come la maggior parte
  delle importazioni provenga dalla raccolta differenziata
  estera (importazioni di macero post-consumo), mentre la
  maggiore incidenza relativa sia rappresentata dalle
  importazioni di maceri di qualità superiore, evidenziando una
  certa dipendenza del Paese rispetto a tali flussi di
  importazione.  La raccolta nazionale di carte e cartoni
  provenienti dall'industria e dal
 
                              Pag. 228
 
  commercio (macero di qualità A4, A5, A6 e qualità D), di cui
  la quota di imballaggi rappresenta circa il 75% sembra invece
  essere il "canale" interno che presenta la maggiore capacità
  di raccolta.Per quanto concerne l'identificazione dei settori
  merceologici in cui avviene il reimpiego della carta e cartone
  da macero diprovenienza nazionale ed estera (vedi Tabella 17),
  le stime fornite da Assocarta elaborando i dati Istat
  evidenziano come il comparto in cui maggiormente si concentra
  l'attività di riciclo sia quello della carta e del cartone per
  imballaggi, che raggiunge un tasso di utilizzo di macero
  prossimo alla saturazione (92,4% nel 1998), posto che non è
  possibile, per ragioni tecniche ed in parte normative,
  impiegare solo fibra secondaria nei cicli di trasformazione.  I
  settori della produzione di carte per usi igienico-sanitari e
  per usi grafico-editoriali presentano invece margini di
  incremento dell'utilizzo di materia prima secondaria.In
  riferimento al raggiungimento del complessivo obiettivo di
  recupero degli imballaggi cellulosici, i risultati conseguiti
  nel corso del biennio 1997-1998 sono riportati in Tabella 18.
  I dati riferiti agli anni 1997-1998 sono ricostruiti sulla
  base di stime effettuate sui quantitativi accertati, mentre
  quelli riferibili al 1999 riguardano stime e previsioni del
  centro studi di Comieco.  Confrontando l'industria cartaria
  italiana con gli analoghi settori produttivi dei partner
  europei (vedi Tabella 19 che riporta i dati riferiti al 1998)
  è possibile notare come il nostro Paese sia ancora abbastanza
  dipendente dall'estero per gli approvvigionamenti di carta e
  cartone da macero, ed una raccolta nazionale insufficiente a
  soddisfare la elevata richiesta dell'industria cartaria,
  benché rispetto al passato la quota di importazioni stia
  annualmente riducendosi a fronte di un incremento della
  raccolta interna, per la quale si ritiene esistano
  significativi margini di miglioramento stimabili nell'ordine
  delle 650.000 t di incremento della raccolta differenziata.
      La filiera della plastica.
      Per quanto concerne l'individuazione dei canali specifici
  di raccolta dei rifiuti di imballaggio in materiale plastico,
  la Tabella 20, evidenzia i due principali circuiti: quello
  della raccolta differenziata urbana (raccolta da superfici
  pubbliche) e quello della raccolta di imballaggi da superfici
  private effettuata da operatori indipendenti dal Consorzio.Le
  rilevazioni di cui alla tabella 20, si basano sui censimenti
  effettuati annualmente da Unionplast presso i riciclatori di
  materie plastiche e sulle relative autocertificazioni.  La
  stessa Unionplast stima comunque che il dato sia approssimato
  per difetto almeno del 10% a causa della carenza di
  informazioni rispetto ad alcune imprese.  Sulla base dei
  quantitativi riportati è possibile evidenziare come nel 1999
  siano state riciclate in Italia almeno 821.000 tonnellate di
  materie plastiche, 762.640 nel 1998 e 684.228 nel 1997, con un
  incremento nel 1999 del 7,6% rispetto all'anno precedente.  Di
  queste 820.752 tonnellate riciclate dall'industria nazionale,
  circa il 71% deriva da raccolte interne ed il 29% ha invece
  provenienza estera.  I dati mostrano inoltre una costante, per
  quanto limitata, riduzione delle importazioni, frutto di una
  raccolta interna più significativa.  Rapportata al consumo
  interno di materie plastiche,
 
                              Pag. 229
 
  invece, l'incidenza dell'impiego di plastiche riciclate
  ammonta al 12,51% nel 1999, al 12,41% nel 1998 ed all'11,55%
  nel 1997, ricordando che per le ragioni sopraesposte i dati
  appaiono sicuramente sottostimati.  L'impiego di materie
  plastiche riciclate -vedi Tabella 21- presenta inoltre un
  andamento crescente nel tempo, ed un valore che evidenzia il
  ruolo non marginale del comparto rispetto ai canali di
  approvvigionamento di materiali vergini.  Con riferimento al
  raggiungimento dei complessivi obiettivi di recupero e
  riciclaggio fissati dal decreto Ronchi, i risultati conseguiti
  nel biennio 1998-1999 sono riportati nella Tabella 22.  I dati
  sono ricostruiti sulla base dei quantitativi accertati, mentre
  i quantitativi per il 2000 riguardano stime verosimili dei
  risultati conseguibili, anche alla luce dei nuovi canali di
  raccolta ed intercettazione dei flussi attivati o da attivare
  nel corso dell'anno.  I quantitativi 1999 gestiti non da
  Co.Re.Pla., vale a dire da operatori privati, sono invece
  pre-consuntivi soggetti ad eventuale revisione in occasione
  delle rilevazioni definitive.  Per definire la dimensione
  dell'industria europea del riciclo di materie plastiche, i
  dati proposti da APME (Association of Plastics Manufacturers
  in Europe) riportano un quantitativo di circa 6.000.000 di
  tonnellate di materie plastiche riciclate nell'Europa
  occidentale, di cui 2,5 milioni riconducibili al cosiddetto
  "in-house production scrap recycling", vale a dire ciò che
  comunemente viene definito autoriciclo e che tendenzialmente
  viene escluso dall'ambito d'analisi del presente rapporto,
  mentre ammonta ad 1,9 milioni di tonnellate il riciclaggio dei
  rifiuti plastici pre-consumo (production waste for recycling),
  e ad 1.8 milioni di tonnellate quello dei rifiuti post-consumo
  (post-user waste material).  Analoghe rilevazioni condotte
  dall'AMI (Applied Market Information) stimano invece il
  riciclaggio dei rifiuti in plastica nell'Europa occidentale in
  circa 1,4 milioni di tonnellate nel 1997.  Nell'ambito di
  questo scenario, ed alla luce di dati quantitativi disponibili
  limitati e comunque in parte contraddittori, l'Olanda è
  considerata la maggiore importatrice e riciclatrice di rifiuti
  plastici post-consumo, seguita da Gran Bretagna e Svizzera,
  mentre è la Germania la maggiore esportatrice europea di
  rifiuti plastici, seguita dall'Austria.In termini di numero di
  aziende riciclatrici è ancora netto il ruolo di leadership
  della Germania, che annovera circa il 32% degli operatori
  europei del settore, benché l'Italia si posizioni al secondo
  posto con il 18%, seguita da Gran Bretagna/Irlanda (12%), da
  Belgio/Lussemburgo (10%) e dalla Francia (10%).Anche da un
  punto di vista tecnologico l'esperienza tedesca in materia di
  riciclaggio delle materie plastiche presenta specificità e
  tecnologie ancora poco diffuse a livello internazionale, quale
  ad esempio il procedimento cosiddetto di "riciclo chimico" o
  feedstock recycling.  Le potenzialità di tale sistema risiedono
  essenzialmente nella possibilità di scomporre, attraverso
  processi di natura chimica (termica e/o catalitica), i rifiuti
  di materiali plastici nei polimeri che li costituiscono, per
  poi effettuare una successiva "ricomposizione" degli stessi in
  tutta una serie di prodotti di sintesi utilizzabili
  nell'industria petrolchimica.  Tale procedimento risulta per il
  momento diffuso soprattutto in Germania, Francia e Stati
  Uniti, tanto che lo stesso Co.Re.Pla. ha progettato di avviare
  alcune sperimentazioni attraverso
 
                              Pag. 230
 
  l'invio di rifiuti di materiale plastico presso riciclatori
  esteri al fine di verificare le potenzialità del sistema.
      La filiera del legno.
      L'utilizzo di rifiuti e rottami di legno nei cicli
  produttivi dell'industria nazionale del mobile e dell'arredo
  rappresenta, fino dagli anni '50-'60, una esigenza ed una
  necessità, vista la scarsa rilevanza delle risorse boschive
  del Paese.  In modo particolare, i rifiuti ed i rottami di
  legno sono quasi esclusivamente assorbiti dalla produzione di
  agglomerati lignei (pannelli truciolari).  In questo specifico
  settore, l'Italia ha sviluppato competenze e tecnologie di
  livello mondiale.Le fonti stimano il quantitativo totale di
  rifiuti di legno riciclati nella produzione di manufatti
  lignei (essenzialmente truciolari) in circa 2 milioni di
  tonnellate nel 1999, a fronte di una produzione di circa 3
  milioni di tonnellate di manufatti.  Il tasso di riciclo sulla
  produzione raggiunge quindi circa il 67%, vale a dire che
  circa i 2/3 della produzione nazionale di pannelli truciolari
  avviene utilizzando rifiuti di varie fonti e provenienze. a
  restante parte, circa 1 milione di tonnellate del fabbisogno
  di acquisto del comparto, è coperta attraverso l'utilizzo del
  cosiddetto "bosco", vale a dire rottami di legno provenienti
  generalmente dalle attività di manutenzione forestale che, ai
  sensi normativi, non rientrano nella categoria di rifiuto.  Per
  quanto concerne i canali di approvvigionamento e provenienza
  del legno utilizzato, questi sono essenzialmente
  rappresentati, per il 70% (circa 1,5 milioni di tonnellate),
  da rifiuti di legno di raccolta nazionale e, per la restante
  parte, circa 500-600.000 tonnellate, da importazioni.  Con
  riferimento ai circuiti di raccolta dei rifiuti, ed agli
  obiettivi di recupero e riciclaggio fissati dalla normativa,
  la tabella seguente evidenzia la situazione nello
  specifico.Sulla base della scelta gestionale del Consorzio di
  prevedere ed incentivare soprattutto l'utilizzo dei rottami di
  legno come materia prima secondaria, l'opzione prioritaria
  presa in considerazione per il raggiungimento degli obiettivi
  fissati dal Decreto Ronchi è essenzialmente quella del
  riciclaggio.  Benché praticabile la via della valorizzazione
  energetica è considerata non solo residuale, ma il Consorzio
  non fornisce al proposito dati quantitativi sui quali
  calcolare gli obiettivi di recupero.  Allo stesso modo, non
  vengono prese in considerazione, ai fini degli obiettivi da
  raggiungere, le ulteriori opzioni di recupero di materia
  rappresentate dall'impiego dei rottami nella produzione di
  pasta di cellulosa per cartiere o compostaggio.  Per
  riciclaggio si intende quindi avvio dei rifiuti raccolti alla
  produzione di manufatti lignei.  Per quanto concerne la
  quantificazione dei flussi complessivi di imballaggi in legno
  immessi sul mercato negli anni 1997, 1998 e 1999, la tabella
  7.20 ne evidenza il dettaglio.I dati relativi al riciclo del
  legno, come si può notare dalle Tabelle 23 e 24 si riferiscono
  a stime dell'Istituto Italiano Imballaggi per gli anni 1997, e
  del Conai per gli anni 1998 e 1999.
      La filiera del vetro.
      Nonostante l'industria vetraria nazionale dipenda
  largamente, per quanto riguarda la disponibilità di rottame di
  vetro, dal circuito di
 
                              Pag. 231
 
  raccolta dei rifiuti di imballaggio, per avere un quadro
  complessivo è necessario considerare anche le dinamiche
  import/export ed i rottami non di imballaggio raccolti e
  riciclati.  L'industria nazionale del vetro cavo ha utilizzato
  infatti annualmente, nel triennio assunto come riferimento,
  rottami di vetro "pronto al forno" per un quantitativo di più
  di 1.000.000 di tonnellate (Vedi Tabella 25), con una crescita
  contenuta ma costante in relazione all'aumento della raccolta
  domestica.  Di questi quantitativi, più del 70% sono
  rappresentati da rifiuti di imballaggio di provenienza
  nazionale.  A differenza di altri materiali ed altri settori,
  quindi, per i quali la raccolta ed il riciclaggio degli
  imballaggi rappresentano una frazione modesta delle materie
  prime secondarie complessivamente movimentate (si pensi al
  caso dell'alluminio o, soprattutto, dell'acciaio), il comparto
  del vetro cavo costituisce un esempio in cui l'incidenza del
  recupero di materia secondaria da imballaggi determina un
  rilevante impatto sul totale della produzione nazionale.  La
  restante parte del fabbisogno di rottami dell'industria è
  stato coperto attraverso il canale delle importazioni ed
  attraverso la raccolta di rottami differenti dagli imballaggi,
  quali ad esempio rottami di vetro piano e vetri per auto.  Per
  quanto concerne il grado di raggiungimento degli obiettivi
  fissati dal decreto Ronchi, la Tabella 26, permette di
  valutare come il tasso di riciclaggio abbia raggiunto nel 1999
  il valore del 35,6%, distante dall'obiettivo di recupero
  complessivo del 50%, ma ampiamente superiore rispetto al
  traguardo del 25% di recupero di materia.
      Il compostaggio.
      Il compostaggio consiste in un processo biologico
  aerobico con il quale la componente organica del rifiuto
  solido urbano, detta anche frazione umida, da sola o insieme
  ai fanghi di depurazione delle acque civili, viene trasformata
  in un prodotto con caratteristiche di ammendante dei terreni,
  dopo maturazione in impianti idonei.  La tecnologia in tale
  campo ha registrato numerosi progressi negli ultimi anni ed
  ora il "sistema Italia" , pur dipendendo ancora dall'estero
  per il compost di qualità, si avvia a percorrere la strada del
  compostaggio con sempre maggiore convinzione.  Gli esempi sul
  territorio nazionale, per come risulta alla Commissione, si
  riferiscono generalmente ad impianti di compostaggio della
  frazione umida da rsu tal quali come quello di Colfelice nel
  Lazio, di Sambatello a Reggio Calabria, del Consorzio Milano
  pulita di Segrate (MI) Segrate, di Udine, di Tempio Pausania,
  Perugia.  Sono però in fase di programmazione e realizzazione,
  sul territorio nazionale, impianti che utilizzano la frazione
  umida dei mercatali, in grado di produrre compost di qualità e
  di garantire una minore dipendenza dalle importazioni.
        Recupero di energia.
      Tutti quei materiali che, pur attuando la raccolta
  differenziata, non possono essere riciclati e che comunque
  costituiscono ancora una buona percentuale utilizzabile,
  vengono avviati ad impianti di
 
                              Pag. 232
 
  termovalorizzazione per il recupero di energia che verrà
  utilizzata per produrre vapore o energia elettrica.  In tal
  caso il materiale di alimentazione degli impianti, viene
  chiamato CDR, ossia combustibile derivato dai rifiuti, ha un
  suo potere calorifico e una precisa composizione prevista e
  fissata per legge.  Tale CDR è preparato in appositi impianti
  in cui viene vagliato, selezionato, triturato, omogeneizzato e
  ridotto sotto forma di cilindretti a basso contenuto di
  umidità o in forma "coriandolata".  Accanto alla voce del
  recupero di energia attraverso la termovalorizzazione va
  considerato, nell'ambito dei bilanci energetici anche il
  recupero di energia assicurato nella forma di risparmio dovuto
  al riciclaggio e al recupero dei materiali raccolti in maniera
  differenziata, un risparmio dovuto alla minore energia
  utilizzata nella produzione dei materiali attraverso il
  riciclaggio ed il recupero rispetto a quella che si dovrebbe
  spendere per la produzione  ex novo  degli stessi
  materiali.
      La valorizzazione energetica.
      Per termovalorizzazione si intende la termodistruzione
  con recupero di energia (con produzione di energia elettrica
  e/o calore utilizzabile per riscaldamento o altri usi).La
  termovalorizzazione, ossia il trattamento dei rifiuti ad alta
  temperatura, secondo la normativa vigente, va inquadrata
  nell'ambito del cosiddetto "sistema integrato di gestione dei
  rifiuti" in linea con le direttive comunitarie.  La
  termovalorizzazione, non solo consente di ridurre
  drasticamente il volume dei rifiuti da conferire in discarica,
  di smaltire più facilmente i residui della combustione ma
  anche di recuperare quantità consistenti di energia come si
  può desumere da uno studio effettuato dal Politecnico di
  Milano nel 1997(1).  La termodistruzione con recupero di
  energia è anche definita con il termine di
  "termovalorizzazione".  Tante le ragioni che si possono addurre
  sul ritardo del nostro Paese ad adeguarsi ai principi della
  gestione integrata dei rifiuti e, tra questi, la già
  richiamata "sindrome di Seveso" mentre, nell'ultimo decennio,
  sono state messe a disposizione degli operatori del settore
  tecnologie ed impianti per la termodistruzione sicuri ed
  affidabili non solo per i rifiuti solidi urbani ma anche per i
  rifiuti speciali di origine industriale a prevalente
  componente organica, come peraltro ha potuto constatare una
  delegazione della Commissione d'inchiesta sul ciclo dei
  rifiuti nel corso della visita ad alcuni impianti europei di
  smaltimento nel mese di settembre del
 
                              Pag. 233
 
  2000.  Il nuovo modello di gestione integrata quindi deve
  caratterizzarsi quindi con la centralità del recupero e della
  valorizzazione delle componenti merceologiche presenti nei
  rifiuti solidi urbani sia sotto forma di materia che di
  energia, relegando il ricorso alla discarica solo per quei
  rifiuti che residuano dal trattamento e che non sono
  suscettibili di ulteriori valorizzazioni.  La strada da
  percorrere quindi è quella di realizzare e localizzare gli
  impianti di termovalorizzazione con recupero di energia
  nell'ambito degli ATO (ambiti territoriali ottimali) che
  facciano parte integrante di un sistema in cui siano attivate
  le raccolte differenziate dei RSU e in cui le discariche,
  asservite ai termodistruttori, ai residui inerti o resi inerti
  derivanti dal recupero dei materiali, giuochino solo un ruolo
  marginale: solo cosi il nostro Paese potrà gradualmente
  avvicinarsi a quegli obiettivi che la norma nazionale ed
  europea indicano.  Come si è visto nel paragrafo dedicato alla
  discarica, i diversi sistemi di gestione dei rifiuti che
  vengono praticati nei paesi europei, sono di gran lunga più
  integrati rispetto a quello nostrano e a quello inglese (che
  fanno ancora ricorso per almeno l'80% alla discarica) in
  termini di recupero e termodistruzione.  In tali Paesi il
  ricorso al recupero e alla termodistruzione ha comportato di
  fatto la riduzione dell'uso della discarica a circa il 60% del
  totale peso degli RSU.  Le strade che si possono percorrere
  utilizzando la termodistruzione dei rifiuti sono quella della
  sola produzione di energia elettrica(2) e quella della
  co-generazione consistente nella produzione di calore e di
  energia elettrica(3).  La scelta dell'una o dell'altra strada
  può essere dettata o imposta dalla richiesta di calore
  nell'arco dell'anno.  Nel nostro Paese, il ricorso al
  riscaldamento per usi civili è limitato ad un determinato
  periodo dell'anno in considerazione delle temperature medie
  nazionali e pertanto, almeno che non si voglia utilizzare il
  calore per produrre acqua calda nei periodi di fermata del
  riscaldamento, alla cogenerazione è di norma preferibile la
  produzione di energia elettrica più semplice da distribuire
  utilizzando la
 
                              Pag. 234
 
  rete nazionale esistente.  Un esempio di teleriscaldamento
  tramite impianto di cogenerazione da rifiuti è quello della
  città di Brescia con il quale, in considerazione della
  temperatura media annuale non rigida, anche d'estate è attiva
  la rete di distribuzione di acqua calda nelle abitazioni.  Uno
  studio di Federambiente(4) mostra che in Europa sono attivi
  270 impianti di termodistruzione in buona parte installati in
  Danimarca, Francia e Svizzera, di cui buona parte in Svizzera,
  Danimarca e Francia.  In Italia si rileva invece che gli
  impianti in funzione sono 38, molti dei quali al nord,
  destinati ad aumentare a circa 70 per aggiunta di quelli in
  fase di realizzazione.
      (1) "Riflessioni sulle strategie per lo smaltimento
  dei rifiuti in Italia". E. Pedrocchi-Facoltà di Ingegneria del
  Politecnico di Milano-Aprile 1997.
      "Una tonnellata di rifiuti solidi urbani corrisponde a
  200 chilogrammi di petrolio, a 250 normal metri cubi di gas
  naturale, a 600 kilowattora elettrici di energia, a 25
  tonnellate di acqua riscaldata da 15^C a 95^C.  Considerando
  che ogni italiano produce circa 0.5 tonnellate di rifiuti
  solidi urbani all'anno, corrispondenti a circa 300
  chilowattora/anno di energia elettrica, ciò significa che tale
  quantità di rifiuti prodotti in un anno, se valorizzata
  energeticamente, corrisponde ad un terzo del suo fabbisogno
  per usi domestici.
      (2) E. Pedrocchi- op.cit.
      I rendimenti negli impianti di termodistruzione dei
  rifiuti solidi urbani con produzione di energia elettrica
  hanno rendimenti bassi in quanto, se si opera a temperature
  elevate, i fumi mostrano caratteristiche di corrosività sui
  materiali.  Dall'entrata in vigore del Decreto legislativo n.
  22/97 è presumibile che tale inconveniente tenderà a ridursi
  notevolmente man mano che si effettuerà la raccolta
  differenziata per cui i forni di termodistruzione verranno
  sempre più alimentati non più con rifiuti solidi urbani tal
  quali ma con combustibile derivato dai rifiuti (CDR), ossia
  con frazioni secche a basso tenore di umidità.
      (3) E. Pedrocchi- op.cit.
      Negli impianti di cogenerazione, generalmente, per ogni
  chilowattora di energia elettrica prodotta in meno si possono
  produrre circa 4 chilowattora di energia termica.  Le due
  alternative sono però uguali da un punto di vista
  termodinamico in quanto il valore termodinamico del calore
  dipende dal livello termico a cui è fornito.  Nel sistema
  cogenerativo il calore (le quattro unità termiche9 è prodotto
  a bassa temperatura e quindi il suo valore termodinamico
  equivale a meno della maggiore produzione di energia elettrica
  della prima alternativa (1 unità).
        La termodistruzione in Italia.
      Un rapporto Federambiente del 1998 (4) riporta un quadro
  assai aggiornato della situazione nazionale dei
  termodistruttori e confronta i dati con il rapporto Anpa del
  1998 con studi del 1995 effettuati da Ausitra e Assoambiente,
  con una ricerca Anida del 1997, con un rapporto
  Federambiente-Amia Verona del 1995 e con una ricerca Enea del
  1995.  Risulta dal rapporto che il parco nazionale dei
  termodistruttori di rsu è costituito da 60 impianti di cui il
  68% operativi (41 impianti), il 23.3% ( ossia 14 impianti non
  ancora in esercizio e progettati o in fase avanzata di
  costruzione), 8.3% sono temporaneamente inattivi (5
  impianti).Le tecnologie di combustione utilizzate dicono che
  il 70% degli impianti (ossia 42 impianti) sono con forni a
  griglia, che 11.7% sono a tamburo rotante (7 impianti), 13.3 a
  letto fluido (8 impianti) e 5% (3 impianti) sono
  gassificatori.  Sul totale impianti in esercizio vi è da
  rilevare che quelli aderenti a Federambiente sono il 78%.  La
  percentuale si alza al 85% se si considerano gli impianti che
  al momento sono attivi.  La distribuzione geografica degli
  impianti Federambiente mostra una netta prevalenza del Nord
  Italia con il 75% , una presenza del 20% al Centro e una
  trascurabile presenza al sud (intorno al 2%).
     (4) Federambiente:
        Impianti di smaltimento, analisi sui termocombustori -
  Roma, 1995.
        Impianti di smaltimento, analisi sui termocombustori di
  rsu - Roma, 1998.
      Dei 41 impianti di termodistruzione operativi molti sono
  stati costruiti negli anni settanta e soltanto 7 dopo il 1990;
  23 impianti hanno subito un processo di  revamping  tra il
  1987 e il 1993.  Ciò indica la presenza di un parco
  inceneritori datato che, nonostante i processi di  revamping
  , non presenta nel suo complesso sufficienti garanzie di
  affidabilità rispetto alle emissioni, in particolare per
  quello che riguarda le temperature di esercizio: è noto
  infatti che una delle condizioni necessarie per spingere
  l'abbattimento delle diossine a un livello inferiore a 0.1
  nanogrammi/Nmc -livello assicurato dalle migliori tecnologie
  oggi disponibili- le temperature devono essere adeguatamente
  elevate (al di sopra dei 1200 ^C).
      Relativamente ai limiti imposti dalla normativa (D.M
  97/503, DM 5 febbraio 1998) per le diossine (0.1
  nanogrammi/Nmc), vi è da
 
                              Pag. 235
 
  rilevare che solo 8 (il 25 percento) impianti Federambiente
  già rispettano tali limiti.  Nell'ambito di tali impianti si
  segnalano i termodistruttori di Cremona, Bolzano, Brescia,
  Busto Arsizio, Roma e Siena.  Nel settore della
  termodistruzione dei rifiuti industriali in Italia vanno
  menzionati il termodistruttore di Melfi (installato presso la
  Fiat), quelli interni alle aree Enichem di Porto Marghera,
  Ferrara, Mantova, quello della società Ecolombardia 4 di
  Filago (Bergamo) con una potenzialità di 30.000
  tonnellate/anno, quello della piattaforma di trattamento
  rifiuti di Modena, il forno della società Basf di Caronno
  Pertusella e il recentisimo impianto F3 installato presso
  Enichem di Ravenna in grado, con le sue moderne tecnologie di
  trattamento delle emissioni di soddisfare il limiti stringenti
  dei microinquinanti tra cui le diossine.  Tale forno è adatto a
  bruciare anche prodotti contenenti cloro.  Il polo Enichem
  Ferrara-Ravenna-Porto Marghera, ha una capacità autorizzata di
  termodistruzione di circa 160.000 tonnellate/anno che si può
  paragonare a quella di altre realtà europee.  Nel corso di un
  recente sopralluogo della Commissione nella regione Puglia, ha
  destato una buona impressione il forno rotante per la
  termodistruzione di rifiuti industriali, in fase di start-up
  che potrebbe essere utilizzato anche per la distruzione
  termica delle farine animali, delle carcasse e dei grassi
  animali, installato nell'area industriale di Brindisi presso
  il Consorzio Sisri.  La potenzialità è di circa 100
  tonnellate/giorno e il sistema di abbattimento delle emissioni
  è costituito da filtri a manica, da assorbitori con carbone
  attivo in polvere e da un lavaggio acido/base.  Le temperature
  in gioco nella camera di post-combustione, posta a valle della
  camera di combustione del forno rotante, sono dell'ordine di
  1200^C.  All'interno delle raffinerie Erg di Siracusa, Api di
  Falconara, Saras di Sarroch (Cagliari) sono già operativi tre
  impianti di gassificazione del Tar, residuo pesante derivante
  dagli impianti di visbreaking e classificato rifiuto
  pericoloso dalla direttiva comunitaria n. 91/689/CEE al punto
  11 Annex 1A e all'allegato D del Decreto legislativo n. 22 del
  5 febbraio 1997.Dal processo di gassificazione si ottiene un
  gas che sottoposto a lavaggio, viene a sua volta bruciato per
  produrre energia elettrica distribuita nella rete Enel.  Un
  recente censimento dei termodistruttori presenti sul
  territorio nazionale ( per rifiuti urbani, sanitari,
  industriali) è stato effettuato dall'Anpa per fare il punto
  delle potenzialità impiantistiche per distruggere i grassi e
  le farine animali a seguito della emergena della BSE (mucca
  pazza).Il censimento ha rilevato la presenza di almeno 99
  impianti di incenerimento il 20% dei quali, tuttavia, non è
  ancora disponibile spesso, per problemi tecnici di adeguamento
  delle emissioni alle nuove normative.  Pur se non compresa nei
  processi di termodistruzione, vale la pena di ricordare che
  una nuova tecnologia innovativa si affaccia all'orizzonte ed è
  quella della "torcia al plasma".
      Tale tecnologia ha un impatto sull'ambiente senz'altro
  positivo ma, in Italia, occorre bene precisarlo, essa è ancora
  allo stato embrionale di sperimentazione su bassa scala
  :Infatti un'azienda bolognese la Itea, con la supervisione
  dell'Enea, sta valutando una torcia Dismo (dissociazione
  molecolare).  Stupisce pertanto la notizia che sul mercato
  nazionale venga proposto l'utilizzo di tale tecnologia da
  parte di aziende (es.  S E P, Celtica Ambiente), probabilmente
 
                              Pag. 236
 
  licenziatarie dei brevetti della GPSC (Global Plasma System
  Corporation) e che non hanno ancora realizzato impianti per
  trattare combustibili derivati dai rifiuti  (cdr).  E'
  questo il caso, per esempio, della proposta di Celtica
  Ambiente di utilizzare la torcia al plasma per produrre
  energia da  cdr  in un sito dell'area industriale di
  Brindisi.  La Commissione ritiene che l'utilizzo di tecnologie
  di assai alto livello di sofisticazione, nella ipotesi della
  realizzazione di impianti aventi un  size  industriale,
  dovrebbe riguardare più che il  cdr  (per il quale sono
  oggi disponibili impianti di termodistruzione con recupero di
  energia provvisti di sistemi di abbattimento emissioni ormai
  ampiamente consolidati) il trattamento di rifiuti pericolosi
  quali il  pcb  (policlorobifenile), i solventi clorurati,
  le miscele di solventi aromatici, gli idrocarburi policiclici
  aromatici, difficili da smaltire per altra via, se non in
  tempi lunghi (es. bioremediation).
      L'IMPATTO AMBIENTALE DEGLI IMPIANTI DI TRATTAMENTO E
  SMALTIMENTO DEI RIFIUTI.
      Gli impianti di trattamento, qualsiasi sia la tecnologia
  applicata, comportano comunque un impatto ambientale che deve
  essere minimizzato, come peraltro è ampiamente riscontrabile
  nell'articolato della vigente normativa sulla gestione dei
  rifiuti ed anche nella norma secondaria in cui si riscontra il
  concetto che il trattamento dei rifiuti, sia ai fini dello
  smaltimento che ai fini del recupero, e che i trattamenti di
  bonifica, sono autorizzati purchè siano fatte salve tutte le
  norme ambientali in materia di acque, suolo, aria, igiene
  ambientale, nell'ambito cioè di un rispetto globale
  dell'ambiente e della salute della popolazione esposta.
  L'applicazione della  best available technology,  dovrebbe
  garantire tale principio.  In assoluto il, principio della
  best available technology  è ambientalmente corretto ma,
  non può prescindere dalla valutazione dei fattori economici
  ossia dal rapporto costi/benefici, per cui sarebbe più
  corretto parlare di migliore tecnologia disponibile a costi
  economicamente praticabili, fermo restando che i costi
  praticabili non vengano minimizzati a punto tale da vanificare
  l'efficacia dell'intervento a protezione e salvaguardia
  dell'ambiente e della salute dell'uomo.  Nella cultura
  occidentale, sta interiorizzandosi tale concetto e le
  popolazioni esposte nei pressi degli impianti di trattamento
  dei rifiuti, ove la corretta informazione, i controlli e il
  rispetto dei limiti di legge sono assolutamente garantiti,
  danno il consenso ed accettano la installazione degli
  impianti, convinti che un trattamento dei rifiuti, se ben
  gestito, debba considerarsi a tutti gli effetti un impianto
  industriale , utile comunque alla comunità alla produttività e
  alla crescita economica del Paese, con inoltre risvolti
  positivi in tema di occupazione.  In nord Europa, ma anche
  oltre Oceano, a cavallo degli anni 70-80 si era in verità
  manifestata la sindrome  Nimby   (Not in my
  backyard),  in quanto la gente non si sentiva del tutto
  garantita da alcune applicazioni tecnologiche per es,
  termodistruttori di prima generazione con sistemi di
  abbattimento fumi non del tutto efficienti.  Oggi possiamo
  costatare che ovunque, in Germania, Danimarca,
 
                              Pag. 237
 
  Svezia, Finlandia, Francia , gli impianti di trattamento di
  rifiuti, vere e proprie piattaforme industriali, sorgono a
  poca distanza dai centri abitati, con il consenso delle
  popolazioni residenti, come la Commissione ha potuto costatare
  nel corso della visita nel nord Europa del settembre 2000.  Il
  consenso della popolazione si ottiene se vi è un rapporto di
  fiducia e consapevolezza tra il cittadino, lo Stato che
  controlla e l'azienda che applica le tecnologie.  In Italia
  purtroppo in tema di impianti di trattamento dei rifiuti,
  persiste ancora assai diffusa la sindrome  Nimby   (Not
  in my backyard),  in qualche caso motivata dalle numerose
  situazioni di degrado ambientale.  Prevalentemente però si
  assiste ad una eccessiva enfatizzazione ed esasperazione di
  tale sindrome e forse con un eccesso di sensibilità sul tema
  ambientale.  Tale ipersensibilità vanifica ogni sforzo delle
  amministrazioni e degli operatori teso alla soluzione dei
  problemi di smaltimento/recupero dei rifiuti.  Il caso recente
  della Campania, che deve affrontare drammaticamente il
  problema dello smaltimento dei rifiuti urbani, nonostante sia
  da sei anni in commissariamento per l'emergenza rifiuti e
  bonifiche, costituisce un precedente pericoloso che deve
  essere visto come un segnale preoccupante.  Ma come arrivare al
  consenso?  Un ruolo fondamentale, riteniamo lo abbia la scuola
  in cui dovrebbero essere fatti sforzi in tutte le direzioni
  affinché sia imposto l'insegnamento dell'ecologia negli
  istituti di ogni ordine e grado con la collaborazione,
  pensiamo, di tutte le forze del volontariato e
  dell'associazionismo ambientale.  Se si vuole che i
  comportamenti degli adulti siano virtuosi e tendano al
  rispetto dei principi dello sviluppo sostenibile, occorre
  educare gli adulti di domani cioè i giovani delle scuole di
  oggi.  Peraltro, tutta la norma ambientale a livello
  internazionale nord europeo e nazionale, si basa sullo
  sviluppo sostenibile dopo il cambiamento di rotta imposto
  dalla Conferenza di Rio de Janerio del 1992 alla cultura dello
  spreco, dell'usa e getta.  Un dato preoccupante quindi, tale
  ipersensibilità, che non facilità di certo il consenso delle
  popolazioni alla installazione di qualsivoglia impianto di
  trattamento o di recupero di rifiuti e che non aiuta e
  incoraggia l'imprenditoria.  Il caso eclatante della Campania
  di questi giorni è sotto gli occhi di tutti.  Su tale versante,
  probabilmente, occorrerà ritarare il sistema e oltre al già
  citato problema della educazione ambientale nelle scuole, si
  deve facilitare e potenziare la corretta informazione e la
  tecnica di comunicazione.  Ma quali sono gli impatti ambientali
  che possono originare dalla installazione degli impianti di
  trattamento dei rifiuti e da quello di smaltimento
  definitivo,di recupero e di bonifica?  Qui di seguito se ne
  fornisce una illustrazione esemplificativa:
        Trasporto dei rifiuti.
      Il trasporto dei rifiuti è una delle fasi più delicate
  del ciclo dei rifiuti, in termini di impatto ambientale.  La
  normativa vigente in tema di gestione dei rifiuti, prevede che
  essi, durante il trasporto siano individuabili e classificati
  secondo la normativa per mezzo di bolle di trasporto e che i
  mezzi siano idonei, attrezzati con apparecchiature e materiali
  di pronto intervento per affrontare le
 
                              Pag. 238
 
  emergenze e che rispettino tutte le norme di sicurezza in
  maniera che siano minimizzati i danni per l'ambiente e per
  l'uomo, in caso di incidenti Non sono rari i casi di gravi
  contaminazioni ambientali a seguito di trasporto di rifiuti
  pericolosi via terra che si registrano quasi quotidianamente.
  Una segnalazione pervenuta alla Commissione riferisce che,
  nello scorso mese di agosto, una motrice che trasportava
  rifiuti pericolosi (melme petrolifere catramose della
  raffineria Agip di Priolo) su cassoni né telonati né
  sigillati, si è ribaltata all'uscita del viadotto Boccetta,
  nelle immediate vicinanze della città di Messina, e che il
  carico ha contaminato le zone circostanti causando grave
  disagio alle popolazioni del posto esposte per tanti giorni a
  odori nauseabondi di prodotti petroliferi e di benzene.  Anche
  i trasporti di rifiuti via mare o via fiume in qualche caso,
  alla stessa stregua dei trasporti di prodotti, possono essere
  causa di gravi impatti sull'ambiente. sulle vie fluviali.
  L'agenzia per l'ambiente degli Stati Uniti d'America (EPA) in
  un recente rapporto (EPA 310-R-97-002, vedi bibliografia) ha
  ben evidenziato i rischi per l'ambiente generati dal non
  corretto utilizzo dei mezzi di trasporto, dalla mancanza di
  norme di sicurezza e di pronto intervento.  Sono purtroppo
  numerosi i casi registrati riferibili al trasporto di rifiuti
  in autostrada da parte di aziende che utilizzano cisterne da
  cui fuoriescono liquidi pericolosi per gocciolamento.  Vi è da
  notare che a volte da parte di operatori senza scrupoli, il
  sistema del gocciolamento viene utilizzato come via di
  smaltimento del carico lungo il percorso specialmente in
  occasione di avverse condizioni meteorologiche.  L'impatto
  ambientale del trasporto dei rifiuti attiene al suolo, alle
  acque, all'aria.  Un rifiuto liquido trasportato senza cura e
  attenzione, emette sostanze pericolose in atmosfera e quando
  il carico viene sversato sul suolo provoca contaminazione
  anche delle falde per percolamento del contaminate nel
  sottosuolo.  La via che statisticamente più sicura e che
  comporta minori rischi per l'ambiente è quella dell'utilizzo
  del trasporto ferroviario dal momento che, salvo, cause
  accidentali, vi è una "strada obbligata" da percorrere con
  bassi rischi di impatto con altri mezzi o veicoli.  Il
  trasporto via ferrovia, auspicato dalla Commissione anche in
  occasione della presentazione del biennio di attività della
  stessa, nel novembre 1999 presso la Camera dei deputati,
  comporta anche un bassissimo rischio, prossimo allo zero per
  ciò che riguarda le emissioni in atmosfera essendo la trazione
  di tipo elettrico.  Se paragonato al trasporto con altri mezzi
  e altri sistemi tir, cisterne, camions,etc), il trasporto
  ferroviario dei rifiuti (che peraltro in tale settore è sotto
  l'attenzione del management delle Ferrovie , date le
  potenzialità di sviluppo) risulta vincente in quanto a ridotto
  impatto ambientale relativamente ai comparti acqua, aria,
  suolo.  L'opzione di trasportare i rifiuti delle lagune
  dell'Acna di Cengio via ferrovia, (in aggiunta a quanto già
  viene fatto per i rifiuti dell'inceneritore di Brescia e
  dell'area di Porto Marghera), tramite un accordo tra la
  società Ecolog (costituita dalla Ferrovie dello Stato) e la
  proprietà Acna, è da vedere, quindi, positivamente nel momento
  in cui i rifiuti delle "lagune" verranno conferiti presso la
  miniera di Teutschenthal nei pressi di Lipsia.  Il ridotto
  impatto ambientale del sistema "trasporto ferroviario/
  ripristino ambientale in miniera" realizza
 
                              Pag. 239
 
  inoltre globalmente una significativa riduzione del carico
  inquinante sul territorio comunitario.
        Discariche controllate.
      Nella filosofia europea della gestione dei rifiuti,
  recepita dagli Stati membri, la discarica assume, com'è noto,
  un ruolo marginale e residuale.  Essa, infatti, può accogliere
  rifiuti inerti o resi inerti o derivanti dai trattamenti di
  recupero e comunque a bassissima matrice organica per
  minimizzare, se non eliminare, la possibilità che si formi il
  percolato.Per come visto nel capitolo relativo alla normativa
  nazionale di gestione dei rifiuti, la deliberazione del
  Comitato interministeriale del 27 luglio 1984 contiene le
  disposizioni per la prima applicazione dell'articolo 4 del
  decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982 n.
  915 e concerne lo smaltimento dei rifiuti in discarica o per
  termodistruzione.  In tale deliberazione sono contenuti i
  criteri tecnico-scientifici, quelli amministrativi, le
  procedure di autorizzazione, le tecniche di smaltimento,
  nonché i criteri classificatori dei rifiuti.  Tale norma
  secondaria, da innovare in alcune sue parti, come auspicato
  anche in un importante documento del CISA dell'Università di
  Cagliari del 1997 (Linee guida per le discariche controllate
  di rifiuti solidi urbani), rimane ancora, in attesa della
  emanazione del decreto di attuazione dell'articolo 5 comma 6
  previsto dal decreto legislativo del 5 febbraio 1997 n. 22, lo
  strumento tecnico che regolamenta la materia dello smaltimento
  in discarica dettandone:
          a)  criteri per la distanza di sicurezza dai punti
  di approvvigionamento delle acque destinate ad uso potabile,
  dall'alveo di piena di laghi, fiumi, torrenti, dai centri
  abitati e dai sistemi viari di grande comunicazione;
          b)  criteri per la ubicazione in suoli stabili
  tali da evitare rischi di frane o cedimenti della struttura di
  smaltimento;
          c)  criteri di gestione (compattazione, rimozione
  del percolato, captazione del biogas, ripristino ambientale
  del sito dopo coltivazione ecc.).
      Tutto ciò a seconda che si tratti di discariche di prima
  categoria, di seconda categoria di tipo A, di tipo B e di tipo
  C e di terza categoria.  La legge 33/2000 (legge comunitaria
  2001) ha recepito la direttiva 31/99//CE prevedendo la nuova
  normativa sulle discariche con dei tempi di attuazione
  graduale diversificati per impianti nuovi ed esistenti ed il
  differimento dei termini di cui all'articolo 3, commi 6 e
  6- bis,  del decreto legislativo n. 22/97 per il
  conferimento dei rifiuti in discarica (pretrattamento
  preventivo).  Per ciò che riguarda lo smaltimento dei rifiuti
  pericolosi in discarica, il decreto del Ministero
  dell'Ambiente n. 141 del 11marzo 1998 cataloga e identifica
  tali rifiuti in attuazione dell'articolo 28, comma 2 del
  decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22.  Tra i vantaggi che
  offre la discarica si possono riportare quelli relativi ai
  minori costi di investimento
 
                              Pag. 240
 
  rispetto ad altri impianti a tecnologia più complessa come i
  termodistruttori.  Per realizzare ed avviare una discarica
  infatti i tempi non sono molto lunghi, per la sua gestione si
  richiedono macchinari a semplice tecnologia (compattatori,
  macchine per movimento terra etc) e lo smaltimento dei rifiuti
  che in essa avviene è da considerarsi definitivo.  Inoltre, ove
  le condizioni geologiche lo consentano, la discarica può
  essere utilizzata come recupero di vecchie cave purchè i
  sistemi di impermeabilizzazione siano installati
  correttamente.  La coltivazione avviene in continuo (eccetto
  condizioni meteorologiche avverse) e non vi sono quindi tempi
  morti per manutenzione.  A sfavore della discarica giocano
  invece tanti fattori tra i quali vi è l'eccessivo consumo e
  l'estesa occupazione di territorio, la produzione di percolato
  , derivante per la gran parte dalla presenza di rifiuti
  organici putrescibili e degradabili che, oltre a comportare
  problemi per lo smaltimento, può essere causa di pericolose
  infiltrazioni nelle falde di acqua potabile destinata al
  consumo umano.  Il percolato inoltre, con il suo carico
  inquinante di microroganismi e specie chimiche tossiche,
  continua a prodursi anche ad ultimazione della coltivazione
  della discarica e quindi occorre considerare un ulteriore
  costo per i controlli post-gestione La stessa matrice organica
  presente nella discarica, a causa di processi fermentativi, è
  all'origine della produzione di biogas stimato in circa
  250-350 metri cubi per tonnellata di rifiuto smaltito e la cui
  scarsa o minima captazione comporta la liberazione in
  atmosfera di metano (gas ad effetto serra notevolmente più
  alto dell'anidride carbonica) ed altri gas in aggiunta a
  emissioni maleodoranti assai fastidiose per gli insediamenti
  abitativi spesso prossimi alla discarica stessa.  Inoltre, il
  biogas derivante dalla decomposizione aerobica e anaerobica,
  produce una miscela di anidride carbonica e metano con
  innalzamento delle temperature locali.  Tali gas possono dar
  luogo a miscele esplosive con l'aria ove il biogas non sia
  correttamente captato e combusto.  Un caso recente di
  esplosione con vittime umane si è purtroppo verificato di
  recente nei pressi di una discarica a La Spezia.  I fenomeni
  sopra descritti vengono accentuati e diventano più gravi
  quando la discarica è abusiva, cosa assai ricorrente nel
  nostro Paese , come la Commissione ha avuto modo di constatare
  nel corso degli ultimi tre anni.  In tal caso, in mancanza dei
  requisiti previsti dalle norme vigenti sia in fase di
  progettazione che di esercizio, il sito di smaltimento può
  insistere non su terreni argillosi o impermeabilizzati bensì
  su suoli non idonei, ad alta permeabilità per cui i rifiuti
  cedono il loro carico di inquinanti percolando fino alla falda
  idrica.  Ancora più grave, in tal caso, è la contaminazione
  dell'atmosfera a causa delle emissioni di sostanze
  maleodoranti, derivanti dai processi fermentativi e di
  sostanze cancerogene prodotte dai processi di autocombustione
  o da incendi dolosi dei rifiuti.  In quest'ultimo caso , data
  la gestione illegale del sito, tra i rifiuti conferiti,
  possono essere presenti contaminanti di ogni tipologia
  (pericolosi e non pericolosi) contenenti per esempio cloro
  legato a matrici organiche (plastiche, solventi, vernici,
  scarti industriali, materiali intrisi di policlorobifenili, i
  cosiddetti PCB,etc) precursori della formazione di diossine ,
  furani ed altri composti pericolosi per la salute dell'uomo,
  in considerazione anche delle basse temperature in gioco al
  momento della combustione
 
                              Pag. 241
 
  incontrollata (500-700^C).  Il ripristino della discarica,
  dopo la cessazione della coltivazione, è un costo gravoso e
  l'utilizzo alternativo del sito" ripristinato" non è molto
  remunerativo in quanto non si presta per scopi abitativi nè
  per usi agricoli con coltivazione di speci destinate
  all'alimentazione umana e animale.  Va rilevato infine che una
  discarica in coltivazione, la cui gestione non sia del tutto
  corretta, può costituire un punto di attrazione per i volatili
  che possono essere a loro volta veicolo di pericolose
  infezioni.  La dispersione di microorganismi in atmosfera, a
  causa dei venti, può comportare infine la trasmissione di
  agenti patogeni all'uomo.  Al fine di ridurre la produzione di
  gas serra, di emissioni maleodoranti e di percolato, causa
  spesso, per come si è detto, di contaminazione delle falde, la
  normativa comunitaria ha posto forti vincoli all'utilizzo
  futuro delle discariche, riservando ad esse un ruolo che, nel
  tempo, diventerà marginale rispetto a quello attuale.  La
  normativa comunitaria recepita dal decreto legislativo del 5
  febbraio 1997 n. 22, proprio nell'ottica di una gestione
  integrata dei rifiuti, all'articolo 6 di tale decreto, prevede
  che dal 1^ gennaio del 2001 sia consentito smaltire in
  discarica solo rifiuti inerti, rifiuti individuati da
  specifiche norme tecniche e rifiuti che residuano dalle
  operazioni di riciclaggio, di recupero e di smaltimento il
  che, tradotto nella pratica del conferimento, significa
  espresso divieto di smaltimento di rifiuti a componente
  organica.  Nel caso dei rifiuti urbani ciò significherà avviare
  tali matrici organiche al compostaggio mentre relativamente ai
  rifiuti speciali si tratterà di avviarli o alla
  termodistruzione o ai processi di inertizzazione che
  immobilizzino i contaminanti nei materiali usati per i
  processi di fissazione chimica.  Le discariche di oggi dovranno
  quindi accogliere i rifiuti inerti, quelli derivanti dai
  processi di recupero delle frazioni secche ed umide delle
  raccolte differenziate e saranno asservite agli impianti di
  termodistruzione per accogliere le ceneri tal quali o rese
  inerti.  Purtroppo dati i ritardi nell'attuazione della
  normativa vigente e il lento adeguamento ad essa di numerosi
  piani regionali, si deve oggi constatare che il termine del
  gennaio 2001 fissato dalla norma non è ancora assai difficile
  da rispettare per cui è presumibile che il legislatore debba
  ricorrere ad una ulteriore proroga dei termini.  Quando si
  decide di realizzare un impianto di discarica, occorre tenere
  presente che il costo pagato dalla comunità, considerando
  effetti diretti e indiretti, sulla popolazione esposta e
  sull'ambiente, è da considerarsi alto nell'insieme delle
  componenti ambientale, paesaggistica, economica, sociale.  Sul
  territorio, infatti, si accumulano rifiuti e conseguentemente
  viene deprezzato il valore materiale e culturale del sito
  stesso.Il ripristino ambientale a fine chiusura è anch'esso un
  costo.  Sulla rivista "The Lancet" è stato reso noto di recente
  il risultato di una ricerca finalizzata alla valutazione dei
  possibili rischi di malformazioni congenite a carico di coloro
  che risiedono nei pressi di discariche controllate di rifiuti
  pericolosi.  La ricerca è stata condotta utilizzando i dati di
  sette registri regionali delle malformazioni su cui viene
  annotata l'evoluzione del fenomeno in cinque Paesi europei.
  Per l'Italia, il referente è l'Istituto di fisiologia clinica
  del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa.  Si è appurato
  che, per i residenti entro un raggio di tre chilometri dai
  siti di discarica di rifiuti
 
                              Pag. 242
 
  industriali, vi sarebbe un rischio di incremento del 33%
  delle malformazioni, con una particolare incidenza per le
  malformazioni del tubo neurale, del cuore e dei grandi vasi
  sanguigni.  Ovviamente gli autori della ricerca,
  nell'evidenziare la natura indiziaria e non probante delle
  ricerche e delle indagini epidemiologiche, manifestano la
  necessità di ulteriori approfondimenti (che sono tutt'oggi in
  corso), in maniera tale da poter stabilire un nesso causale
  tra il rischio e le anomalie congenite e la distanza dalle
  discariche.  La notizia è stata fatta propria anche dal
  Ministero dell'Ambiente che, nel dicembre del 1998, ha inviato
  una lettera circolare agli assessorati all'ambiente e alla
  sanità di alcune regioni dove sono presenti discariche di
  rifiuti pericolosi, per ottenere informazioni circa la
  localizzazione delle discariche, circa eventuali
  localizzazioni di discariche abusive, e relativamente a
  eventuali azioni di monitoraggio e disponibilità di dati
  epidemiologici.  I rischi connessi all'esistenza di discariche
  controllate evidentemente si amplificano quando le discariche
  sono abusive o mal gestite.
        Impianti di stoccaggio, di riciclo, di trattamento dei
  rifiuti.
      Relativamente allo stoccaggio di rifiuti, questi vanno
  considerati alla stessa stregua delle sostanze pericolose per
  le quali esistono ben precise norme derivate da quella
  primaria sulla etichettatura.  Per minimizzare l'impatto
  ambientale per l'atmosfera l'acqua e il suolo, una delle prime
  regole da rispettare è quella di evitare il superamento delle
  quantità da stoccare e da trattare autorizzate nonché i tempi
  di permanenza.  Durante le operazioni di trattamento
  (volumetrico, di inertizzazione, di miscelazione, vanno
  evitate operazioni che comportino incompatibilità chimiche che
  potrebbero comportare i rischi di sviluppo eccessivo di
  calore, reazioni esotermiche con conseguenti esplosioni e
  incendi.  I contenitori dei rifiuti debbono essere
  ermeticamente sigillati e ispezionabili, integri e non debbono
  presentare segni di corrosione con perdita di liquidi nel
  suolo.  Le condizioni di aerazione debbono essere garantite e
  gli eventuali odori presenti debbono essere captati da un
  sistema in leggera depressione con assorbimento su mezzi
  assorbenti (es carboni attivi) nel pieno rispetto delle
  normative vigenti in materia di qualità dell'aria.  Debbono
  essere disponibili piani di pronto intervento di emergenza e
  di antincendio.  In caso di incendi, la combustione di rifiuti
  pericolosi può avere gravi conseguenze sull'ambiente e sulla
  salute dei cittadini.  La Commissione ha riscontrato quanto
  successo recentemente (aprile del 2000 ) presso lo stoccaggio
  provvisorio della società Orim di Macerata, in cui, a seguito
  di un incendio, sono andati a fuoco materiali pericolosi vari
  (oli, catalizzatori e solventi) provocando una nuvola nera
  persistente per tutto il giorno.
        Impianti di selezione dei rifiuti ed impianti di
  compostaggio.
      Il problema più importante delle aree in cui avviene la
  selezione, la cernita delle frazioni secche ed umide dei
  rifiuti solidi urbani,
 
                              Pag. 243
 
  nonché quello degli impianti di compostaggio è comune
  (certamente più accentuato negli impianti di compostaggio), e
  consiste nella presenza di odori, a volte nauseabondi,
  derivanti dalla fermentazione e putrescibilità delle frazioni
  organiche presenti nel rifiuto.  L'impatto ambientale riguarda
  essenzialmente l'atmosfera ma anche il suolo e la falda se i
  liquidi di percolazione che si formano durante la
  biodegradazione non vengono allontanati e smaltiti
  correttamente.  Per risolvere il problema degli odori è
  necessario intervenire su due fronti: il primo riguarda
  l'applicazione di procedure di housekeeping in grado di
  assicurare la continua e costante pulizia delle aree dove
  vengono manipolati i rifiuti, la seconda riguarda la
  captazione degli odori tramite un sistema di aspirazione in
  leggera depressione e il collettamento dell'aria contaminata
  in un sistema di abbattimento che può essere costituito da
  scrubbers  ad umido con relativo trattamento delle acque
  o da biofiltri a letto torbiero o da sistemi di assorbimento
  su supporti ceramici contenenti microorganismi.  Il sistema di
  assorbimento degli odori può altresì essere costituito da
  filtri a carbone attivo che, una volta esauriti, possono
  essere rigenerati o smaltiti.  Uno dei motivi che provoca il
  disagio delle popolazioni che vivono nei pressi di tali
  impianti è costituito principalmente dagli odori che in
  qualche caso possono provocare nausee e gravi fastidi anche
  agli operatori addetti dell'impianto.
        Impianti di termodistruzione.
      Un impianto di termodistruzione, che sia tuttavia
  equipaggiato con un adeguato sistema di trattamento delle
  emissioni e che realizzi un effettivo recupero energetico, non
  aumenta l'impatto ambientale complessivo anzi contribuisce
  alla sua riduzione.  In discarica è noto che la frazione
  organica viene trasformata in anidride carbonica, metano, e
  percolato, senza alcuna produzione di energia eccettuata la
  minima quota parte che può derivare dalla combustione del
  biogas a fase avanzata di coltivazione della discarica stessa.
  La termodistruzione, invece, oltre a produrre energia non
  provoca emissioni aggiuntive ma sostitutive e di qualità
  migliore rispetto ai combustibili convenzionali.  E' come dire
  che le emissioni di anidride carbonica e di metano si
  contraggono e ciò costituisce un modo per ridurre l'effetto
  serra, atteso che sia la CO2 e molto di più il metano sono gas
  a forte effetto serra.  Si consideri che la produzione di
  energia da rifiuti fa risparmiare combustibile fossile e
  quindi CO2 derivante dalla combustione dello stesso.  In tal
  senso si ha un miglioramento dell'impatto ambientale Un
  confronto tra l'energia prodotta dai rifiuti e quella prodotta
  dai combustibili tradizionali e convenzionali (carbone, olio
  combustibile denso, metano) fa costatare che l'impatto
  ambientale del ciclo completo dei combustibili convenzionali
  dovuto alla estrazione, alla separazione, alla depurazione e
  al trasporto gioca a favore dell'energia dai rifiuti venendo a
  mancare tutte le operazioni che comportano forti impatti
  ambientali quali il consumo di energia, le emissioni nelle
  varie fasi del ciclo, l'alterazione del paesaggio, la
  produzione di rifiuti e di reflui idrici da smaltire, il
  traffico, i rischi di incidenti e sversamenti.  Da un punto di
  vista di compatibilità
 
                              Pag. 244
 
  ambientale va inoltre rimarcato che la produzione energetica
  da termodistruzione proiettata al teleriscaldamento permette
  di risparmiare energia primaria con un doppio vantaggio: da
  una parte si concentra la produzione di calore in poche e
  significative centrali con il risultato che si ottimizzano e
  razionalizzano i parametri e si riducono al minimo le
  emissioni inquinati.  La cogenerazione (calore + energia
  elettrica) non solo è vantaggiosa come consumi ma è anche una
  delle strade con cui l'Italia potrà tentare di adeguarsi al
  protocollo di Kyoto diminuendo entro il 2010 le emissioni di
  anidride carbonica del 6.5%, rispetto a quelle del 1990.  Ciò
  significa una contrazione del 25-30% rispetto a quelle che
  sarebbero diventate in assenza del protocollo di Kyoto.
  Peraltro il sistema di cogenerazione di Brescia è un chiaro
  esempio degli ottimi risultati che si possono raggiungere e
  che è assai diffuso nei comuni nel Nord Europa.  La
  termodistruzione, in quanto opera sul rifiuto in maniera
  definitiva, non trasferisce nel tempo la soluzione del
  problema ambientale come la discarica o nello spazio
  attraverso le materie che si recuperano dalla selezione e
  cernita dei rifiuti, operazioni pur esse importanti e da
  ottimizzare percentualmente fino a valori auspicabili del 50%
  nell'ambito della gestione integrata dei rifiuti.  La
  termodistruzione va intesa come un metodo efficace per la
  riduzione del volume dei rifiuti, consuma meno territorio.
      Certamente, un impianto di termodistruzione può
  rappresentare una fonte di contaminazione per l'ambiente
  esterno se essa è condotta in maniera poco accurata, se le
  apparecchiature di depurazione dei fumi e di combustione non
  sono efficienti e se non si fa ricorso alle tecnologie oggi
  disponibili per minimizzare gli impatti ambientali  (lowNOx
  burners  per abbattere gli ossidi di azoto,  combustion
  improvers  per migliorare la combustione, additivi per
  abbattere la SO2, scrubbers ad alta efficienza, filtri a
  maniche, depolveratori a cicloni, assorbitori a carboni attivi
  etc).  La combustione riduce infine la pericolosità dei rifiuti
  organici rispetto alla discarica nella quale questi permangono
  per tanto tempo specie nel medio e lungo termine.  Le scorie di
  combustione, specie se inertizzate, hanno sicuramente
  caratteristiche migliori dal punto di vista dei rilasci
  rispetto ai rifiuti tal quali depositati in discarica.  Non va
  trascurato nemmeno il fatto che la combustione distrugge
  batteri e virus cosa che non succede in discarica.
        Impatto ambientale dei siti contaminati.
      Un sito contaminato è fonte continua di disagio e
  preoccupazione per le popolazioni residenti nelle immediate
  vicinanze infatti sono da prendere in seria considerazione i
  danni che a loro insaputa può aver causato la contaminazione
  nel tempo.  La presenza di un sito contaminato, oltre a
  costituire elemento di degrado, ha un impatto negativo anche
  di ordine economico, in quanto deprezza il valore
  dell'ambiente, dei manufatti, delle strutture e degli immobili
  siti in prossimità.  La preoccupazione permane fino a che alla
  popolazione non si danno serie garanzie di soluzione del
  problema in maniera definitiva.  In tal senso vi è da
  considerare una sorta di ipersensibilità
 
                              Pag. 245
 
  anche nel caso dei siti contaminati.  A La Spezia, ove la
  discarica di Pitelli attende ancora di essere bonificata, un
  altro recente caso, quello della ex area della raffineria IP,
  costituisce per la popolazione un forte elemento di disagio e
  preoccupazione, come si evince dai numerosi articoli apparsi
  di recente sulla stampa locale.  Quando si verificano tali
  situazioni, oltre alle giuste preoccupazioni per la salute
  pubblica, insorgono anche ripercussioni notevoli di impatto
  socio-economico.
        Il problema diossine.
      Generalmente con il termine "diossine" si intende la
  famiglia di composti organici clorurati tossici - le
  cosiddette PCDD, policlorodibenzodiossine - in numero di 75
  composti diversi e con diversa tossicità, dipendentemente
  dalla loro struttura chimica.  Già nel 1800 furono identificate
  le prime diossine ma si sa che erano presenti sul pianeta da
  tempi molto antichi, come dimostrato da numerosi studi su
  tessuti animali, su piante, su numerosi reperti archeologici.
  Le diossine sono presenti sul pianeta in maniera ubiquitaria e
  le fonti di emissione sono le più disparate.  Le diossine si
  formano insieme ad altre sostanze organiche come i furani nel
  corso delle combustioni incomplete di materiali organici in
  ambienti in cui sia presente cloro sia in forma organica che
  inorganica come ormai accertato internazionalmente.  Quando si
  bruciano rifiuti solidi urbani (in cui comunque sono già
  presenti piccole quantità di diossine a volte superiori a
  quelle emesse con i fumi di combustione) a temperature
  inferiori a 850^C (temperature normalmente presenti negli
  inceneritori di vecchia generazione) in cui insieme alla
  matrice organica è contenuto anche cloro sotto varie forme
  chimiche, è certa la formazione di diossine.  L'Agenzia
  internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), che è una
  sezione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, ha definito
  la tetraclorodibenzodiossina (2,3,7,8,TCDD) come un potente
  cancerogeno di classe 1 per l'uomo.  In generale le diossine
  sono persistenti nell'ambiente e possono essere causa di gravi
  problemi a danno del sistema riproduttivo e dello sviluppo e
  del sistema immunitario.  Esse inoltre interferiscono con gli
  ormoni regolatori.  Le diossine sono solubili nei grassi e si
  accumulano nella catena alimentare.  Sono state trovate nella
  carne, nel latte, nei polli, nei maiali, nei pesci, nelle
  uova.  A cavallo degli anni '70 furono scoperte da scienziati
  olandesi le diossine nei fumi degli inceneritori.  Nel 1984
  inoltre in Svezia, Paese che ha studiato molto
  approfonditamente il problema delle diossine, si stabilì
  addirittura una sorta di "moratoria" e per un dato periodo si
  sospese la costruzione di impianti nuovi fino a che un gruppo
  di lavoro, coordinato dall'Agenzia per la protezione
  dell'Ambiente e che coinvolgeva illustri scienziati ed esperti
  del settore, non avesse chiarito i termini del problema.  Nel
  giugno 1986, l'Agenzia emise il "verdetto" fissando tutti i
  presupposti ritenuti indispensabili per una gestione corretta
  della termodistruzione dei rifiuti e ne venne fuori che l'uso
  dei rifiuti per la produzione di energia non deve confliggere
  con altre destinazioni che possono essere importanti per la
  società, che si debbono inoltre
 
                              Pag. 246
 
  rispettare i limiti delle emissioni prefissate per legge e
  che la combustione è da ritenersi un valido sistema per il
  trattamento dei rifiuti teso al recupero di energia tenendo
  tuttavia in considerazione tutti i requisiti gestionali ed
  impiantistici necessari e fissati dal rapporto.  Conseguenza di
  tale azione dell'Agenzia fu che dal 1986, la Svezia, riprese
  la costruzione di nuovi impianti di termodistruzione.  Lo
  studio svedese fu poi confermato da una analoga ricerca
  effettuata in Canada dal  National Incinerator Testing and
  Evaluation Program(NITEP).  Quanto avvenuto in Svezia
  costrinse i progettisti degli impianti di incenerimento che
  fino allora avevano privilegiato la tecnologia della
  combustione, a mirare con maggiore attenzione anche ai sistemi
  di abbattimento delle emissioni.  Oggi, il limite di emissione
  per gli impianti di termodistruzione di numerosi paesi
  Europei, compresa l'Italia, è di 0.1 nanogrammi di TEQ/ Normal
  metro cubo in cui il termine TEQ indica l'equivalente tossico
  di tutte le diossine .é noto che oggi vi sono impianti di
  termodistruzione (in Europa e di recente anche in Italia) che
  emettono mediamente cento volte meno rispetto a quanto veniva
  emesso dieci anni fa e comunque in grado di rispettare
  ampiamente il limite di 0.1 nanogrammi per normal metro cubo.
  Per abbattere le diossine nelle emissioni non è sufficiente il
  rispetto della cosiddetta regola delle " tre T" cioè,
  temperatura di combustione elevata, tempo di combustione
  adeguato a bruciare tutto il materiale organico, turbolenza
  dei fumi che garantisce condizioni di omogeneità (1).  Infatti,
  è stato verificato che i fumi che lasciano la camera di
  combustione, dopo raffreddamento, presentavano concentrazioni
  più alte di diossine in quanto alcune di esse si riformavano
  intorno ai 200-330 ^C.  I progettisti degli impianti di
  termodistruzione hanno quindi operato per migliorare le
  tecnologie di abbattimento delle emissioni cosa che non si è
  fatta in Italia, in quanto essi erano penalizzati a causa
  della paura della gente per il problema "diossine" dopo il ben
  noto incidente che provocò la nube tossica di Seveso.  La
  conseguenza era stata quindi che essi avevano abbandonato la
  strada della ricerca nella quale primeggiavano fino agli anni
  '70.  Negli anni dei fatti di Seveso e anche dopo assai
  particolare era stata l'apprensione di una opinione pubblica
  scarsamente informata sul problema e in grado quindi di
  condizionare fortemente la correttezza scientifica e le scelte
  dei processi di decisione.  Oggi il sistema Italia, a fronte di
  tecnologie che vengono importate da altri Paesi europei, sta
  reagendo con proprie installazioni cercando di recuperare il
  tempo perduto.  Per tenere sotto stretto controllo le emissioni
  di diossine riveste un ruolo importante non solo la gestione
  dei sistemi di combustione ma anche quella dei sistemi di
  abbattimento delle emissioni.  Vi è da notare che, certamente
  le alte temperature sull'ordine dei 1000^C -1100 ^C
  favoriscono la completa distruzione delle diossine sia di
  quelle presenti nella carica che di quelle che si possono
  formare intorno ai 300-400 ^C in fase di combustione.  Ma, per
  come si è detto, l'efficienza dei sistemi di abbattimento è
  altrettanto necessaria perchè
 
                              Pag. 247
 
  vengano rispettati gli stringenti limiti delle emissioni (0.1
  nanogrammi TEQ per Nmc).  Come sopra detto, le diossine sono
  ubiquitarie e quindi le possiamo trovare un po' dappertutto.
  Una stima delle emissioni nazionali di diossine e furani(2) è
  riportata nel documento redatto da Enea per l'inventario
  Corinair e mostra che sono numerose le sorgenti di emissione
  delle diossine.  Anche le discariche producono diossine(3).
  Infatti esse in parte entrano in atmosfera attraverso il
  biogas che si libera o viene bruciato (0.02-5 microgrammi per
  tonnellata di RSU), in parte si trovano nel percolato
  (0.002-0.0025 microgrammi per tonnellata RSU) e in parte nella
  discarica stessa (0.013-0.050 microgrammi per tonnellata di
  RSU).Anche negli impianti di compostaggio le diossine si
  concentrano nel compost, in ragione di 0.4-4 microgrammi per
  tonnellata.  Nelle discariche abusive (per come detto nel
  capitolo dedicato alle discariche) il fenomeno è più rilevante
  in quanto la presenza di rifiuti contenenti cloro organico e
  inorganico è maggiore.  Anche il combustibile derivato da
  rifiuti il cosiddetto CDR contiene diossine(4) e può
  sviluppare diossine in fase di combustione ove le condizioni
  di controllo non siano volte ad una accurata gestione della
  combustione e dei sistemi di abbattimento fumi.  In
  conclusione, sul problema diossine, sulla base di quanto sopra
  detto si può dire che esso, oggi, costituisce un "falso
  problema" quantomeno se lo si associa ai termodistruttori per
  come fatto in passato.  Certamente la paura della gente ha
  costituito un elemento emotivo che ha avuto un ruolo notevole
  portando ad una opinione distorta nella opinione pubblica.
  Occorre infine rilevare che la diossina è ubiquitaria e che è
  presente da molto tempo sul nostro pianeta, che la combustione
  non ha avuto un ruolo determinante sulle emissioni totali in
  considerazione del fatto che altri processi contribuiscono,
  per come visto, alla emissione di diossine e che la moderna
  tecnologia è in grado, oggi, di abbattere quasi a zero e
  comunque a valori molto bassi e trascurabili le concentrazioni
  al camino.
      (1) T come Termoutilizzazione - La termoutilizzazione
  nello smaltimento dei rifiuti cura della Fondazione Lombardia
  per l'Ambiente n. 20 dicembre 1996.
      (2) I dati della stima delle emissioni Corinair Enea
  per l'Italia espressi in grammi di TEQ (equivalemte tossico)
  di diossine e furani:
                      ...  (omissis) ...
      (3) "Riflessioni sulle strategie per lo smaltimento dei
  rifiuti in Italia". E. Pedrocchi-Facoltà di Ingegneria del
  Politecnico di Milano-Aprile 1997.
      (4) Da:  Energia blu Novembre 1998
      In un chilogrammo di CDR sono contenuti dai 5 ai 25
  nanogrammi di diossine.  Un Kg di CDR genera 150 grammi di
  scorie (in cui sono contenuti da 1 a 20 nanogrammi di
  diossine), 7 metri cubi di gas che contengono 0-3 nanogrammi
  di diossine.
 
                              Pag. 248
 
     LA VISITA DELLA COMMISSIONE IN ALCUNI STATI EUROPEI.
      La Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei
  rifiuti ha effettuato, nel mese di settembre del 2000, una
  visita presso alcuni impianti di trattamento e smaltimento di
  rifiuti (urbani, speciali pericolosi e non pericolosi) in
  alcuni Paesi europei:  Germania, Finlandia, Svezia,
  Danimarca.
        Germania: il sito minerario di Teuthschenthal
  (Lipsia).
      Nella miniera di Teuthschenthal, attiva sin dal 1907,si
  estraeva la carnallite ossia un cloruro idrato di potassio e
  magnesio spesso associato con silvina e salgemma nei depositi
  salini evaporitici e di colore lattiginoso o rossastro.Il sito
  minerario appare una buona soluzione per lo smaltimento di
  rifiuti solidi pericolosi o resi solidi attraverso trattamenti
  di inertizzazione.  I problemi da superare sono quelli degli
  odori sia sul piazzale esterno che all'interno della miniera.
  Nelle aree esterne, al momento della visita, si avvertiva
  odore di solventi organici provenienti dal collettore di
  scarico del sistema di depurazione ed aspirazione dell'aria
  interna al sito.  All'interno delle gallerie sotterranee era
  invece evidente l'odore di ammoniaca.  Data la profondità e la
  natura geologica del sito non sembra vi possano essere
  controindicazioni allo smaltimento di rifiuti solidi la cui
  massa cementata collocata per spinta con pala meccanica
  appositamente predisposta riempirebbe (come avviene) tutta la
  sezione libera della galleria stessa fungendo così non solo da
  riempimento ma da supporto vero e proprio al tetto impedendo a
  questo di crollare.  Si tratterebbe secondo le autorizzazioni
  del Land tedesco di un vero e proprio recupero ambientale che
  sarebbe auspicabile, a detta dei tecnici del sito, auspicabile
  anche in Italia.  La potenzialità del sito appare di lungo
  termine almeno per venti anni.  La lunghezza della galleria
  (circa 13 chilometri) assicurerebbe lo smaltimento di quantità
  di rifiuti solidi rilevante.  Le operazioni di riempimento
  stanno riguardando per ora la prima parte della miniera (circa
  4 chilometri) che a causa dell'abbandono nel passaggio della
  proprietà dalla Germania est a quella unificata, era stata
  soggetta ad un crollo delle pareti laterali in alcuni tratti.
  In tale sito vengono attualmente smaltiti rifiuti
  dell'inceneritore di Brescia, di alcune bonifiche Enichem di
  Porto Marghera e sono in corso trattative per il conferimento
  dei residui dei lagoons dell'Acna di Cengio, opportunamente
  solidificate.
        Finlandia:  Ecokem OY AB (Helsinky).
      L'inceneritore della società Ekokem ha una potenzialità
  di trattamento di rifiuti industriali pericolosi e non
  pericolosi (solventi, vernici, stracci imbevuti di vernici,
  pitture ) di 65.000 tonnellate/anno.  Sono operative due linee
  di termodistruzione ed è in fase avanzata di realizzazione una
  terza linea dotata di un sistema di abbattimento fumi assai
  sofisticato.  Le emissioni del forno di termodistruzione
  rispettano ampiamente i limiti imposti dalla normativa europea
  per
 
                              Pag. 249
 
  i microinquinanti tra cui le diossine.  La temperatura di
  termodistruzione è di 1300 ^C.  I fumi di combustione del forno
  a tamburo rotante vengono post-combusti con tempi di
  permanenza tali da permettere una completa ossidazione del
  rifiuto.  Nella linea di termodistruzione N.1 i fumi caldi
  vengono inviati ad una caldaia per la generazione di vapore da
  destinare a sua volta alla produzione di energia elettrica per
  autoconsumo all'interno dell'impianto e di energia termica per
  teleriscaldamento della vicina città di Riihimaki.  L'energia
  prodotta dalla seconda linea di termodistruzione viene invece
  utilizzata nei processi di evaporazione delle acque reflue.  Il
  lavaggio dei fumi avviene con calce per eliminare le emissioni
  di acido cloridrico e di anidride solforosa.  I residui di
  diossine, furani e mercurio vengono abbattuti con l'utilizzo
  di carbone attivo.  L'impianto Ekokem è una vera e propria
  piattaforma di trattamento:  Esiste infatti una unità di
  trattamento chimico-fisico di inertizzazione di alcuni reflui
  quali cianuri, cromati, sali e soluzioni saline che, dopo
  inertizzazione, vengono avviati alla discarica asservita
  all'impianto.  La Ekokem opera anche nel settore del recupero
  dei solventi e degli oli usati ed è dotata di un impianto di
  depurazione di acque industriali e di recupero del mercurio
  dalle lampade fluorescenti.
        Svezia:  Impianto sperimentale di combustione di
  Chalmers (università di Goteborg).
      In tale impianto sperimentale si stanno effettuando
  combustioni sperimentali di miscele di combustibili al fine di
  verificare le condizioni ottimali di combustione.  Tutti i
  parametri di combustione vengono registrati in numerosi punti
  della camera di combustione al fine di ottenere un modello
  previsionale per l'ottimizzazione dei processi di
  combustione.
        Danimarca: impianto di termodistruzione rsu di
  Arhus.
      L'impianto di Arhus tratta il 28% dei rifiuti prodotti
  ogni anno nel distretto (620.000 tonnellate).  Esso è
  costituito da tre forni ognuno della capacità di 7.6
  tonnellate /ora di rifiuto urbano.  La linea 3 ha una capacità
  di 8.0 ton/h.  Completano l'impianto 2 forni per rifiuti
  sanitari da 200Kg/ora e tre dryers per l'essiccamento dei
  fanghi di depurazione, in grado di essiccare ognuno 2
  tonnellate/ora di fango.  Le ceneri della termodistruzione
  ammontano a 2775 tonnellate/anno.  La termodistruzione oraria è
  di 23 tonnellate di rifiuti il cui calore è utilizzato nel
  distretto di Arhus per produrre vapore (teleriscaldamento) e
  per produrre elettricità.  L'impianto è dotato di depolveratori
  a ciclone, di un elettrofiltro, e di un sistema di scrubbers
  per il trattamento dei fumi.
        SISTEMI DI RILEVAZIONE E DI CONTROLLO.
      L'applicazione delle tecnologie di monitoraggio
  ambientale, oggi più che mai, costituisce un passaggio
  fondamentale per garantire il controllo, la salvaguardia e la
  tutela del territorio.  Le tecnologie oggi
 
                              Pag. 250
 
  disponibili permettono agli operatori, agli addetti ai lavori
  ma anche alla popolazione di seguire le evoluzioni dei
  fenomeni di degrado, di fornire informazioni sullo stato di
  salute del pianeta e di programmare interventi mirati di
  risanamento.  Grazie alla rapida evoluzione tecnologica degli
  ultimi tempi, una vasta gamma di apparecchiature per il
  controllo e il monitoraggio dell'atmosfera, delle acque, del
  suolo e del sottosuolo è disponibile sul mercato.  I controlli
  automatici stanno sempre di più sostituendosi a quelli manuali
  dei quali tuttavia non si potrà mai fare a meno.  Nel settore
  delle acque di scarico esistono ormai da un trentennio
  apparecchiature di prelievo e di controllo "on line" che
  forniscono direttamente dati di concentrazione di inquinanti
  presenti nel mezzo idrico e che spesso riproducono metodi di
  analisi manuali (es. quelli colorimetrici) di laboratorio.  E'
  evidente, tuttavia, per come detto che per quanto i sistemi di
  taratura automatica siano assai sofisticati non può mai
  prescindersi dalle tarature manuali periodiche di tutta la
  strumentazione coinvolta nel sistema di monitoraggio e
  controllo.  Nel settore dell'inquinamento atmosferico, le
  centraline mobili e fisse, di cui normalmente sono
  equipaggiate le reti di rilevamento della qualità dell'aria
  nelle città, sono ormai in grado di monitorare una vasta gamma
  di inquinanti (ossidi di azoto, biossido di zolfo, monossido
  di carbonio, idrocarburi totali, benzene, polveri totali,
  polveri inalabili etc).  Anche nel campo delle emissioni
  atmosferiche da sorgenti puntiformi esiste una serie di
  strumenti "on line" in grado di misurare le polveri, gli
  ossidi di azoto, l'acido cloridrico etc.  Per ciò che riguarda
  invece il monitoraggio dei microinquinanti organici (es.
  idrocarburi policiclici aromatici, diossine,
  policlorobifenili, e inorganici (es. i metalli tossici quali
  il nichel, cadmio, mercurio, cromo etc), il dato "on line" non
  è ancora disponibile e ci si limita, date le bassissime
  concentrazioni in gioco, a prelevare grandi quantità di aria
  ambiente utilizzando campionatori "high volume" o di emissioni
  da sorgenti puntiformi in modo da arricchire la concentrazione
  delle specie chimiche interessate per mezzo di filtri o mezzi
  assorbenti da analizzare successivamente e manualmente in
  laboratorio.  Nel settore della geofisica applicata esiste una
  serie di metodologie per l'analisi non invasiva del sottosuolo
  in grado di evidenziarne le anomalie dovute o a motivi
  strutturali o a modificazioni avvenute a seguito di
  contaminazioni o interramenti di oggetti.  Rispetto ai metodi
  convenzionali diretti (pozzi di monitoraggio, carotaggi,
  escavazioni etc), le tecnologie non invasive offrono il
  vantaggio di non alterare le condizioni attuali del suolo e
  comunque, nell'ambito di un sistema integrato possono essere
  accoppiate alle tecniche invasive "mirate".  Si hanno cosi
  metodi radar (ground penetrating radar), a induzione
  elettromagnetica, a resistività elettrica, a rifrazione
  sismica, con "metal detector", con apparecchiature
  magnetometriche etc.  Le tecniche non invasive sono meno
  costose di quelle invasive e tra i vari scopi permettono di
  caratterizzare un sito rilevandone le caratteristiche
  geologiche, permettendo per es. la scoperta di fusti
  interrati, come la Commissione ha verificato nel caso della
  contaminazione di Riano Flaminio attraverso una indagine
  condotta dal Dr Marchetti dell'Istituto Nazionale di
  geofisica.  L'analisi dei vapori organici presenti nel suolo ,
  in caso di interramenti di rifiuti effettuata per
 
                              Pag. 251
 
  mezzo di una sonda infissa nel suolo e analizzati per via
  gas-cromatografica on line, può ascriversi a tali tecniche e
  metodologie non invasive.  Le più rilevanti prospettive per un
  controllo e monitoraggio su vasta scala vengono però offerte
  dalle tecnologie di telerilevamento.  Com'è noto il
  telerilevamento è una tecnica di acquisizione di informazioni
  sul territorio e sull'ambiente da postazione remota.  Fanno
  parte del telerilevamento la fotografia convenzionale, le
  riprese multispettrali sia fotografiche che condotte con
  sistemi elettronici (scanner, telecamere, radiometri a
  microonde, radar ottici o lidar).  Il telerilevamento aereo per
  esempio costituisce oggi uno degli strumenti più efficaci ed
  utilizzati di monitoraggio ambientale ed ha come scopo
  l'analisi delle caratteristiche fisiche del soprasuolo e
  dell'immediato sottosuolo, della superficie di corpi idrici e
  dei fenomeni quali il trasporto dei sedimenti che intervengono
  fino alla profondità di alcuni metri.  Le immagini provenienti
  dal telerilevamento, peraltro, ormai da tempo trovano impiego
  in molteplici direzioni, per la stesura di mappe tematiche e
  per una conoscenza delle risorse planetarie.  Il censimento
  delle risorse per mezzo del telerilevamento è un passaggio
  assai importante per mettere in pratica i principi dello
  sviluppo sostenibile e della conservazione della biodiversità
  enunciati nella conferenza di Rio de Janeiro del 1992.  Il
  rilevamento aereo e da satellite dà la possibilità di
  effettuare indagini ad ampia scala su aree assai estese del
  pianeta, è veloce nell'acquisire dati e permette nel contempo
  una riduzione dei controlli a terra.  E' da considerare inoltre
  che una buona conoscenza del territorio è oggi una "conditio
  sine qua non" per orientare una qualsiasi scelta di intervento
  sia esso antropico che di prevenzione, di recupero o
  valorizzazione ambientale.  In particolare il telerilevamento
  può orientare le scelte sulle priorità degli interventi da
  realizzare in materia di riassetto del territorio e di
  organizzazione dello smaltimento dei rifiuti.  E' quindi
  necessaria la creazione di una piattaforma di dati
  territoriali che costituisca la base di un sistema informativo
  di gestione di tutti i dati ambientali del territorio
  nazionale.  Il CNR (Consiglio nazionale delle ricerche) ha
  messo a punto un'apparecchiatura di ripresa iperspettrale
  Mivis (multispectral visible and infrared imaging
  spectrometer) a 102 canali (bande spettrali), installata su un
  aereo (L.A.R.A, laboratorio aereo ricerche ambientali)
  equipaggiato anche con una struttura di gestione del software
  (Mivas) specifico per il processamento geometrico e
  radiometrico dei dati iperspettrali Mivis ad elevata
  risoluzione spaziale e spettrale.  La configurazione del
  sistema Mivis è modulare e ne fanno parte n. 4 spettrometri
  che riprendono simultaneamente la radiazione visibile, quella
  dell'infrarosso vicino e dell'infrarosso termico provenienti
  dalla superficie terrestre.  Il MIVIS è il più avanzato sistema
  iperspettrale al mondo e viene impiegato per la
  caratterizzazione di fenomeni ambientali da Enti nazionali ed
  esteri.  Indagini Mivis sono state effettuate sull'area di
  Trecate a seguito della esplosione di un pozzo petrolifero,
  sul lago di Como, sulle aree vulcaniche dell'Etna, di Vulcano,
  Stromboli, sulle lagune di Orbetello, Venezia, Marsala,
  sull'area archeologica di Selinunte e di Alesa, sulla pineta
  di Castelfusano, sulla discarica di Pitelli (La Spezia),sul
  Delta del Po, nella regione Molise e Basilicata, nella
  provincia di Roma e all'estero
 
                              Pag. 252
 
  nell'area Hehenfels (Germania), nell'area Crau-Camargue
  (Francia), in Austria, e nel breve futuro anche in Cina, Paese
  con cui sono in corso e ben avviate trattative di
  collaborazione.  Le discipline in cui opera il Mivis sono la
  geologia, l'inquinamento dei suoli, la idrogeologia, la
  geofisica, l'urbanistica, le foreste, l'archeologia,
  l'agricoltura, la vulcanologia, l'oceanografia, l'inquinamento
  atmosferico etc.  Si possono così monitorare le colate laviche,
  i corpi idrici aperti e chiusi, l'apparato fogliare delle
  piante, lo fotosintesi, i sedimenti dei laghi, le aree
  soggette a rischio sismico, le discariche abusive, il
  percolato delle discariche, l'interramento di fusti, le fughe
  di calore e di gas dalle discariche di rifiuti solidi urbani,
  l'amianto in miscela con il cemento presente sui tetti degli
  edifici etc.  Le apparecchiature di telerilevamento da aereo e
  da satellite sono oggi in uso a livello nazionale e
  internazionale.  In Italia, apparecchiature simili al Mivis
  sono installate su aereo e sono in dotazione di Enea, Guardia
  di finanza (apparecchiatura Daedalus) Alenia, capitanerie di
  porto.  Tali apparecchiature nazionali operano nel visibile ma
  con pochi canali multispettrali al massimo in numero di
  dodici.Il telerilevamento da satellite (TLR) è in uso come
  insieme di tecniche mediante le quali si effettuano misurano a
  grande distanza della energia riflessa ed emessa dalle
  superfici presenti sulla superficie terrestre.  A proposito del
  telerilevamento, merita di essere menzionata l'esperienza
  condotta dal Corpo Forestale dello Stato con il
  telerilevamento satellitare per mezzo del quale si è riusciti
  ad accertare la presenza, in alcuni pozzi di"reiniezione" di
  attività di estrazioni petrolifere nel territorio di Matera,
  di sostanze estranee ai processi estrattivi di idrocarburi
  quali mercurio, fenoli, solventi clorurati.  In Basilicata
  esistono ben 345 pozzi di estrazione petrolifera e l'indagine
  del Corpo Forestale ancora in corso, sta cercando di accertare
  eventuali smaltimenti illegali di rifiuti nei pozzi non più
  utilizzati.  Il Corpo Forestale ha inoltre messo a punto un
  sistema informatico della montagna (SMI) in grado di
  realizzare il catasto delle aree boscate, delle cave, delle
  discariche regolari ed abusive, dei movimenti franosi, etc.  Vi
  sono satelliti "in movimento" che operano a distanze di
  700-900 chilometri e satelliti geostazionari che operano a
  distanze di 30.000 chilometri.  Vi è da osservare che il
  contenuto delle immagini riprese dalle attuali piattaforme
  orbitali, pur essendo stato elaborato con varie tecniche
  digitali, non può portare ad una definizione operativa,
  inequivocabile e attendibile a causa della bassa risoluzione
  spaziale di queste immagini e del numero estremamente limitato
  di canali di ripresa.  L'innovazione tecnologica torna assai
  utile anche nel settore della gestione dei rifiuti in
  particolare nelle fasi di trasporto, stoccaggio, smaltimento
  definitivo.  Com'è noto il sistema MUD ha mostrato qualche
  limite per problemi sia strutturali che gestionali (come
  evidenziato nel corso delle audizioni della Commissione con
  funzionari del Ministero dell'Ambiente), in particolare si
  sono evidenziati problemi per un poco efficiente collegamento
  tra le banche dati delle Camere di Commercio e l'ANPA.  Di qui
  la necessità di trovare nuovi strumenti gestionali più snelli
  e con possibilità di acquisizione dati in tempo reale su tutta
  la rete nazionale.  La tecnologia che è in fase sperimentale
  presso l'ANPA, si fonda sull'adozione di apposite
  apparecchiature fisse e mobili simili a quelle utilizzate
  negli esercizi
 
                              Pag. 253
 
  commerciali con le carte di credito e con i bancomat.  Questa
  sorta di carta di credito del rifiuto, RIFCARD, acquisisce i
  dati del formulario di trasporto del rifiuto, li trasmette
  attraverso rete telefonica all'ANPA (in caso di
  apparecchiature mobili, i dati vengono trasmessi attraverso il
  sistema GPS).  L'acquisizione continua di dati consente di
  rendere disponibile un conto corrente rifiuti denominato
  CONTRIF per cui ogni soggetto coinvolto nella gestione del
  rifiuto (detentore produttore, trasportatore smaltitore)
  riceve periodicamente un estratto conto rifiuti, Con tale
  sistema si può costruire una nuova base utile per un catasto
  nazionale rifiuti, che può meglio colloquiare con le ARPA,
  garantendo non solo un monitoraggio in tempo reale sul flusso
  dei rifiuti che transita sul territorio nazionale ma anche di
  intervenire per rapidi controlli "in contemporanea" su tutto
  il territorio nazionale in caso di segnalazioni su traffici
  sospetti.
                         CAPITOLO II
  LE BONIFICHE DEI SITI CONTAMINATI
      LA NORMATIVA NAZIONALE SULLE BONIFICHE DEI SITI
  CONTAMINATI.
      Com'è noto l'articolo17 del decreto legislativo n. 22 del
  5 febbraio 1997 recita: "bonifica e ripristino ambientale dei
  siti contaminati".  Altri punti dell'articolato del decreto
  riguardano le competenze dello stato, della regione, delle
  province e del comune (artt. 18-21), i piani regionali di
  bonifica (articolo 22), il sistema autorizzatorio degli
  impianti mobili di bonifica (articolo28), l'iscrizione
  all'albo per le imprese che intendono effettuare bonifiche
  (articolo30), il sistema sanzionatorio per i soggetti che
  provocano contaminazione o concreto pericolo di
  contaminazione.  Il decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio
  1997, anche se in maniera non omogenea (meglio sarebbe stata
  una legge quadro in materia di bonifiche), ha costituito un
  passo avanti rispetto alla precedente legge n. 441/87 che
  imponeva alle regioni, come è noto, di approvare piani di
  bonifica delle aree contaminate sulla base anche dei
  censimenti previsti dal successivo decreto del Ministero
  dell'ambiente del. 16 maggio 1989.  Furono poche allora, per la
  verità, le regioni che ottemperarono (soltanto 8) a quanto
  previsto dalla legge n. 441/87, con criteri tra loro non
  uniformi, in assenza di una norma tecnica nazionale.  Dai
  censimenti di cui al decreto ministeriale sopra richiamato, le
  regioni, avrebbero dovuto poi ricavare indicazioni per
  interventi di bonifica a breve e medio termine.  L'articolo 17
  del dlgs n. 22/97, pur se con ritardo, è stato attuato con
  decreto del ministero dell'Ambiente n. 471 del 25 ottobre del
  1999 che detta i criteri, le procedure e le modalità per la
  messa in sicurezza, per la bonifica e per il ripristino dei
  siti contaminati.  E' da rilevare, inoltre, che il censimento
  regionale dei siti contaminati delle aree esterne ai siti
  produttivi, previsto dal decreto ministeriale. del 16.5.89 è
  stato esteso tramite il comma 1-bis dell'articolo17 del
 
                              Pag. 254
 
  dlgs n. 22/97 alle "aree interne ai luoghi di produzione,
  raccolta, smaltimento e recupero dei rifiuti, in particolare
  agli impianti a rischio di incidente rilevante di cui al
  decreto del Presidente della Repubblica del 17 maggio 1988 n.
  175 e successive modificazioni".  Le iniziative del
  legislatore, per come visto sopra, mostrano l'interesse a
  mettere ordine in una materia assai complessa per la quale è
  prevedibile, e lo si coglie già adesso, che il nostro paese
  debba impegnare, nell'immediato futuro, risorse economiche ed
  umane notevoli.  La legge 9 dicembre 1998, n. 426, ha inoltre
  introdotto nell'articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio
  1997, n. 22, il comma 15- bis  secondo il quale  " il
  ministro dell'ambiente, di concerto con il ministro
  dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica e
  con il ministero dell'industria, del commercio e
  dell'artigianato, emana un decreto recante indicazioni ed
  informazioni per le imprese industriali ed artigiane che
  intendano accedere a incentivi e finanziamenti per la ricerca
  e lo sviluppo di nuove tecnologie di bonifica previsti dalla
  vigente legislazione ". Tale legge come è noto ha
  disciplinato gli accordi di programma di cui all'articolo 25
  del Dlgs n. 22/97 ed il concorso pubblico nella realizzazione
  di interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti
  inquinati e che ha individuato, in fase di prima attuazione,
  come interventi di bonifica di interesse nazionale quelli
  compresi nelle aree industriali e nei siti ad alto rischio
  ambientale.  Ai siti di Porto Marghera, Napoli orientale, Gela
  e Priolo, Manfredonia, Brindisi, Taranto, Cengio e Saliceto,
  Piombino, Massa e Carrara, Casale Monferrato, Balangero, Pieve
  Vergonte, litorale Domizio-Flegreo, agro aversano, Pitelli (La
  Speza), si è aggiunto di recente anche quello della ex
  raffinerie Esso ed Aquila di Trieste.  Per la gran parte di
  tali siti sono stati già emanati i decreti di
  perimetrazione.
        Il censimento dei siti contaminati in Italia.
      I dati dei censimenti regionali dei siti contaminati
  finora ottenuti a seguito dell'applicazione del decreto
  ministeriale 16 maggio 1989, si sono rivelati incompleti
  (alcune regioni non hanno ancora effettuato i censimenti, es.
  Calabria, Lazio, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia), sottostimati
  (es. quelli della Regione Puglia, troppo teorici e non
  supportati da evidenze sperimentali, carotaggi, analisi
  chimiche, e quelli della regione Campania), con il risultato
  che appare sempre più drammatico lo scenario che si profila
  all'orizzonte, relativamente ai reali costi di bonifica di
  intere porzioni del nostro territorio.  Lo scopo del censimento
  ai sensi del DM del 16.5.89, per come sopra detto, era quello
  di individuare le aree contaminate su cui intervenire con
  programmi di bonifica a breve e medio termine.  La mancanza,
  allora, di precise norme tecniche per individuare e per
  bonificare i siti contaminati faceva si che, tranne alcuni
  casi, difficilmente l'entità della contaminazione veniva ben
  evidenziata.  Non ha dato ancora i risultati sperati quanto
  previsto dal comma 1-bis del Dlgs n. 22/97 che estendeva il
  censimento, tra l'altro, ai siti operativi a rischio di
  incidente rilevante.  Infatti pochissimi sono i casi di accordi
  di programma tra il Ministero dell'Ambiente con gli enti
  provvisti delle tecnologie di rilevazione più avanzate (es.
  CNR, ENEA), per realizzare
 
                              Pag. 255
 
  la mappatura nazionale dei siti oggetto dei censimenti e la
  loro verifica con le regioni.  Di tale situazione ha preso
  piena coscienza la "Commissione parlamentare d'inchiesta sul
  ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse"
  che, a seguito di evidenze nel corso dei sopralluoghi e delle
  audizioni rese da soggetti istituzionali informati
  sull'argomento, ha ritenuto necessario invitare in audizione
  il prof. Bianco, Presidente del CNR, per illustrare l'ampia
  gamma di possibilità di monitoraggio aereo del territorio con
  il sistema L.A.R.A (Laboratorio aereo di ricerche
  ambientali).
      Tale sistema, se applicato ed utilizzato a mezzo di
  convenzioni tra le Regioni, le amministrazioni locali e il
  CNR, come auspicato dalla stessa Commissione d'Inchiesta, può
  costituire un valido e certo punto di riferimento da cui
  partire per programmare ogni iniziativa tesa al contenimento
  e/o bonifica delle contaminazioni in atto sul territorio
  nazionali.  E' da rilevare inoltre che, con D.M n. 426/98, il
  Governo prevedeva interventi urgenti di bonifica di alcuni
  siti di priorità nazionale relativi ad aree industriali
  dismesse, ad aree fatte oggetto di discariche abusive e a
  discariche di rifiuti pericolosi gestite in maniera illegale.
  A tutt'oggi, nonostante gli sforzi del legislatore, risulta
  tuttavia incompleto il quadro nazionale dei siti contaminati e
  preoccupano assai la Commissione i recenti casi di siti
  contaminati all'interno di siti industriali di aziende
  importanti a livello nazionale, mai denunciati, e per i quali
  la magistratura ha condotto indagini con le forze di polizia
  giudiziaria (es.  Enichem di Porto Marghera) o ha posto sotto
  sequestro (es.  Enichem di Brindisi e Raffineria Esso di
  Augusta), ampie zone dei siti produttivi per la presenza di
  aree interne contaminate da rifiuti pericolosi (polveri di
  PVC, catalizzatori, solventi clorurati etc) interrati.  Il
  recente differimento dei termini temporali per l'autodenuncia
  dei siti contaminati, al 31 marzo del 2001, da parte dei
  soggetti interessati, non favorisce certamente la soluzione
  dei problemi connessi alle bonifiche e all'impatto negativo
  che i siti contaminati possono comportare non solo
  sull'ambiente ma anche sulla salute della popolazione esposta.
  Destano anche preoccupazione i dati rilevati da questa
  Commissione sugli impianti di marketing e della rete vendita
  carburanti del settore petrolifero.  La ristrutturazione della
  rete vendita (si ipotizza interventi su circa 25000 punti
  vendita), ai sensi del Dlgs n. 32/98 e nel rispetto del
  decreto ministeriale n. 246/99 sui serbatoi interrati, fa
  prevedere notevoli interventi di bonifica e ripristino
  ambientale una volta rimossi i serbatoi che nel tempo hanno
  causato la contaminazione delle falde da idrocarburi, tra cui
  il benzene, e da MTBE sostanza cancerogena già oggetto di
  indagine specifica negli USA in tempi assai recenti, per come
  sopra detto.
      LE TECNOLOGIE DI BONIFICA.
      USA.
      Nell'ambito del "Superfund innovative Technology
  evaluation program" sono state sviluppate, come sopra detto,
  numerose tecnologie per lo smaltimento dei rifiuti derivanti
  dalle operazioni
 
                              Pag. 256
 
  di bonifica e per la bonifica stessa effettuata in tre modi:
  " in situ" ossia all'interno del sito contaminato, on site,
  ossia nell'area contaminata, e off site, ossia al di fuori e
  comunque all'esterno dell'area contaminata.  Le tecnologie
  sviluppate inoltre sono applicate sia in cantieri fissi con
  apparecchiature fisse, sia con impianti mobili installati su
  trailers.  Il rapporto EPA/540/R-97/502 del dicembre 1996 da la
  situazione aggiornata dei profili tecnologici dei sistemi di
  bonifica.  Il "Site program" relativo alle bonifiche è lungi
  dal considerarsi concluso, infatti, al suo interno sono
  contenuti programmi dimostrativi di nuove tecnologie,
  programmi tecnologici per le emergenze, programmi di
  caratterizzazione e monitoraggio dei siti contaminati o dopo
  bonifica, programmi inerenti al trasferimento di tecnologia.
  Alla data del dicembre 1996 risultavano presentati all'EPA n.
  80 progetti dimostrativi riguardanti la termodistruzione, la
  bioremediation in situ, la bioremediation on pile, il soil
  washing, l'estrazione con solvente, la fitoremediation
  (orocesso di bonifica dei suoli attraverso l'apparato radicale
  delle piante, molto efficace per rimuovere i metalli pesanti),
  la solidificazione e la stabilizzazione, l'ossidazione
  catalitica, l'iniezione di vapore in situ, la
  termoessiccazione, la declorinizzazione, la stabilizzazione in
  situ, la vetrificazione in situ. il riscaldamento a
  radiofrequenze, la thermal desorption, il trattamento
  biologico con funghi, il pump and treat, il bioventing in
  situ, lo steam stripping, la vetrificazione ad arco,
  l'estrazione in situ e on site sotto vuoto, la gassificazione,
  l'ossidazione con raggi ultravioletti,
      Canada, Australia.
      In Canada sono state sviluppate tecnologie analoghe a
  quelle sperimentate negli Stati Uniti d'America.  E' stato
  attivato un buon mercato di operatori del settore.  Le
  tecnologie sviluppate riguardano la bioremediation dei suoli
  contaminati da idrocarburi, e da pentacloro fenoli, il
  lavaggio dei suoli con unità mobili, impianti pilota per la
  demercurizzazione dei suoli inquinati, la decontaminazione dei
  terreni contaminati da PCB, il trattamento di bioremediation
  con biopile, la bioremediation dei terreni contaminati da
  benzina a seguito della foratura dei serbatoi interrati,
  l'inertizzazione dei metalli pesanti presenti nei terreni e
  nei fanghi, il landfarming (bioremediation) di terreni
  contaminati da idrocarburi policiclici aromatici.E' stato
  anche sviluppato e brevettato un progetto di termodistruzione
  denominato Eco-logic capace di trattare 340 tonnellate di
  riifuti pericolosi e il costo di investimento si aggira sui
  350 miliardi.In Australia, nel Piano regionale rifiuti del
  1998 "Inner Sydney Waste Board:  Regional Waste Plan 1998"
  viene data grande enfasi ai programmi di minimizzazione dei
  rifiuti e al riciclo per quanto possibile ed una serie di
  raccomandazioni per la gestione delle bonifiche dei suoli
  contaminati.  Le tecnologie che sono più ricorrenti sono quelle
  di bioremediation.  E' stato sperimentato un impianto di
  termodistruzione il Plascon, capace di trattare 250 tonnellate
  di rifiuti con un costo di investimento di 2.5 miliardi.
 
                              Pag. 257
 
      Il risanamento dei siti contaminati.
      L'esperienza internazionale sulle tecnologie di
  bonifica.
      Gli Stati Uniti d'America hanno sviluppato nel corso
  degli ultimi anni un programma (site programme) che,
  permettendo agli operatori del mercato di sperimentare proprie
  tecnologie sotto la supervisione dell'EPA (Environmental
  Protection Agency), ha condotto all'ottenimento di una serie
  di brevetti per la bonifica di siti contaminati da varie
  sostanze chimiche. per attuare il risanamento dei siti
  contaminati, l'agenzia americana si avvale dei fondi
  fiduciari.  Il "comprehensive environmental response,
  compensation and liability act" (cercla) o superfund, entrato
  in vigore nel 1980, conferisce all'Epa l'autorità di
  perseguire i responsabili della contaminazione di un sito,
  costringendoli a provvedere al suo risanamento. qualora i
  responsabili non siano reperibili, o in caso d'urgenza, l'Epa
  provvede, in proprio, al risanamento con i fondi fiduciari,
  ferma restando la sua facoltà di rivalsa verso i responsabili
  per il recupero delle spese sostenute.  Il problema dei rifiuti
  e del risanamento dei siti contaminati e' molto sentito negli
  Stati Uniti d'America, come evidenziato dai notevoli
  stanziamenti (circa 2 miliardi di dollari nel 1999) destinati
  dal governo a questo problema.  Si è accertato infatti che,
  conseguenza del non corretto smaltimento dei rifiuti, è la
  contaminazione delle falde acquifere, che rappresentano la
  sorgente di acqua potabile per la metà del popolo americano.
  Per tale motivo, l'azione dell'Epa viene svolta su tre fronti:
  (1) risanamento dei siti contaminati, (2) interventi presso i
  serbatoi interrati nei quali siano state riscontrate delle
  perdite, (3) prevenzione degli spargimenti di petrolio.  Una
  volta identificato il sito contaminato, viene effettuata una
  valutazione preliminare, l'hazard ranking system (hrs), per
  determinare se lo stesso meriti l'inclusione nella national
  priority list" (npl), ovvero la lista dei siti peggiori, che
  comprende oltre 1400 siti, il cui risanamento è previsto
  (almeno nella maggior parte dei casi) per il 2001.  Le perdite
  dai serbatoi interrati rappresentano una delle principali
  sorgenti di contaminazione delle falde acquifere (circa il 20%
  delle falde acquifere degli Stati Uniti risulta contaminato da
  MTBE (metilterziariobutiletere), un composto ossigenato che si
  aggiunge alle benzine riformulate per ridurre le emissioni di
  un certo numero di inquinanti dell'aria presenti nei gas di
  scarico delle automobili).  Infine, ogni anno, si verificano
  negli Stati Uniti circa 12 mila versamenti accidentali di
  petrolio, che in gran parte coinvolgono acque interne e
  litorali.  Al fine di garantire un'adeguata protezione contro
  questi eventi e la predisposizione di adeguate misure di
  emergenza, è prevista una stretta collaborazione tra l'EPA. i
  governi degli Stati e le amministrazioni locali.  L'Hazard
  Ranking System, HRS, è il principale meccanismo di cui l'EPA
  dispone per inserire i siti di rifiuti incontrollati nella
  lista di priorità nazionale (NPL).  E' un sistema di vaglio che
  utilizza le informazioni ottenute dalle indagini preliminari e
  dall'ispezione in loco per valutare il potenziale del rischio
  del sito per la salute umana e l'ambiente.  Nel settore degli
  interventi di messa in sicurezza e di bonifica (sia con
  impianti mobili che con installazioni fisse) si è consolidata
  una notevole esperienza internazionale che vede gli Stati
  Uniti d'America giocare un ruolo dominante grazie anche ai
  sopracitati programmi sperimentali attivati con il Site
  Programm e con i finanziamenti del Superfund.  Il risultato si
 
                              Pag. 258
 
  è concretizzato in brevetti e riconoscimenti che hanno
  consentito agli operatori di esportare le loro tecnologie in
  altri Paesi.Un esame comparativo delle tecnologie di
  biorisanamento "in situ" è stato presentato di recente dal
  "Department of Defense - National Environmental Technology
  Test Site", con riferimento all'attenuazione naturale,
  all'iniezione d'ossigeno ed aria ed all'iniezione microbica,
  per la bonifica della falde contaminate da idrocarburi
  aromatici e da MTBE.  Un'altra tecnologia USA, assai
  promettente, appare quella denominata "In-situ Air Sparging"
  (IAS), che consiste nell'insufflare nel sottosuolo dell'aria
  mediante diffusori orizzontali.  Tale sistema, rispetto al
  "Ex-situ Stripping", presenta il vantaggio di evitare i costi
  associati all'estrazione ed alla restituzione dell'acqua di
  falda.  Un processo col quale è possibile ottenere
  l'eliminazione rapida di MTBE e di composti aromatici è quello
  dell'ossidazione con microbolle di ozono.  Infine per la rapida
  eliminazione delle sorgenti di idrocarburi dall'acquifero sono
  state utilizzate in combinazione le tecnologie "In-situ Air
  Sparging" e "Soil Vapor Extraction".  L'Europa ha per prima
  assorbito l'esperienza USA, metabolizzandola ed attivando, a
  sua volta, propri sistemi di intervento.  Ne è derivato di
  conseguenza un interessante sviluppo di specifiche tecnologie
  (soil washing, bioremediation, inertizzazione, air sparging,
  air stripping, etc.).  Il travaso di tecnologia dagli USA
  all'Europa, è stato accompagnato nel contempo da expertise
  professionale, anch'essa recepita ed integrata dai Paesi
  comunitari.  Il risultato è che oggi in Europa esistono
  tecnologie e professionalità consolidate, in Francia, Gran
  Bretagna, Olanda, Danimarca, Germania.
      Lo scenario dei siti contaminati nella Comunità
  europea.
      In considerazione della complessità della materia, la
  Comunità Europea non ha ancora emanato una specifica direttiva
  sui siti contaminati ma ha tuttavia finanziato studi
  sperimentali, progetti, interventi, premessa indispensabile
  per creare una cultura specifica di settore.  Pur tuttavia,
  sono numerosi i Paesi comunitari che, singolarmente, anche
  dietro pressione dell'opinione pubblica e delle associazioni
  ambientaliste, si stanno cimentando, già da qualche tempo e
  con successo (i casi dell'Olanda, della Danimarca, della
  Germania, lo dimostrano) nel settore degli interventi di
  bonifica dei siti contaminati, sviluppando, implementando,
  applicando e adattando alle proprie necessità tecnologie USA,
  non senza aver elaborato prioritariamente regole applicative
  ed amministrative.  Secondo stime accreditate, la quantità
  totale di terreni contaminati nei paesi europei si aggirerebbe
  intorno a 150.000 siti mentre quella relativa ai rifiuti della
  contaminazione si attesterebbe intorno ad un miliardo di metri
  cubi.
        GLI INTERVENTI DI BONIFICA NAZIONALI.
      Una delegazione del Ministero dell'Ambiente composta da
  esperti nazionali, ebbe modo di verificare, nel corso di una
  serie di sopralluoghi in Danimarca nel mese di settembre del
  1995, quanto avanti fosse quel Paese nel settore delle
  bonifiche .  Si constatò infatti, in quella occasione,
 
                              Pag. 259
 
  che la tecnologia del lavaggio del suolo realizzato con
  progetto Life a Copenaghen su un'area contaminata da catrami
  da carbon coke, dell'air stripping seguito da assorbimento su
  carbone attivo applicato su terreni di stazioni di servizio
  contaminati da benzina, della bioremediation applicata ai
  terreni sottostanti ai supermercati Ikea contaminati da PCB,
  era applicata quasi routinariamente.  Da quell'esperienza non
  sono stati ricavati purtroppo utili insegnamenti per il nostro
  Paese, dal momento che il settore degli interventi di bonifica
  risulta ancora in forte ritardo, in considerazione anche dei
  forti costi economici associati.  Non tutti i piani regionali
  di gestione dei rifiuti comprendono la programmazione degli
  interventi di bonifica come invece previsto dall'articolo 22
  p.5 del Dlgs n. 22/97.A fronte di una disomogeneità dei piani
  regionali di gestione dei rifiuti, vi è tuttavia da prendere
  in considerazione anche il fatto che la imprenditoria
  nazionale non è stata ancora in grado di sviluppare un'azione
  tendente a ricercare tecnologie di intervento autoctone come
  dimostrato dal fatto che i pochi operatori presenti sul
  mercato, spesso si avvalgono di expertise nord europea o
  d'oltre Oceano.  In alcuni casi si è assistito ad interventi di
  "pseudo bonifica" consistenti in un semplice trasferimento di
  rifiuti da discariche abusive a discariche controllate
  autorizzate, senza tentare interventi "in situ" che hanno
  indubbi vantaggi sia in termini di costi che di minor impatto
  ambientale.  Negli ultimi tempi, la Commissione ha verificato
  altresì il verificarsi del fenomeno per cui, chi è chiamato ad
  intervenire, privilegia sempre più la filosofia
  dell'intervento di messa in sicurezza permanente di un sito
  contaminato ( previsto dalla norma tecnica solo quando
  l'applicazione della  best available technology  non è
  sufficiente o ha costi altissimi), piuttosto che un intervento
  più radicale e definitivo di bonifica e ripristino ambientale.
  A questo punto occorre però rilevare che una norma rigida
  basata solo sulla fissazione di limiti di concentrazione dei
  contaminanti nei suoli, avulsi da una valutazione di rischio
  ha senz'altro sfavorito il ricorso alle operazioni di bonifica
  come peraltro ha mostrato l'esperienza dei limiti tabellari
  che in alcuni Paesi si sono rivelati inefficaci in assenza di
  riferimenti scientifici certi ed affidabili per definire gli
  obiettivi di qualità sia per la componente inorganica del siti
  e a maggior ragione per quella organica.  Il criterio di
  accettabilità di un sito non può non considerare
  prioritariamente la riduzione del rischio per la salute umana
  fino a livelli accettabili.  Non è detto infatti che per due
  suoli, differenti per caratteristiche geologiche e
  idrogeologiche, una concentrazione residua di un determinato
  inquinante, fissata per legge, sia cautelativa per entrambi i
  siti e che non sia necessario in qualche caso intervenire con
  operazioni di  clean-up  al di sotto del limite di soglia
  fissato dal legislatore.  Ciò significa che, dato l'alto
  impatto delle bonifiche sulle risorse economiche del Paese, si
  deve privilegiare, nel pieno rispetto del rapporto
  costi/benefici per la comunità, un criterio misto che assegni
  ai suoli limiti di accettabilità generici e limiti di clean-up
  realistici da raggiungere sulla base delle valutazioni di
  rischio, caso per caso, quasi una sorta di negoziazione
  fondata su progetti di bonifica in cui sia ampiamente
  riportato e dimostrato il criterio di valutazione scelto per
  quel sito specifico, supportato ovviamente e obbligatoriamente
  da dati sperimentali incontrovertibili.  E' questa la strada,
  riteniamo, da percorrere come sembra peraltro auspicabile con
  il ricorso agli "accordi di programma di risanamento"
  ambientale ad
 
                              Pag. 260
 
  ampio respiro.  Con tale ottica, le autorità locali non
  dovranno sentirsi in un certo senso costrette a traguardare in
  maniera rigida e asettica la concentrazione di un determinato
  inquinante, avulsa dal contesto di risanamento ambientale
  globale.  In tale contesto deve essere invece vista la
  valutazione del rischio come prioritaria ad ogni intervento.
  E' questa, forse, la chiave di lettura per spiegare i pochi
  esempi di iniziative autonome orientate soprattutto al settore
  della messa in sicurezza (vedi il caso dell'Acna di Cengio),
  alla bioremediation (siti Montedison),ed a un impianto
  sperimentale di estrazione dei suoli contaminati con solvente,
  in corso di costruzione a Roma e frutto della esperienza della
  società Ecotec e di Enitecnologie.  Tale situazione, per certi
  versi paradossale, per come sopra detto, ha ingenerato finora,
  una forte dipendenza dalle tecnologie di importazione e dagli
  operatori esperti stranieri. Né sono sufficienti le iniziative
  che negli ultimi due anni si sono timidamente affacciate
  all'orizzonte da parte di alcune aziende private, dell'Enea,
  dell'Università di Pisa presso l'Istituto del professor
  Petruzzelli, dell'Università di Roma presso l'Istituto di
  chimica organica del professor Ortaggi, del CNR di Bari che
  sta perfezionando studi sulla fitoremediation.  E' giunto il
  momento che le iniziative, sia nel settore privato che in
  quello della ricerca pubblica, data la posta in palio (i
  numerosissimi interventi di risanamento), siano supportate da
  un forte e coraggioso investimento di risorse da parte dello
  Stato, o da finanziamenti pubblico-privati, sulla falsariga
  del modello americano che mette alla prova, aiutandoli, i
  soggetti che vogliono sperimentare nuove tecnologie sia nel
  settore delle smaltimento che delle bonifiche, se non altro
  per accelerare i tempi di crescita dell'azienda Italia e
  rendere il nostro sistema, competitivo ed autosufficiente.
  Sarà altrettanto necessario, per recuperare il  gap  che
  ci separa dall'Europa e dagli USA, promuovere, con maggiore
  efficacia di quanto finora fatto, la formazione professionale
  specifica sulla materia dedicata a coloro che negli uffici
  tecnici comunali saranno chiamati ad esprimere valutazioni e
  quindi approvare progetti di bonifica, messa in sicurezza,
  ripristino ambientale presentati da terzi.  Tale formazione
  dovrebbe essere centrata su conoscenze di base di idrogeologia
  e geologia del territorio, chimismo dei contaminanti nel suolo
  e nelle falde, valutazione dei rischi per la salute dell'uomo
  e per l'ambiente, migliori tecnologie disponibili a costi
  praticabili.  Non si potrà nemmeno prescindere dal promuovere
  l'adozione, negli atenei nazionali, di corsi di laurea
  specifici e mirati alla problematica delle bonifiche e della
  messa in sicurezza e dall'incentivare il ricorso alla
  certificazione ambientale e alla dichiarazione di bonifica
  ultimata per tutti quei siti destinati ad usi alternativi,
  specie nelle aree delle periferie urbane.  In allegato è
  riportata un'ampia descrizione delle più ricorrenti tecnologie
  di bonifica.
      Conclusioni.
      In conclusione, si deve constatare che il sistema Italia
  è in forte ritardo nel settore dello smaltimento, delle
  bonifiche e dell'impiantistica ad essi correlata.  Esso mostra
  forti dipendenze dalle tecnologie straniere, come peraltro
  verificato dalla Commissione nel corso della sua missione nel
  nord Europa nel settembre del 2000.  Vi è però da
 
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  rilevare che, nel nostro Paese, cominciano a profilarsi
  all'orizzonte iniziative di privati e di Enti di ricerca in
  grado di mettere a disposizione impianti e innovazioni
  tecnologiche la cui ricaduta applicativa comunque è prevista
  non prima dei prossimi due o tre anni.  Non è ancora vincente
  l'idea di un sistema di gestione industriale dei rifiuti
  tecnologicamente avanzato né, occorre rilevare, si fa strada
  la volontà di realizzare bonifche, preferendo a queste
  interventi di messa in sicurezza complice anche una normativa
  che necessita di aggiustamenti e modifiche.  Le iniziative nel
  settore pubblico e privato richiedono un forte incentivo da
  parte dello Stato, tramite lo stanziamento di fondi superiori
  a quelli già erogati e ciò al fine di accelerare i tempi di
  crescita delle aziende nostrane e rendere il "sistema Italia"
  autosufficiente.  Sono ancora lunghi i tempi di recupero
  richiesti per realizzare il sistema integrato dei rifiuti che
  soffre ancora di problemi strutturali, di ritardi dovuti alla
  emanazione della normativa secondaria e alla difficoltà di
  adeguamento di quella regionale a quella nazionale.  Occorre
  rilevare che è necessario elevare la quota della raccolta
  differenziata nazionale e quella della termovalorizzazione con
  recupero di energia, abbandonando o limitando fortemente la
  logica programmatoria ancora e per buona parte delle Regioni
  volta all'utilizzo pieno della discarica piuttosto che ad un
  utilizzo residuale.  Per fare ciò un ruolo findamentale lo
  possono assolvere le tecnologie disponibili sul mercato anche
  se ancora di prevalente origine internazionale.Fatte salve
  tutte le difficoltà sopra descritte, sarà altrettanto
  necessario, per recuperare il  gap  che ci separa
  dall'Europa e dagli USA, promuovere, con maggiore efficacia di
  quanto finora fatto, la formazione professionale specifica
  sulla materia dedicata a coloro che negli uffici tecnici
  comunali saranno chiamati a concedere autorizzazioni per
  impianti tecnologici di smaltimento dei rifiuti o di recupero
  degli stessi o ad esprimere valutazioni e quindi approvare
  progetti di bonifica, messa in sicurezza, ripristino
  ambientale presentati da terzi.  Tale formazione dovrebbe
  essere centrata su conoscenze di base di idrogeologia e
  geologia del territorio, chimismo delle inertizzazioni e
  chimismo dei contaminanti nel suolo e nelle falde, valutazione
  dei rischi per la salute dell'uomo e per l'ambiente, migliori
  tecnologie disponibili a costi praticabili, valutazioni di
  impatto ambientale delle aree di stoccaggio e degli impianti
  di smaltimento Non si potrà nemmeno prescindere dal promuovere
  l'adozione, negli atenei nazionali, di corsi di laurea
  specifici e mirati alla problematica delle bonifiche e della
  messa in sicurezza e dall'incentivare il ricorso alla
  certificazione ambientale e alla dichiarazione di bonifica
  ultimata per tutti quei siti destinati ad usi alternativi,
  specie nelle aree delle periferie urbane.Solo un radicale
  cambio culturale nella direzione dello sviluppo sostenibile e
  di una maggiore coscienza ecologica della popolazione potrà
  contrastare una sempre più crescente sindrome  nimby
  (not in my backyard)  che, alimentando oltre misura la
  sensibilità della popolazione, esaspera i toni di un
  ambientalismo catastrofista che non incoraggia e non aiuta
  l'imprenditoria ma favorisce solo il malaffare sempre pronto a
  rendere i propri servigi a bassi costi, negando ogni
  competetitività del sistema dell'imprenditoria.  Un ruolo
  importante di supporto all'attuazione dei principi dello
  sviluppo sostenibile dovrà giocarlo la scuola con programmi di
  educazione e sensibilizzazione ecologica.
 
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        Panoramica sugli impianti di termodistruzione.
        Stati Uniti d'America.
      Fino agli anni '80 negli Stati Uniti d'America venivano
  bruciati rifiuti urbani tal quali solo al fine di ridurne il
  volume e senza preoccuparsi di recuperare energia.  Dal 1980 si
  sono programmanti interventi per recupero di energia sotto
  forma di vapore e di elettricità, Nel 1997 si contavano n. 112
  termodistruttori con recupero di energia per una capacità di
  101.360 tonnellate/giorni di rifiuti tal quali da trattare
  mentre solo n. 19 erano i termodistruttori senza recupero di
  energia in grado di trattare 2.445 tonnellate giorno di
  rifiuti solidi urbani.  In questi ultimi anni sta crescendo
  l'interesse di sottoporre a termodistruzione rifiuti solidi
  urbani non più tal quali ma provenienti da una separazione a
  monte.  E' sviluppata la termodistruzione dei pneumatici, del
  legno, della carta e della plastica per un totale di 2.5
  milioni di tonnellate.  Oggi il dato consolidato è di 36.7
  milioni di tonnellate di rifiuti totali che vengono sottoposti
  alla termodistruzione, ossia il 17% del totale prodotto.
        Europa.
      Come si è visto, in Europa, in cui si contano 270
  termodistruttori, il ricorso alla tecnologia della
  termodisutruzione con recupero di energia è prevalente
  rispetto allo smaltimento in discarica.  E' infatti, come
  conferma uno studio di Federambiente (1), assai consolidata la
  filosofia che dal "bene" rifiuto si può ricavare energia da
  destinare alla produzione di calore da utilizzare con il
  teleriscaldamento delle città e di energia elettrica da
  distribuire in rete o per l'autoproduzione.  Riguardo al tipo
  di forni (2) vi sono numerose installazioni e progetti in fase
  avanzata di realizzazione che utilizzano la combustione con
  letto fluido circolante, la pirolisi a letto fluido e la
  gassificazione sia a letto fisso che a letto fluido
  circolante.  Numerose sono altresì le installazioni con "treni"
  di trattamento delle emissioni assai sofisticati in quanto le
  normative locali richiedono valori assai stringenti sui
  microinquinanti tra cui le diossine.  Anche il problema delle
  ceneri ha trovato una soluzione tecnica soddisfacente con i
  trattamenti e lo smaltimento in discarica.
        La termodistruzione dei rifiuti industriali in
  Europa.
      Sul fronte della termodistruzione dei rifiuti
  industriali, in Europa vi sono almeno 17 unità assai
  importanti cui fanno ricorso anche numerose aziende italiane
  che conferiscono i loro rifiuti attraverso società
  intermediarie (3).
        Aspetti tecnici della termodistruzione.
      Si può affermare che con il termine "termodistruzione" si
  può indicare un insieme di processi termici (1) nel quale le
  molecole del rifiuto vengono distrutte per via termica sia per
  semplice riscaldamento che per reazioni chimiche
  esotermiche.
 
                              Pag. 277
 
        La combustione.
      Nel processo di combustione le sostanze ossidabili del
  rifiuto contenenti carbonio e idrogeno e che costituiscono il
  "combustibile", vengono a contatto con ossigeno o con aria e,
  in condizioni ottimali di processo, attraverso una serie di
  reazioni chimiche esotermiche, danno luogo alla formazione di
  vapore acqueo e di anidride carbonica.  Se nel rifiuto è
  contenuto, cloro, fosforo, zolfo, fluoro, metalli, nel gas
  finale di combustione si avrà, oltre all'anidride carbonica,
  al vapore acqueo si troverà anche acido cloridrico, anidride
  fosforica, biossido di zolfo, acido fluoridrico, ossidi di
  metalli, ossidi di azoto.  Normalmente la quantità di aria
  (comburente) necessaria alla completa combustione viene detta
  "stechiometrica" e per ogni chilogrammo di CH2 è richiesta una
  quantità di 15.7 chilogrammi di aria.  Se invece si opera con
  quantità di aria superiori o inferiori a quella stechiometrica
  si dice che la combustione avviene in eccesso o in difetto
  d'aria.  Le combustioni in difetto di aria, in quanto non vi è
  ossigeno sufficiente per una combustione completa, danno
  origine a sostanze intermedie di combustione e a monossido di
  carbonio.  Quando si opera con eccessi di aria, la combustione
  si completa ma i gas di combustione sono più diluiti ed
  inoltre si ha un abbassamento della temperatura rispetto alla
  reazione stechiometrica.  Nei processi di combustione in cui
  sono coinvolti i rifiuti o comunque sostanze che possono
  comportare problemi ambientali occorre che la combustione
  permetta la massima ossidazione dei componenti il rifiuto e la
  minima produzione di sostanze inquinanti, dette
  "microinquinanti" che, anche in bassa concentrazione,
  interagiscono negativamente con l'ambiente.  Ovviamente, un
  risultato ottimale si ottiene se, oltre al controllo della
  combustione, l'impianto è dotato di sistemi efficienti di
  abbattimento delle emissioni.
      La combustione catalitica.
      Si parla di combustione catalitica quando una sostanza
  organica, in presenza di un catalizzatore viene combusta a
  temperature di gran lunga più basse rispetto a quelle della
  combustione normale.  Le sostanze usate come catalizzatori
  possono essere il platino, il cromo, il manganese, gli ossidi
  di rame.  Il platino ha la capacità di abbassare di più la
  temperatura di combustione.  Le temperature in gioco nella
  combustione catalitica completa sono di norma comprese tra
  500^C e 550^C.  Il processo di combustione catalitica è
  complesso e comprende la diffusione dei reagenti sulla
  superficie del catalizzatore, l'adsorbimento di questi sulla
  superficie, la reazione tra le sostanze adsorbite, l'abbandono
  della superficie del catalizzatore da parte dei prodotti della
  combustione e la loro diffusione nei gas finale.  La
  combustione catalitica è utilizzata per la distruzione di
  sostanze organiche presenti in basse concentrazioni che ,in un
  processo di combustione normale, non sarebbero in grado di
  sostenere il processo ossidativo.
        La pirolisi.
      E' un processo di distruzione delle sostanze organiche
  che avviene termicamente in assenza di ossigeno.  I gas della
  reazione pirolitica
 
                              Pag. 278
 
  sono costituiti da metano, monossido di carbonio, vapore
  acqueo.  Tali gas sono miscele a loro volta combustibili.  La
  pirolisi è un processo assai complesso in cui avvengono
  reazioni di decomposizione, di cracking esotermiche ed
  endotermiche ed è controllato essenzialmente da due fattori:
  la trasmissione di calore, spesso predominante e la velocità
  di reazione.  Un processo di pirolisi generalmente si completa
  ad una temperatura intorno ai 1000^C con tempi di
  riscaldamento (più precisamente di pirolisi) che vanno da
  qualche secondo a qualche decina di minuti.  La natura dei
  prodotti della pirolisi è strettamente dipendente da quella
  del rifiuto di partenza, dalle temperature raggiunte nel
  processo e dai tempi di permanenza del rifiuto nel reattore di
  pirolisi.
        La gassificazione.
      Il processo di gassificazione è un insieme di altri
  processi il cui risultato finale, a partire da un combustibile
  solido, consiste nella produzione di un combustibile
  generalmente gassoso o sotto forma di vapore.  Il gas prodotto,
  composto principalmente di monossido di carbonio, di metano e
  da altri idrocarburi leggeri e di idrogeno, dopo una serie di
  lavaggi, viene utilizzato come combustibile il cui potere
  calorifico si aggira intorno ai 1500-2500 kcalorie per normal
  metro cubo.  I processi di gassificazione, di norma, sono
  condotti in difetto di aria.  Quando nel processo di
  gassificazione si opera a temperature dell'ordine di 900^C
  -1000^C, aumenta la concentrazione del monossido di carbonio,
  mentre per temperature intorno ai 700-800 ^C prevale la
  formazione di idrogeno.
        La torcia al plasma o dissociatore molecolare.
      Il plasma è un gas ionizzato che costituisce il quarto
  stato della materia ed è presente in natura, per esempio,
  quando si verifica il fenomeno dell'aurora boreale.  Per
  produrre artificialmente il plasma si utilizzano le cosiddette
  "torce al plasma" con le quali si ottengono altissime
  temperature, fino a 14.000 ^C che non è possibile raggiungere
  con altre tecnologie disponibili.  Nelle condizioni termiche
  che si producono con la torcia al plasma avviene una
  "dissociazione molecolare" di ogni tipologia di rifiuto sia
  esso organico che inorganico, pericoloso o non pericoloso.  Il
  processo con torcia al plasma avviene in assenza di ossigeno e
  non dà luogo quindi a combustione.  I tempi della dissociazione
  molecolare alle alte temperature sono dell'ordine di millesimi
  di secondo.  Se la dissociazione viene accompagnata da aggiunta
  di quantità precise di acqua, nel reattore si ha la
  gassificazione istantanea di ogni rifiuto organico in gas di
  sintesi e si evita cosi la formazione di diossine.  Alle
  temperature in gioco (3000^C) avviene anche la fusione e
  l'inertizzazione delle specie metalliche tossiche che possono
  essere recuperate e non si formano scorie o ceneri.  I gas
  prodotti dalla torcia al plasma, iniettati in una turbina,
  permettono la generazione di energia.  La Global Plasma System
  Corporation (GPSC) di Washington DC, USA, detiene due brevetti
  di pirolisi e vetrificazione mediante torce al plasma, mentre
  la Westinghouse Electric, associata alla GPSC, è la
 
                              Pag. 279
 
  fornitrice del sistema plasma.Infine la Babcock Wilcox
  Espana, di Bilbao è la società associata alla GPSC per la
  parte impiantistica Waste to Energy, ed è la partner europea
  specialista in impianti "chiavi in mano".  La tecnologia al
  plasma è certamente promettente per il suo impatto positivo
  sull'ambiente ma in Italia, per come detto in precedenza è
  ancora allo stato embrionale di sperimentazione.
        I sistemi di combustione.
      Forni a griglia.
      La combustione dei rifiuti, in particolare di quelli
  solidi urbani avviene spesso nei forni a griglia assai diffusi
  a livello mondiale.  La tecnologia di tali forni è ormai
  consolidata e i miglioramenti possibili attengono alla natura
  dei refrattari ed ai profili fluidodinamici della combustione
  e l'ottimizzazione della griglia.  La potenzialità di tali
  forni va dalle 40 alle 1000 tonnellate/giorno.  L'aria di
  combustione (primaria) viene iniettata sotto la griglia e
  quella secondaria sopra il letto del rifiuto per favorirne una
  più completa distruzione.  Spesso la griglia è del tipo mobile
  e il rifiuto è tenuto in continuo movimento.  Esistono griglie
  a rulli e a gradini che assumono diverse configurazioni a
  seconda delle ditte che le costruiscono:  Si hanno così griglie
  D.B.A. (Deutsche Babcock Anlagen), Von Roll, Martin, Riley
  etc.  In tale forno i tempi di residenza sono normalmente
  compresi tra 30 e 60 minuti.  Una elevata efficienza di
  combustione si può ottenere valutando bene il carico termico
  superficiale della griglia e i tempi di residenza non troppo
  brevi.  Importanti sono pure la geometria e il volume della
  camera di combustione.  La natura della griglia, la sua durata,
  le caratteristiche, sono elementi fondamentali per garantire
  una buona combustione.  Per esempio essa non deve deformarsi
  con il calore e non deve intasarsi impedendo cosi il passaggio
  dell'aria di combustione.
        Tamburo rotante.
      Si tratta di forni costituiti da un cilindro rotante
  inclinato da 1 a 3% per favorire il movimento del rifiuto
  solido.  La combustione in tali tamburi avviene per contatto
  con la parete del forno rivestita con mattoni refrattari.  Le
  scorie di combustione vengono scaricate dall'estremità opposta
  alla testa di carico del rifiuto.  In tali forni non vi è un
  efficace mescolamento e un contatto sufficiente con l'aria di
  combustione per cui, a valle della combustione, sono necessari
  sistemi di post-combustione per migliorare e completare la
  combustione.  Se il flusso del letto di rifiuto e il gas
  comburente avviene nella stessa direzione si hanno i forni in
  equicorrente, se i due flussi avvengono in direzioni opposte
  si hanno i forni controcorrente.  Il tempo di permanenza nel
  forno è controllato dalla lunghezza del cilindro, dal diametro
  interno, dalla inclinazione e dal numero di giri.  Data la sua
  flessibilità, al di là dei limiti su esposti, si può affermare
  che il forno rotante, e l'esperienza operativa lo conferma,
  sia un sistema di incenerimento semplice ed affidabile, capace
  di operare in diverse condizioni di alimentazione purchè vi
  sia una attenta gestione.
 
                              Pag. 280
 
        Letto fluido.
      Il forno a letto fluido è costituito da un cilindro
  verticale in cui il rifiuto da distruggere è tenuto in
  sospensione per mezzo di una corrente d'aria che attraversa
  una griglia su cui è posato un letto di sabbia che si mescola
  al rifiuto in fase di sospensione.  Un fattore che regola il
  funzionamento del letto è la velocità superficiale dell'aria
  detta anche di fluidificazione che è data dalla portata
  volumetrica dell'aria divisa per la sezione del letto.  La
  diffusione di tale forno nel settore petrolifero e
  petrolchimico ora si è estesa anche al settore dei rifiuti
  urbani, al residual derived fuel (RDF) e si pensa che si
  estenderà anche al CDR.  In tale forno è possibile un miglior
  controllo degli inquinanti in fase di combustione e una buona
  flessibilità rispetto al carico che si ottiene con il
  controllo dell'aria di combustione:  Sono poche le parti
  meccaniche in movimento e vi è un basso contenuto organico
  nelle scorie.  Tra i fattori negativi vi è la possibilità che
  il letto sinterizzi e si defluidifichi a causa della fusione
  della sabbia con sostanze basso fondenti presenti nel rifiuto.
  Il forno può operare a pressione atmosferica o a pressione più
  alta .Normalmente si preferisce la pressione atmosferica.
  Esistono anche varianti di forni ricircolati dove si ha un
  trascinamento di particolato che viene ricircolato e
  depositato sul letto dopo essere passato in un ciclone di
  separazione e prima che i fumi lascino il letto.  Ciò consente
  una turbolenza che evita le disomogeneità del processo e
  favorisce l'efficienza dello scambio termico.  L'alimentazione
  deve avvenire con pezzature opportune di materiale da 50 a 60
  millimetri.  Le temperature in gioco sono dell'ordine degli
  850^C anche se spesso alla combustione viene associata una
  camera di post-combustione che porta la temperatura fino a
  950-1000 ^C.  Tali forni operano con eccessi d'aria compresi
  tra il 20 e il 40 per cento e si possono raggiungere
  rendimenti termici del 99% dove per rendimento termico si
  intende il rapporto in volume tra la CO2 nei fumi e la somma
  di CO e CO2.
        Forno a suola a piani multipli.
      Tale tipo di forno trova impiego nell'incenerimento dei
  fanghi con una umidità che si aggira tra il 50% e l'85%.  Non
  si adatta per l'incenerimento di solidi.  I piani di tali
  forni, vere e proprie fornaci, sono variabili tra i 5 e i 12.I
  fanghi vengono introdotti sul primo piano a partire dall'alto
  e, tramite bracci rotanti, passano ai piani inferiori
  successivi.  La combustione avviene nei piani centrali del
  forno con temperature dell'ordine dei 900-1000^C, mentre i gas
  in uscita hanno temperature nel range 400 - 700^C.  Problemi di
  tali forni sono costituiti dagli odori dei gas in uscita( che
  richiedono una fase di post-combustione) e dalla fusione delle
  ceneri,
        Camere di post-combustione.
      Le camere di combustione, poste a valle delle camere di
  combustione, vengono utilizzate per completare la combustione
  dei gas prodotti nella camera primaria.  I parametri che di
  norma sono
 
                              Pag. 281
 
  controllati nella camera di post-combustione sono il tempo
  medio di residenza dei fumi, la temperatura dei fumi, la
  turbolenza, il contenuto di ossigeno dei fumi.
        Le tecnologie di trattamento delle emissioni.
        Filtri elettrostatici.
      Nonostante abbiano avuto finora largo impiego, tali
  sistemi sono sempre di più sostituiti da sistemi filtranti più
  efficaci ed efficienti per l'abbattimento delle emissioni e il
  raggiungimento degli standard fissati dalle severe leggi
  sull'inquinamento dell'aria.  Tali filtri permettono la
  separazione delle particelle solide e liquide dai gas che
  vengono convogliati in un campo elettrostatico.  In tale
  passaggio le particelle si caricano elettricamente e una volta
  immerse in un campo elettrico, si raccolgono sull'elettrodo,
  vengono rimosse e liberano l'elettrodo che raccoglie poi le
  successive particelle.  I vantaggi offerti da tali filtri sono
  costituiti dalle elevate efficienze di rimozione dell'ordine
  del 99% anche per basse granulometrie dell'ordine dei 5
  microns.  Sono anche basse e modeste le perdite di carico in
  confronto ad altri sistemi di uguale efficienza.  Tra i fattori
  negativi vi è l'alto costo di installazione, il rischio di
  incendi e di esplosioni e l'impiego di mano d'opera
  specializzata per le operazioni di gestione e manutenzione.
        Mezzi filtranti.
      Sono considerati i migliori sistemi per l'abbattimento
  delle polveri negli impianti di termodistruzione dei rifiuti.
  Il particolato presente nei fumi secchi viene catturato
  aerodinamicamente su mezzi assorbenti costituiti da tessuti o
  mezzi porosi.  Dopo un primo assorbimento si forma uno strato
  di materiale particolato che funge anch'esso da mezzo
  filtrante.  L'accumulo di particolato, tuttavia, abbassa
  l'efficienza del mezzo filtrante e provoca perdite di carico
  che richiedono la rimozione delle polveri stratificate.
  Normalmente tali mezzi filtranti sono costituiti da uno o più
  comparti distanziati tra loro e aventi forma di maniche o
  sacchi.  I vantaggi di tali filtri rispetto ad altri sistemi
  simili sono costituiti dalla elevata efficienza, valutata
  intorno al 99% di captazione per ogni tipo di granulometria.
  Non vi sono problemi di corrosione ne di scarichi liquidi.  A
  volte si utilizzano additivi che vengono iniettati nel flusso
  gassoso e permettono l'assorbimento e la rimozione dei gas sul
  letto filtrante.  Lo svantaggio consiste nell'usura delle
  maniche a causa delle temperature in gioco, nell'intasamento
  del tessuto se sono presenti nei gas sostanze igroscopiche o
  adesive.
        Depolveratori a umido.
      Si usano quando vengono termodistrutti i fanghi o alcuni
  tipi di residui industriali.  Quando nel gas che contiene le
  polveri è presente anche un inquinante gassoso solubile in
  mezzo acquoso, il sistema ad umido è capace di trasferire la
  massa dell'inquinante nella fase
 
                              Pag. 282
 
  liquida.  Il liquido di depolverazione è a volte costituito da
  goccioline atomizzate stese sulle pareti del condotto in cui
  transita il flusso gassoso.  I depolveratori ad umido più
  utilizzati sono le torri di lavaggio a spruzzo con anelli o
  materiali di riempimento fissi o in movimento e i sistemi
  Venturi.  L'efficienza massima si ottiene con i Venturi ed è
  regolata dalla velocità del gas nella parte più stretta del
  sistema e dal grado di dispersione dell'acqua.  La
  depolverazione ad umido offre indubbi vantaggi in quanto,
  oltre al trattamento di emissioni gassose, ha buona efficacia
  anche sulle particelle solide fini, riduce i rischi di
  esplosioni e di incendio e offre ingombri bassi.  Gli svantaggi
  sono il conseguente inquinamento delle acque e la produzione
  di fanghi, la bassa temperatura dei fumi che vengono emessi
  dal camino allo stato molto umido.
        Sistemi di assorbimento.
      L'assorbimento di gas e vapori acidi o basici su liquidi
  è un processo ad umido in cui il liquido esausto può
  generalmente essere rigenerato in sistemi di deassorbimento
  rimettendo in ciclo il liquido stesso di assorbimento.
  Esistono anche processi a secco che utilizzano il calcare, la
  calce atomizzata per l'assorbimento dei gas.  L'efficienza di
  tali sistemi è alta per gas molto reattivi come per esempio la
  SO2, l'acido cloridrico, l'acido fluoridrico.  I problemi di
  tali sistemi sono legati allo smaltimento dei prodotti di
  assorbimento ove questi non possano essere riciclati.
        Sistemi avanzati.
      In alcuni impianti complessi di trattamento dei rifiuti
  per termodistruzione, esiste una serie di configurazioni
  particolarmente predisposte per l'abbattimento dei
  microinquinanti in cui sono installati anche altri sistemi per
  l'abbattimento o la riduzione degli ossidi di azoto.  Tali
  sistemi prendono il nome di SNCR ossia "selective non
  catalytic reduction" o SCR "selective catalytic reduction".
        - SNCR -
      In camera di combustione viene addizionata urea o
  ammoniaca o composti ammidici per cui si ha una reazione ad
  alta temperatura tra gli ossidi di azoto e l'additivo immesso
  che porta alla formazione di azoto molecolare.  Per ottenere la
  massima efficienza del processo e la minima perdita di
  ammoniaca (aggiunta in eccesso) occorre ben posizionare gli
  ugelli di iniezione nelle zone comprese in ben determinati
  intervalli di temperatura tra 900^C e 1000 ^C.  Il rendimento
  di rimozione degli ossidi di azoto può raggiungere valori
  anche del 70%.  E' da notare che in tali condizioni, la
  presenza di ammoniaca comporta anche una riduzione delle
  diossine a valle della caldaia.  Tale fenomeno sembra sia
  collegato alla inibizione dell'attività catalitica delle
  ceneri volanti nei processi di riformazione delle diossine a
  bassa temperatura.
 
                              Pag. 283
 
        -SCR -
      In questo caso la conversione degli ossidi di azoto
  avviene a basse temperature dell'ordine dei 250-350^C, in
  quanto si utilizzano catalizzatori a base di platino, titanio,
  vanadio.  L'unità catalitica di conversione viene collocata a
  valle del sistema di depolverazione e assorbimento.  In tal
  modo si ridurranno notevolmente i rischi di disattivazione del
  catalizzatore.  Tale sistema di catalisi incide efficacemente
  anche sulla conversione di composti organici in quanto,
  essendo esso in grado di fissare l'ossigeno libero presente
  nei fumi, innesca reazioni di ossidazione.  Le riduzioni degli
  ossidi di azoto sono intorno all'80%.  Se il convertitore
  catalitico viene inserito a valle di un elettrofiltro , di un
  lavaggio a due stadi con un condensatore ed un Venturi, si
  hanno anche conversioni elevate dell'ordine del 90-95% anche
  per le diossine e furani il che consente di raggiungere valori
  di concentrazione residua di TCDD nei fumi inferiori a 0.1
  nanogrammi/ Nmc.  Nel caso in cui il convertitore catalitico
  sia posto a valle di un impianto a semisecco con filtro a
  maniche, il dosaggio di solfuro sodico è efficace per la
  rimozione del mercurio.
      (1) Istituto per l'Ambiente 1995 - Tecnologie per il
  trattamento e lo smaltimento dei rifiuti di origine
  industriale - 1 la Termodistruzione - a cura di D. Pitea, M.
  Giugliano.
      (2) Fondazione Lombardia per l'Ambiente 1996 - La
  termoutilizzazione nello smaltimento dei rifiuti.
        Norme tecniche per la realizzazione delle
  discariche
      La deliberazione del 27 luglio 1984, come sopra detto,
  detta i criteri tecnici per la progettazione, installazione ,
  gestione, delle discariche controllate per ospitare rifiuti
  urbani e speciali.  La normativa tecnica è derivata da quella
  dei Paesi del nord-Europa e d'oltre Oceano degli anni '80.Il
  principio fondamentale che deve guidare chi si accinge a
  progettare una discarica controllata di rifiuti è quello di
  prevedere un sistema di impermeabilizzazione naturale a base
  di argille di determinato spessore o artificiale a base di
  teli plastici aventi spessori e caratteristiche di resistenza
  atti ad evitare comunque che, a causa di rotture o
  fessurazioni del manto, possano insorgere contatti diretti tra
  il percolato e la falda idrica sottostante.  La severità
  costruttiva delle discariche secondo la norma italiana è
  strettamente connessa con la tipologia e con le
  caratteristiche dei rifiuti che in esse verranno ospitate e
  cresce dalla I categoria A (che ospita i rifiuti solidi
  urbani) alle categoria B e C che ospitano rifiuti speciali.
  L'esperienza nazionale della gestione delle discariche
  controllate ha mostrato che la norma tecnica deve essere
  implementata e in tal senso urge l'emanazione del decreto
  attuativo dell'articolo5, comma 6, del decreto legislativo 5
  febbraio 1997 n. 22 che relativamente ai rifiuti solidi
  urbani, a nostro giudizio, dovrebbe tenere in considerazione
  se non inglobare del tutto quanto riportato nelle "linee guida
  per le discariche controllate di rifiuti solidi urbani"
 
                              Pag. 284
 
  ossia il documento redatto dal CISA (Centro di ingegneria
  ambientale e sanitaria dell'Università di Cagliari) nel 1997
  cui hanno aderito almeno 80 esperti nazionali di
  pianificazione ambientale, fisici, chimici, ingegneri,
  igienisti, legali, amministrativisti.  Nel documento viene dato
  ampio risalto:
        ai criteri di pianificazione sia su vasta scala che a
  scala locale;
        alla scelta del sito e alla sua caratterizzazione
  attraverso un attento studio della topografia, delle attività
  antropiche;
        alle caratteristiche naturalistiche ed agroforestali,
  geologiche, pedologiche, idrografiche, geotecniche etc.;
        agli aspetti di stabilità e deformazione delle
  discariche sia del corpo dei rifiuti, sia dei rivestimenti,
  della copertura finale in fase di ripristino, delle arginature
  e delle opere di sostegno;
        al "sistema barriera di base" con la scelta dei
  materiali e degli strati di impermeabilizzazione, al sistema
  di drenaggio, raccolta del percolato, gestione, monitoraggio
  del percolato;
        al sistema di prevenzione della contaminazione della
  falda;
        al sistema di gestione del biogas sia in termini di
  captazione che di trasporto, di controllo della diffusione e
  dello smaltimento;
        alla gestione della discarica (organizzazione, aree di
  servizi, piani di gestione, raccolta dati, aspetti economici
  ed amministrativi etc);
        modalità di gestione post-esercizio;
        ai sistemi di tutela della popolazione, della sicurezza
  dei lavoratori;
        agli aspetti igienico-sanitari e ai programmi di
  certificazione di qualità sia della gestione che del sito
  scelto.
      Nel panorama internazionale delle tecniche di
  realizzazione delle discariche controllate va rilevato che, il
  manuale tecnico "Solid waste disposal facility criteria"
  redatto dall'EPA-USA nel 1993 e aggiornato nel mese di aprile
  del 1998 come documento EPA 530-R-93-017, è oggi da ritenersi
  uno strumento assai avanzato da utilizzare da parte di chi è
  chiamato a normare, progettare, costruire nel settore delle
  discariche a minor impatto ambientale.
        Il panorama internazionale delle discariche.
      Nel panorama internazionale si evidenzia che il ricorso
  alla discarica come sistema di smaltimento è ancora assai
  diffuso e variegato pur con diverse percentuali di utilizzo.
  Negli Stati Uniti d'America, per esempio, in cui la produzione
  di rifiuti solidi urbani è passata da 88 milioni di tonnellate
  del 1988 a 217 milioni di tonnellate del 1997, pur vigendo un
  approccio di gestione integrata, il ricorso alla discarica
  controllata (landfill) nei 2200 siti comunali
 
                              Pag. 285
 
  risultava nel 1997 dell'ordine del 45% a fronte di un 27% di
  riciclo includente il compostaggio e di un 18% di
  termodistruzione.  In Giappone il dato del ricorso alla
  discarica si attesta mediamente intorno al 25% essendo
  prevalente la termodistruzione (circa il 73%) e poco praticato
  il recupero.  In ambito europeo la situazione, per ciò che
  attiene ai rifiuti solidi urbani, a metà degli anni '90 era la
  seguente:
                       ...(omissis)...
      In Italia agli inizi degli anni '90 si avevano valori
  intorno al 90% per la discarica, al 6% per la termodistruzione
  e al 4% per il recupero.  Dal secondo rapporto sui rifiuti
  solidi urbani e sugli imballaggi e rifiuti da imballaggio,
  elaborato dall'Osservatorio Nazionale rifiuti e dall'Anpa e
  riferito al periodo 1996-1997, si evince che lo smaltimento in
  discarica si è attestato al 79.9%, la termodistruzione al
  6.6%, la produzione di compost e CDR (combustibile derivato
  dai rifiuti) intorno al 9.4% e gli altri trattamenti intorno
  al 1.2%.
        I sistemi di trattamento.
      Il trattamento dei rifiuti solidi urbani.
      I rifiuti solidi urbani sono sottoposti a procedure
  diverse a seconda della loro destinazione.  Nel caso
  dell'avviamento in discarica o alla termodistruzione tal quali
  (tale pratica è ancora in uso, nonostante la normativa vigente
  imponga la raccolta differenziata, il recupero e la
  limitazione dell'utilizzo delle discariche da 1 gennaio 2001),
  il rifiuto raccolto dai servizi comunali, viene avviato alle
  stazioni di trasferenza nelle quali viene pressato in macchine
  compattatrici, regettato e avviato allo smaltimento.  Una volta
  abbancato in discarica viene deodorizzato utilizzando
  opportuni agenti chimici o poliuretani sotto forma di spray,
  ricoperto con inerte e successivamente compattato.  Il
  percolato prodotto dai processi fermentativi e dal dilavamento
  delle piogge viene periodicamente raccolto e avviato agli
  impianti di depurazione o riciclato in testa alla discarica.
  Se invece il rifiuto urbano viene sottoposto a raccolta
  differenziata sia con il sistema di raccolta porta a porta in
  contenitori
 
                              Pag. 286
 
  separati messi a disposizione dei cittadini ,sia per mezzo di
  cassonetti di colore diverso per la raccolta singola o
  multimateriale, allora i trattamenti sono di due tipi:
  selezione manuale o meccanica della frazione secca
  (comprensiva di deferrizzazione dei materiali metallici per
  mezzo di elettrocalamite) da avviare successivamente alle
  filiere di recupero di legno, carta, alluminio e metalli,
  vetro, plastica e compostaggio della frazione umida da rifiuto
  urbano tal quale per l'ottenimento di un compost di bassa
  qualità o dai residui dei mercatali e delle operazioni di
  sfalcio e giardinaggio per ottenere invece un compost di
  qualità.  Mentre per il recupero della frazione secca i singoli
  materiali vengono avviati alle filiere delle aziende di
  produzione di plastica, vetro, carta, alluminio etc, nel caso
  del compostaggio la frazione umida in alcune regioni viene
  compostata in idonei compostatori in legno aerati a cura delle
  stesse famiglie che la producono (es.  Trentino) o conferita ad
  operatori che la avviano a impianti di compostaggio.  I
  problemi che si pongono con tali impianti sono essenzialmente
  quelli dei cattivi odori (che non favoriscono il consenso
  delle popolazioni esposte) ove questi non siano provvisti di
  idonei biofiltri a letto torbiero o a microorganismi
  supportati su anelli ceramici.  Gli impianti sopracitati sono
  provvisti di biofiltri e solo nel caso del sito di Tempio
  Pausania è necessario potenziare l'unico filtro a letto
  torbiero esistente, data l'intensità dei cattivi odori,
  peraltro verificata dalla Commissione nel corso della visita
  nella regione Sardegna nei giorni 30 e 31 dello scorso mese di
  gennaio.Particolari dettagli possono riscontrarsi
  nell'allegato al documento.
        Il trattamento dei rifiuti di origine sanitaria.
      Ai sensi dell'articolo 45 del decreto legislativo n. 22
  del 5 febbraio 1997, i rifiuti di origine sanitaria, subiscono
  un trattamento di smaltimento definito per termodistruzione
  preceduto per alcune tipologie da disinfezione.  Il decreto
  attuativo dell'articolo 45, da poco emanato, dà la possibilità
  di avviare tali rifiuti alla discarica controllata previa
  sterilizzazione ove il fabbisogno degli impianti di
  termodistruzione non risulti adeguato.  In tal caso però la
  procedura del conferimento in discarica è subordinata
  all'autorizzazione del presidente della regione interessata,
  d'intesa con i ministri della Sanità e dell'Ambiente.  Impianti
  con tecnologia accettabile sono quelli della ditta Mengozzi di
  Forlì e dell'Ama di Ponte Malnome a Roma che tuttavia
  richiedono una più accurata gestione, soprattutto per ciò che
  riguarda le emissioni di mercurio.
        Trattamento del percolato di discarica.
      Il percolato, com'è noto, si forma a seguito delle
  degradazione fermentativa dei rifiuti organici collocati nella
  discarica e del dilavamento della superficie esposta dei
  rifiuti causato dalle piogge che, infiltrandosi nel corpo
  della discarica, percolano e permeano il corpo stesso
  raggiungendo poi il fondo.  Periodicamente è previsto che il
  percolato venga allontanato prelevandolo, a mezzo pompe, dai
  pozzi appositamente installati nella discarica e che vengono
  alimentati
 
                              Pag. 287
 
  dalla rete di drenaggio presente sul fondo stesso della
  discarica.  Data la composizione chimica del liquido (alti
  valori di COD e BOD) esso va trattato in impianti di
  depurazione biologici possibilmente muniti di sezione dei
  denitrificazione, in considerazione della concentrazione di
  ammoniaca presente nel percolato stesso.
        Il trattamento dei rifiuti speciali.
      I rifiuti speciali comprendono un'ampia gamma di
  tipologie che va dai rifiuti inerti ai rifiuti speciali
  pericolosi di origine industriale.
      Nel caso dei rifiuti inerti, i trattamenti sono limitati
  alla frantumazione (seguita in qualche caso da vagliatura e
  separazione per pezzatura), al bagnamento per minimizzare i
  problemi di polverosità durante il trasporto e durante
  l'abbancamento in discarica.  Un particolare trattamento
  subiscono le lastre di eternit che sono miscele di
  cemento-amianto.  Tali lastre una volta, rimosse dai capannoni
  o da altri manufatti, vengono bagnate, avvolte con teli di
  plastica, sigillate e conferite nelle discariche, avendo cura
  di non provocare rotture durante le fasi di abbancamento.  Ciò
  al fine di evitare la dispersione di fibre libere di amianto
  cancerogeno in atmosfera.
      I rifiuti speciali possono essere trattati ai fini di un
  loro corretto smaltimento o di un loro recupero.  Con le
  operazioni di centrifugazione o filtropressatura effettuate
  per es. su fanghi della industria petrolifera, chimica,
  farmaceutica, vengono recuperati prodotti ancora utilizzabili
  separandoli dalle torte (filter cake) che, dopo successivo
  trattamento di inertizzazione, vengono avviate alla discarica
  controllata.  Nel settore farmaceutico, dai brodi di cultura o
  dai liquidi biologici esausti, è possibile recuperare i
  principi attivi o comunque le specie chimiche ancora
  utilizzabili, tramite processi di evaporazione,
  refrigerazione, distillazione azeotropica, cristallizzazione,
  filtrazione.  Nel settore della galvanotecnica e della
  elettrometallurgia o delle concerie, trovano buona
  applicazione i processi di neutralizzazione acido-base, della
  riduzione con agenti riducenti seguita da precipitazione dei
  sali insolubili, come nel caso dei cromati che sottoposti a
  trattamento con bisolfito sodico vengono precipitati dalla
  soluzione come idrossido di cromo trivalente insolubile.  Nel
  settore della galvanotecnica sono anche utilizzati trattamenti
  di ossidazione con cloro o ipoclorito sodico sui rifiuti che
  contengono cianuri.  Nel settore della metallurgia sono
  applicati i trattamenti di cementazione ed elettrolisi.
  Nell'industria chimica il recupero dei solventi dai rifiuti
  avviene, se economicamente praticabile, per distillazione,
  strippaggio.  Alcuni componenti pregiati di natura organica
  presenti nei rifiuti possono essere recuperati per estrazione
  con solventi selettivi.  Nel settore dei metalli pregiati si
  possono utilizzare le membrane osmotiche o lo scambio ionico
  per il recupero di alcune specie ioniche di particolare
  interesse.  Promettente sembra la via dell'essiccamento seguito
  dalla calcinazione di alcuni fanghi inorganici contenenti
  calce, alluminio, etc. nel settore del recupero dei metalli
  pregiati (oro, argento, etc) dai rifiuti esistono realtà
  industriali nazionali come la Chimet di Prato (specializzata
  nel recupero dell'oro) e la Engitec di Milano che ha
  sviluppato un processo di recupero dei metalli dalle
 
                              Pag. 288
 
  schede e dalla componentistica dei computers televisori e
  dalle apparecchiature elettroniche e un altro processo di
  recupero dello zinco dalle ferriti di zinco componenti
  principali dei fumi della metallurgia dello zinco.
      Un particolare settore dei trattamenti è quello dei
  processi di inertizzazione.  L'inertizzazione ha lo scopo di
  ridurre o eliminare la cessione dei componenti inquinanti
  presenti nel rifiuto.  In tal modo si ottengono due risultati:
  il primo è quello di declassare il rifiuto permettendone lo
  smaltimento in discariche di categoria meno severa (es. 2B
  anziché 2C) e a costi più bassi, il secondo è quello di
  ridurre sensibilmente la pericolosità nel tempo nei confronti
  delle popolazioni esposte e dell'ambiente.  Nei i processi di
  inertizzazione si può fare ricorso al cemento o alla bentonite
  associata all'idrossido di calcio che facilitano i fenomeni di
  precipitazione e complessazione degli ioni metallici presenti
  nel rifiuto, rendendoli insolubili.  Numerosi trattamenti sono
  stati brevettati a livello internazionale come per es. il
  Chemfix degli USA che è utilizzato anche in Italia dalla
  Servizi industriali e che fa ricorso all'utilizzo di cemento e
  silicati solubili, il Sealoseafe.stablex (prevalentemente
  utilizzato in Gran Bretagna, Giappone, Nord America) che
  impiega il cemento portland e alcune tipologie di silicati
  complessi di alluminio e ferro.  A Modena, presso la
  piattaforma polifunzionale gestita dal Comune viene impiegato
  il processo Soliroc brevettato in Belgio e che rientra nei
  processi cosiddetti a base acida ed è adatto per i rifiuti
  della galvanica, della fotografia, dei metalli pesanti in
  genere.  Altri brevetti fanno ricorso alla calce (Envirosafe
  Usa, Petrifix francese), alle argille (Biobrick-Usa),o a
  sostanze termoplastiche, o a incapsulamento in polietilene o
  polimeri organici.  In Italia, sono state sviluppate e
  consolidate esperienze di inertizzazione dei fondami di
  serbatoi del settore petrolifero (tecnologia Ecotec utilizzata
  nelle raffinerie Agip di San Nazzaro dei Burgondi, Saras di
  Sarroch, Agip di Livorno) con impianti che prevedono una
  centrifugazione preliminare con centrifughe orizzontali o
  verticali a due o tre vie, per mezzo delle quali, dal fondame
  si separa quasi tutto l'olio libero che viene rilavorato in
  raffineria (tale olio contiene non più dell'uno per cento di
  acqua) e una torta prevalentemente costituita da inorganico
  con una parte minima di olio adsorbito che viene sottoposta a
  trattamenti di inertizzazione con silicati solubili.  Il
  prodotto della inertizzazione , dopo un periodo di maturazione
  all'aria, viene sottoposto a test di cessione ed avviato in
  discarica di tipo 2B.Come la Commissione ha avuto modo di
  appurare, presso la Saras viene impiegata un'altra tecnologia
  Ecotec , detta TOR, che è molto simile a quella di
  inertizzazione dei fondami oleosi ma fa anche ricorso a
  particolari additivi chimici per il trattamento, tra l'altro,
  dei catalizzatori esausti a base di metalli come il cobalto e
  il molibdeno.  Un trattamento di inertizzazione dei fondami
  oleosi di tipo bentonitico è anche utilizzato dalla società
  Riccoboni presso la raffineria Api di Falconara, Ancona).
  Recentemente è stato realizzato dalla società Ecoservice di
  Macerata un impianto di inertizzazione a servizio di terzi di
  Macerata.  In tale impianto, già operativo da circa un anno con
  ottimi risultati, si utilizza il processo Inertix elaborato e
  progettato dall'Università di Roma "La Sapienza" presso
  l'Istituto di Chimica
 
                              Pag. 289
 
  Organica dal Prof. Ortaggi.  Per ciò che riguarda il
  trattamento delle acque di falda contaminate da BTX (benzene,
  toluene, xilene) è da anni operativo presso la raffinera Agip
  di Sannazzaro dei Burgondi un sistema ad ossidazione con ozono
  denominato TAF e un altro di ossidazione delle sode esauste
  (classificate come rifiuti pericolosi) ricche di, solfuri,
  mercaptani e fenoli (rifiuti pericolosi) denominato ISO
  entrambi con tecnologia Ecotec.
        La sperimentazione in Italia.
      Oltre alle tecnologie di trattamento dei rifiuti speciali
  nazionali utilizzate prevalentemente nel settore petrolifero e
  in quello del recupero dei metalli, vi è da considerare che
  sono state sviluppate o sono ancora in fase di sperimentazione
  da parte di Enea, CNR, Pirelli, tecnologie di trattamento dei
  rifiuti che, in qualche caso, hanno permesso l'ottenimento di
  brevetti.  Per i dettagli vedi allegato.
        Gli impianti mobili Enea per il trattamento dei
  rifiuti.
      Il dipartimento ambiente, divisione tecnologie,
  ingegneria e servizi ambientali dell'Enea di Roma ha
  sviluppato una serie di prototipi di impianti mobili utili non
  solo a sostegno degli impianti fissi ma anche per altri
  impieghi quali lo smaltimento di rifiuti speciali (teloni di
  plastica utilizzati in agricoltura e contaminati da
  antiparassitari, sacchi di plastica sporchi di diserbanti,
  rifiuti infetti ospedalieri, percolati di discarica etc).  Tali
  impianti, alcuni dei quali ancora in sperimentazione, sono
  anche utilizzabili nelle operazioni di bonifica dei siti
  contaminati anche da amianto e per il trattamento "in situ"
  quando i contaminanti da rimuovere non ne consigliano il
  trasporto e lo smaltimento in altri siti più o meno lontani.
  L'utilizzo di unità mobili per il trattamento dei rifiuti o
  per la bonifica dei siti contaminati è previsto anche dal
  decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997.
      Impianto mobile Focus ex Triter, di termotrattmento dei
  rifiuti solidi e terreni inquinati da sostanze organiche.  Si
  tratta di un forno a tamburo rotante con potenzialità di 7.65
  MW termici.  La sezione di trattamento dei fumi è in grado di
  rispettare i limiti più stringenti della normativa ed è
  provvista di un sistema di rilevazione in continuo dei
  macroinquinanti.
      Impianto mobile Icam ex Tricem di stabilizzazione e
  solidificazione in matrice cementizia di rifiuti contenenti
  amianto.  La carica di amianto viene trattata con una miscela
  di cemento acqua e additivi in un omogenizzatore-miscelatore,
  previa triturazione del rifiuto.
      Impianto mobile Dedalo ex Triper di trattamento di
  percolati di discarica di rsu che consiste in una
  termoconcentrazione, seguita da alcalinizzazione e strippaggio
  con aria e neutralizzazione finale.
      Stazione fissa e mobile ABI 2000.  Si tratta di un
  impianto di termodistruzione, di cui si sta sperimentando un
  ossidatore catalitico per l'abbattimento delle emissioni.  Ci
  vorranno almeno altri due anni perché ilsistema sia
  utilizzabile.
 
                              Pag. 290
 
      Impianto mobile Iris ex Triris di sterilizzazione di
  rifiuti ospedalieri di reflui urbani e di detossicazione di
  rifiuti industriali e agroindustriali.  Il processo utilizzato
  è chimico-fisico di inibizione biologica e scissione chimica
  delle sostanze sottoposte a bombardamento con un fascio di
  elettroni prodotti da una macchina acceleratrice lineare
        Processo CNR per l'inertizzazione dell'amianto in
  fibre.
      Con l'entrata in vigore del Dlgs n. 22/97 ed in
  particolare con il Dlgs n. 389/97 di modifica, tutti i RCA
  possono essere avviati sia in discariche controllate di
  adeguata tipologia sia in impianti di trattamento e
  inertizzazione.  I trattamenti di inertizzazione hanno lo scopo
  di bloccare le fibre libere di amianto, di eliminare la
  pericolosità e quindi quello di declassificare i RCA in
  maniera da poterli smaltire in discariche di categoria
  inferiore alla 2C, a costi più contenuti.  I processi di
  trattamento di inertizzazione dell'amianto sono vari e
  numerosi e vanno da quelli di stabilizzazione e
  solidificazione a trattamenti chimico-fisici (vetrificazione,
  vetroceramizzazione etc).  Di ciò, ha riferito alla Commissione
  la dottoressa Marabini del CNR (audizione del 3 febbraio
  2000).  La Commissione, però, non è ancora venuta in possesso
  dei disciplinari tecnici, per potere esprimere un proprio
  giudizio.  Il nostro Paese, secondo quanto riferito la Dott.ssa
  Marabini, ha diversi brevetti CNR ed ha già approntato i
  disciplinari tecnici per i trattamenti di vetrificazione e
  vetroceramizzazione.  Di alcuni di tali brevetti è stata data
  la licenza esclusiva alla società Ecotec di Roma che si
  appresta a sperimentare un processo di trasformazione in
  mattoni in un'area del Comune di Casale Monferrato sotto la
  supervisione del CNR e con il contributo economico del
  Ministero dell'Ambiente e della Regione Piemonte.  Tali
  processi intervengono sulla natura cristallo-chimica dei
  minerali di amianto e rendono inerte, in quanto la
  trasformano, la matrice di amianto.  I sistemi chimico-fisici,
  offrono quindi la possibilità di reimpiego e/o riciclo
  dell'amianto.  Al momento, però, non essendo stati recepiti i
  disciplinari tecnici nazionali in sede europea, non si può
  attivare il meccanismo di trattamento ai fini del recupero, ma
  solo il trattamento al fine di eliminazione della pericolosità
  con conseguente smaltimento in discarica controllata.  Con
  l'emanazione del decreto attuativo dell'articolo17 del Dlgs n.
  22/97, ossia del DM n. 471/99 sulle bonifiche dei siti
  contaminati, assumono un ruolo assai importante i trattamenti
  di inertizzazione o quelli di tipo chimico-fisico i
  disciplinari tecnici di cui sopra, sono ancora fermi presso i
  Ministeri Ambiente e Sanità per la concertazione.  La
  Commissione ritiene che, ulteriori ritardi in materia, non
  solo fanno aumentare i costi di smaltimento ma inducono gli
  operatoti senza scrupoli a commettere illeciti lucrosi in un
  mercato che peraltro appare assai carente di idonei impianti
  di discarica di tipo 2B e 2C.  Tali ritardi negli ultimi anni
  hanno favorito sempre più il ricorso ad impianti di
  smaltimento esteri europei come quello della Inertam in
  Francia o le discariche austriache e della Germania.
 
                              Pag. 291
 
        Impianto sperimentale Pirelli per la produzione di
  CDR.
      E' noto come la raccolta differenziata permetta la
  separazione a monte dei singoli materiali secchi (carta,
  plastica, vetro, metallo, legno) inviati alle filiere e della
  frazione umida inviata alla produzione di compost.  Il CDR
  invece è un combustibile derivato dai rifiuti raccolti in
  maniera indifferenziata, che dopo deferrizzazione sono
  trattati per vagliatura fino ad ottenere un minimo di frazione
  organica putrescibile.  La frazione umida del trattamento
  pro-CDR è inviata alla produzione di compost di scarsa qualità
  utilizzabile per es. per il riempimento di cave e discariche
  mentre la frazione secca dopo vagliatura viene triturata
  essiccata e trasformata in bricchette o coriandoli pronti per
  la termodistruzione con recupero di calore.  In Italia non si è
  ancora sviluppato concretamente il settore della produzione e
  utilizzo del CDR ma sono interessanti alcune iniziative come
  quella della società Pirelli di Milano il cui progetto fa
  ricorso ai pneumatici usati per ottenere un CDR.  Il progetto,
  in fase sperimentale, prevede l'ottenimento del combustibile
  partendo da una miscela di 500/ton/giorno di RSU tal quale, di
  60 ton/giorno di pneumatici fuori uso e di 50 ton/giorno di
  plastica non riciclabile.  I flussi dei prodotti in uscita dal
  processo sono costituiti da 312 ton/giorno di CDR, di 215
  ton/giorno di parte umida organica, di 20.5 ton/giorno di
  metalli e di 35.5 Ton/giorno di scarti inerti da inviare in
  discarica.  La sperimentazione è stata condotta da Enea nel
  luglio del 1997 e garantisce anche il rispetto delle emissioni
  di microinquinanti in atmosfera.  La Pirelli stima che per
  produrre "CDR Pirelli" siano necessarie 360.000 ton/anno di
  pneumatici usati che costituiscono il 15% del CDR.Il prezzo
  del CDR Pirelli a bocca di centrale è competitivo rispetto a
  quello del carbone.
        Trattamento delle carcasse e delle farine
  animali.
      Il ben noto fenomeno della BSE, o della "mucca pazza", su
  cui la Commissione sta effettuando un'apposita indagine che
  sarà oggetto di una relazione a parte, ha notevoli risvolti
  relativamente allo smaltimento delle carcasse animali e delle
  farine infette che, per legge, debbono essere avviate alla
  distruzione.  Un impianto oggetto di visita da parte della
  Commissione nell'area del Consorzio Sisri di Brindisi, per
  come già riferito nel presente documento, si ritiene sia
  idoneo sia per le farine, sia per le carcasse (anche immesse
  in grossi fusti metallici) sia per grassi animali a diverso
  grado di viscosità.  E' stata segnalata all'attenzione della
  Commissione anche una promettente tecnologia detta "Sistema di
  smaltimento Polimass - carne" della società Ecoenergy Ricerche
  di Trapani e che consiste di un processo di
  ossidodistruzione  messo a punto in collaborazione con
  l'Università di Messina.  La carcassa animale, posta in
  apposito cassone, viene triturata fino ad una pezzatura di 10
  centimetri ed ulteriormente triturata a pezzature più fini.  Il
  materiale triturato, viene quindi immesso in un reattore di
  ossidodistruzione a bagno ossidante, in cui si innesca un
  processo di depolimerizzazione che si completa in circa 50
  secondi.  Il prodotto della polimerizzazione è un poliglicol.
  Il poliglicol viene quindi mescolato con biomasse a grandi
  superfici e fatto reagire con un additivo denominato MDI.  Il
  materiale ancora in fase di reazione, detto
 
                              Pag. 292
 
  polixano espanso, viene depositato in cassoni metallici e si
  solidifica.  Il prodotto finale è sterile e può essere
  utilizzato in campo industriale nella fabbricazione di materie
  plastiche.  Un impianto di ossidodistruzione può essere fisso o
  carrellabile ed ha una potenzialità di trattamento di 15
  tonnellate/ora.  L'applicazione della ossidodistruzione può
  essere estesa al risanamento delle discariche e ai siti
  contaminati.
        Trattamenti di bonifica.
      Air sparging (*).
      Tale tecnologia consente di immettere aria compressa
  nella zona satura del suolo, al di sotto del livello
  contaminato.Tale tecnologia generalmente abbinata alla
  ventilazione del suolo, fa si che l'aria contaminata venga
  rimossa e trattata prima che migri verso manufatti vicini e
  che possa contaminare la zona vadosa (zona insatura
  superficiale).  Con tale sistema possono essere estratti dal
  suolo gli inquinanti più volatili quali MTBE
  (metil-terziariobutil etere), alcooli, componenti leggeri
  delle benzine e BTEX (benzene, toluene, etilbenzene,
  xileni).
        Biobonifica on site tramite immissione di funghi
      Immettendo particolari funghi in un terreno contaminato
  si possono degradare gli idrocarburi pesanti (gasoli pesanti,
  combustibili, catrami di carbon fossile,olio grezzo,
  lubrificanti, PCB, solventi clorurati) ed altre sostanze
  organiche.  Si tratta di una tecnologia recente.  La scelta del
  tipo di funghi, sperimentata previamente in laboratorio, è
  decisiva per la buona riuscita del processo degradativo.  Ila
  funzione dei funghi è quella di produrre degli enzimi
  extracellulari che sono in grado di rompere le complesse
  molecole degli idrocarburi pesanti.  Gli spezzoni molecolari
  vengono poi metabolizzati dai funghi e dagli altri
  microrganismi presenti nel suolo con sviluppo finale di acqua
  e anidride carbonica.
        Bonifica biologica o bioremediation.
      La bioremediation è una delle più promettenti tecnologie
  per risolvere i problemi della contaminazione dei suoli da
  sostanze pericolose in quanto utilizza batteri o funghi in
  grado di trasformare la sostanza organica in anidride
  carbonica ed acqua.  L'utilità di tale tecnologia consiste nel
  fatto che i contaminanti, nella gran parte dei casi, vengono
  biodegradati nello stesso posto, senza trasferimento di
  materiali in altro sito e che i batteri utilizzano la stessa
  sostanza contaminante per il loro nutrimento.  Negli USA, dove
  si sono effettuate da parte dell'EPA  (Environmental
  protection   Agency)  ricerche approfondite in occasione
  della grave contaminazione delle coste dell'Alaska causata
  dalla perdita di petrolio grezzo della Exxon Valdez, fino a
  qualche anno fa, l'utilizzo della bioremediation, era
  piuttosto limitato proprio per la non chiara conoscenza dei
  processi biodegradativi in campo, per alcune applicazioni
  improprie che si erano constatate, per la necessità di
  ingegnerizzazione del processo e per la esigenza di disporre
  di procedure di attento controllo.Recentemente si sono avute
  esperienze
 
                              Pag. 293
 
  assai positive di bioremediation in Olanda, Francia,
  Germania, e Austria.  La tecnologia della "bioremediation" può
  essere applicata sia "in situ" che "ex situ" su terreni a
  permeabilità medio-alta, ricircolando una soluzione nella zona
  satura.  Tale soluzione contiene nutrienti a base di sali di
  azoto e di fosforo, microorganismi indigeni (ossia dello
  stesso suolo) o alloctoni (di altra provenienza)
  opportunamente selezionati per biodegradare i contaminati
  organici presenti.  La biodegradazione avviene in presenza di
  ossigeno.  In alcuni casi, in presenza di metano, si ha una
  biodegradazione anaerobica.  In tali condizioni, la sostanza
  organica, si biodegrada fino ad anidride carbonica e acqua.  I
  vantaggi della bioremediation sono quelle della versatilià ad
  essere applicata a ogni tipo di sostanza organica
  biodegradabile idrocarburi, sostanze organiche non alogenate,
  con rendimenti molto alti.  Gli svantaggi sono: la
  indefinibilità a priori dei tempi di degradazione, a causa
  della estrema variabilità delle condizioni di attività dei
  microrganismi, i valori estremi di pH del suolo contaminato,
  la presenza di metalli pesanti e/o di sostanze chimiche
  tossiche.  La bioremediation ha scarsa efficacia su terreni a
  bassa permeabilità che rendono difficile la veicolazione delle
  soluzioni nutrienti.  Nel caso dell'utilizzo di batteri
  alloctoni, preparati per es. in laboratorio, occorre valutare
  attentamente gli effetti indotti dalla eventuale presenza di
  microroganismi opportunisti o patogeni che, se sfuggono in
  falda, possono provocare seri problemi di contaminazione
  biologica del mezzo idrico.  La biobonifica ex situ può
  comportare la modifica delle caratteristiche tessiturali del
  suolo (bioslurry, bioremediation on pile, landfarming).  Come
  mezzo di ossidazione si può usare ossigeno, aria mediante
  compressori o miscelatori, acqua ossigenata, mediante
  iniettori.  E' da tenere presente che nel nostro Paese si è
  finora applicata tale tecnologia, in assenza di regole
  tecniche ben precise con grave pregiudizio per l'ambiente e la
  salute dei cittadini.  Non è escluso, infatti, che già si siano
  verificate contaminazioni della falda, in considerazione
  soprattutto che i controlli da parte degli organi preposti non
  solo sono carenti, ma se anche vi fosse l'auspicata attenzione
  e frequenza di intervento non potrebbero essere condotti in
  maniera mirata, non essendovi a disposizione , per l'appunto,
  regole ministeriali certe.  Tale emotivo di preoccupazione deve
  spingere il legislatore a dare al più presto attuazione a
  quanto previsto al punto C-bis dell'articolo 17 del decreto
  legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997 al fine di evitare
  pericolose contaminazioni del suolo e della falda.
  L'applicazione "indiscriminata" della bioremediation finora è
  avvenuta, come risulta alla Commissione, in alcuni settori
  industriali ed in particolare nel settore della petrolchimica
  all'interno dei siti di produzione in quello petrolifero
  presso le stazioni di servizio di vendita dei carburanti in
  cui spesso si verificano perdite di benzina e gasoli dai
  serbatoi interrati forati.
        Capping (isolamento superficiale).
      Nei casi di siti contaminati, in attesa di bonifica la
  fine di evitare il dilavamento degli inquinati nel suolo da
  parte della infiltrazione delle piogge o nel caso di una
  discarica esaurita si effettua il  capping  o isolamento
  supeficiale.  Per effettuare il  capping  si possono
  utilizzare argille o materiali plastici sintetici.  Con il
  capping  oltre a limitare
 
                              Pag. 294
 
  l'infiltrazione delle acque di pioggia, si minimizza o
  elimina la migrazione degli inquinanti per capillarità.
  Inoltre il  capping  favorisce la crescita di coperture
  vegetali, la resistenza alla erosione, la prevenzione delle
  fessurazioni per essiccamento, il controllo della fuoriuscita
  del biogas, una maggiore resistenza ai fenomeni di
  gelo-disgelo.
        Cementazione in situ mediante iniezione e
  mescolamento.
      La cementazione per mezzo di mescolamento o di iniezione
  nel sito contaminato di sostanze in grado di immobilizzare gli
  inquinanti presenti è materia che attiene agli interventi
  geotecnici in cui vi è una buona esperienza nel nostro Paese.
  La tecnologia consiste nel miscelare composti chimici speciali
  o tradizionali (cemento, calce, fly-ash, bentonite etc) con la
  massa dei rifiuti o del terreno contaminato utilizzando
  metodologie differenti quali la miscelazione con eliche, la
  iniezione per permeazione o claquage, il trattamento di
  jet-grouting.  La tecnologia della cementazione è utilizzata
  per il consolidamento di terreni e scavi tramite perforazioni
  verticali finalizzate a realizzare colonne di materiale che si
  intersecano l'una con l'altra.  La limitazione di tale
  tecnologia consiste nella disuniformità del trattamento e nei
  costi elevati.  E' necessario, quando si applica tale
  tecnologia, che si verifichi la propagazione della miscela,
  per mezzo di scavi o trincee.
        Sistema di contenimento perimetrale.
      Il sistema di contenimento perimetrale o di isolamento
  delle pareti viene utilizzato per impedire o ostacolare la
  percolazione di inquinanti da una zona contaminata e per
  impedire il contatto tra la massa inquinata e la falda idrica
  sottostante.  I sistemi di contenimento perimetrali sono
  generalmente di due categorie: barriere ad inserimento quali
  le palancole tradizionali, le palizzate in pannelli di
  acciaio, i muri di contenimento a trave infissa fissa e le
  barriere di escavazione quali quelle con argilla, i muri di
  contenimento ad iniezione, i muri di contenimento a membrana,
  i muri di contenimento a pannelli, i diaframmi a calcestruzzo,
  le trincee di fanghi bentonitici, i muri di contenimento a
  geomembrane, le barriere cemento-bentonite, le barriere a
  palancolata, i sistemi di pali accostati tipo jet-grouting, le
  barriere realizzate tramite mescolamento del terreno in sito
  con additivi.  In tutti questi sistemi è importante il
  controllo della permeabilità.
        Desorbimento termico di suoli contaminati.
      Le tecnologie di desorbimento termico comprendono una
  pluralità di processi di vaporizzazione di sostanze organiche
  volatili o semi-volatili da suoli contaminati o da fanghi.  Il
  processo di desorbimento termico deve essere condotto in
  maniera tale da evitare la combustione dei contaminanti
  nell'unità primaria.  Una volta estratti i vapori delle
  sostanze organiche si avviano ad un post-combustore, oppure
  vengono condensate per un eventuale riutilizzo.
 
                              Pag. 295
 
  Le polveri e il particolato derivanti dal desorbimento sono
  controllati con cicloni, filtri a tessuto, o scrubber del tipo
  venturi.  Se nel vapore sono presenti sostanze acide, lo
  scrubbing ad umido avviene in presenza di alcali.  I vapori,
  oltre che condensati, possono essere assorbiti su carbone
  attivo.  Il desorbimento può avvenire per riscaldamento diretto
  (per es. in tamburo rotante), per estrazione e riscaldamento
  indiretto, per estrazione con vapore "in situ" (per mezzo di
  tubi e iniettori di vapore e aria calda).
        Estrazione con solvente.
      E' una tecnica di pretrattamento per la bonifica di
  terreni con permeabilità medio-alta.  L'estrazione con solvente
  agisce sulla zona satura del suolo, produce contaminanti in
  alta concentrazione, materiali solidi e acqua.  Il solvente
  impiegato separa i contaminanti oleosi dai terreni e dai
  fanghi, riducendo il volume del suolo che verrà
  successivamente trattato.  Il solvente nelle applicazioni
  pratiche viene miscelato al suolo, poi viene separato e
  riciclato.  Al solvente a volte si aggiungono delle sostanze
  tensioattive per aumentare la rimozione dei contaminanti.  La
  scelta dei solventi va previamente definita con prove di
  laboratorio.
        Incenerimento o termodistruzione del suolo
  contaminato.
      Viene realizzato con impianti generalmente mobili e
  consiste nella combustione controllata in condizioni
  ossidanti.  I terreni che vengono trattati per termodistruzione
  sono quelli contaminati da idrocarburi aromatici, alifatici,
  aromatici, policiclici, cianuri complessi.  I forni sono del
  tipo a tamburo rotante o ad infrarosso che utilizzano barre a
  carburo di silicio riscaldate da una resistenza elettrica per
  generare radiazioni termiche di lunghezza d'onda nella regione
  dello spettro elettromagnetico corrispondente al vicino
  infrarosso.  Un impianto mobile sperimentato negli Stati Uniti
  d'America è quello con tecnologia Shirco.  Vengono utilizzati
  anche i forni a letto fluido o ad arco plasma
        Lavaggio del suolo.
      Tale tecnica di pretrattamento si utilizza per bonificare
  i terreni a medio-alta permeabilità che consiste nel far
  circolare nel suolo acqua pura o additivata con solventi
  organici, agenti chelanti, tensioattivi, acidi o basi, con lo
  scopo di far staccare dalla matrice del suolo una parte del
  contaminate in modo che passi in soluzione e in modo da
  separare le particelle fini colloidali dal terreno a
  granulometria più grande.  Una variante è quella di additivare
  microorganismi e fertilizzanti in modo da associare all'azione
  di lavaggio quella della biodegradazione.
        Separazione elettrocinetica.
      E' utilizzata per la decontaminazione dei terreni a grana
  medio-fine e a permeabilità meduio-bassa, basata
  sull'applicazione di
 
                              Pag. 296
 
  un campo elettrico per mezzo di elettrodi infissi nel suolo.
  La rimozione dei contaminanti avviene attraverso meccanismi di
  avvezione di tipo elettroosmotico, per diffusione e per
  migrazione di ioni.  L'elettrolisi iniziale dell'acqua genera
  la produzione di ioni idrogeno ed ossigeno molecolare
  all'anodo e di ioni ossidrile ed idrogeno molecolare al
  catodo.  Gli ioni idrogeno tendono a migrare verso il catodo
  forzando per attrito viscoso anche una frazione delle
  particelle di acqua che si oppongono al loro moto.  Al catodo
  si produce quindi un flusso d'acqua di tipo avvettivo (flusso
  elettroosmotico) che si sovrappone a quello naturale od
  eventualmente forzato per via idraulica.  Altri processi
  elettrochimici avvengono oltre a quelli descritti e portano
  alla acidificazione del suolo.  La tecnica è utilizzata per la
  rimozione di cationi metallici inorganici da terreni argillosi
  e limosi con una efficienza di rimozione che va dal 75% al
  95%.  La tecnica è applicata anche per terreni contaminati da
  rifiuti radioattivi.  E' necessaria una sperimentazione
  preliminare in laboratorio.  Sia gli anodi che i catodi , tra
  loro interconnessi, formano due sistemi di circolazione
  separati eventualmente riempiti con soluzioni chimiche a base
  di agenti complessanti o di solventi, in grado di migliorare
  l'efficienza del processo nel caso di inquinanti solubili in
  acqua.
        Steam sparging.
      Consiste nella iniezione di vapore nella zona satura del
  suolo contaminato e viene applicato a terreni contaminati da
  componenti semi-volatili non biodegradabili, consentendo di
  aumentare la solubilità del contaminate.  Viene utilizzata una
  miscela aria in pressione- vapore che viene immessa nel suolo
  per mezzo di un tubo fessurato installato di norma al di sotto
  del limite inferiore della contaminazione.
        Ventilazione del suolo (soil venting).
      Tale tecnica è utilizzata per la rimozione di composti
  organici volatili (COV) dalla zona insatura o vadosa di un
  suolo contaminato che abbia una permeabilità medio-alta.  Il
  sistema fa capo a pozzi di aspirazione collegati ad un
  aspiratore e consiste in un circuito di condotte forate e di
  collettori che stabiliscono un gradiente forzato di pressione
  fra zone del suolo.  Tale sistema cattura in superficie i
  vapori e li invia ad un impianto di trattamento dei gas.
        Vetrificazione in situ (Soil vitrification).
      Il trattamento del suolo con tale tecnologia provoca la
  fusione del terreno in situ.  Il materiale di fusione non è più
  dilavabile, ha caratteristiche vetrose simili alle ossidiane
  dell'isola di Lipari e non cede alcun inquinante.  La
  vetrificazione viene ottenuta infiggendo elettrodi di grafite
  nel sottosuolo e applicando una differenza di potenziale tra
  quattro elettrodi.  L'elevata resistenza elettrica del terreno
  genera calore e la temperatura elevata raggiunge i 2000^C a
  cui il terreno e gli eventuali contaminanti o rifiuti fondono.
  Il volume del materiale fuso procede dall'alto verso il basso
  e tende ad
 
                              Pag. 297
 
  interessare anche le zone laterali.  Sulla superficie del
  terreno viene posto un coperchio mantenendo il sistema in
  lieve depressione per impedire fughe di gas e particelle
  sospese.  Il trattamento riguarda generalmente le zone insature
  al di sopra delle acque di falda.  Per effetto della fusione
  del suolo la superficie si abbassa per il fenomeno della
  subsidenza.
      (*) definizioni tratte dal Manuale Unichim n. 175,
  edizione 1994).
        Phytoremediation.
      La phytoremediation è una tecnologia che utilizza alcune
  piante per rimuovere, degradare, stabilizzare sia i
  contaminanti organici che inorganici presenti nel suolo, nelle
  acque ,nelle acque di falda o nelle acque superficiali.  La
  phytoremediation riguarda un numero diverso di tecnologie.  Si
  ha cosi per es. la Rhizosphere bioremediation, adatta per la
  biodegradazione di idrocarburi policiclici aromatici,
  pesticidi, e altre sostanze organiche), oppure la
  fitoestrazione di metalli e radionuclidi.
        Pump and treat system.
      La tecnologia consiste nel pompare l'acqua di falda
  contaminata fino alla superficie, nel rimuovere i contaminanti
  e nel ripompare l'acqua decontaminata in falda o nello
  scaricarla in acque di superficie.  Nel caso di contaminazione
  della falda da sostanze oleose si utilizzano particolari
  sistemi detti "scavengers" in cui vi è installata una doppia
  pompa.  La prima deprime la falda e permette la formazione di
  un cono di depressione in maniera tale da richiamare l'olio
  dalla superficie della falda.  L'olio raccolto nel cono di
  depressione, raggiunto un dato spessore, viene aspirato dalla
  seconda pompa grazie al consenso dato da un sensore a raggi
  infrarossi.
        Stabilization and solidification
      E' una tecnologia che utilizza sistemi differenti quali
  il trattamento con bitume, le resine epossidiche, le miscele
  cemento-bentonite, la calce, additivi complessanti, miscele
  cementizie a base di silicati liquidi.  L'obiettivo di tali
  trattamenti di stabilizzazione, innocuizzazione,
  inertizzazione è quello di bloccare le matrici inorganiche e
  qualche volta organiche solubili, rendendole meno cedibili
  all'ambiente.  Viene applicata generalmente on site o extra
  situ, rimuovendo il terreno contaminato con escavatori o pale
  meccaniche.  I processi di trattamento per inertizzazione
  coinvolgono chimismi di complessazione, gelificazione,
  precipitazione, insolubilizzazione o semplice inglobamento,
  come nel caso del trattamento con bitumi in cui la fase
  organica viene complessata dalla cosiddetta "fase maltenica"
  che è uno dei componenti del bitume.  Il risultato
 
                              Pag. 298
 
  dell'efficacia della inertizzazione si verifica con il test
  di cessione.  La normativa nazionale, perfezionata
  dall'Istituto di ricerca sulle acque (IRSA) prevede ce il test
  di cessione sia effettuato sottoponendo il rifiuto ( a matrice
  prevalentemente organica) o il terreno trattato con una
  soluzione di acido acetico a pH 5.5, per 24 ore sotto
  agitazione.  Alla fine del test l'acqua di leaching viene
  analizzata per la determinazione dei contaminati confrontando
  le concentrazioni con i limiti della tabella A della legge n.
  319/76.  Se la matrice del rifiuto o del terreno trattato è
  prevalentemente inorganica, si applica il test IRSA alla CO2
  satura con la stessa procedura del test all'acido acetico ma
  in contenitore chiuso (per mantenere le condizioni di
  saturazione).  Il test di cessione secondo la normativa
  nazionale vigente viene utilizzato non solo per verificare
  l'efficacia dei trattamenti inertizzanti ma anche per
  orientare lo smaltimento nelle discariche controllate.
        Rating delle tecnologie di ripristino
  ambientale.
      Quando si applicano le tecnologie di bonifica in un sito
  contaminato, vi è un numero elevato di parametri da tenere in
  considerazione.  Un sistema valido per selezionare le
  tecnologie è lo strumento dell'analisi di rischio e del
  rapporto costi benefici.  A tal proposito la Commissione
  Economica per le Nazioni Unite ha di recente indicato i
  parametri che debbono essere esaminati per valutare le
  tecnologie di intervento assegnando un "rating" delle stesse
  sia per gli interventi in situ che per quelli ex situ.  Le
  tavole I e II che seguono riportano tale "rating".
 
                              Pag. 299
 
                      ...  (omissis) ...
 
                              Pag. 300
 
                      ...  (omissis) ...
 
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