| (Relatore: senatore Franco Asciutti)
PREMESSA.
Con l'avvicinarsi della chiusura dei lavori della XIII
legislatura, è necessario fare un bilancio sullo stato
dell'arte delle tecnologie di smaltimento dei rifiuti e sulla
bonifica dei siti contaminati, utilizzando il bagaglio di
esperienze e di informazioni acquisito dalla Commissione nel
corso di specifici sopralluoghi presso gli impianti che
producono o gestiscono lo smaltimento o la bonifica, durante
gli incontri e le audizioni delle associazioni degli
industriali locali, delle forze di polizia giudiziaria, della
magistratura, dei prefetti, delle associazioni ambientaliste,
dei comitati dei cittadini, degli operatori del settore , dei
consorzi, di tutte quelle realtà, cioè, che nella problematica
dello smaltimento e della bonifica sono coinvolti a diversi
livelli di responsabilità. Nel presente documento si è
pertanto tenuto conto delle relazioni tematiche già emanate
dalla Commissione in materia di amianto, di rifiuti solidi
urbani, di rifiuti ospedalieri, di rifiuti industriali, di
incentivi alle aziende che operano traguardando allo sviluppo
sostenibile e ai principi dell'Emas (Environmental management
Audit Scheme) o che si sottopongono volontaristicamente alle
procedure di certificazione del sito e dell'attività. In
sostanza la Commissione, nel corso dei suoi tre anni di
lavoro, ha sempre guardato con estremo interesse al panorama
nazionale dell'imprenditoria nel settore dei rifiuti e delle
bonifiche, studiandone le evoluzioni, cercando di cogliere
segnali ed evidenze che facessero capire se essa stesse
percorrendo la strada di un sistema industriale di gestione
dei rifiuti tecnologicamente avanzato, in grado di
realizzare una vera e propria gestione integrata del ciclo
globale non solo dei rifiuti urbani ma soprattutto di quelli
speciali industriali. Occorre a questo punto riflettere sulla
considerazione che i rifiuti speciali industriali, per qualità
e quantità in gioco, costituiscono il vero problema da
affrontare, senza con ciò minimizzare sulle realtà
emergenziali dei rifiuti solidi urbani che affliggono al
momento 4 grandi regioni del sud del Paese e che proprio in
questi giorni si sono estremamente amplificate nella regione
Campania. L'argomento della gestione dei rifiuti nell'ottica
di uno sviluppo sostenibile, è stato di cosi grande interesse
per la Commissione che questa, a conferma di quanto illustrato
in un dibattito alla Camera dei deputati nel novembre 1999 dal
Presidente Scalia con la relazione sul biennio di attività
della Commissione, ha organizzato a Milano il 29 giugno 2000,
presso l'Università Bocconi, il convegno- dibattito "Verso un
sistema
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industriale per la gestione dei rifiuti". Il decreto
legislativo n. 22/97 ha recepito 3 importanti direttive
comunitarie in materia di rifiuti ed imballaggi (91/186,
91/685 e 94/62/CE). Ha rappresentato un punto di svolta
epocale per la gestione dei rifiuti che era impostata,
unicamente, sulla filosofia dello smaltimento (rifiuto a
perdere) spostando il baricentro delle attività sui temi del
recupero e del riciclo. Senza facili ottimismi si può
affermare che, a quattro anni dall'entrata in vigore della
riforma, il settore dei rifiuti sta entrando in una fase di
profonde e radicali trasformazioni che dovrebbero consentirgli
di superare gli attuali limiti strutturali e tecnologici che
sono all'origine della scarsa qualità ambientale dei servizi
erogati a fronte di costi elevati e crescenti (fenomeno molto
più accentuato nelle regioni del Mezzogiorno). La situazione
di partenza d'altronde era di estrema arretratezza con alcune
patologie tipiche di sistemi pubblici "protetti", come sono i
servizi ambientali nel nostro Paese, con una forte regolazione
ambientale ed una regolazione economica insufficiente. Ciò che
appare oggi necessario, come riconoscono tutti gli
osservatori, è un sistema di gestione integrata in grado di
farsi carico, con continuità ed in modo economicamente ed
ecologicamente sostenibile, del problema dei rifiuti
affermando, concretamente, i principi comunitari: riduzione
all'origine, riuso, riciclo e recupero di materiali ed energia
di cui lo smaltimento in sicurezza rappresenta la fase finale
e residuale dell'intero ciclo. C'è la necessità di superare
alcuni ritardi, costituiti in particolare dal completamento
della normativa attuativa prevista dal decreto legislativo n.
22/97 (rifiuti pericolosi, compost, cdr, assimilabilità,
discariche, ecc.) dal recepimento da parte delle regioni del
quadro normativo, adeguando i rispettivi piani di gestione dei
rifiuti dalla definizione degli ambiti territoriali ottimali
(ATO) (avviati timidamente in pochissime realtà), dalla
realizzazione di un sistema di impianti integrato e
tecnologicamente avanzato. Gravi e numerose sono altresì le
deviazioni da un sistema corretto di gestione che producono
gravi danni ambientali, a volte irreversibili. La produzione
nazionale di rifiuti viene stimata dalla Commissione in circa
108 milioni di tonnellate di cui irca 28 di rifiuti solidi
urbani e il rimanente di rifiuti speciali pericolosi e non
pericolosi. Il sistema di smaltimento nazionale già a partire
dagli anni '80 ha mostrato forti carenze e lacune ,
alimentando le attività e i traffici illegali assai lucrosi
della malavita organizzata. La Commissione valuta che oltre il
30% di rifiuti speciali industriali non sia gestito
correttamente o lo sia in maniera illecita per cui almeno 35
milioni di tonnellate non si conosce il destino finale. Le
cifre del "fatturato in nero" sono allarmanti e sono stimate
dalla Commissione in circa 15.000 miliardi l'anno con una
evasione di almeno 2000 miliardi da parte del circuito
illegale. Nel settore della termodistruzione in cui fino agli
anni '80 l'Italia aveva investito in ricerca e tecnologie , il
non efficace abbattimento delle diossine e dei furani emessi
dagli inceneritori di prima generazione, alimentava la
"sindrome di Seveso", la paura cioè delle popolazioni per la
dispersione in ambiente delle diossine come nell'incidente
Icmesa di Seveso. Qesta situazione è alla base della perdita,
nel nostro Paese,dell'innovazione nel campo tecnologico, della
ricerca e dello sviluppo, nel momento in cui, nel resto
dell'Europa, si sviluppavano tecnologie di combustione
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e di abbattimento delle emissioni in grado di garantire i
limiti assai stringenti imposti dalle direttive comunitarie in
tema di emissioni. Ancora oggi, nel nostro Paese, il ricorso
alla discarica rimane, per il 79%, circa la via di smaltimento
preferita mentre la termodistruzione è ferma al 6.6%, valore
che colloca l'Italia come fanalino di coda di tutti i Paesi
europei in cui il ricorso alla termodistruzione si attesta
intorno ad un valore medio del 25%. Il nostro parco
impiantistico, mostra ormai i suoi anni ed è pressoché
inadeguato, se si escludono come vedremo, alcuni casi di
eccellenza per cui è sempre più difficile e costoso contenere
le emissioni entro i limiti di legge. La situazione appare
meno drammatica di quanto in effetti sia poichè non sempre i
controlli delle ARPA vengono effettuati sugli impianti con la
necessaria frequenza e attenzione. A fronte di un deficit
impiantistico, si segnalano iniziative da parte dei privati
che operano con i loro impianti di trattamento o all'interno
di grandi aziende o con proprie piattaforme e di alcuni comuni
come quello di Modena da tempo impegnati nei trattamenti. Il
ruolo degli Enti di ricerca quali Enea e CNR, si è dimostrato
negli ultimi tempi in grado di reagire e sviluppare alcune
tecnologie , alcune delle quali brevettate, per il trattamento
di termodistruzione di prodotti organici e di inertizzazione
dei rifiuti pericolosi industriali come per esempio l'amianto.
La presa di coscienza, da parte della Commissione, di tale
situazione deficitaria a livello nazionale, ha stimolato i
Commissari ad effettuare dei confronti con le altre realtà
gestionali dei Paesi del nord Europa recandosi in visita, nel
mese di settembre 2000, presso alcuni siti di trattamento
della Germania, Finlandia, Svezia, Danimarca, al fine anche di
verificare l'esistenza di un sistema industriale per la
gestione integrata dei rifiuti. Di certo, la cultura nord
europea ( statunitense e canadese nel caso dei Paesi d'oltre
Oceano), mostra di essere più avanzata, più strutturata e
interiorizzata rispetto alla nostra. Anche il sistema delle
filiere, apprezzabile per certi versi per i risultati
raggiunti sul versante degli imballaggi derivanti dal sistema
produttivo, non è ancora ad un livello adeguato sul versante
delle filiere da raccolte differenziate comunali, risentendo
delle difficoltà iniziali per organizzare il CONAI e soffrendo
la mancanza di un mercato consistente del recupero dei
materiali. Certo è comunque che il rallentamento che ancora si
registra nelle operazioni di riciclo e in quelle di
riciclaggio nelle filiere, ha risentito del ricorso alle
procedure semplificate da parte della imprenditoria degli
ecofurbi che ha colto l'occasione per realizzare ricicli
virtuali e non virtuosi di materiali con evidenti danni per
l'ambiente e con attività truffaldine, come purtroppo la
Commissione ha avuto modo di verificare in più occasioni, "de
visu". Alcune filiere inoltre, come quella della plastica,
contrariamente a quella dell'alluminio assai profittevole e ad
alto risparmio energetico, non sembrano economicamente
appetibili per il riciclo materiale, atteso che la plastica di
riciclo sfiora il costo della materia prima vergine e le sue
caratteristiche meccaniche si deteriorano notevolmente a
partire dal terzo ciclo di recupero, anche se è possibile in
alcuni casi specifici spingersi a ricicli superiori alle tre
volte. Occorre tuttavia rilevare qualche caso di eccellenza
riferibile all'attività di alcune aziende quali la Cobea di
Bergamo e la Ecoselecta che opera in Trentino-Alto Adige e che
si stanno sempre
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più imponendo sul mercato per il riciclo delle plastiche nel
settore del PET e di altri polimeri plastici. La Ecoselecta,
peraltro, ha vinto un progetto Life della Comunità europea in
materia di riciclo.In alcuni casi, può essere economicamente
più profittevole in tema di rapporto costi/benefici, l'avvio
dei materiali plastici alla termodistruzione con recupero
energetico. Occorre però ricordare che proprio per tali
materiali, in ogni caso contenenti significative percentuali
di cloro, la combustione determina i maggiori problemi
ambientali e sanitari in rapporto alle già ricordate
condizioni medie del nostro parco di inceneritori. Ritardi
sensibili si osservano anche nel settore della raccolta
differenziata delle frazioni secche ed umide dei rifiuti
solidi urbani e dell'impiantistica esistente ad esso
correlata, in alcuni casi obsoleta e che, di là dai valori
previsti dalla normativa, si attesta mediamente al 14% a
livello nazionale. Un dato preoccupante da segnalare e che non
facilità di certo il consenso delle popolazioni alla
installazione di qualsivoglia impianto di trattamento o di
recupero di rifiuti è una sorta di ipersensibilità, da
qualche tempo ingeneratasi nella popolazione che vive anche in
realtà urbane o suburbane degradate. Si tratta di una vera e
propria sindrome Nimby (Not in my backyard) che
esaspera gli animi, non aiuta e incoraggia l'imprenditoria e
favorisce i lucrosi affari della malavita organizzata. Il caso
eclatante della Campania di questi giorni è sotto gli occhi di
tutti, dove, in molte situazioni, gli amministratori -sindaci
in testa- hanno addirittura respinto la localizzazione in aree
industriali di impianti di vagliatura e di compostaggio, a
basso impatto ambientale, e, in ogni caso, necessari per
evitare di trasformare la crisi dei rifiuti in emergenza
sanitaria. Il confronto con i Paesi nord europei ci vede, al
momento e per quanto sopra detto, perdenti non solo in
riferimento alla quantità degli impianti in esercizio ma anche
alla qualità tecnologica. Non appare diversa la situazione per
ciò che riguarda le tecnologie di bonifica dei siti
contaminati in quanto, oltre ai ritardi accumulati nella
emanazione della norma attuativa, si registra ancora un basso
interesse da parte della imprenditoria nostrana. Non è
difficile infatti vedere all'opera aziende straniere (europee
e americane) che per tempo hanno sviluppato tecnologie in
situ, on site ed off site in grado di soddisfare tutte le
esigenze delle imprese chiamate a bonificare i propri siti. La
contaminazione dei suoli e dei sottosuoli peraltro, nel nostro
Paese, è assai diffusa. Almeno 15 siti sono stati dichiarati
di importanza nazionale e quindi i relativi progetti di
bonifica sono avocati a sè dal Ministero dell'ambiente (che, a
fronte di un primo finanziamento di circa 560 miliardi con la
legge n. 426/98 ha stanziato con l'ultima manovra finanziaria
un ulteriore finanziamento di circa 500 miliardi) presso il
quale solo ora, a seguito dell'ultima legge finanziaria, si
sta formando una commissione di esperti per valutarli. I
grandi siti contaminati sono quelli di aziende come l'Enichem
di Porto Marghera, di Priolo, di Gela, di Brindisi, come
l'Acna di Cengio, come altri siti della costiera domiziana
compromessi dagli interramenti abusivi di rifiuti pericolosi,
come gli impianti di Bagnoli etc. A questi "grandi" siti
contaminati occorre aggiungere quelli derivanti dai censimenti
ai senso del decreto del ministero dell'Ambiente del 16 maggio
1989 e quelli assai diffusi e derivanti dalla dismissione dei
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serbatoi interrati del settore petrolifero della
distribuzione e vendita di carburanti. In tale settore,
infatti, sono previsti almeno 25000 interventi per il prossimo
futuro. In conclusione si deve constatare che il sistema
Italia è in forte ritardo nel settore dello smaltimento e
dell'impiantistica ad esso correlata, mostra forti dipendenze
dalle tecnologie straniere, anche se all'orizzonte cominciano
a profilarsi iniziative di privati e degli Enti di ricerca in
grado di mettere a disposizione impianti e innovazioni
tecnologiche.
CAPITOLO I
4.1 LE TECNOLOGIE DEL CICLO DEI RIFIUTI
LA NORMATIVA NAZIONALE SULLA GESTIONE DEI
RIFIUTI.
Tutte le operazioni di impianto relative allo smaltimento
e al recupero dei rifiuti, nonché quelle relative alla
bonifica dei siti contaminati sono regolate, per ciò che
riguarda le autorizzazioni e/o le comunicazioni, dal decreto
legislativo 5 febbraio 1997, n. 22. Infatti, all'articolo 27
dello stesso, si fa riferimento esplicito "alla approvazione
del progetto degli impianti di smaltimento e di recupero dei
rifiuti". L'articolo 28 tratta invece della "autorizzazione
all'esercizio di smaltimento e recupero", mentre l'articolo29
è relativo "all'autorizzazione di impianti di ricerca e
sperimentazione". L'articolo 33 regolamenta inoltre le
operazioni di recupero, mentre il decreto del Ministero
dell'Ambiente del 5 febbraio 1998 si riferisce alle norme
tecniche per il recupero dei rifiuti non pericolosi come
materiali con procedure semplificate. La deliberazione del
Comitato interministeriale del 27 luglio 1984, ancora vigente,
contiene le disposizioni per la prima applicazione
dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 10
settembre 1982 n. 915 e concerne lo smaltimento dei rifiuti.
La Commissione deve rilevare che l'attuale ricorso alla
disciplina attuativa del 1984 sopra specificato, oltre che
incompatibile con i dettami e le finalità del decreto
legislativo n. 22/97, potrebbe altresì causare dei pregiudizi
per l'ambiente e la salute pubblica. Infatti va evidenziato
che il decreto legislativo n. 22/97 ha ampliato le classi di
pericolosità dei rifiuti dalle due previste dal decreto del
Presidente della Repubblican. 915/82 (tossicità e nocività)
alle 14 attuali, tra cui vanno certamente ricompresi rifiuti,
quali per esempio, i fanghi di alchilazione, le sode esauste
ed altri. Per tali rifiuti è fatto oggi divieto di smaltimento
secondo i criteri e le concentrazioni imposti dall'allegato A
del decreto del Presidente della Repubblica n. 915/82, cui la
deliberazione del 27.7.84 fa riferimento. Né d'altra parte
appare corretto il ricorso al sistema dei codici CER in questo
specifico settore perché, per un verso quei codici rispondono
a criteri e finalità ben diversi (criteri definiti dalle norme
sull'etichettatura), per l'altro, proprio quel codice contiene
in sé l'indicazione della natura pericolosa del rifiuto. Si
rende pertanto necessario un intervento deciso del Governo per
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colmare la contraddizione insita nel sistema, attraverso
l'emanazione della norma di attuazione prevista. Ciò anche al
fine di consentire la possibilità di controlli univoci nel
settore. In attesa dell'auspicato intervento normativo di cui
sopra, la Commissione ritiene opportuno evidenziare come
l'utilizzo di tecnologie di trattamento e recupero dei rifiuti
consentirebbe, se applicato correttamente, quantomeno di
minimizzare gli effetti pregiudizievoli causati dal ricorso
alla vecchia normativa. Va inoltre evidenziato che,
relativamente alle disposizioni generali dettate dal Decreto
legislativo n. 22/97, sono vigenti anche le norme seguenti
norme integrative:
DM 19 novembre 1997 n. 503 " Regolamento recante norme
per l'attuazione delle direttive 89/369/CEE e 89/429/CEE ,
concernenti la prevenzione dell'inquinamento atmosferico
provocato dagli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e
la disciplina delle emissioni e delle condizioni di
combustione degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani,
di rifiuti speciali non pericolosi, nonché di taluni rifiuti
sanitari"
DM 20 novembre 1997 n. 476 " Regolamento recante norme
per il recepimento delle direttive 91/157/CEE e 93/68/CEE in
materia di pile ed accumulatori contenenti sostanze
pericolose"
Decreto legislativo 22 maggio 1999 n. 209 " Attuazione
della direttiva 96/59/CE relativa allo smaltimento dei
policlorodifenili e dei policlorotrifenili (PCB/PCT)"
DM n. 124 del 25 febbraio 2000 " Regolamento recante i
valori limite di emissione e le norme tecniche riguardanti le
caratteristiche e le condizioni di esercizio degli impianti di
incenerimento e coincenerimento dei rifiuti pericolosi in
attuazione della direttiva 94//67//CE ai sensi del decreto del
Presidente della Repubblica 24/05/88 n. 203 e del Decereto
legislativo n. 22/97".
LE CINQUE R: RIDUZIONE ALL'ORIGINE, RIUSO, RECUPERO DI
MATERIALI, RICICLO DI MATERIALI, RICICLO DI ENERGIA.
La regola delle 5 R è il principo cardine su cui si basa
il nuovo sistema gestionale dei rifiuti.Come si è visto in
premessa, l'emanazione del decreto legislativo n. 22 del 5
febbraio 1997 prevede un cambiamento di rotta nel settore dei
rifiuti in quanto si passa dalla filosofia dello smaltimento
del rifiuto a perdere a quella del "rifiuto da recuperare"
come materiale o energia attraverso una gestione integrata che
permetta la realizzazione dei principi dello sviluppo
sostenibile. L'obiettivo di tale gestione integrata è quello
di realizzare una riduzione a monte della quantità e della
pericolosità dei rifiuti, di aumentare la quota parte
destinata al riciclo dei materiali (carta, plastica, vetro,
metalli) nelle filiere partendo dalla raccolta differenziata
dei rifiuti solidi urbani, di favorire la termodistruzione con
recupero di energia dai materiali non riciclabili recependo
nel contempo le direttive CEE 89/1369, 89/429 e 94/67
sull'incenerimento e di destinare solo una quota residuale
alle discariche controllate che dovranno accogliere solo
rifiuti inerti o resi inerti.
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a) Riduzione all'origine.
Significa produrre meno rifiuti sia in termini
volumetrici che quantitativi. Si può realizzare con la
modifica delle lavorazioni, scegliendo opportunamente le
materie prime, realizzando l'ottimizzazione dei cicli di
produzione. In tal modo per es, si possono produrre
contenitori di plastica più leggeri ma egualmente resistenti
meccanicamente, realizzati con polimeri a minor impatto
ambientale (es plastica realizzata con PET,
polietilen-tereftalato, anzichè con PVC, polivinil-cloruro. Si
possono produrre in sostanza imballaggi meno voluminosi , più
leggeri, più facili da riciclare.
b) Riuso
Riscoprire le buone abitudini di una volta, quando la
bottiglia del latte per es.veniva restituita al lattaio,
lavata, sterilizzata e riempita nuovamente e ciò per
tantissime volte. Il concetto dei contenitori riutilizzabili
per i detersivi liquidi e solidi, per gli oli lubrificanti,
per tanti altri beni anche alimentari, fatte salve le norme
igienico-sanitarie, sta nuovamente facendosi strada in Europa.
La buona pratica dei "dispensers" significa in fondo andare a
rifornirsi di prodotti distribuiti da grossi contenitori nei
supermercati o in genere nei sistemi di grande distribuzione
utilizzando sempre lo stesso contenitore fino al termine del
suo ciclo naturale di vita. Quindi è come rifornirsi di
prodotti "alla spina" utilizzando sempre lo stesso contenitore
pulito : così facendo spariranno tutti i contenitori intermedi
e le confezioni più varie e quindi notevoli quantità di
rifiuti.
c) Recupero dei materiali.
Viene realizzato con le cosiddette "raccolte
differenziate". I rifiuti solidi urbani possono essere già
separati in casa per singole tipologie immessi in appositi
contenitori di vario colore per la plastica, carta, vetro,
metalli, frazione umida etc e conferiti quindi in piattaforme
attrezzate dalle autorità comunali oppure essere raccolti in
casa per frazione secca(carta, plastica, vetro, metallo) e
frazione umida e conferiti a cassonetti per
multimateriale(secca) e frazione umida. O ancora conferiti tal
quali in cassonetti verdi con separazione a valle da parte di
appositi impianti di cernita e separazione realizzati dai
Comuni o da consorzi misti (pubblico-privato)
d) Riciclo dei materiali.
Le frazioni secche vengono avviate ad impianti di riciclo
(le cosiddette filiere) in cui la carta, la plastica, il
vetro, il metallo, il legno vengono rilavorati ossia immessi
in un ciclo produttivo (riciclaggio) che li trasforma
nuovamente in materiali riutilizzabili. La frazione umida è
invece avviata agli impianti di compostaggio per ottenere
compost da riutilizzare per ripristini ambientali (
es.riempimenti di cave abbandonate ) se ottenuto dai rifiuti
tal quali o come ammendante agricolo nei terreni o come
fertilizzante se ottenuto da frazioni organiche selezionate
(es. sfalci di giardini, residui verdi da mercatali etc).
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Il nostro Paese, tradizionalmente povero di materie
prime, ha da tempo sviluppato tecnologie e tecniche di
riciclaggio delle materie residuali dai cicli produttivi per
mezzo di una serie di circuiti di raccolta e di valorizzazione
dei rifiuti. Tali sistemi di recupero sono stati, ed in parte
lo sono ancora, legati all'attività di singoli soggetti sia
nelle fasi di raccolta, che in quelle di selezione,
trattamento, commercializzazione e reimpiego. A seguito della
emanazione del decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997,
si è costituito il Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI) ai
sensi dell'articolo 41 dello stesso decreto. Il CONAI opera
utilizzando l'esistenza dei circuiti già attivi di cui sopra,
integrandosi e inserendosi nelle strutture esistenti con il
compito di adempiere alla raccolta dei rifiuti da imballaggio
e per garantire il raccordo con l'attività di raccolta
differenziata (frazioni secche e d umide) dei rifiuti raccolti
dalla Pubblica Amministrazione (Comuni). Il CONAI e i sei
Consorzi hanno, rispetto ai tradizionali circuiti di raccolta
e valorizzazione, una peculiarità che consiste nel profilo
istituzionale del sistema Conai-Consorzi di filiera che, per
legge è costituito dai produttori e dagli utilizzatori di
imballaggi secondo il principio della "responsabilità
condivisa". Vale però la pena notare che, il decollo del
Consorzio Nazionale Imballaggi è avvenuto dopo che con la
legge n. 426/98 si è stabilita l'obbligatorietà dell'adesione
al CONAI, peraltro su indicazione stessa del sistema delle
imprese. La normativa ha fissato obiettivi di recupero e di
riciclaggio. I sei Consorzi per il recupero e riciclo sono il
CNA (acciaio), alluminio (CIAL), la carta (Comieco), il legno
(Rilegno), la plastica (Corepla), il vetro (Coreve). Occorre
tenere presente che il riciclo, indicato all'interno
dell'attività di recupero dal decreto legislativo n. 22/97, è
da intendersi come l'insieme delle attività e delle operazioni
che, a partire dalla selezione e dal trattamento dei rifiuti
raccolti, comportano l'impiego della materia prima secondaria
attraverso i processi di riciclaggio. Il riciclaggio invece è
da intendersi come un processo di produzione in cui vengono
utilizzati i rifiuti come materia prima per ottenere un nuovo
prodotto finito. In tal senso sui parla di processi di
riciclaggio. Va quindi chiarito che vi sono due filoni
industriali: uno è quello dell'industria del riciclo in senso
stretto che si riferisce ai processi di riciclaggio in cui la
materia prima seconda, per come sopra detto, è trasformata in
un nuovo prodotto finito (che quindi esclude tutte le fasi a
monte di tale processo: quelle, per esempio, svolte dagli
operatori che esercitano attività di raccolta e selezione) e
un altro che attiene all'industria del riciclo in senso più
ampio che si riferisce alle attività successive alla raccolta
che vanno dalla selezione, al trasporto, al trattamento,
finalizzate alle operazioni di riciclaggio ed in più ai
processi di riciclaggio in senso proprio. Con l'intenzione di
rendere chiara la presentazione dei dati, si è costruito un
modello che raffigura anno per anno i quantitativi di
imballaggi post-consumo avviati a recupero e riciclo. La
suddivisione in Tabelle, riportate in allegato, mantiene il
criterio, adottato dal CONAI, di distinguere tra i diversi
flussi di provenienza, per arrivare ai quantitativi di
recupero complessivo:
Rifiuti di imballaggio riciclati provenienti da
servizio pubblico (rientranti nella privativa comunale).
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Rifiuti di imballaggio riciclati provenienti da
superfici private.
Rifiuti di imballaggi avviati a recupero energetico.
Rifiuti di imballaggi recuperati complessivamente.
Tutti i quantitativi riportati nelle Tabelle
dell'allegato ed inerenti il riciclo si intendono al netto
degli scarti e delle impurità eventualmente presenti in fase
di raccolta. Si tratta di dati consolidati fino al 1998 -1999
e delle proiezioni al 2002, nella ipotesi che il trend di
crescita sia proporzianale ad una maggiore interiorizzazione
dei principi dello sviluppo sostenibile da parte di tutti i
soggetti coinvolti. L'analisi delle tabelle cui si è fatto
riferimento precedentemente, evidenzia un trend di crescita
annuale significativo e costante. Appare importante
sottolineare come, nel caso di due materiali (alluminio e
vetro), il raggiungimento degli obiettivi complessivi di
recupero sia attuato attraverso il riciclo di materiale
proveniente da raccolte urbane. La seconda componente del
recupero prevista dalla normativa è costituita dal recupero
energetico effettuato negli impianti presenti sul territorio
nazionale. Lo sviluppo, considerato nel corso degli anni a
venire, risulta essere congruente con quello ipotizzato dai
diversi attori del sistema in merito alle previsioni di messa
in funzione di nuovi impianti dedicati alla
termovalorizzazione del rifiuto urbano tal quale e alla
costruzione di impianti dedicati alla trasformazione del
rifiuto in combustibile derivato da rifiuti (C.D.R.). Con
l'implementazione operativa dell'accordo quadro ANCI-CONAI,
relativo al materiale raccolto su superficie pubblica, le
prospettive di sviluppo sono contraddistinte da una fase di
decollo significativo dell'intero sistema. E' opportuno ora
fare alcune considerazioni filiera per filiera, dello stato
dell'arte e del posizionamento dell'industria italiana nel più
generale contesto internazionale.
La filiera dell'acciaio.
L'acciaio rappresenta uno dei materiali maggiormente
impiegati nei più svariati campi e settori produttivi, tra i
quali, quello degli imballaggi. Per le sue caratteristiche
presenta la possibilità di essere agevolmente riciclato, vale
a dire reimpiegato nei processi di produzione come materia
prima secondaria nelle acciaierie e nelle fonderie,
assicurando in tale modo anche un risparmio energetico
rispetto ai processi produttivi basati sulla trasformazione
del minerale.Paese notoriamente povero di giacimenti minerari,
l'Italia ha saputo sviluppare una industria siderurgica
elettrica tra le più avanzate ed efficienti al mondo
sfruttando come fonte di materia prima proprio i rottami di
metalli ferrosi.Nel 1998 l'industria siderurgica nazionale ha
movimentato più di 15 milioni di tonnellate di rottame di
ferro, di cui circa 10,1 milioni di tonnellate di provenienza
domestica e quasi 5 di importazione estera. Il riciclaggio
vero e proprio, vale a dire il reimpiego del materiale
ottenuto dagli imballaggi ferrosi domestici o industriali
raccolti, avviene presso acciaierie o fonderie con le quali il
CNA stipula accordi commerciali diretti.Confrontando la
siderurgia nazionale con quella dei partner europei e dei
principali produttori mondiali di acciaio è possibile
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evidenziare come l'industria nazionale presenti una
potenzialità di movimentazione dei rottami di ferro
assolutamente superiore alla media europea e di gran lunga più
elevata di quella dei maggiori produttori mondiali di acciaio
(USA, Russia, Giappone e Cina).La leadership nazionale
nell'impiego di tecnologie di riciclo nel settore siderurgico
sì conferma anche a livello mondiale, dove nessuno dei
maggiori Paesi produttori possiede una specializzazione
analoga a quella italiana. Le tabelle 8, 9 e 10, mostrano
rispettivamente, un bilancio quantitativo dei rottami di
provenienza nazionale ed estera, il ricilaggio degli
imballaggi in acciaio, ed un confronto a livello
internazionale tra i processi di produzione in Europa e nei
principali Paesi, riferito al 1998.
La filiera dell'alluminio.
Il riciclo dei manufatti di alluminio ha da sempre
rappresentato una attività redditizia e diffusamente
praticata, per le caratteristiche del materiale che ne
consentono un reimpiego pressoché infinito, e per le economie
che permette di conseguire. Poiché la composizione chimica
dell'alluminio rimane inalterata durante le rifusione, il
reimpiego si presenta infatti privo di significative
problematiche. La rifusione dei rottami dei rottami di
allumino consente inoltre di risparmiare circa il 95%
dell'energia altrimenti richiesta per ottenere un equivalente
quantitativo di alluminio primario dalla bauxite. L'industria
nazionale ha impiegato nel 1998 circa 785.000 t di rottami di
alluminio di provenienza nazionale ed estera (vedi Tabella 11,
riferita al 1998) , a fronte di un consumo complessivo di
alluminio primario (ottenuto dal minerale) e secondario
(ottenuto dalla rifusione di rottami) di circa 1.540.000 t
(Tabella 12).Sulla base di questi dati si può notare come più
del 50% del consumo nazionale di alluminio venga soddisfatto
da rottami di provenienza nazionale ed estera. Gli imballaggi
hanno rappresentato nel 1998 circa il 2,8% dei rottami di
raccolta domestica complessivamente riciclati. Le Tabelle 13 e
14, riportano rispettivamenete, il reimpiego dei rottami di
alluminio per il 1998 e la produzione di alluminio secondario
nei principali Paesi europei.
La filiera della carta.
Per avere un quadro completo dell'utilizzo di carta e
cartone da macero nell'industria cartaria è necessario
considerare, oltre ai quantitativi di rifiuti di imballaggio
raccolti ed avviati a processi di riciclaggio, anche le
dinamiche import/export ed i quantitativi di rifiuti
cellulosici non di imballaggio raccolti e riciclati.
Analizzando la tipologia e la provenienza del macero
utilizzato dall'industria cartaria nazionale (vedi Tabelle 15
e 16, riferite al 1998) risulta evidente come la maggior parte
delle importazioni provenga dalla raccolta differenziata
estera (importazioni di macero post-consumo), mentre la
maggiore incidenza relativa sia rappresentata dalle
importazioni di maceri di qualità superiore, evidenziando una
certa dipendenza del Paese rispetto a tali flussi di
importazione. La raccolta nazionale di carte e cartoni
provenienti dall'industria e dal
Pag. 228
commercio (macero di qualità A4, A5, A6 e qualità D), di cui
la quota di imballaggi rappresenta circa il 75% sembra invece
essere il "canale" interno che presenta la maggiore capacità
di raccolta.Per quanto concerne l'identificazione dei settori
merceologici in cui avviene il reimpiego della carta e cartone
da macero diprovenienza nazionale ed estera (vedi Tabella 17),
le stime fornite da Assocarta elaborando i dati Istat
evidenziano come il comparto in cui maggiormente si concentra
l'attività di riciclo sia quello della carta e del cartone per
imballaggi, che raggiunge un tasso di utilizzo di macero
prossimo alla saturazione (92,4% nel 1998), posto che non è
possibile, per ragioni tecniche ed in parte normative,
impiegare solo fibra secondaria nei cicli di trasformazione. I
settori della produzione di carte per usi igienico-sanitari e
per usi grafico-editoriali presentano invece margini di
incremento dell'utilizzo di materia prima secondaria.In
riferimento al raggiungimento del complessivo obiettivo di
recupero degli imballaggi cellulosici, i risultati conseguiti
nel corso del biennio 1997-1998 sono riportati in Tabella 18.
I dati riferiti agli anni 1997-1998 sono ricostruiti sulla
base di stime effettuate sui quantitativi accertati, mentre
quelli riferibili al 1999 riguardano stime e previsioni del
centro studi di Comieco. Confrontando l'industria cartaria
italiana con gli analoghi settori produttivi dei partner
europei (vedi Tabella 19 che riporta i dati riferiti al 1998)
è possibile notare come il nostro Paese sia ancora abbastanza
dipendente dall'estero per gli approvvigionamenti di carta e
cartone da macero, ed una raccolta nazionale insufficiente a
soddisfare la elevata richiesta dell'industria cartaria,
benché rispetto al passato la quota di importazioni stia
annualmente riducendosi a fronte di un incremento della
raccolta interna, per la quale si ritiene esistano
significativi margini di miglioramento stimabili nell'ordine
delle 650.000 t di incremento della raccolta differenziata.
La filiera della plastica.
Per quanto concerne l'individuazione dei canali specifici
di raccolta dei rifiuti di imballaggio in materiale plastico,
la Tabella 20, evidenzia i due principali circuiti: quello
della raccolta differenziata urbana (raccolta da superfici
pubbliche) e quello della raccolta di imballaggi da superfici
private effettuata da operatori indipendenti dal Consorzio.Le
rilevazioni di cui alla tabella 20, si basano sui censimenti
effettuati annualmente da Unionplast presso i riciclatori di
materie plastiche e sulle relative autocertificazioni. La
stessa Unionplast stima comunque che il dato sia approssimato
per difetto almeno del 10% a causa della carenza di
informazioni rispetto ad alcune imprese. Sulla base dei
quantitativi riportati è possibile evidenziare come nel 1999
siano state riciclate in Italia almeno 821.000 tonnellate di
materie plastiche, 762.640 nel 1998 e 684.228 nel 1997, con un
incremento nel 1999 del 7,6% rispetto all'anno precedente. Di
queste 820.752 tonnellate riciclate dall'industria nazionale,
circa il 71% deriva da raccolte interne ed il 29% ha invece
provenienza estera. I dati mostrano inoltre una costante, per
quanto limitata, riduzione delle importazioni, frutto di una
raccolta interna più significativa. Rapportata al consumo
interno di materie plastiche,
Pag. 229
invece, l'incidenza dell'impiego di plastiche riciclate
ammonta al 12,51% nel 1999, al 12,41% nel 1998 ed all'11,55%
nel 1997, ricordando che per le ragioni sopraesposte i dati
appaiono sicuramente sottostimati. L'impiego di materie
plastiche riciclate -vedi Tabella 21- presenta inoltre un
andamento crescente nel tempo, ed un valore che evidenzia il
ruolo non marginale del comparto rispetto ai canali di
approvvigionamento di materiali vergini. Con riferimento al
raggiungimento dei complessivi obiettivi di recupero e
riciclaggio fissati dal decreto Ronchi, i risultati conseguiti
nel biennio 1998-1999 sono riportati nella Tabella 22. I dati
sono ricostruiti sulla base dei quantitativi accertati, mentre
i quantitativi per il 2000 riguardano stime verosimili dei
risultati conseguibili, anche alla luce dei nuovi canali di
raccolta ed intercettazione dei flussi attivati o da attivare
nel corso dell'anno. I quantitativi 1999 gestiti non da
Co.Re.Pla., vale a dire da operatori privati, sono invece
pre-consuntivi soggetti ad eventuale revisione in occasione
delle rilevazioni definitive. Per definire la dimensione
dell'industria europea del riciclo di materie plastiche, i
dati proposti da APME (Association of Plastics Manufacturers
in Europe) riportano un quantitativo di circa 6.000.000 di
tonnellate di materie plastiche riciclate nell'Europa
occidentale, di cui 2,5 milioni riconducibili al cosiddetto
"in-house production scrap recycling", vale a dire ciò che
comunemente viene definito autoriciclo e che tendenzialmente
viene escluso dall'ambito d'analisi del presente rapporto,
mentre ammonta ad 1,9 milioni di tonnellate il riciclaggio dei
rifiuti plastici pre-consumo (production waste for recycling),
e ad 1.8 milioni di tonnellate quello dei rifiuti post-consumo
(post-user waste material). Analoghe rilevazioni condotte
dall'AMI (Applied Market Information) stimano invece il
riciclaggio dei rifiuti in plastica nell'Europa occidentale in
circa 1,4 milioni di tonnellate nel 1997. Nell'ambito di
questo scenario, ed alla luce di dati quantitativi disponibili
limitati e comunque in parte contraddittori, l'Olanda è
considerata la maggiore importatrice e riciclatrice di rifiuti
plastici post-consumo, seguita da Gran Bretagna e Svizzera,
mentre è la Germania la maggiore esportatrice europea di
rifiuti plastici, seguita dall'Austria.In termini di numero di
aziende riciclatrici è ancora netto il ruolo di leadership
della Germania, che annovera circa il 32% degli operatori
europei del settore, benché l'Italia si posizioni al secondo
posto con il 18%, seguita da Gran Bretagna/Irlanda (12%), da
Belgio/Lussemburgo (10%) e dalla Francia (10%).Anche da un
punto di vista tecnologico l'esperienza tedesca in materia di
riciclaggio delle materie plastiche presenta specificità e
tecnologie ancora poco diffuse a livello internazionale, quale
ad esempio il procedimento cosiddetto di "riciclo chimico" o
feedstock recycling. Le potenzialità di tale sistema risiedono
essenzialmente nella possibilità di scomporre, attraverso
processi di natura chimica (termica e/o catalitica), i rifiuti
di materiali plastici nei polimeri che li costituiscono, per
poi effettuare una successiva "ricomposizione" degli stessi in
tutta una serie di prodotti di sintesi utilizzabili
nell'industria petrolchimica. Tale procedimento risulta per il
momento diffuso soprattutto in Germania, Francia e Stati
Uniti, tanto che lo stesso Co.Re.Pla. ha progettato di avviare
alcune sperimentazioni attraverso
Pag. 230
l'invio di rifiuti di materiale plastico presso riciclatori
esteri al fine di verificare le potenzialità del sistema.
La filiera del legno.
L'utilizzo di rifiuti e rottami di legno nei cicli
produttivi dell'industria nazionale del mobile e dell'arredo
rappresenta, fino dagli anni '50-'60, una esigenza ed una
necessità, vista la scarsa rilevanza delle risorse boschive
del Paese. In modo particolare, i rifiuti ed i rottami di
legno sono quasi esclusivamente assorbiti dalla produzione di
agglomerati lignei (pannelli truciolari). In questo specifico
settore, l'Italia ha sviluppato competenze e tecnologie di
livello mondiale.Le fonti stimano il quantitativo totale di
rifiuti di legno riciclati nella produzione di manufatti
lignei (essenzialmente truciolari) in circa 2 milioni di
tonnellate nel 1999, a fronte di una produzione di circa 3
milioni di tonnellate di manufatti. Il tasso di riciclo sulla
produzione raggiunge quindi circa il 67%, vale a dire che
circa i 2/3 della produzione nazionale di pannelli truciolari
avviene utilizzando rifiuti di varie fonti e provenienze. a
restante parte, circa 1 milione di tonnellate del fabbisogno
di acquisto del comparto, è coperta attraverso l'utilizzo del
cosiddetto "bosco", vale a dire rottami di legno provenienti
generalmente dalle attività di manutenzione forestale che, ai
sensi normativi, non rientrano nella categoria di rifiuto. Per
quanto concerne i canali di approvvigionamento e provenienza
del legno utilizzato, questi sono essenzialmente
rappresentati, per il 70% (circa 1,5 milioni di tonnellate),
da rifiuti di legno di raccolta nazionale e, per la restante
parte, circa 500-600.000 tonnellate, da importazioni. Con
riferimento ai circuiti di raccolta dei rifiuti, ed agli
obiettivi di recupero e riciclaggio fissati dalla normativa,
la tabella seguente evidenzia la situazione nello
specifico.Sulla base della scelta gestionale del Consorzio di
prevedere ed incentivare soprattutto l'utilizzo dei rottami di
legno come materia prima secondaria, l'opzione prioritaria
presa in considerazione per il raggiungimento degli obiettivi
fissati dal Decreto Ronchi è essenzialmente quella del
riciclaggio. Benché praticabile la via della valorizzazione
energetica è considerata non solo residuale, ma il Consorzio
non fornisce al proposito dati quantitativi sui quali
calcolare gli obiettivi di recupero. Allo stesso modo, non
vengono prese in considerazione, ai fini degli obiettivi da
raggiungere, le ulteriori opzioni di recupero di materia
rappresentate dall'impiego dei rottami nella produzione di
pasta di cellulosa per cartiere o compostaggio. Per
riciclaggio si intende quindi avvio dei rifiuti raccolti alla
produzione di manufatti lignei. Per quanto concerne la
quantificazione dei flussi complessivi di imballaggi in legno
immessi sul mercato negli anni 1997, 1998 e 1999, la tabella
7.20 ne evidenza il dettaglio.I dati relativi al riciclo del
legno, come si può notare dalle Tabelle 23 e 24 si riferiscono
a stime dell'Istituto Italiano Imballaggi per gli anni 1997, e
del Conai per gli anni 1998 e 1999.
La filiera del vetro.
Nonostante l'industria vetraria nazionale dipenda
largamente, per quanto riguarda la disponibilità di rottame di
vetro, dal circuito di
Pag. 231
raccolta dei rifiuti di imballaggio, per avere un quadro
complessivo è necessario considerare anche le dinamiche
import/export ed i rottami non di imballaggio raccolti e
riciclati. L'industria nazionale del vetro cavo ha utilizzato
infatti annualmente, nel triennio assunto come riferimento,
rottami di vetro "pronto al forno" per un quantitativo di più
di 1.000.000 di tonnellate (Vedi Tabella 25), con una crescita
contenuta ma costante in relazione all'aumento della raccolta
domestica. Di questi quantitativi, più del 70% sono
rappresentati da rifiuti di imballaggio di provenienza
nazionale. A differenza di altri materiali ed altri settori,
quindi, per i quali la raccolta ed il riciclaggio degli
imballaggi rappresentano una frazione modesta delle materie
prime secondarie complessivamente movimentate (si pensi al
caso dell'alluminio o, soprattutto, dell'acciaio), il comparto
del vetro cavo costituisce un esempio in cui l'incidenza del
recupero di materia secondaria da imballaggi determina un
rilevante impatto sul totale della produzione nazionale. La
restante parte del fabbisogno di rottami dell'industria è
stato coperto attraverso il canale delle importazioni ed
attraverso la raccolta di rottami differenti dagli imballaggi,
quali ad esempio rottami di vetro piano e vetri per auto. Per
quanto concerne il grado di raggiungimento degli obiettivi
fissati dal decreto Ronchi, la Tabella 26, permette di
valutare come il tasso di riciclaggio abbia raggiunto nel 1999
il valore del 35,6%, distante dall'obiettivo di recupero
complessivo del 50%, ma ampiamente superiore rispetto al
traguardo del 25% di recupero di materia.
Il compostaggio.
Il compostaggio consiste in un processo biologico
aerobico con il quale la componente organica del rifiuto
solido urbano, detta anche frazione umida, da sola o insieme
ai fanghi di depurazione delle acque civili, viene trasformata
in un prodotto con caratteristiche di ammendante dei terreni,
dopo maturazione in impianti idonei. La tecnologia in tale
campo ha registrato numerosi progressi negli ultimi anni ed
ora il "sistema Italia" , pur dipendendo ancora dall'estero
per il compost di qualità, si avvia a percorrere la strada del
compostaggio con sempre maggiore convinzione. Gli esempi sul
territorio nazionale, per come risulta alla Commissione, si
riferiscono generalmente ad impianti di compostaggio della
frazione umida da rsu tal quali come quello di Colfelice nel
Lazio, di Sambatello a Reggio Calabria, del Consorzio Milano
pulita di Segrate (MI) Segrate, di Udine, di Tempio Pausania,
Perugia. Sono però in fase di programmazione e realizzazione,
sul territorio nazionale, impianti che utilizzano la frazione
umida dei mercatali, in grado di produrre compost di qualità e
di garantire una minore dipendenza dalle importazioni.
Recupero di energia.
Tutti quei materiali che, pur attuando la raccolta
differenziata, non possono essere riciclati e che comunque
costituiscono ancora una buona percentuale utilizzabile,
vengono avviati ad impianti di
Pag. 232
termovalorizzazione per il recupero di energia che verrà
utilizzata per produrre vapore o energia elettrica. In tal
caso il materiale di alimentazione degli impianti, viene
chiamato CDR, ossia combustibile derivato dai rifiuti, ha un
suo potere calorifico e una precisa composizione prevista e
fissata per legge. Tale CDR è preparato in appositi impianti
in cui viene vagliato, selezionato, triturato, omogeneizzato e
ridotto sotto forma di cilindretti a basso contenuto di
umidità o in forma "coriandolata". Accanto alla voce del
recupero di energia attraverso la termovalorizzazione va
considerato, nell'ambito dei bilanci energetici anche il
recupero di energia assicurato nella forma di risparmio dovuto
al riciclaggio e al recupero dei materiali raccolti in maniera
differenziata, un risparmio dovuto alla minore energia
utilizzata nella produzione dei materiali attraverso il
riciclaggio ed il recupero rispetto a quella che si dovrebbe
spendere per la produzione ex novo degli stessi
materiali.
La valorizzazione energetica.
Per termovalorizzazione si intende la termodistruzione
con recupero di energia (con produzione di energia elettrica
e/o calore utilizzabile per riscaldamento o altri usi).La
termovalorizzazione, ossia il trattamento dei rifiuti ad alta
temperatura, secondo la normativa vigente, va inquadrata
nell'ambito del cosiddetto "sistema integrato di gestione dei
rifiuti" in linea con le direttive comunitarie. La
termovalorizzazione, non solo consente di ridurre
drasticamente il volume dei rifiuti da conferire in discarica,
di smaltire più facilmente i residui della combustione ma
anche di recuperare quantità consistenti di energia come si
può desumere da uno studio effettuato dal Politecnico di
Milano nel 1997(1). La termodistruzione con recupero di
energia è anche definita con il termine di
"termovalorizzazione". Tante le ragioni che si possono addurre
sul ritardo del nostro Paese ad adeguarsi ai principi della
gestione integrata dei rifiuti e, tra questi, la già
richiamata "sindrome di Seveso" mentre, nell'ultimo decennio,
sono state messe a disposizione degli operatori del settore
tecnologie ed impianti per la termodistruzione sicuri ed
affidabili non solo per i rifiuti solidi urbani ma anche per i
rifiuti speciali di origine industriale a prevalente
componente organica, come peraltro ha potuto constatare una
delegazione della Commissione d'inchiesta sul ciclo dei
rifiuti nel corso della visita ad alcuni impianti europei di
smaltimento nel mese di settembre del
Pag. 233
2000. Il nuovo modello di gestione integrata quindi deve
caratterizzarsi quindi con la centralità del recupero e della
valorizzazione delle componenti merceologiche presenti nei
rifiuti solidi urbani sia sotto forma di materia che di
energia, relegando il ricorso alla discarica solo per quei
rifiuti che residuano dal trattamento e che non sono
suscettibili di ulteriori valorizzazioni. La strada da
percorrere quindi è quella di realizzare e localizzare gli
impianti di termovalorizzazione con recupero di energia
nell'ambito degli ATO (ambiti territoriali ottimali) che
facciano parte integrante di un sistema in cui siano attivate
le raccolte differenziate dei RSU e in cui le discariche,
asservite ai termodistruttori, ai residui inerti o resi inerti
derivanti dal recupero dei materiali, giuochino solo un ruolo
marginale: solo cosi il nostro Paese potrà gradualmente
avvicinarsi a quegli obiettivi che la norma nazionale ed
europea indicano. Come si è visto nel paragrafo dedicato alla
discarica, i diversi sistemi di gestione dei rifiuti che
vengono praticati nei paesi europei, sono di gran lunga più
integrati rispetto a quello nostrano e a quello inglese (che
fanno ancora ricorso per almeno l'80% alla discarica) in
termini di recupero e termodistruzione. In tali Paesi il
ricorso al recupero e alla termodistruzione ha comportato di
fatto la riduzione dell'uso della discarica a circa il 60% del
totale peso degli RSU. Le strade che si possono percorrere
utilizzando la termodistruzione dei rifiuti sono quella della
sola produzione di energia elettrica(2) e quella della
co-generazione consistente nella produzione di calore e di
energia elettrica(3). La scelta dell'una o dell'altra strada
può essere dettata o imposta dalla richiesta di calore
nell'arco dell'anno. Nel nostro Paese, il ricorso al
riscaldamento per usi civili è limitato ad un determinato
periodo dell'anno in considerazione delle temperature medie
nazionali e pertanto, almeno che non si voglia utilizzare il
calore per produrre acqua calda nei periodi di fermata del
riscaldamento, alla cogenerazione è di norma preferibile la
produzione di energia elettrica più semplice da distribuire
utilizzando la
Pag. 234
rete nazionale esistente. Un esempio di teleriscaldamento
tramite impianto di cogenerazione da rifiuti è quello della
città di Brescia con il quale, in considerazione della
temperatura media annuale non rigida, anche d'estate è attiva
la rete di distribuzione di acqua calda nelle abitazioni. Uno
studio di Federambiente(4) mostra che in Europa sono attivi
270 impianti di termodistruzione in buona parte installati in
Danimarca, Francia e Svizzera, di cui buona parte in Svizzera,
Danimarca e Francia. In Italia si rileva invece che gli
impianti in funzione sono 38, molti dei quali al nord,
destinati ad aumentare a circa 70 per aggiunta di quelli in
fase di realizzazione.
(1) "Riflessioni sulle strategie per lo smaltimento
dei rifiuti in Italia". E. Pedrocchi-Facoltà di Ingegneria del
Politecnico di Milano-Aprile 1997.
"Una tonnellata di rifiuti solidi urbani corrisponde a
200 chilogrammi di petrolio, a 250 normal metri cubi di gas
naturale, a 600 kilowattora elettrici di energia, a 25
tonnellate di acqua riscaldata da 15^C a 95^C. Considerando
che ogni italiano produce circa 0.5 tonnellate di rifiuti
solidi urbani all'anno, corrispondenti a circa 300
chilowattora/anno di energia elettrica, ciò significa che tale
quantità di rifiuti prodotti in un anno, se valorizzata
energeticamente, corrisponde ad un terzo del suo fabbisogno
per usi domestici.
(2) E. Pedrocchi- op.cit.
I rendimenti negli impianti di termodistruzione dei
rifiuti solidi urbani con produzione di energia elettrica
hanno rendimenti bassi in quanto, se si opera a temperature
elevate, i fumi mostrano caratteristiche di corrosività sui
materiali. Dall'entrata in vigore del Decreto legislativo n.
22/97 è presumibile che tale inconveniente tenderà a ridursi
notevolmente man mano che si effettuerà la raccolta
differenziata per cui i forni di termodistruzione verranno
sempre più alimentati non più con rifiuti solidi urbani tal
quali ma con combustibile derivato dai rifiuti (CDR), ossia
con frazioni secche a basso tenore di umidità.
(3) E. Pedrocchi- op.cit.
Negli impianti di cogenerazione, generalmente, per ogni
chilowattora di energia elettrica prodotta in meno si possono
produrre circa 4 chilowattora di energia termica. Le due
alternative sono però uguali da un punto di vista
termodinamico in quanto il valore termodinamico del calore
dipende dal livello termico a cui è fornito. Nel sistema
cogenerativo il calore (le quattro unità termiche9 è prodotto
a bassa temperatura e quindi il suo valore termodinamico
equivale a meno della maggiore produzione di energia elettrica
della prima alternativa (1 unità).
La termodistruzione in Italia.
Un rapporto Federambiente del 1998 (4) riporta un quadro
assai aggiornato della situazione nazionale dei
termodistruttori e confronta i dati con il rapporto Anpa del
1998 con studi del 1995 effettuati da Ausitra e Assoambiente,
con una ricerca Anida del 1997, con un rapporto
Federambiente-Amia Verona del 1995 e con una ricerca Enea del
1995. Risulta dal rapporto che il parco nazionale dei
termodistruttori di rsu è costituito da 60 impianti di cui il
68% operativi (41 impianti), il 23.3% ( ossia 14 impianti non
ancora in esercizio e progettati o in fase avanzata di
costruzione), 8.3% sono temporaneamente inattivi (5
impianti).Le tecnologie di combustione utilizzate dicono che
il 70% degli impianti (ossia 42 impianti) sono con forni a
griglia, che 11.7% sono a tamburo rotante (7 impianti), 13.3 a
letto fluido (8 impianti) e 5% (3 impianti) sono
gassificatori. Sul totale impianti in esercizio vi è da
rilevare che quelli aderenti a Federambiente sono il 78%. La
percentuale si alza al 85% se si considerano gli impianti che
al momento sono attivi. La distribuzione geografica degli
impianti Federambiente mostra una netta prevalenza del Nord
Italia con il 75% , una presenza del 20% al Centro e una
trascurabile presenza al sud (intorno al 2%).
(4) Federambiente:
Impianti di smaltimento, analisi sui termocombustori -
Roma, 1995.
Impianti di smaltimento, analisi sui termocombustori di
rsu - Roma, 1998.
Dei 41 impianti di termodistruzione operativi molti sono
stati costruiti negli anni settanta e soltanto 7 dopo il 1990;
23 impianti hanno subito un processo di revamping tra il
1987 e il 1993. Ciò indica la presenza di un parco
inceneritori datato che, nonostante i processi di revamping
, non presenta nel suo complesso sufficienti garanzie di
affidabilità rispetto alle emissioni, in particolare per
quello che riguarda le temperature di esercizio: è noto
infatti che una delle condizioni necessarie per spingere
l'abbattimento delle diossine a un livello inferiore a 0.1
nanogrammi/Nmc -livello assicurato dalle migliori tecnologie
oggi disponibili- le temperature devono essere adeguatamente
elevate (al di sopra dei 1200 ^C).
Relativamente ai limiti imposti dalla normativa (D.M
97/503, DM 5 febbraio 1998) per le diossine (0.1
nanogrammi/Nmc), vi è da
Pag. 235
rilevare che solo 8 (il 25 percento) impianti Federambiente
già rispettano tali limiti. Nell'ambito di tali impianti si
segnalano i termodistruttori di Cremona, Bolzano, Brescia,
Busto Arsizio, Roma e Siena. Nel settore della
termodistruzione dei rifiuti industriali in Italia vanno
menzionati il termodistruttore di Melfi (installato presso la
Fiat), quelli interni alle aree Enichem di Porto Marghera,
Ferrara, Mantova, quello della società Ecolombardia 4 di
Filago (Bergamo) con una potenzialità di 30.000
tonnellate/anno, quello della piattaforma di trattamento
rifiuti di Modena, il forno della società Basf di Caronno
Pertusella e il recentisimo impianto F3 installato presso
Enichem di Ravenna in grado, con le sue moderne tecnologie di
trattamento delle emissioni di soddisfare il limiti stringenti
dei microinquinanti tra cui le diossine. Tale forno è adatto a
bruciare anche prodotti contenenti cloro. Il polo Enichem
Ferrara-Ravenna-Porto Marghera, ha una capacità autorizzata di
termodistruzione di circa 160.000 tonnellate/anno che si può
paragonare a quella di altre realtà europee. Nel corso di un
recente sopralluogo della Commissione nella regione Puglia, ha
destato una buona impressione il forno rotante per la
termodistruzione di rifiuti industriali, in fase di start-up
che potrebbe essere utilizzato anche per la distruzione
termica delle farine animali, delle carcasse e dei grassi
animali, installato nell'area industriale di Brindisi presso
il Consorzio Sisri. La potenzialità è di circa 100
tonnellate/giorno e il sistema di abbattimento delle emissioni
è costituito da filtri a manica, da assorbitori con carbone
attivo in polvere e da un lavaggio acido/base. Le temperature
in gioco nella camera di post-combustione, posta a valle della
camera di combustione del forno rotante, sono dell'ordine di
1200^C. All'interno delle raffinerie Erg di Siracusa, Api di
Falconara, Saras di Sarroch (Cagliari) sono già operativi tre
impianti di gassificazione del Tar, residuo pesante derivante
dagli impianti di visbreaking e classificato rifiuto
pericoloso dalla direttiva comunitaria n. 91/689/CEE al punto
11 Annex 1A e all'allegato D del Decreto legislativo n. 22 del
5 febbraio 1997.Dal processo di gassificazione si ottiene un
gas che sottoposto a lavaggio, viene a sua volta bruciato per
produrre energia elettrica distribuita nella rete Enel. Un
recente censimento dei termodistruttori presenti sul
territorio nazionale ( per rifiuti urbani, sanitari,
industriali) è stato effettuato dall'Anpa per fare il punto
delle potenzialità impiantistiche per distruggere i grassi e
le farine animali a seguito della emergena della BSE (mucca
pazza).Il censimento ha rilevato la presenza di almeno 99
impianti di incenerimento il 20% dei quali, tuttavia, non è
ancora disponibile spesso, per problemi tecnici di adeguamento
delle emissioni alle nuove normative. Pur se non compresa nei
processi di termodistruzione, vale la pena di ricordare che
una nuova tecnologia innovativa si affaccia all'orizzonte ed è
quella della "torcia al plasma".
Tale tecnologia ha un impatto sull'ambiente senz'altro
positivo ma, in Italia, occorre bene precisarlo, essa è ancora
allo stato embrionale di sperimentazione su bassa scala
:Infatti un'azienda bolognese la Itea, con la supervisione
dell'Enea, sta valutando una torcia Dismo (dissociazione
molecolare). Stupisce pertanto la notizia che sul mercato
nazionale venga proposto l'utilizzo di tale tecnologia da
parte di aziende (es. S E P, Celtica Ambiente), probabilmente
Pag. 236
licenziatarie dei brevetti della GPSC (Global Plasma System
Corporation) e che non hanno ancora realizzato impianti per
trattare combustibili derivati dai rifiuti (cdr). E'
questo il caso, per esempio, della proposta di Celtica
Ambiente di utilizzare la torcia al plasma per produrre
energia da cdr in un sito dell'area industriale di
Brindisi. La Commissione ritiene che l'utilizzo di tecnologie
di assai alto livello di sofisticazione, nella ipotesi della
realizzazione di impianti aventi un size industriale,
dovrebbe riguardare più che il cdr (per il quale sono
oggi disponibili impianti di termodistruzione con recupero di
energia provvisti di sistemi di abbattimento emissioni ormai
ampiamente consolidati) il trattamento di rifiuti pericolosi
quali il pcb (policlorobifenile), i solventi clorurati,
le miscele di solventi aromatici, gli idrocarburi policiclici
aromatici, difficili da smaltire per altra via, se non in
tempi lunghi (es. bioremediation).
L'IMPATTO AMBIENTALE DEGLI IMPIANTI DI TRATTAMENTO E
SMALTIMENTO DEI RIFIUTI.
Gli impianti di trattamento, qualsiasi sia la tecnologia
applicata, comportano comunque un impatto ambientale che deve
essere minimizzato, come peraltro è ampiamente riscontrabile
nell'articolato della vigente normativa sulla gestione dei
rifiuti ed anche nella norma secondaria in cui si riscontra il
concetto che il trattamento dei rifiuti, sia ai fini dello
smaltimento che ai fini del recupero, e che i trattamenti di
bonifica, sono autorizzati purchè siano fatte salve tutte le
norme ambientali in materia di acque, suolo, aria, igiene
ambientale, nell'ambito cioè di un rispetto globale
dell'ambiente e della salute della popolazione esposta.
L'applicazione della best available technology, dovrebbe
garantire tale principio. In assoluto il, principio della
best available technology è ambientalmente corretto ma,
non può prescindere dalla valutazione dei fattori economici
ossia dal rapporto costi/benefici, per cui sarebbe più
corretto parlare di migliore tecnologia disponibile a costi
economicamente praticabili, fermo restando che i costi
praticabili non vengano minimizzati a punto tale da vanificare
l'efficacia dell'intervento a protezione e salvaguardia
dell'ambiente e della salute dell'uomo. Nella cultura
occidentale, sta interiorizzandosi tale concetto e le
popolazioni esposte nei pressi degli impianti di trattamento
dei rifiuti, ove la corretta informazione, i controlli e il
rispetto dei limiti di legge sono assolutamente garantiti,
danno il consenso ed accettano la installazione degli
impianti, convinti che un trattamento dei rifiuti, se ben
gestito, debba considerarsi a tutti gli effetti un impianto
industriale , utile comunque alla comunità alla produttività e
alla crescita economica del Paese, con inoltre risvolti
positivi in tema di occupazione. In nord Europa, ma anche
oltre Oceano, a cavallo degli anni 70-80 si era in verità
manifestata la sindrome Nimby (Not in my
backyard), in quanto la gente non si sentiva del tutto
garantita da alcune applicazioni tecnologiche per es,
termodistruttori di prima generazione con sistemi di
abbattimento fumi non del tutto efficienti. Oggi possiamo
costatare che ovunque, in Germania, Danimarca,
Pag. 237
Svezia, Finlandia, Francia , gli impianti di trattamento di
rifiuti, vere e proprie piattaforme industriali, sorgono a
poca distanza dai centri abitati, con il consenso delle
popolazioni residenti, come la Commissione ha potuto costatare
nel corso della visita nel nord Europa del settembre 2000. Il
consenso della popolazione si ottiene se vi è un rapporto di
fiducia e consapevolezza tra il cittadino, lo Stato che
controlla e l'azienda che applica le tecnologie. In Italia
purtroppo in tema di impianti di trattamento dei rifiuti,
persiste ancora assai diffusa la sindrome Nimby (Not
in my backyard), in qualche caso motivata dalle numerose
situazioni di degrado ambientale. Prevalentemente però si
assiste ad una eccessiva enfatizzazione ed esasperazione di
tale sindrome e forse con un eccesso di sensibilità sul tema
ambientale. Tale ipersensibilità vanifica ogni sforzo delle
amministrazioni e degli operatori teso alla soluzione dei
problemi di smaltimento/recupero dei rifiuti. Il caso recente
della Campania, che deve affrontare drammaticamente il
problema dello smaltimento dei rifiuti urbani, nonostante sia
da sei anni in commissariamento per l'emergenza rifiuti e
bonifiche, costituisce un precedente pericoloso che deve
essere visto come un segnale preoccupante. Ma come arrivare al
consenso? Un ruolo fondamentale, riteniamo lo abbia la scuola
in cui dovrebbero essere fatti sforzi in tutte le direzioni
affinché sia imposto l'insegnamento dell'ecologia negli
istituti di ogni ordine e grado con la collaborazione,
pensiamo, di tutte le forze del volontariato e
dell'associazionismo ambientale. Se si vuole che i
comportamenti degli adulti siano virtuosi e tendano al
rispetto dei principi dello sviluppo sostenibile, occorre
educare gli adulti di domani cioè i giovani delle scuole di
oggi. Peraltro, tutta la norma ambientale a livello
internazionale nord europeo e nazionale, si basa sullo
sviluppo sostenibile dopo il cambiamento di rotta imposto
dalla Conferenza di Rio de Janerio del 1992 alla cultura dello
spreco, dell'usa e getta. Un dato preoccupante quindi, tale
ipersensibilità, che non facilità di certo il consenso delle
popolazioni alla installazione di qualsivoglia impianto di
trattamento o di recupero di rifiuti e che non aiuta e
incoraggia l'imprenditoria. Il caso eclatante della Campania
di questi giorni è sotto gli occhi di tutti. Su tale versante,
probabilmente, occorrerà ritarare il sistema e oltre al già
citato problema della educazione ambientale nelle scuole, si
deve facilitare e potenziare la corretta informazione e la
tecnica di comunicazione. Ma quali sono gli impatti ambientali
che possono originare dalla installazione degli impianti di
trattamento dei rifiuti e da quello di smaltimento
definitivo,di recupero e di bonifica? Qui di seguito se ne
fornisce una illustrazione esemplificativa:
Trasporto dei rifiuti.
Il trasporto dei rifiuti è una delle fasi più delicate
del ciclo dei rifiuti, in termini di impatto ambientale. La
normativa vigente in tema di gestione dei rifiuti, prevede che
essi, durante il trasporto siano individuabili e classificati
secondo la normativa per mezzo di bolle di trasporto e che i
mezzi siano idonei, attrezzati con apparecchiature e materiali
di pronto intervento per affrontare le
Pag. 238
emergenze e che rispettino tutte le norme di sicurezza in
maniera che siano minimizzati i danni per l'ambiente e per
l'uomo, in caso di incidenti Non sono rari i casi di gravi
contaminazioni ambientali a seguito di trasporto di rifiuti
pericolosi via terra che si registrano quasi quotidianamente.
Una segnalazione pervenuta alla Commissione riferisce che,
nello scorso mese di agosto, una motrice che trasportava
rifiuti pericolosi (melme petrolifere catramose della
raffineria Agip di Priolo) su cassoni né telonati né
sigillati, si è ribaltata all'uscita del viadotto Boccetta,
nelle immediate vicinanze della città di Messina, e che il
carico ha contaminato le zone circostanti causando grave
disagio alle popolazioni del posto esposte per tanti giorni a
odori nauseabondi di prodotti petroliferi e di benzene. Anche
i trasporti di rifiuti via mare o via fiume in qualche caso,
alla stessa stregua dei trasporti di prodotti, possono essere
causa di gravi impatti sull'ambiente. sulle vie fluviali.
L'agenzia per l'ambiente degli Stati Uniti d'America (EPA) in
un recente rapporto (EPA 310-R-97-002, vedi bibliografia) ha
ben evidenziato i rischi per l'ambiente generati dal non
corretto utilizzo dei mezzi di trasporto, dalla mancanza di
norme di sicurezza e di pronto intervento. Sono purtroppo
numerosi i casi registrati riferibili al trasporto di rifiuti
in autostrada da parte di aziende che utilizzano cisterne da
cui fuoriescono liquidi pericolosi per gocciolamento. Vi è da
notare che a volte da parte di operatori senza scrupoli, il
sistema del gocciolamento viene utilizzato come via di
smaltimento del carico lungo il percorso specialmente in
occasione di avverse condizioni meteorologiche. L'impatto
ambientale del trasporto dei rifiuti attiene al suolo, alle
acque, all'aria. Un rifiuto liquido trasportato senza cura e
attenzione, emette sostanze pericolose in atmosfera e quando
il carico viene sversato sul suolo provoca contaminazione
anche delle falde per percolamento del contaminate nel
sottosuolo. La via che statisticamente più sicura e che
comporta minori rischi per l'ambiente è quella dell'utilizzo
del trasporto ferroviario dal momento che, salvo, cause
accidentali, vi è una "strada obbligata" da percorrere con
bassi rischi di impatto con altri mezzi o veicoli. Il
trasporto via ferrovia, auspicato dalla Commissione anche in
occasione della presentazione del biennio di attività della
stessa, nel novembre 1999 presso la Camera dei deputati,
comporta anche un bassissimo rischio, prossimo allo zero per
ciò che riguarda le emissioni in atmosfera essendo la trazione
di tipo elettrico. Se paragonato al trasporto con altri mezzi
e altri sistemi tir, cisterne, camions,etc), il trasporto
ferroviario dei rifiuti (che peraltro in tale settore è sotto
l'attenzione del management delle Ferrovie , date le
potenzialità di sviluppo) risulta vincente in quanto a ridotto
impatto ambientale relativamente ai comparti acqua, aria,
suolo. L'opzione di trasportare i rifiuti delle lagune
dell'Acna di Cengio via ferrovia, (in aggiunta a quanto già
viene fatto per i rifiuti dell'inceneritore di Brescia e
dell'area di Porto Marghera), tramite un accordo tra la
società Ecolog (costituita dalla Ferrovie dello Stato) e la
proprietà Acna, è da vedere, quindi, positivamente nel momento
in cui i rifiuti delle "lagune" verranno conferiti presso la
miniera di Teutschenthal nei pressi di Lipsia. Il ridotto
impatto ambientale del sistema "trasporto ferroviario/
ripristino ambientale in miniera" realizza
Pag. 239
inoltre globalmente una significativa riduzione del carico
inquinante sul territorio comunitario.
Discariche controllate.
Nella filosofia europea della gestione dei rifiuti,
recepita dagli Stati membri, la discarica assume, com'è noto,
un ruolo marginale e residuale. Essa, infatti, può accogliere
rifiuti inerti o resi inerti o derivanti dai trattamenti di
recupero e comunque a bassissima matrice organica per
minimizzare, se non eliminare, la possibilità che si formi il
percolato.Per come visto nel capitolo relativo alla normativa
nazionale di gestione dei rifiuti, la deliberazione del
Comitato interministeriale del 27 luglio 1984 contiene le
disposizioni per la prima applicazione dell'articolo 4 del
decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982 n.
915 e concerne lo smaltimento dei rifiuti in discarica o per
termodistruzione. In tale deliberazione sono contenuti i
criteri tecnico-scientifici, quelli amministrativi, le
procedure di autorizzazione, le tecniche di smaltimento,
nonché i criteri classificatori dei rifiuti. Tale norma
secondaria, da innovare in alcune sue parti, come auspicato
anche in un importante documento del CISA dell'Università di
Cagliari del 1997 (Linee guida per le discariche controllate
di rifiuti solidi urbani), rimane ancora, in attesa della
emanazione del decreto di attuazione dell'articolo 5 comma 6
previsto dal decreto legislativo del 5 febbraio 1997 n. 22, lo
strumento tecnico che regolamenta la materia dello smaltimento
in discarica dettandone:
a) criteri per la distanza di sicurezza dai punti
di approvvigionamento delle acque destinate ad uso potabile,
dall'alveo di piena di laghi, fiumi, torrenti, dai centri
abitati e dai sistemi viari di grande comunicazione;
b) criteri per la ubicazione in suoli stabili
tali da evitare rischi di frane o cedimenti della struttura di
smaltimento;
c) criteri di gestione (compattazione, rimozione
del percolato, captazione del biogas, ripristino ambientale
del sito dopo coltivazione ecc.).
Tutto ciò a seconda che si tratti di discariche di prima
categoria, di seconda categoria di tipo A, di tipo B e di tipo
C e di terza categoria. La legge 33/2000 (legge comunitaria
2001) ha recepito la direttiva 31/99//CE prevedendo la nuova
normativa sulle discariche con dei tempi di attuazione
graduale diversificati per impianti nuovi ed esistenti ed il
differimento dei termini di cui all'articolo 3, commi 6 e
6- bis, del decreto legislativo n. 22/97 per il
conferimento dei rifiuti in discarica (pretrattamento
preventivo). Per ciò che riguarda lo smaltimento dei rifiuti
pericolosi in discarica, il decreto del Ministero
dell'Ambiente n. 141 del 11marzo 1998 cataloga e identifica
tali rifiuti in attuazione dell'articolo 28, comma 2 del
decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22. Tra i vantaggi che
offre la discarica si possono riportare quelli relativi ai
minori costi di investimento
Pag. 240
rispetto ad altri impianti a tecnologia più complessa come i
termodistruttori. Per realizzare ed avviare una discarica
infatti i tempi non sono molto lunghi, per la sua gestione si
richiedono macchinari a semplice tecnologia (compattatori,
macchine per movimento terra etc) e lo smaltimento dei rifiuti
che in essa avviene è da considerarsi definitivo. Inoltre, ove
le condizioni geologiche lo consentano, la discarica può
essere utilizzata come recupero di vecchie cave purchè i
sistemi di impermeabilizzazione siano installati
correttamente. La coltivazione avviene in continuo (eccetto
condizioni meteorologiche avverse) e non vi sono quindi tempi
morti per manutenzione. A sfavore della discarica giocano
invece tanti fattori tra i quali vi è l'eccessivo consumo e
l'estesa occupazione di territorio, la produzione di percolato
, derivante per la gran parte dalla presenza di rifiuti
organici putrescibili e degradabili che, oltre a comportare
problemi per lo smaltimento, può essere causa di pericolose
infiltrazioni nelle falde di acqua potabile destinata al
consumo umano. Il percolato inoltre, con il suo carico
inquinante di microroganismi e specie chimiche tossiche,
continua a prodursi anche ad ultimazione della coltivazione
della discarica e quindi occorre considerare un ulteriore
costo per i controlli post-gestione La stessa matrice organica
presente nella discarica, a causa di processi fermentativi, è
all'origine della produzione di biogas stimato in circa
250-350 metri cubi per tonnellata di rifiuto smaltito e la cui
scarsa o minima captazione comporta la liberazione in
atmosfera di metano (gas ad effetto serra notevolmente più
alto dell'anidride carbonica) ed altri gas in aggiunta a
emissioni maleodoranti assai fastidiose per gli insediamenti
abitativi spesso prossimi alla discarica stessa. Inoltre, il
biogas derivante dalla decomposizione aerobica e anaerobica,
produce una miscela di anidride carbonica e metano con
innalzamento delle temperature locali. Tali gas possono dar
luogo a miscele esplosive con l'aria ove il biogas non sia
correttamente captato e combusto. Un caso recente di
esplosione con vittime umane si è purtroppo verificato di
recente nei pressi di una discarica a La Spezia. I fenomeni
sopra descritti vengono accentuati e diventano più gravi
quando la discarica è abusiva, cosa assai ricorrente nel
nostro Paese , come la Commissione ha avuto modo di constatare
nel corso degli ultimi tre anni. In tal caso, in mancanza dei
requisiti previsti dalle norme vigenti sia in fase di
progettazione che di esercizio, il sito di smaltimento può
insistere non su terreni argillosi o impermeabilizzati bensì
su suoli non idonei, ad alta permeabilità per cui i rifiuti
cedono il loro carico di inquinanti percolando fino alla falda
idrica. Ancora più grave, in tal caso, è la contaminazione
dell'atmosfera a causa delle emissioni di sostanze
maleodoranti, derivanti dai processi fermentativi e di
sostanze cancerogene prodotte dai processi di autocombustione
o da incendi dolosi dei rifiuti. In quest'ultimo caso , data
la gestione illegale del sito, tra i rifiuti conferiti,
possono essere presenti contaminanti di ogni tipologia
(pericolosi e non pericolosi) contenenti per esempio cloro
legato a matrici organiche (plastiche, solventi, vernici,
scarti industriali, materiali intrisi di policlorobifenili, i
cosiddetti PCB,etc) precursori della formazione di diossine ,
furani ed altri composti pericolosi per la salute dell'uomo,
in considerazione anche delle basse temperature in gioco al
momento della combustione
Pag. 241
incontrollata (500-700^C). Il ripristino della discarica,
dopo la cessazione della coltivazione, è un costo gravoso e
l'utilizzo alternativo del sito" ripristinato" non è molto
remunerativo in quanto non si presta per scopi abitativi nè
per usi agricoli con coltivazione di speci destinate
all'alimentazione umana e animale. Va rilevato infine che una
discarica in coltivazione, la cui gestione non sia del tutto
corretta, può costituire un punto di attrazione per i volatili
che possono essere a loro volta veicolo di pericolose
infezioni. La dispersione di microorganismi in atmosfera, a
causa dei venti, può comportare infine la trasmissione di
agenti patogeni all'uomo. Al fine di ridurre la produzione di
gas serra, di emissioni maleodoranti e di percolato, causa
spesso, per come si è detto, di contaminazione delle falde, la
normativa comunitaria ha posto forti vincoli all'utilizzo
futuro delle discariche, riservando ad esse un ruolo che, nel
tempo, diventerà marginale rispetto a quello attuale. La
normativa comunitaria recepita dal decreto legislativo del 5
febbraio 1997 n. 22, proprio nell'ottica di una gestione
integrata dei rifiuti, all'articolo 6 di tale decreto, prevede
che dal 1^ gennaio del 2001 sia consentito smaltire in
discarica solo rifiuti inerti, rifiuti individuati da
specifiche norme tecniche e rifiuti che residuano dalle
operazioni di riciclaggio, di recupero e di smaltimento il
che, tradotto nella pratica del conferimento, significa
espresso divieto di smaltimento di rifiuti a componente
organica. Nel caso dei rifiuti urbani ciò significherà avviare
tali matrici organiche al compostaggio mentre relativamente ai
rifiuti speciali si tratterà di avviarli o alla
termodistruzione o ai processi di inertizzazione che
immobilizzino i contaminanti nei materiali usati per i
processi di fissazione chimica. Le discariche di oggi dovranno
quindi accogliere i rifiuti inerti, quelli derivanti dai
processi di recupero delle frazioni secche ed umide delle
raccolte differenziate e saranno asservite agli impianti di
termodistruzione per accogliere le ceneri tal quali o rese
inerti. Purtroppo dati i ritardi nell'attuazione della
normativa vigente e il lento adeguamento ad essa di numerosi
piani regionali, si deve oggi constatare che il termine del
gennaio 2001 fissato dalla norma non è ancora assai difficile
da rispettare per cui è presumibile che il legislatore debba
ricorrere ad una ulteriore proroga dei termini. Quando si
decide di realizzare un impianto di discarica, occorre tenere
presente che il costo pagato dalla comunità, considerando
effetti diretti e indiretti, sulla popolazione esposta e
sull'ambiente, è da considerarsi alto nell'insieme delle
componenti ambientale, paesaggistica, economica, sociale. Sul
territorio, infatti, si accumulano rifiuti e conseguentemente
viene deprezzato il valore materiale e culturale del sito
stesso.Il ripristino ambientale a fine chiusura è anch'esso un
costo. Sulla rivista "The Lancet" è stato reso noto di recente
il risultato di una ricerca finalizzata alla valutazione dei
possibili rischi di malformazioni congenite a carico di coloro
che risiedono nei pressi di discariche controllate di rifiuti
pericolosi. La ricerca è stata condotta utilizzando i dati di
sette registri regionali delle malformazioni su cui viene
annotata l'evoluzione del fenomeno in cinque Paesi europei.
Per l'Italia, il referente è l'Istituto di fisiologia clinica
del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa. Si è appurato
che, per i residenti entro un raggio di tre chilometri dai
siti di discarica di rifiuti
Pag. 242
industriali, vi sarebbe un rischio di incremento del 33%
delle malformazioni, con una particolare incidenza per le
malformazioni del tubo neurale, del cuore e dei grandi vasi
sanguigni. Ovviamente gli autori della ricerca,
nell'evidenziare la natura indiziaria e non probante delle
ricerche e delle indagini epidemiologiche, manifestano la
necessità di ulteriori approfondimenti (che sono tutt'oggi in
corso), in maniera tale da poter stabilire un nesso causale
tra il rischio e le anomalie congenite e la distanza dalle
discariche. La notizia è stata fatta propria anche dal
Ministero dell'Ambiente che, nel dicembre del 1998, ha inviato
una lettera circolare agli assessorati all'ambiente e alla
sanità di alcune regioni dove sono presenti discariche di
rifiuti pericolosi, per ottenere informazioni circa la
localizzazione delle discariche, circa eventuali
localizzazioni di discariche abusive, e relativamente a
eventuali azioni di monitoraggio e disponibilità di dati
epidemiologici. I rischi connessi all'esistenza di discariche
controllate evidentemente si amplificano quando le discariche
sono abusive o mal gestite.
Impianti di stoccaggio, di riciclo, di trattamento dei
rifiuti.
Relativamente allo stoccaggio di rifiuti, questi vanno
considerati alla stessa stregua delle sostanze pericolose per
le quali esistono ben precise norme derivate da quella
primaria sulla etichettatura. Per minimizzare l'impatto
ambientale per l'atmosfera l'acqua e il suolo, una delle prime
regole da rispettare è quella di evitare il superamento delle
quantità da stoccare e da trattare autorizzate nonché i tempi
di permanenza. Durante le operazioni di trattamento
(volumetrico, di inertizzazione, di miscelazione, vanno
evitate operazioni che comportino incompatibilità chimiche che
potrebbero comportare i rischi di sviluppo eccessivo di
calore, reazioni esotermiche con conseguenti esplosioni e
incendi. I contenitori dei rifiuti debbono essere
ermeticamente sigillati e ispezionabili, integri e non debbono
presentare segni di corrosione con perdita di liquidi nel
suolo. Le condizioni di aerazione debbono essere garantite e
gli eventuali odori presenti debbono essere captati da un
sistema in leggera depressione con assorbimento su mezzi
assorbenti (es carboni attivi) nel pieno rispetto delle
normative vigenti in materia di qualità dell'aria. Debbono
essere disponibili piani di pronto intervento di emergenza e
di antincendio. In caso di incendi, la combustione di rifiuti
pericolosi può avere gravi conseguenze sull'ambiente e sulla
salute dei cittadini. La Commissione ha riscontrato quanto
successo recentemente (aprile del 2000 ) presso lo stoccaggio
provvisorio della società Orim di Macerata, in cui, a seguito
di un incendio, sono andati a fuoco materiali pericolosi vari
(oli, catalizzatori e solventi) provocando una nuvola nera
persistente per tutto il giorno.
Impianti di selezione dei rifiuti ed impianti di
compostaggio.
Il problema più importante delle aree in cui avviene la
selezione, la cernita delle frazioni secche ed umide dei
rifiuti solidi urbani,
Pag. 243
nonché quello degli impianti di compostaggio è comune
(certamente più accentuato negli impianti di compostaggio), e
consiste nella presenza di odori, a volte nauseabondi,
derivanti dalla fermentazione e putrescibilità delle frazioni
organiche presenti nel rifiuto. L'impatto ambientale riguarda
essenzialmente l'atmosfera ma anche il suolo e la falda se i
liquidi di percolazione che si formano durante la
biodegradazione non vengono allontanati e smaltiti
correttamente. Per risolvere il problema degli odori è
necessario intervenire su due fronti: il primo riguarda
l'applicazione di procedure di housekeeping in grado di
assicurare la continua e costante pulizia delle aree dove
vengono manipolati i rifiuti, la seconda riguarda la
captazione degli odori tramite un sistema di aspirazione in
leggera depressione e il collettamento dell'aria contaminata
in un sistema di abbattimento che può essere costituito da
scrubbers ad umido con relativo trattamento delle acque
o da biofiltri a letto torbiero o da sistemi di assorbimento
su supporti ceramici contenenti microorganismi. Il sistema di
assorbimento degli odori può altresì essere costituito da
filtri a carbone attivo che, una volta esauriti, possono
essere rigenerati o smaltiti. Uno dei motivi che provoca il
disagio delle popolazioni che vivono nei pressi di tali
impianti è costituito principalmente dagli odori che in
qualche caso possono provocare nausee e gravi fastidi anche
agli operatori addetti dell'impianto.
Impianti di termodistruzione.
Un impianto di termodistruzione, che sia tuttavia
equipaggiato con un adeguato sistema di trattamento delle
emissioni e che realizzi un effettivo recupero energetico, non
aumenta l'impatto ambientale complessivo anzi contribuisce
alla sua riduzione. In discarica è noto che la frazione
organica viene trasformata in anidride carbonica, metano, e
percolato, senza alcuna produzione di energia eccettuata la
minima quota parte che può derivare dalla combustione del
biogas a fase avanzata di coltivazione della discarica stessa.
La termodistruzione, invece, oltre a produrre energia non
provoca emissioni aggiuntive ma sostitutive e di qualità
migliore rispetto ai combustibili convenzionali. E' come dire
che le emissioni di anidride carbonica e di metano si
contraggono e ciò costituisce un modo per ridurre l'effetto
serra, atteso che sia la CO2 e molto di più il metano sono gas
a forte effetto serra. Si consideri che la produzione di
energia da rifiuti fa risparmiare combustibile fossile e
quindi CO2 derivante dalla combustione dello stesso. In tal
senso si ha un miglioramento dell'impatto ambientale Un
confronto tra l'energia prodotta dai rifiuti e quella prodotta
dai combustibili tradizionali e convenzionali (carbone, olio
combustibile denso, metano) fa costatare che l'impatto
ambientale del ciclo completo dei combustibili convenzionali
dovuto alla estrazione, alla separazione, alla depurazione e
al trasporto gioca a favore dell'energia dai rifiuti venendo a
mancare tutte le operazioni che comportano forti impatti
ambientali quali il consumo di energia, le emissioni nelle
varie fasi del ciclo, l'alterazione del paesaggio, la
produzione di rifiuti e di reflui idrici da smaltire, il
traffico, i rischi di incidenti e sversamenti. Da un punto di
vista di compatibilità
Pag. 244
ambientale va inoltre rimarcato che la produzione energetica
da termodistruzione proiettata al teleriscaldamento permette
di risparmiare energia primaria con un doppio vantaggio: da
una parte si concentra la produzione di calore in poche e
significative centrali con il risultato che si ottimizzano e
razionalizzano i parametri e si riducono al minimo le
emissioni inquinati. La cogenerazione (calore + energia
elettrica) non solo è vantaggiosa come consumi ma è anche una
delle strade con cui l'Italia potrà tentare di adeguarsi al
protocollo di Kyoto diminuendo entro il 2010 le emissioni di
anidride carbonica del 6.5%, rispetto a quelle del 1990. Ciò
significa una contrazione del 25-30% rispetto a quelle che
sarebbero diventate in assenza del protocollo di Kyoto.
Peraltro il sistema di cogenerazione di Brescia è un chiaro
esempio degli ottimi risultati che si possono raggiungere e
che è assai diffuso nei comuni nel Nord Europa. La
termodistruzione, in quanto opera sul rifiuto in maniera
definitiva, non trasferisce nel tempo la soluzione del
problema ambientale come la discarica o nello spazio
attraverso le materie che si recuperano dalla selezione e
cernita dei rifiuti, operazioni pur esse importanti e da
ottimizzare percentualmente fino a valori auspicabili del 50%
nell'ambito della gestione integrata dei rifiuti. La
termodistruzione va intesa come un metodo efficace per la
riduzione del volume dei rifiuti, consuma meno territorio.
Certamente, un impianto di termodistruzione può
rappresentare una fonte di contaminazione per l'ambiente
esterno se essa è condotta in maniera poco accurata, se le
apparecchiature di depurazione dei fumi e di combustione non
sono efficienti e se non si fa ricorso alle tecnologie oggi
disponibili per minimizzare gli impatti ambientali (lowNOx
burners per abbattere gli ossidi di azoto, combustion
improvers per migliorare la combustione, additivi per
abbattere la SO2, scrubbers ad alta efficienza, filtri a
maniche, depolveratori a cicloni, assorbitori a carboni attivi
etc). La combustione riduce infine la pericolosità dei rifiuti
organici rispetto alla discarica nella quale questi permangono
per tanto tempo specie nel medio e lungo termine. Le scorie di
combustione, specie se inertizzate, hanno sicuramente
caratteristiche migliori dal punto di vista dei rilasci
rispetto ai rifiuti tal quali depositati in discarica. Non va
trascurato nemmeno il fatto che la combustione distrugge
batteri e virus cosa che non succede in discarica.
Impatto ambientale dei siti contaminati.
Un sito contaminato è fonte continua di disagio e
preoccupazione per le popolazioni residenti nelle immediate
vicinanze infatti sono da prendere in seria considerazione i
danni che a loro insaputa può aver causato la contaminazione
nel tempo. La presenza di un sito contaminato, oltre a
costituire elemento di degrado, ha un impatto negativo anche
di ordine economico, in quanto deprezza il valore
dell'ambiente, dei manufatti, delle strutture e degli immobili
siti in prossimità. La preoccupazione permane fino a che alla
popolazione non si danno serie garanzie di soluzione del
problema in maniera definitiva. In tal senso vi è da
considerare una sorta di ipersensibilità
Pag. 245
anche nel caso dei siti contaminati. A La Spezia, ove la
discarica di Pitelli attende ancora di essere bonificata, un
altro recente caso, quello della ex area della raffineria IP,
costituisce per la popolazione un forte elemento di disagio e
preoccupazione, come si evince dai numerosi articoli apparsi
di recente sulla stampa locale. Quando si verificano tali
situazioni, oltre alle giuste preoccupazioni per la salute
pubblica, insorgono anche ripercussioni notevoli di impatto
socio-economico.
Il problema diossine.
Generalmente con il termine "diossine" si intende la
famiglia di composti organici clorurati tossici - le
cosiddette PCDD, policlorodibenzodiossine - in numero di 75
composti diversi e con diversa tossicità, dipendentemente
dalla loro struttura chimica. Già nel 1800 furono identificate
le prime diossine ma si sa che erano presenti sul pianeta da
tempi molto antichi, come dimostrato da numerosi studi su
tessuti animali, su piante, su numerosi reperti archeologici.
Le diossine sono presenti sul pianeta in maniera ubiquitaria e
le fonti di emissione sono le più disparate. Le diossine si
formano insieme ad altre sostanze organiche come i furani nel
corso delle combustioni incomplete di materiali organici in
ambienti in cui sia presente cloro sia in forma organica che
inorganica come ormai accertato internazionalmente. Quando si
bruciano rifiuti solidi urbani (in cui comunque sono già
presenti piccole quantità di diossine a volte superiori a
quelle emesse con i fumi di combustione) a temperature
inferiori a 850^C (temperature normalmente presenti negli
inceneritori di vecchia generazione) in cui insieme alla
matrice organica è contenuto anche cloro sotto varie forme
chimiche, è certa la formazione di diossine. L'Agenzia
internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), che è una
sezione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, ha definito
la tetraclorodibenzodiossina (2,3,7,8,TCDD) come un potente
cancerogeno di classe 1 per l'uomo. In generale le diossine
sono persistenti nell'ambiente e possono essere causa di gravi
problemi a danno del sistema riproduttivo e dello sviluppo e
del sistema immunitario. Esse inoltre interferiscono con gli
ormoni regolatori. Le diossine sono solubili nei grassi e si
accumulano nella catena alimentare. Sono state trovate nella
carne, nel latte, nei polli, nei maiali, nei pesci, nelle
uova. A cavallo degli anni '70 furono scoperte da scienziati
olandesi le diossine nei fumi degli inceneritori. Nel 1984
inoltre in Svezia, Paese che ha studiato molto
approfonditamente il problema delle diossine, si stabilì
addirittura una sorta di "moratoria" e per un dato periodo si
sospese la costruzione di impianti nuovi fino a che un gruppo
di lavoro, coordinato dall'Agenzia per la protezione
dell'Ambiente e che coinvolgeva illustri scienziati ed esperti
del settore, non avesse chiarito i termini del problema. Nel
giugno 1986, l'Agenzia emise il "verdetto" fissando tutti i
presupposti ritenuti indispensabili per una gestione corretta
della termodistruzione dei rifiuti e ne venne fuori che l'uso
dei rifiuti per la produzione di energia non deve confliggere
con altre destinazioni che possono essere importanti per la
società, che si debbono inoltre
Pag. 246
rispettare i limiti delle emissioni prefissate per legge e
che la combustione è da ritenersi un valido sistema per il
trattamento dei rifiuti teso al recupero di energia tenendo
tuttavia in considerazione tutti i requisiti gestionali ed
impiantistici necessari e fissati dal rapporto. Conseguenza di
tale azione dell'Agenzia fu che dal 1986, la Svezia, riprese
la costruzione di nuovi impianti di termodistruzione. Lo
studio svedese fu poi confermato da una analoga ricerca
effettuata in Canada dal National Incinerator Testing and
Evaluation Program(NITEP). Quanto avvenuto in Svezia
costrinse i progettisti degli impianti di incenerimento che
fino allora avevano privilegiato la tecnologia della
combustione, a mirare con maggiore attenzione anche ai sistemi
di abbattimento delle emissioni. Oggi, il limite di emissione
per gli impianti di termodistruzione di numerosi paesi
Europei, compresa l'Italia, è di 0.1 nanogrammi di TEQ/ Normal
metro cubo in cui il termine TEQ indica l'equivalente tossico
di tutte le diossine .é noto che oggi vi sono impianti di
termodistruzione (in Europa e di recente anche in Italia) che
emettono mediamente cento volte meno rispetto a quanto veniva
emesso dieci anni fa e comunque in grado di rispettare
ampiamente il limite di 0.1 nanogrammi per normal metro cubo.
Per abbattere le diossine nelle emissioni non è sufficiente il
rispetto della cosiddetta regola delle " tre T" cioè,
temperatura di combustione elevata, tempo di combustione
adeguato a bruciare tutto il materiale organico, turbolenza
dei fumi che garantisce condizioni di omogeneità (1). Infatti,
è stato verificato che i fumi che lasciano la camera di
combustione, dopo raffreddamento, presentavano concentrazioni
più alte di diossine in quanto alcune di esse si riformavano
intorno ai 200-330 ^C. I progettisti degli impianti di
termodistruzione hanno quindi operato per migliorare le
tecnologie di abbattimento delle emissioni cosa che non si è
fatta in Italia, in quanto essi erano penalizzati a causa
della paura della gente per il problema "diossine" dopo il ben
noto incidente che provocò la nube tossica di Seveso. La
conseguenza era stata quindi che essi avevano abbandonato la
strada della ricerca nella quale primeggiavano fino agli anni
'70. Negli anni dei fatti di Seveso e anche dopo assai
particolare era stata l'apprensione di una opinione pubblica
scarsamente informata sul problema e in grado quindi di
condizionare fortemente la correttezza scientifica e le scelte
dei processi di decisione. Oggi il sistema Italia, a fronte di
tecnologie che vengono importate da altri Paesi europei, sta
reagendo con proprie installazioni cercando di recuperare il
tempo perduto. Per tenere sotto stretto controllo le emissioni
di diossine riveste un ruolo importante non solo la gestione
dei sistemi di combustione ma anche quella dei sistemi di
abbattimento delle emissioni. Vi è da notare che, certamente
le alte temperature sull'ordine dei 1000^C -1100 ^C
favoriscono la completa distruzione delle diossine sia di
quelle presenti nella carica che di quelle che si possono
formare intorno ai 300-400 ^C in fase di combustione. Ma, per
come si è detto, l'efficienza dei sistemi di abbattimento è
altrettanto necessaria perchè
Pag. 247
vengano rispettati gli stringenti limiti delle emissioni (0.1
nanogrammi TEQ per Nmc). Come sopra detto, le diossine sono
ubiquitarie e quindi le possiamo trovare un po' dappertutto.
Una stima delle emissioni nazionali di diossine e furani(2) è
riportata nel documento redatto da Enea per l'inventario
Corinair e mostra che sono numerose le sorgenti di emissione
delle diossine. Anche le discariche producono diossine(3).
Infatti esse in parte entrano in atmosfera attraverso il
biogas che si libera o viene bruciato (0.02-5 microgrammi per
tonnellata di RSU), in parte si trovano nel percolato
(0.002-0.0025 microgrammi per tonnellata RSU) e in parte nella
discarica stessa (0.013-0.050 microgrammi per tonnellata di
RSU).Anche negli impianti di compostaggio le diossine si
concentrano nel compost, in ragione di 0.4-4 microgrammi per
tonnellata. Nelle discariche abusive (per come detto nel
capitolo dedicato alle discariche) il fenomeno è più rilevante
in quanto la presenza di rifiuti contenenti cloro organico e
inorganico è maggiore. Anche il combustibile derivato da
rifiuti il cosiddetto CDR contiene diossine(4) e può
sviluppare diossine in fase di combustione ove le condizioni
di controllo non siano volte ad una accurata gestione della
combustione e dei sistemi di abbattimento fumi. In
conclusione, sul problema diossine, sulla base di quanto sopra
detto si può dire che esso, oggi, costituisce un "falso
problema" quantomeno se lo si associa ai termodistruttori per
come fatto in passato. Certamente la paura della gente ha
costituito un elemento emotivo che ha avuto un ruolo notevole
portando ad una opinione distorta nella opinione pubblica.
Occorre infine rilevare che la diossina è ubiquitaria e che è
presente da molto tempo sul nostro pianeta, che la combustione
non ha avuto un ruolo determinante sulle emissioni totali in
considerazione del fatto che altri processi contribuiscono,
per come visto, alla emissione di diossine e che la moderna
tecnologia è in grado, oggi, di abbattere quasi a zero e
comunque a valori molto bassi e trascurabili le concentrazioni
al camino.
(1) T come Termoutilizzazione - La termoutilizzazione
nello smaltimento dei rifiuti cura della Fondazione Lombardia
per l'Ambiente n. 20 dicembre 1996.
(2) I dati della stima delle emissioni Corinair Enea
per l'Italia espressi in grammi di TEQ (equivalemte tossico)
di diossine e furani:
... (omissis) ...
(3) "Riflessioni sulle strategie per lo smaltimento dei
rifiuti in Italia". E. Pedrocchi-Facoltà di Ingegneria del
Politecnico di Milano-Aprile 1997.
(4) Da: Energia blu Novembre 1998
In un chilogrammo di CDR sono contenuti dai 5 ai 25
nanogrammi di diossine. Un Kg di CDR genera 150 grammi di
scorie (in cui sono contenuti da 1 a 20 nanogrammi di
diossine), 7 metri cubi di gas che contengono 0-3 nanogrammi
di diossine.
Pag. 248
LA VISITA DELLA COMMISSIONE IN ALCUNI STATI EUROPEI.
La Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei
rifiuti ha effettuato, nel mese di settembre del 2000, una
visita presso alcuni impianti di trattamento e smaltimento di
rifiuti (urbani, speciali pericolosi e non pericolosi) in
alcuni Paesi europei: Germania, Finlandia, Svezia,
Danimarca.
Germania: il sito minerario di Teuthschenthal
(Lipsia).
Nella miniera di Teuthschenthal, attiva sin dal 1907,si
estraeva la carnallite ossia un cloruro idrato di potassio e
magnesio spesso associato con silvina e salgemma nei depositi
salini evaporitici e di colore lattiginoso o rossastro.Il sito
minerario appare una buona soluzione per lo smaltimento di
rifiuti solidi pericolosi o resi solidi attraverso trattamenti
di inertizzazione. I problemi da superare sono quelli degli
odori sia sul piazzale esterno che all'interno della miniera.
Nelle aree esterne, al momento della visita, si avvertiva
odore di solventi organici provenienti dal collettore di
scarico del sistema di depurazione ed aspirazione dell'aria
interna al sito. All'interno delle gallerie sotterranee era
invece evidente l'odore di ammoniaca. Data la profondità e la
natura geologica del sito non sembra vi possano essere
controindicazioni allo smaltimento di rifiuti solidi la cui
massa cementata collocata per spinta con pala meccanica
appositamente predisposta riempirebbe (come avviene) tutta la
sezione libera della galleria stessa fungendo così non solo da
riempimento ma da supporto vero e proprio al tetto impedendo a
questo di crollare. Si tratterebbe secondo le autorizzazioni
del Land tedesco di un vero e proprio recupero ambientale che
sarebbe auspicabile, a detta dei tecnici del sito, auspicabile
anche in Italia. La potenzialità del sito appare di lungo
termine almeno per venti anni. La lunghezza della galleria
(circa 13 chilometri) assicurerebbe lo smaltimento di quantità
di rifiuti solidi rilevante. Le operazioni di riempimento
stanno riguardando per ora la prima parte della miniera (circa
4 chilometri) che a causa dell'abbandono nel passaggio della
proprietà dalla Germania est a quella unificata, era stata
soggetta ad un crollo delle pareti laterali in alcuni tratti.
In tale sito vengono attualmente smaltiti rifiuti
dell'inceneritore di Brescia, di alcune bonifiche Enichem di
Porto Marghera e sono in corso trattative per il conferimento
dei residui dei lagoons dell'Acna di Cengio, opportunamente
solidificate.
Finlandia: Ecokem OY AB (Helsinky).
L'inceneritore della società Ekokem ha una potenzialità
di trattamento di rifiuti industriali pericolosi e non
pericolosi (solventi, vernici, stracci imbevuti di vernici,
pitture ) di 65.000 tonnellate/anno. Sono operative due linee
di termodistruzione ed è in fase avanzata di realizzazione una
terza linea dotata di un sistema di abbattimento fumi assai
sofisticato. Le emissioni del forno di termodistruzione
rispettano ampiamente i limiti imposti dalla normativa europea
per
Pag. 249
i microinquinanti tra cui le diossine. La temperatura di
termodistruzione è di 1300 ^C. I fumi di combustione del forno
a tamburo rotante vengono post-combusti con tempi di
permanenza tali da permettere una completa ossidazione del
rifiuto. Nella linea di termodistruzione N.1 i fumi caldi
vengono inviati ad una caldaia per la generazione di vapore da
destinare a sua volta alla produzione di energia elettrica per
autoconsumo all'interno dell'impianto e di energia termica per
teleriscaldamento della vicina città di Riihimaki. L'energia
prodotta dalla seconda linea di termodistruzione viene invece
utilizzata nei processi di evaporazione delle acque reflue. Il
lavaggio dei fumi avviene con calce per eliminare le emissioni
di acido cloridrico e di anidride solforosa. I residui di
diossine, furani e mercurio vengono abbattuti con l'utilizzo
di carbone attivo. L'impianto Ekokem è una vera e propria
piattaforma di trattamento: Esiste infatti una unità di
trattamento chimico-fisico di inertizzazione di alcuni reflui
quali cianuri, cromati, sali e soluzioni saline che, dopo
inertizzazione, vengono avviati alla discarica asservita
all'impianto. La Ekokem opera anche nel settore del recupero
dei solventi e degli oli usati ed è dotata di un impianto di
depurazione di acque industriali e di recupero del mercurio
dalle lampade fluorescenti.
Svezia: Impianto sperimentale di combustione di
Chalmers (università di Goteborg).
In tale impianto sperimentale si stanno effettuando
combustioni sperimentali di miscele di combustibili al fine di
verificare le condizioni ottimali di combustione. Tutti i
parametri di combustione vengono registrati in numerosi punti
della camera di combustione al fine di ottenere un modello
previsionale per l'ottimizzazione dei processi di
combustione.
Danimarca: impianto di termodistruzione rsu di
Arhus.
L'impianto di Arhus tratta il 28% dei rifiuti prodotti
ogni anno nel distretto (620.000 tonnellate). Esso è
costituito da tre forni ognuno della capacità di 7.6
tonnellate /ora di rifiuto urbano. La linea 3 ha una capacità
di 8.0 ton/h. Completano l'impianto 2 forni per rifiuti
sanitari da 200Kg/ora e tre dryers per l'essiccamento dei
fanghi di depurazione, in grado di essiccare ognuno 2
tonnellate/ora di fango. Le ceneri della termodistruzione
ammontano a 2775 tonnellate/anno. La termodistruzione oraria è
di 23 tonnellate di rifiuti il cui calore è utilizzato nel
distretto di Arhus per produrre vapore (teleriscaldamento) e
per produrre elettricità. L'impianto è dotato di depolveratori
a ciclone, di un elettrofiltro, e di un sistema di scrubbers
per il trattamento dei fumi.
SISTEMI DI RILEVAZIONE E DI CONTROLLO.
L'applicazione delle tecnologie di monitoraggio
ambientale, oggi più che mai, costituisce un passaggio
fondamentale per garantire il controllo, la salvaguardia e la
tutela del territorio. Le tecnologie oggi
Pag. 250
disponibili permettono agli operatori, agli addetti ai lavori
ma anche alla popolazione di seguire le evoluzioni dei
fenomeni di degrado, di fornire informazioni sullo stato di
salute del pianeta e di programmare interventi mirati di
risanamento. Grazie alla rapida evoluzione tecnologica degli
ultimi tempi, una vasta gamma di apparecchiature per il
controllo e il monitoraggio dell'atmosfera, delle acque, del
suolo e del sottosuolo è disponibile sul mercato. I controlli
automatici stanno sempre di più sostituendosi a quelli manuali
dei quali tuttavia non si potrà mai fare a meno. Nel settore
delle acque di scarico esistono ormai da un trentennio
apparecchiature di prelievo e di controllo "on line" che
forniscono direttamente dati di concentrazione di inquinanti
presenti nel mezzo idrico e che spesso riproducono metodi di
analisi manuali (es. quelli colorimetrici) di laboratorio. E'
evidente, tuttavia, per come detto che per quanto i sistemi di
taratura automatica siano assai sofisticati non può mai
prescindersi dalle tarature manuali periodiche di tutta la
strumentazione coinvolta nel sistema di monitoraggio e
controllo. Nel settore dell'inquinamento atmosferico, le
centraline mobili e fisse, di cui normalmente sono
equipaggiate le reti di rilevamento della qualità dell'aria
nelle città, sono ormai in grado di monitorare una vasta gamma
di inquinanti (ossidi di azoto, biossido di zolfo, monossido
di carbonio, idrocarburi totali, benzene, polveri totali,
polveri inalabili etc). Anche nel campo delle emissioni
atmosferiche da sorgenti puntiformi esiste una serie di
strumenti "on line" in grado di misurare le polveri, gli
ossidi di azoto, l'acido cloridrico etc. Per ciò che riguarda
invece il monitoraggio dei microinquinanti organici (es.
idrocarburi policiclici aromatici, diossine,
policlorobifenili, e inorganici (es. i metalli tossici quali
il nichel, cadmio, mercurio, cromo etc), il dato "on line" non
è ancora disponibile e ci si limita, date le bassissime
concentrazioni in gioco, a prelevare grandi quantità di aria
ambiente utilizzando campionatori "high volume" o di emissioni
da sorgenti puntiformi in modo da arricchire la concentrazione
delle specie chimiche interessate per mezzo di filtri o mezzi
assorbenti da analizzare successivamente e manualmente in
laboratorio. Nel settore della geofisica applicata esiste una
serie di metodologie per l'analisi non invasiva del sottosuolo
in grado di evidenziarne le anomalie dovute o a motivi
strutturali o a modificazioni avvenute a seguito di
contaminazioni o interramenti di oggetti. Rispetto ai metodi
convenzionali diretti (pozzi di monitoraggio, carotaggi,
escavazioni etc), le tecnologie non invasive offrono il
vantaggio di non alterare le condizioni attuali del suolo e
comunque, nell'ambito di un sistema integrato possono essere
accoppiate alle tecniche invasive "mirate". Si hanno cosi
metodi radar (ground penetrating radar), a induzione
elettromagnetica, a resistività elettrica, a rifrazione
sismica, con "metal detector", con apparecchiature
magnetometriche etc. Le tecniche non invasive sono meno
costose di quelle invasive e tra i vari scopi permettono di
caratterizzare un sito rilevandone le caratteristiche
geologiche, permettendo per es. la scoperta di fusti
interrati, come la Commissione ha verificato nel caso della
contaminazione di Riano Flaminio attraverso una indagine
condotta dal Dr Marchetti dell'Istituto Nazionale di
geofisica. L'analisi dei vapori organici presenti nel suolo ,
in caso di interramenti di rifiuti effettuata per
Pag. 251
mezzo di una sonda infissa nel suolo e analizzati per via
gas-cromatografica on line, può ascriversi a tali tecniche e
metodologie non invasive. Le più rilevanti prospettive per un
controllo e monitoraggio su vasta scala vengono però offerte
dalle tecnologie di telerilevamento. Com'è noto il
telerilevamento è una tecnica di acquisizione di informazioni
sul territorio e sull'ambiente da postazione remota. Fanno
parte del telerilevamento la fotografia convenzionale, le
riprese multispettrali sia fotografiche che condotte con
sistemi elettronici (scanner, telecamere, radiometri a
microonde, radar ottici o lidar). Il telerilevamento aereo per
esempio costituisce oggi uno degli strumenti più efficaci ed
utilizzati di monitoraggio ambientale ed ha come scopo
l'analisi delle caratteristiche fisiche del soprasuolo e
dell'immediato sottosuolo, della superficie di corpi idrici e
dei fenomeni quali il trasporto dei sedimenti che intervengono
fino alla profondità di alcuni metri. Le immagini provenienti
dal telerilevamento, peraltro, ormai da tempo trovano impiego
in molteplici direzioni, per la stesura di mappe tematiche e
per una conoscenza delle risorse planetarie. Il censimento
delle risorse per mezzo del telerilevamento è un passaggio
assai importante per mettere in pratica i principi dello
sviluppo sostenibile e della conservazione della biodiversità
enunciati nella conferenza di Rio de Janeiro del 1992. Il
rilevamento aereo e da satellite dà la possibilità di
effettuare indagini ad ampia scala su aree assai estese del
pianeta, è veloce nell'acquisire dati e permette nel contempo
una riduzione dei controlli a terra. E' da considerare inoltre
che una buona conoscenza del territorio è oggi una "conditio
sine qua non" per orientare una qualsiasi scelta di intervento
sia esso antropico che di prevenzione, di recupero o
valorizzazione ambientale. In particolare il telerilevamento
può orientare le scelte sulle priorità degli interventi da
realizzare in materia di riassetto del territorio e di
organizzazione dello smaltimento dei rifiuti. E' quindi
necessaria la creazione di una piattaforma di dati
territoriali che costituisca la base di un sistema informativo
di gestione di tutti i dati ambientali del territorio
nazionale. Il CNR (Consiglio nazionale delle ricerche) ha
messo a punto un'apparecchiatura di ripresa iperspettrale
Mivis (multispectral visible and infrared imaging
spectrometer) a 102 canali (bande spettrali), installata su un
aereo (L.A.R.A, laboratorio aereo ricerche ambientali)
equipaggiato anche con una struttura di gestione del software
(Mivas) specifico per il processamento geometrico e
radiometrico dei dati iperspettrali Mivis ad elevata
risoluzione spaziale e spettrale. La configurazione del
sistema Mivis è modulare e ne fanno parte n. 4 spettrometri
che riprendono simultaneamente la radiazione visibile, quella
dell'infrarosso vicino e dell'infrarosso termico provenienti
dalla superficie terrestre. Il MIVIS è il più avanzato sistema
iperspettrale al mondo e viene impiegato per la
caratterizzazione di fenomeni ambientali da Enti nazionali ed
esteri. Indagini Mivis sono state effettuate sull'area di
Trecate a seguito della esplosione di un pozzo petrolifero,
sul lago di Como, sulle aree vulcaniche dell'Etna, di Vulcano,
Stromboli, sulle lagune di Orbetello, Venezia, Marsala,
sull'area archeologica di Selinunte e di Alesa, sulla pineta
di Castelfusano, sulla discarica di Pitelli (La Spezia),sul
Delta del Po, nella regione Molise e Basilicata, nella
provincia di Roma e all'estero
Pag. 252
nell'area Hehenfels (Germania), nell'area Crau-Camargue
(Francia), in Austria, e nel breve futuro anche in Cina, Paese
con cui sono in corso e ben avviate trattative di
collaborazione. Le discipline in cui opera il Mivis sono la
geologia, l'inquinamento dei suoli, la idrogeologia, la
geofisica, l'urbanistica, le foreste, l'archeologia,
l'agricoltura, la vulcanologia, l'oceanografia, l'inquinamento
atmosferico etc. Si possono così monitorare le colate laviche,
i corpi idrici aperti e chiusi, l'apparato fogliare delle
piante, lo fotosintesi, i sedimenti dei laghi, le aree
soggette a rischio sismico, le discariche abusive, il
percolato delle discariche, l'interramento di fusti, le fughe
di calore e di gas dalle discariche di rifiuti solidi urbani,
l'amianto in miscela con il cemento presente sui tetti degli
edifici etc. Le apparecchiature di telerilevamento da aereo e
da satellite sono oggi in uso a livello nazionale e
internazionale. In Italia, apparecchiature simili al Mivis
sono installate su aereo e sono in dotazione di Enea, Guardia
di finanza (apparecchiatura Daedalus) Alenia, capitanerie di
porto. Tali apparecchiature nazionali operano nel visibile ma
con pochi canali multispettrali al massimo in numero di
dodici.Il telerilevamento da satellite (TLR) è in uso come
insieme di tecniche mediante le quali si effettuano misurano a
grande distanza della energia riflessa ed emessa dalle
superfici presenti sulla superficie terrestre. A proposito del
telerilevamento, merita di essere menzionata l'esperienza
condotta dal Corpo Forestale dello Stato con il
telerilevamento satellitare per mezzo del quale si è riusciti
ad accertare la presenza, in alcuni pozzi di"reiniezione" di
attività di estrazioni petrolifere nel territorio di Matera,
di sostanze estranee ai processi estrattivi di idrocarburi
quali mercurio, fenoli, solventi clorurati. In Basilicata
esistono ben 345 pozzi di estrazione petrolifera e l'indagine
del Corpo Forestale ancora in corso, sta cercando di accertare
eventuali smaltimenti illegali di rifiuti nei pozzi non più
utilizzati. Il Corpo Forestale ha inoltre messo a punto un
sistema informatico della montagna (SMI) in grado di
realizzare il catasto delle aree boscate, delle cave, delle
discariche regolari ed abusive, dei movimenti franosi, etc. Vi
sono satelliti "in movimento" che operano a distanze di
700-900 chilometri e satelliti geostazionari che operano a
distanze di 30.000 chilometri. Vi è da osservare che il
contenuto delle immagini riprese dalle attuali piattaforme
orbitali, pur essendo stato elaborato con varie tecniche
digitali, non può portare ad una definizione operativa,
inequivocabile e attendibile a causa della bassa risoluzione
spaziale di queste immagini e del numero estremamente limitato
di canali di ripresa. L'innovazione tecnologica torna assai
utile anche nel settore della gestione dei rifiuti in
particolare nelle fasi di trasporto, stoccaggio, smaltimento
definitivo. Com'è noto il sistema MUD ha mostrato qualche
limite per problemi sia strutturali che gestionali (come
evidenziato nel corso delle audizioni della Commissione con
funzionari del Ministero dell'Ambiente), in particolare si
sono evidenziati problemi per un poco efficiente collegamento
tra le banche dati delle Camere di Commercio e l'ANPA. Di qui
la necessità di trovare nuovi strumenti gestionali più snelli
e con possibilità di acquisizione dati in tempo reale su tutta
la rete nazionale. La tecnologia che è in fase sperimentale
presso l'ANPA, si fonda sull'adozione di apposite
apparecchiature fisse e mobili simili a quelle utilizzate
negli esercizi
Pag. 253
commerciali con le carte di credito e con i bancomat. Questa
sorta di carta di credito del rifiuto, RIFCARD, acquisisce i
dati del formulario di trasporto del rifiuto, li trasmette
attraverso rete telefonica all'ANPA (in caso di
apparecchiature mobili, i dati vengono trasmessi attraverso il
sistema GPS). L'acquisizione continua di dati consente di
rendere disponibile un conto corrente rifiuti denominato
CONTRIF per cui ogni soggetto coinvolto nella gestione del
rifiuto (detentore produttore, trasportatore smaltitore)
riceve periodicamente un estratto conto rifiuti, Con tale
sistema si può costruire una nuova base utile per un catasto
nazionale rifiuti, che può meglio colloquiare con le ARPA,
garantendo non solo un monitoraggio in tempo reale sul flusso
dei rifiuti che transita sul territorio nazionale ma anche di
intervenire per rapidi controlli "in contemporanea" su tutto
il territorio nazionale in caso di segnalazioni su traffici
sospetti.
CAPITOLO II
LE BONIFICHE DEI SITI CONTAMINATI
LA NORMATIVA NAZIONALE SULLE BONIFICHE DEI SITI
CONTAMINATI.
Com'è noto l'articolo17 del decreto legislativo n. 22 del
5 febbraio 1997 recita: "bonifica e ripristino ambientale dei
siti contaminati". Altri punti dell'articolato del decreto
riguardano le competenze dello stato, della regione, delle
province e del comune (artt. 18-21), i piani regionali di
bonifica (articolo 22), il sistema autorizzatorio degli
impianti mobili di bonifica (articolo28), l'iscrizione
all'albo per le imprese che intendono effettuare bonifiche
(articolo30), il sistema sanzionatorio per i soggetti che
provocano contaminazione o concreto pericolo di
contaminazione. Il decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio
1997, anche se in maniera non omogenea (meglio sarebbe stata
una legge quadro in materia di bonifiche), ha costituito un
passo avanti rispetto alla precedente legge n. 441/87 che
imponeva alle regioni, come è noto, di approvare piani di
bonifica delle aree contaminate sulla base anche dei
censimenti previsti dal successivo decreto del Ministero
dell'ambiente del. 16 maggio 1989. Furono poche allora, per la
verità, le regioni che ottemperarono (soltanto 8) a quanto
previsto dalla legge n. 441/87, con criteri tra loro non
uniformi, in assenza di una norma tecnica nazionale. Dai
censimenti di cui al decreto ministeriale sopra richiamato, le
regioni, avrebbero dovuto poi ricavare indicazioni per
interventi di bonifica a breve e medio termine. L'articolo 17
del dlgs n. 22/97, pur se con ritardo, è stato attuato con
decreto del ministero dell'Ambiente n. 471 del 25 ottobre del
1999 che detta i criteri, le procedure e le modalità per la
messa in sicurezza, per la bonifica e per il ripristino dei
siti contaminati. E' da rilevare, inoltre, che il censimento
regionale dei siti contaminati delle aree esterne ai siti
produttivi, previsto dal decreto ministeriale. del 16.5.89 è
stato esteso tramite il comma 1-bis dell'articolo17 del
Pag. 254
dlgs n. 22/97 alle "aree interne ai luoghi di produzione,
raccolta, smaltimento e recupero dei rifiuti, in particolare
agli impianti a rischio di incidente rilevante di cui al
decreto del Presidente della Repubblica del 17 maggio 1988 n.
175 e successive modificazioni". Le iniziative del
legislatore, per come visto sopra, mostrano l'interesse a
mettere ordine in una materia assai complessa per la quale è
prevedibile, e lo si coglie già adesso, che il nostro paese
debba impegnare, nell'immediato futuro, risorse economiche ed
umane notevoli. La legge 9 dicembre 1998, n. 426, ha inoltre
introdotto nell'articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio
1997, n. 22, il comma 15- bis secondo il quale " il
ministro dell'ambiente, di concerto con il ministro
dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica e
con il ministero dell'industria, del commercio e
dell'artigianato, emana un decreto recante indicazioni ed
informazioni per le imprese industriali ed artigiane che
intendano accedere a incentivi e finanziamenti per la ricerca
e lo sviluppo di nuove tecnologie di bonifica previsti dalla
vigente legislazione ". Tale legge come è noto ha
disciplinato gli accordi di programma di cui all'articolo 25
del Dlgs n. 22/97 ed il concorso pubblico nella realizzazione
di interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti
inquinati e che ha individuato, in fase di prima attuazione,
come interventi di bonifica di interesse nazionale quelli
compresi nelle aree industriali e nei siti ad alto rischio
ambientale. Ai siti di Porto Marghera, Napoli orientale, Gela
e Priolo, Manfredonia, Brindisi, Taranto, Cengio e Saliceto,
Piombino, Massa e Carrara, Casale Monferrato, Balangero, Pieve
Vergonte, litorale Domizio-Flegreo, agro aversano, Pitelli (La
Speza), si è aggiunto di recente anche quello della ex
raffinerie Esso ed Aquila di Trieste. Per la gran parte di
tali siti sono stati già emanati i decreti di
perimetrazione.
Il censimento dei siti contaminati in Italia.
I dati dei censimenti regionali dei siti contaminati
finora ottenuti a seguito dell'applicazione del decreto
ministeriale 16 maggio 1989, si sono rivelati incompleti
(alcune regioni non hanno ancora effettuato i censimenti, es.
Calabria, Lazio, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia), sottostimati
(es. quelli della Regione Puglia, troppo teorici e non
supportati da evidenze sperimentali, carotaggi, analisi
chimiche, e quelli della regione Campania), con il risultato
che appare sempre più drammatico lo scenario che si profila
all'orizzonte, relativamente ai reali costi di bonifica di
intere porzioni del nostro territorio. Lo scopo del censimento
ai sensi del DM del 16.5.89, per come sopra detto, era quello
di individuare le aree contaminate su cui intervenire con
programmi di bonifica a breve e medio termine. La mancanza,
allora, di precise norme tecniche per individuare e per
bonificare i siti contaminati faceva si che, tranne alcuni
casi, difficilmente l'entità della contaminazione veniva ben
evidenziata. Non ha dato ancora i risultati sperati quanto
previsto dal comma 1-bis del Dlgs n. 22/97 che estendeva il
censimento, tra l'altro, ai siti operativi a rischio di
incidente rilevante. Infatti pochissimi sono i casi di accordi
di programma tra il Ministero dell'Ambiente con gli enti
provvisti delle tecnologie di rilevazione più avanzate (es.
CNR, ENEA), per realizzare
Pag. 255
la mappatura nazionale dei siti oggetto dei censimenti e la
loro verifica con le regioni. Di tale situazione ha preso
piena coscienza la "Commissione parlamentare d'inchiesta sul
ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse"
che, a seguito di evidenze nel corso dei sopralluoghi e delle
audizioni rese da soggetti istituzionali informati
sull'argomento, ha ritenuto necessario invitare in audizione
il prof. Bianco, Presidente del CNR, per illustrare l'ampia
gamma di possibilità di monitoraggio aereo del territorio con
il sistema L.A.R.A (Laboratorio aereo di ricerche
ambientali).
Tale sistema, se applicato ed utilizzato a mezzo di
convenzioni tra le Regioni, le amministrazioni locali e il
CNR, come auspicato dalla stessa Commissione d'Inchiesta, può
costituire un valido e certo punto di riferimento da cui
partire per programmare ogni iniziativa tesa al contenimento
e/o bonifica delle contaminazioni in atto sul territorio
nazionali. E' da rilevare inoltre che, con D.M n. 426/98, il
Governo prevedeva interventi urgenti di bonifica di alcuni
siti di priorità nazionale relativi ad aree industriali
dismesse, ad aree fatte oggetto di discariche abusive e a
discariche di rifiuti pericolosi gestite in maniera illegale.
A tutt'oggi, nonostante gli sforzi del legislatore, risulta
tuttavia incompleto il quadro nazionale dei siti contaminati e
preoccupano assai la Commissione i recenti casi di siti
contaminati all'interno di siti industriali di aziende
importanti a livello nazionale, mai denunciati, e per i quali
la magistratura ha condotto indagini con le forze di polizia
giudiziaria (es. Enichem di Porto Marghera) o ha posto sotto
sequestro (es. Enichem di Brindisi e Raffineria Esso di
Augusta), ampie zone dei siti produttivi per la presenza di
aree interne contaminate da rifiuti pericolosi (polveri di
PVC, catalizzatori, solventi clorurati etc) interrati. Il
recente differimento dei termini temporali per l'autodenuncia
dei siti contaminati, al 31 marzo del 2001, da parte dei
soggetti interessati, non favorisce certamente la soluzione
dei problemi connessi alle bonifiche e all'impatto negativo
che i siti contaminati possono comportare non solo
sull'ambiente ma anche sulla salute della popolazione esposta.
Destano anche preoccupazione i dati rilevati da questa
Commissione sugli impianti di marketing e della rete vendita
carburanti del settore petrolifero. La ristrutturazione della
rete vendita (si ipotizza interventi su circa 25000 punti
vendita), ai sensi del Dlgs n. 32/98 e nel rispetto del
decreto ministeriale n. 246/99 sui serbatoi interrati, fa
prevedere notevoli interventi di bonifica e ripristino
ambientale una volta rimossi i serbatoi che nel tempo hanno
causato la contaminazione delle falde da idrocarburi, tra cui
il benzene, e da MTBE sostanza cancerogena già oggetto di
indagine specifica negli USA in tempi assai recenti, per come
sopra detto.
LE TECNOLOGIE DI BONIFICA.
USA.
Nell'ambito del "Superfund innovative Technology
evaluation program" sono state sviluppate, come sopra detto,
numerose tecnologie per lo smaltimento dei rifiuti derivanti
dalle operazioni
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di bonifica e per la bonifica stessa effettuata in tre modi:
" in situ" ossia all'interno del sito contaminato, on site,
ossia nell'area contaminata, e off site, ossia al di fuori e
comunque all'esterno dell'area contaminata. Le tecnologie
sviluppate inoltre sono applicate sia in cantieri fissi con
apparecchiature fisse, sia con impianti mobili installati su
trailers. Il rapporto EPA/540/R-97/502 del dicembre 1996 da la
situazione aggiornata dei profili tecnologici dei sistemi di
bonifica. Il "Site program" relativo alle bonifiche è lungi
dal considerarsi concluso, infatti, al suo interno sono
contenuti programmi dimostrativi di nuove tecnologie,
programmi tecnologici per le emergenze, programmi di
caratterizzazione e monitoraggio dei siti contaminati o dopo
bonifica, programmi inerenti al trasferimento di tecnologia.
Alla data del dicembre 1996 risultavano presentati all'EPA n.
80 progetti dimostrativi riguardanti la termodistruzione, la
bioremediation in situ, la bioremediation on pile, il soil
washing, l'estrazione con solvente, la fitoremediation
(orocesso di bonifica dei suoli attraverso l'apparato radicale
delle piante, molto efficace per rimuovere i metalli pesanti),
la solidificazione e la stabilizzazione, l'ossidazione
catalitica, l'iniezione di vapore in situ, la
termoessiccazione, la declorinizzazione, la stabilizzazione in
situ, la vetrificazione in situ. il riscaldamento a
radiofrequenze, la thermal desorption, il trattamento
biologico con funghi, il pump and treat, il bioventing in
situ, lo steam stripping, la vetrificazione ad arco,
l'estrazione in situ e on site sotto vuoto, la gassificazione,
l'ossidazione con raggi ultravioletti,
Canada, Australia.
In Canada sono state sviluppate tecnologie analoghe a
quelle sperimentate negli Stati Uniti d'America. E' stato
attivato un buon mercato di operatori del settore. Le
tecnologie sviluppate riguardano la bioremediation dei suoli
contaminati da idrocarburi, e da pentacloro fenoli, il
lavaggio dei suoli con unità mobili, impianti pilota per la
demercurizzazione dei suoli inquinati, la decontaminazione dei
terreni contaminati da PCB, il trattamento di bioremediation
con biopile, la bioremediation dei terreni contaminati da
benzina a seguito della foratura dei serbatoi interrati,
l'inertizzazione dei metalli pesanti presenti nei terreni e
nei fanghi, il landfarming (bioremediation) di terreni
contaminati da idrocarburi policiclici aromatici.E' stato
anche sviluppato e brevettato un progetto di termodistruzione
denominato Eco-logic capace di trattare 340 tonnellate di
riifuti pericolosi e il costo di investimento si aggira sui
350 miliardi.In Australia, nel Piano regionale rifiuti del
1998 "Inner Sydney Waste Board: Regional Waste Plan 1998"
viene data grande enfasi ai programmi di minimizzazione dei
rifiuti e al riciclo per quanto possibile ed una serie di
raccomandazioni per la gestione delle bonifiche dei suoli
contaminati. Le tecnologie che sono più ricorrenti sono quelle
di bioremediation. E' stato sperimentato un impianto di
termodistruzione il Plascon, capace di trattare 250 tonnellate
di rifiuti con un costo di investimento di 2.5 miliardi.
Pag. 257
Il risanamento dei siti contaminati.
L'esperienza internazionale sulle tecnologie di
bonifica.
Gli Stati Uniti d'America hanno sviluppato nel corso
degli ultimi anni un programma (site programme) che,
permettendo agli operatori del mercato di sperimentare proprie
tecnologie sotto la supervisione dell'EPA (Environmental
Protection Agency), ha condotto all'ottenimento di una serie
di brevetti per la bonifica di siti contaminati da varie
sostanze chimiche. per attuare il risanamento dei siti
contaminati, l'agenzia americana si avvale dei fondi
fiduciari. Il "comprehensive environmental response,
compensation and liability act" (cercla) o superfund, entrato
in vigore nel 1980, conferisce all'Epa l'autorità di
perseguire i responsabili della contaminazione di un sito,
costringendoli a provvedere al suo risanamento. qualora i
responsabili non siano reperibili, o in caso d'urgenza, l'Epa
provvede, in proprio, al risanamento con i fondi fiduciari,
ferma restando la sua facoltà di rivalsa verso i responsabili
per il recupero delle spese sostenute. Il problema dei rifiuti
e del risanamento dei siti contaminati e' molto sentito negli
Stati Uniti d'America, come evidenziato dai notevoli
stanziamenti (circa 2 miliardi di dollari nel 1999) destinati
dal governo a questo problema. Si è accertato infatti che,
conseguenza del non corretto smaltimento dei rifiuti, è la
contaminazione delle falde acquifere, che rappresentano la
sorgente di acqua potabile per la metà del popolo americano.
Per tale motivo, l'azione dell'Epa viene svolta su tre fronti:
(1) risanamento dei siti contaminati, (2) interventi presso i
serbatoi interrati nei quali siano state riscontrate delle
perdite, (3) prevenzione degli spargimenti di petrolio. Una
volta identificato il sito contaminato, viene effettuata una
valutazione preliminare, l'hazard ranking system (hrs), per
determinare se lo stesso meriti l'inclusione nella national
priority list" (npl), ovvero la lista dei siti peggiori, che
comprende oltre 1400 siti, il cui risanamento è previsto
(almeno nella maggior parte dei casi) per il 2001. Le perdite
dai serbatoi interrati rappresentano una delle principali
sorgenti di contaminazione delle falde acquifere (circa il 20%
delle falde acquifere degli Stati Uniti risulta contaminato da
MTBE (metilterziariobutiletere), un composto ossigenato che si
aggiunge alle benzine riformulate per ridurre le emissioni di
un certo numero di inquinanti dell'aria presenti nei gas di
scarico delle automobili). Infine, ogni anno, si verificano
negli Stati Uniti circa 12 mila versamenti accidentali di
petrolio, che in gran parte coinvolgono acque interne e
litorali. Al fine di garantire un'adeguata protezione contro
questi eventi e la predisposizione di adeguate misure di
emergenza, è prevista una stretta collaborazione tra l'EPA. i
governi degli Stati e le amministrazioni locali. L'Hazard
Ranking System, HRS, è il principale meccanismo di cui l'EPA
dispone per inserire i siti di rifiuti incontrollati nella
lista di priorità nazionale (NPL). E' un sistema di vaglio che
utilizza le informazioni ottenute dalle indagini preliminari e
dall'ispezione in loco per valutare il potenziale del rischio
del sito per la salute umana e l'ambiente. Nel settore degli
interventi di messa in sicurezza e di bonifica (sia con
impianti mobili che con installazioni fisse) si è consolidata
una notevole esperienza internazionale che vede gli Stati
Uniti d'America giocare un ruolo dominante grazie anche ai
sopracitati programmi sperimentali attivati con il Site
Programm e con i finanziamenti del Superfund. Il risultato si
Pag. 258
è concretizzato in brevetti e riconoscimenti che hanno
consentito agli operatori di esportare le loro tecnologie in
altri Paesi.Un esame comparativo delle tecnologie di
biorisanamento "in situ" è stato presentato di recente dal
"Department of Defense - National Environmental Technology
Test Site", con riferimento all'attenuazione naturale,
all'iniezione d'ossigeno ed aria ed all'iniezione microbica,
per la bonifica della falde contaminate da idrocarburi
aromatici e da MTBE. Un'altra tecnologia USA, assai
promettente, appare quella denominata "In-situ Air Sparging"
(IAS), che consiste nell'insufflare nel sottosuolo dell'aria
mediante diffusori orizzontali. Tale sistema, rispetto al
"Ex-situ Stripping", presenta il vantaggio di evitare i costi
associati all'estrazione ed alla restituzione dell'acqua di
falda. Un processo col quale è possibile ottenere
l'eliminazione rapida di MTBE e di composti aromatici è quello
dell'ossidazione con microbolle di ozono. Infine per la rapida
eliminazione delle sorgenti di idrocarburi dall'acquifero sono
state utilizzate in combinazione le tecnologie "In-situ Air
Sparging" e "Soil Vapor Extraction". L'Europa ha per prima
assorbito l'esperienza USA, metabolizzandola ed attivando, a
sua volta, propri sistemi di intervento. Ne è derivato di
conseguenza un interessante sviluppo di specifiche tecnologie
(soil washing, bioremediation, inertizzazione, air sparging,
air stripping, etc.). Il travaso di tecnologia dagli USA
all'Europa, è stato accompagnato nel contempo da expertise
professionale, anch'essa recepita ed integrata dai Paesi
comunitari. Il risultato è che oggi in Europa esistono
tecnologie e professionalità consolidate, in Francia, Gran
Bretagna, Olanda, Danimarca, Germania.
Lo scenario dei siti contaminati nella Comunità
europea.
In considerazione della complessità della materia, la
Comunità Europea non ha ancora emanato una specifica direttiva
sui siti contaminati ma ha tuttavia finanziato studi
sperimentali, progetti, interventi, premessa indispensabile
per creare una cultura specifica di settore. Pur tuttavia,
sono numerosi i Paesi comunitari che, singolarmente, anche
dietro pressione dell'opinione pubblica e delle associazioni
ambientaliste, si stanno cimentando, già da qualche tempo e
con successo (i casi dell'Olanda, della Danimarca, della
Germania, lo dimostrano) nel settore degli interventi di
bonifica dei siti contaminati, sviluppando, implementando,
applicando e adattando alle proprie necessità tecnologie USA,
non senza aver elaborato prioritariamente regole applicative
ed amministrative. Secondo stime accreditate, la quantità
totale di terreni contaminati nei paesi europei si aggirerebbe
intorno a 150.000 siti mentre quella relativa ai rifiuti della
contaminazione si attesterebbe intorno ad un miliardo di metri
cubi.
GLI INTERVENTI DI BONIFICA NAZIONALI.
Una delegazione del Ministero dell'Ambiente composta da
esperti nazionali, ebbe modo di verificare, nel corso di una
serie di sopralluoghi in Danimarca nel mese di settembre del
1995, quanto avanti fosse quel Paese nel settore delle
bonifiche . Si constatò infatti, in quella occasione,
Pag. 259
che la tecnologia del lavaggio del suolo realizzato con
progetto Life a Copenaghen su un'area contaminata da catrami
da carbon coke, dell'air stripping seguito da assorbimento su
carbone attivo applicato su terreni di stazioni di servizio
contaminati da benzina, della bioremediation applicata ai
terreni sottostanti ai supermercati Ikea contaminati da PCB,
era applicata quasi routinariamente. Da quell'esperienza non
sono stati ricavati purtroppo utili insegnamenti per il nostro
Paese, dal momento che il settore degli interventi di bonifica
risulta ancora in forte ritardo, in considerazione anche dei
forti costi economici associati. Non tutti i piani regionali
di gestione dei rifiuti comprendono la programmazione degli
interventi di bonifica come invece previsto dall'articolo 22
p.5 del Dlgs n. 22/97.A fronte di una disomogeneità dei piani
regionali di gestione dei rifiuti, vi è tuttavia da prendere
in considerazione anche il fatto che la imprenditoria
nazionale non è stata ancora in grado di sviluppare un'azione
tendente a ricercare tecnologie di intervento autoctone come
dimostrato dal fatto che i pochi operatori presenti sul
mercato, spesso si avvalgono di expertise nord europea o
d'oltre Oceano. In alcuni casi si è assistito ad interventi di
"pseudo bonifica" consistenti in un semplice trasferimento di
rifiuti da discariche abusive a discariche controllate
autorizzate, senza tentare interventi "in situ" che hanno
indubbi vantaggi sia in termini di costi che di minor impatto
ambientale. Negli ultimi tempi, la Commissione ha verificato
altresì il verificarsi del fenomeno per cui, chi è chiamato ad
intervenire, privilegia sempre più la filosofia
dell'intervento di messa in sicurezza permanente di un sito
contaminato ( previsto dalla norma tecnica solo quando
l'applicazione della best available technology non è
sufficiente o ha costi altissimi), piuttosto che un intervento
più radicale e definitivo di bonifica e ripristino ambientale.
A questo punto occorre però rilevare che una norma rigida
basata solo sulla fissazione di limiti di concentrazione dei
contaminanti nei suoli, avulsi da una valutazione di rischio
ha senz'altro sfavorito il ricorso alle operazioni di bonifica
come peraltro ha mostrato l'esperienza dei limiti tabellari
che in alcuni Paesi si sono rivelati inefficaci in assenza di
riferimenti scientifici certi ed affidabili per definire gli
obiettivi di qualità sia per la componente inorganica del siti
e a maggior ragione per quella organica. Il criterio di
accettabilità di un sito non può non considerare
prioritariamente la riduzione del rischio per la salute umana
fino a livelli accettabili. Non è detto infatti che per due
suoli, differenti per caratteristiche geologiche e
idrogeologiche, una concentrazione residua di un determinato
inquinante, fissata per legge, sia cautelativa per entrambi i
siti e che non sia necessario in qualche caso intervenire con
operazioni di clean-up al di sotto del limite di soglia
fissato dal legislatore. Ciò significa che, dato l'alto
impatto delle bonifiche sulle risorse economiche del Paese, si
deve privilegiare, nel pieno rispetto del rapporto
costi/benefici per la comunità, un criterio misto che assegni
ai suoli limiti di accettabilità generici e limiti di clean-up
realistici da raggiungere sulla base delle valutazioni di
rischio, caso per caso, quasi una sorta di negoziazione
fondata su progetti di bonifica in cui sia ampiamente
riportato e dimostrato il criterio di valutazione scelto per
quel sito specifico, supportato ovviamente e obbligatoriamente
da dati sperimentali incontrovertibili. E' questa la strada,
riteniamo, da percorrere come sembra peraltro auspicabile con
il ricorso agli "accordi di programma di risanamento"
ambientale ad
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ampio respiro. Con tale ottica, le autorità locali non
dovranno sentirsi in un certo senso costrette a traguardare in
maniera rigida e asettica la concentrazione di un determinato
inquinante, avulsa dal contesto di risanamento ambientale
globale. In tale contesto deve essere invece vista la
valutazione del rischio come prioritaria ad ogni intervento.
E' questa, forse, la chiave di lettura per spiegare i pochi
esempi di iniziative autonome orientate soprattutto al settore
della messa in sicurezza (vedi il caso dell'Acna di Cengio),
alla bioremediation (siti Montedison),ed a un impianto
sperimentale di estrazione dei suoli contaminati con solvente,
in corso di costruzione a Roma e frutto della esperienza della
società Ecotec e di Enitecnologie. Tale situazione, per certi
versi paradossale, per come sopra detto, ha ingenerato finora,
una forte dipendenza dalle tecnologie di importazione e dagli
operatori esperti stranieri. Né sono sufficienti le iniziative
che negli ultimi due anni si sono timidamente affacciate
all'orizzonte da parte di alcune aziende private, dell'Enea,
dell'Università di Pisa presso l'Istituto del professor
Petruzzelli, dell'Università di Roma presso l'Istituto di
chimica organica del professor Ortaggi, del CNR di Bari che
sta perfezionando studi sulla fitoremediation. E' giunto il
momento che le iniziative, sia nel settore privato che in
quello della ricerca pubblica, data la posta in palio (i
numerosissimi interventi di risanamento), siano supportate da
un forte e coraggioso investimento di risorse da parte dello
Stato, o da finanziamenti pubblico-privati, sulla falsariga
del modello americano che mette alla prova, aiutandoli, i
soggetti che vogliono sperimentare nuove tecnologie sia nel
settore delle smaltimento che delle bonifiche, se non altro
per accelerare i tempi di crescita dell'azienda Italia e
rendere il nostro sistema, competitivo ed autosufficiente.
Sarà altrettanto necessario, per recuperare il gap che
ci separa dall'Europa e dagli USA, promuovere, con maggiore
efficacia di quanto finora fatto, la formazione professionale
specifica sulla materia dedicata a coloro che negli uffici
tecnici comunali saranno chiamati ad esprimere valutazioni e
quindi approvare progetti di bonifica, messa in sicurezza,
ripristino ambientale presentati da terzi. Tale formazione
dovrebbe essere centrata su conoscenze di base di idrogeologia
e geologia del territorio, chimismo dei contaminanti nel suolo
e nelle falde, valutazione dei rischi per la salute dell'uomo
e per l'ambiente, migliori tecnologie disponibili a costi
praticabili. Non si potrà nemmeno prescindere dal promuovere
l'adozione, negli atenei nazionali, di corsi di laurea
specifici e mirati alla problematica delle bonifiche e della
messa in sicurezza e dall'incentivare il ricorso alla
certificazione ambientale e alla dichiarazione di bonifica
ultimata per tutti quei siti destinati ad usi alternativi,
specie nelle aree delle periferie urbane. In allegato è
riportata un'ampia descrizione delle più ricorrenti tecnologie
di bonifica.
Conclusioni.
In conclusione, si deve constatare che il sistema Italia
è in forte ritardo nel settore dello smaltimento, delle
bonifiche e dell'impiantistica ad essi correlata. Esso mostra
forti dipendenze dalle tecnologie straniere, come peraltro
verificato dalla Commissione nel corso della sua missione nel
nord Europa nel settembre del 2000. Vi è però da
Pag. 261
rilevare che, nel nostro Paese, cominciano a profilarsi
all'orizzonte iniziative di privati e di Enti di ricerca in
grado di mettere a disposizione impianti e innovazioni
tecnologiche la cui ricaduta applicativa comunque è prevista
non prima dei prossimi due o tre anni. Non è ancora vincente
l'idea di un sistema di gestione industriale dei rifiuti
tecnologicamente avanzato né, occorre rilevare, si fa strada
la volontà di realizzare bonifche, preferendo a queste
interventi di messa in sicurezza complice anche una normativa
che necessita di aggiustamenti e modifiche. Le iniziative nel
settore pubblico e privato richiedono un forte incentivo da
parte dello Stato, tramite lo stanziamento di fondi superiori
a quelli già erogati e ciò al fine di accelerare i tempi di
crescita delle aziende nostrane e rendere il "sistema Italia"
autosufficiente. Sono ancora lunghi i tempi di recupero
richiesti per realizzare il sistema integrato dei rifiuti che
soffre ancora di problemi strutturali, di ritardi dovuti alla
emanazione della normativa secondaria e alla difficoltà di
adeguamento di quella regionale a quella nazionale. Occorre
rilevare che è necessario elevare la quota della raccolta
differenziata nazionale e quella della termovalorizzazione con
recupero di energia, abbandonando o limitando fortemente la
logica programmatoria ancora e per buona parte delle Regioni
volta all'utilizzo pieno della discarica piuttosto che ad un
utilizzo residuale. Per fare ciò un ruolo findamentale lo
possono assolvere le tecnologie disponibili sul mercato anche
se ancora di prevalente origine internazionale.Fatte salve
tutte le difficoltà sopra descritte, sarà altrettanto
necessario, per recuperare il gap che ci separa
dall'Europa e dagli USA, promuovere, con maggiore efficacia di
quanto finora fatto, la formazione professionale specifica
sulla materia dedicata a coloro che negli uffici tecnici
comunali saranno chiamati a concedere autorizzazioni per
impianti tecnologici di smaltimento dei rifiuti o di recupero
degli stessi o ad esprimere valutazioni e quindi approvare
progetti di bonifica, messa in sicurezza, ripristino
ambientale presentati da terzi. Tale formazione dovrebbe
essere centrata su conoscenze di base di idrogeologia e
geologia del territorio, chimismo delle inertizzazioni e
chimismo dei contaminanti nel suolo e nelle falde, valutazione
dei rischi per la salute dell'uomo e per l'ambiente, migliori
tecnologie disponibili a costi praticabili, valutazioni di
impatto ambientale delle aree di stoccaggio e degli impianti
di smaltimento Non si potrà nemmeno prescindere dal promuovere
l'adozione, negli atenei nazionali, di corsi di laurea
specifici e mirati alla problematica delle bonifiche e della
messa in sicurezza e dall'incentivare il ricorso alla
certificazione ambientale e alla dichiarazione di bonifica
ultimata per tutti quei siti destinati ad usi alternativi,
specie nelle aree delle periferie urbane.Solo un radicale
cambio culturale nella direzione dello sviluppo sostenibile e
di una maggiore coscienza ecologica della popolazione potrà
contrastare una sempre più crescente sindrome nimby
(not in my backyard) che, alimentando oltre misura la
sensibilità della popolazione, esaspera i toni di un
ambientalismo catastrofista che non incoraggia e non aiuta
l'imprenditoria ma favorisce solo il malaffare sempre pronto a
rendere i propri servigi a bassi costi, negando ogni
competetitività del sistema dell'imprenditoria. Un ruolo
importante di supporto all'attuazione dei principi dello
sviluppo sostenibile dovrà giocarlo la scuola con programmi di
educazione e sensibilizzazione ecologica.
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Panoramica sugli impianti di termodistruzione.
Stati Uniti d'America.
Fino agli anni '80 negli Stati Uniti d'America venivano
bruciati rifiuti urbani tal quali solo al fine di ridurne il
volume e senza preoccuparsi di recuperare energia. Dal 1980 si
sono programmanti interventi per recupero di energia sotto
forma di vapore e di elettricità, Nel 1997 si contavano n. 112
termodistruttori con recupero di energia per una capacità di
101.360 tonnellate/giorni di rifiuti tal quali da trattare
mentre solo n. 19 erano i termodistruttori senza recupero di
energia in grado di trattare 2.445 tonnellate giorno di
rifiuti solidi urbani. In questi ultimi anni sta crescendo
l'interesse di sottoporre a termodistruzione rifiuti solidi
urbani non più tal quali ma provenienti da una separazione a
monte. E' sviluppata la termodistruzione dei pneumatici, del
legno, della carta e della plastica per un totale di 2.5
milioni di tonnellate. Oggi il dato consolidato è di 36.7
milioni di tonnellate di rifiuti totali che vengono sottoposti
alla termodistruzione, ossia il 17% del totale prodotto.
Europa.
Come si è visto, in Europa, in cui si contano 270
termodistruttori, il ricorso alla tecnologia della
termodisutruzione con recupero di energia è prevalente
rispetto allo smaltimento in discarica. E' infatti, come
conferma uno studio di Federambiente (1), assai consolidata la
filosofia che dal "bene" rifiuto si può ricavare energia da
destinare alla produzione di calore da utilizzare con il
teleriscaldamento delle città e di energia elettrica da
distribuire in rete o per l'autoproduzione. Riguardo al tipo
di forni (2) vi sono numerose installazioni e progetti in fase
avanzata di realizzazione che utilizzano la combustione con
letto fluido circolante, la pirolisi a letto fluido e la
gassificazione sia a letto fisso che a letto fluido
circolante. Numerose sono altresì le installazioni con "treni"
di trattamento delle emissioni assai sofisticati in quanto le
normative locali richiedono valori assai stringenti sui
microinquinanti tra cui le diossine. Anche il problema delle
ceneri ha trovato una soluzione tecnica soddisfacente con i
trattamenti e lo smaltimento in discarica.
La termodistruzione dei rifiuti industriali in
Europa.
Sul fronte della termodistruzione dei rifiuti
industriali, in Europa vi sono almeno 17 unità assai
importanti cui fanno ricorso anche numerose aziende italiane
che conferiscono i loro rifiuti attraverso società
intermediarie (3).
Aspetti tecnici della termodistruzione.
Si può affermare che con il termine "termodistruzione" si
può indicare un insieme di processi termici (1) nel quale le
molecole del rifiuto vengono distrutte per via termica sia per
semplice riscaldamento che per reazioni chimiche
esotermiche.
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La combustione.
Nel processo di combustione le sostanze ossidabili del
rifiuto contenenti carbonio e idrogeno e che costituiscono il
"combustibile", vengono a contatto con ossigeno o con aria e,
in condizioni ottimali di processo, attraverso una serie di
reazioni chimiche esotermiche, danno luogo alla formazione di
vapore acqueo e di anidride carbonica. Se nel rifiuto è
contenuto, cloro, fosforo, zolfo, fluoro, metalli, nel gas
finale di combustione si avrà, oltre all'anidride carbonica,
al vapore acqueo si troverà anche acido cloridrico, anidride
fosforica, biossido di zolfo, acido fluoridrico, ossidi di
metalli, ossidi di azoto. Normalmente la quantità di aria
(comburente) necessaria alla completa combustione viene detta
"stechiometrica" e per ogni chilogrammo di CH2 è richiesta una
quantità di 15.7 chilogrammi di aria. Se invece si opera con
quantità di aria superiori o inferiori a quella stechiometrica
si dice che la combustione avviene in eccesso o in difetto
d'aria. Le combustioni in difetto di aria, in quanto non vi è
ossigeno sufficiente per una combustione completa, danno
origine a sostanze intermedie di combustione e a monossido di
carbonio. Quando si opera con eccessi di aria, la combustione
si completa ma i gas di combustione sono più diluiti ed
inoltre si ha un abbassamento della temperatura rispetto alla
reazione stechiometrica. Nei processi di combustione in cui
sono coinvolti i rifiuti o comunque sostanze che possono
comportare problemi ambientali occorre che la combustione
permetta la massima ossidazione dei componenti il rifiuto e la
minima produzione di sostanze inquinanti, dette
"microinquinanti" che, anche in bassa concentrazione,
interagiscono negativamente con l'ambiente. Ovviamente, un
risultato ottimale si ottiene se, oltre al controllo della
combustione, l'impianto è dotato di sistemi efficienti di
abbattimento delle emissioni.
La combustione catalitica.
Si parla di combustione catalitica quando una sostanza
organica, in presenza di un catalizzatore viene combusta a
temperature di gran lunga più basse rispetto a quelle della
combustione normale. Le sostanze usate come catalizzatori
possono essere il platino, il cromo, il manganese, gli ossidi
di rame. Il platino ha la capacità di abbassare di più la
temperatura di combustione. Le temperature in gioco nella
combustione catalitica completa sono di norma comprese tra
500^C e 550^C. Il processo di combustione catalitica è
complesso e comprende la diffusione dei reagenti sulla
superficie del catalizzatore, l'adsorbimento di questi sulla
superficie, la reazione tra le sostanze adsorbite, l'abbandono
della superficie del catalizzatore da parte dei prodotti della
combustione e la loro diffusione nei gas finale. La
combustione catalitica è utilizzata per la distruzione di
sostanze organiche presenti in basse concentrazioni che ,in un
processo di combustione normale, non sarebbero in grado di
sostenere il processo ossidativo.
La pirolisi.
E' un processo di distruzione delle sostanze organiche
che avviene termicamente in assenza di ossigeno. I gas della
reazione pirolitica
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sono costituiti da metano, monossido di carbonio, vapore
acqueo. Tali gas sono miscele a loro volta combustibili. La
pirolisi è un processo assai complesso in cui avvengono
reazioni di decomposizione, di cracking esotermiche ed
endotermiche ed è controllato essenzialmente da due fattori:
la trasmissione di calore, spesso predominante e la velocità
di reazione. Un processo di pirolisi generalmente si completa
ad una temperatura intorno ai 1000^C con tempi di
riscaldamento (più precisamente di pirolisi) che vanno da
qualche secondo a qualche decina di minuti. La natura dei
prodotti della pirolisi è strettamente dipendente da quella
del rifiuto di partenza, dalle temperature raggiunte nel
processo e dai tempi di permanenza del rifiuto nel reattore di
pirolisi.
La gassificazione.
Il processo di gassificazione è un insieme di altri
processi il cui risultato finale, a partire da un combustibile
solido, consiste nella produzione di un combustibile
generalmente gassoso o sotto forma di vapore. Il gas prodotto,
composto principalmente di monossido di carbonio, di metano e
da altri idrocarburi leggeri e di idrogeno, dopo una serie di
lavaggi, viene utilizzato come combustibile il cui potere
calorifico si aggira intorno ai 1500-2500 kcalorie per normal
metro cubo. I processi di gassificazione, di norma, sono
condotti in difetto di aria. Quando nel processo di
gassificazione si opera a temperature dell'ordine di 900^C
-1000^C, aumenta la concentrazione del monossido di carbonio,
mentre per temperature intorno ai 700-800 ^C prevale la
formazione di idrogeno.
La torcia al plasma o dissociatore molecolare.
Il plasma è un gas ionizzato che costituisce il quarto
stato della materia ed è presente in natura, per esempio,
quando si verifica il fenomeno dell'aurora boreale. Per
produrre artificialmente il plasma si utilizzano le cosiddette
"torce al plasma" con le quali si ottengono altissime
temperature, fino a 14.000 ^C che non è possibile raggiungere
con altre tecnologie disponibili. Nelle condizioni termiche
che si producono con la torcia al plasma avviene una
"dissociazione molecolare" di ogni tipologia di rifiuto sia
esso organico che inorganico, pericoloso o non pericoloso. Il
processo con torcia al plasma avviene in assenza di ossigeno e
non dà luogo quindi a combustione. I tempi della dissociazione
molecolare alle alte temperature sono dell'ordine di millesimi
di secondo. Se la dissociazione viene accompagnata da aggiunta
di quantità precise di acqua, nel reattore si ha la
gassificazione istantanea di ogni rifiuto organico in gas di
sintesi e si evita cosi la formazione di diossine. Alle
temperature in gioco (3000^C) avviene anche la fusione e
l'inertizzazione delle specie metalliche tossiche che possono
essere recuperate e non si formano scorie o ceneri. I gas
prodotti dalla torcia al plasma, iniettati in una turbina,
permettono la generazione di energia. La Global Plasma System
Corporation (GPSC) di Washington DC, USA, detiene due brevetti
di pirolisi e vetrificazione mediante torce al plasma, mentre
la Westinghouse Electric, associata alla GPSC, è la
Pag. 279
fornitrice del sistema plasma.Infine la Babcock Wilcox
Espana, di Bilbao è la società associata alla GPSC per la
parte impiantistica Waste to Energy, ed è la partner europea
specialista in impianti "chiavi in mano". La tecnologia al
plasma è certamente promettente per il suo impatto positivo
sull'ambiente ma in Italia, per come detto in precedenza è
ancora allo stato embrionale di sperimentazione.
I sistemi di combustione.
Forni a griglia.
La combustione dei rifiuti, in particolare di quelli
solidi urbani avviene spesso nei forni a griglia assai diffusi
a livello mondiale. La tecnologia di tali forni è ormai
consolidata e i miglioramenti possibili attengono alla natura
dei refrattari ed ai profili fluidodinamici della combustione
e l'ottimizzazione della griglia. La potenzialità di tali
forni va dalle 40 alle 1000 tonnellate/giorno. L'aria di
combustione (primaria) viene iniettata sotto la griglia e
quella secondaria sopra il letto del rifiuto per favorirne una
più completa distruzione. Spesso la griglia è del tipo mobile
e il rifiuto è tenuto in continuo movimento. Esistono griglie
a rulli e a gradini che assumono diverse configurazioni a
seconda delle ditte che le costruiscono: Si hanno così griglie
D.B.A. (Deutsche Babcock Anlagen), Von Roll, Martin, Riley
etc. In tale forno i tempi di residenza sono normalmente
compresi tra 30 e 60 minuti. Una elevata efficienza di
combustione si può ottenere valutando bene il carico termico
superficiale della griglia e i tempi di residenza non troppo
brevi. Importanti sono pure la geometria e il volume della
camera di combustione. La natura della griglia, la sua durata,
le caratteristiche, sono elementi fondamentali per garantire
una buona combustione. Per esempio essa non deve deformarsi
con il calore e non deve intasarsi impedendo cosi il passaggio
dell'aria di combustione.
Tamburo rotante.
Si tratta di forni costituiti da un cilindro rotante
inclinato da 1 a 3% per favorire il movimento del rifiuto
solido. La combustione in tali tamburi avviene per contatto
con la parete del forno rivestita con mattoni refrattari. Le
scorie di combustione vengono scaricate dall'estremità opposta
alla testa di carico del rifiuto. In tali forni non vi è un
efficace mescolamento e un contatto sufficiente con l'aria di
combustione per cui, a valle della combustione, sono necessari
sistemi di post-combustione per migliorare e completare la
combustione. Se il flusso del letto di rifiuto e il gas
comburente avviene nella stessa direzione si hanno i forni in
equicorrente, se i due flussi avvengono in direzioni opposte
si hanno i forni controcorrente. Il tempo di permanenza nel
forno è controllato dalla lunghezza del cilindro, dal diametro
interno, dalla inclinazione e dal numero di giri. Data la sua
flessibilità, al di là dei limiti su esposti, si può affermare
che il forno rotante, e l'esperienza operativa lo conferma,
sia un sistema di incenerimento semplice ed affidabile, capace
di operare in diverse condizioni di alimentazione purchè vi
sia una attenta gestione.
Pag. 280
Letto fluido.
Il forno a letto fluido è costituito da un cilindro
verticale in cui il rifiuto da distruggere è tenuto in
sospensione per mezzo di una corrente d'aria che attraversa
una griglia su cui è posato un letto di sabbia che si mescola
al rifiuto in fase di sospensione. Un fattore che regola il
funzionamento del letto è la velocità superficiale dell'aria
detta anche di fluidificazione che è data dalla portata
volumetrica dell'aria divisa per la sezione del letto. La
diffusione di tale forno nel settore petrolifero e
petrolchimico ora si è estesa anche al settore dei rifiuti
urbani, al residual derived fuel (RDF) e si pensa che si
estenderà anche al CDR. In tale forno è possibile un miglior
controllo degli inquinanti in fase di combustione e una buona
flessibilità rispetto al carico che si ottiene con il
controllo dell'aria di combustione: Sono poche le parti
meccaniche in movimento e vi è un basso contenuto organico
nelle scorie. Tra i fattori negativi vi è la possibilità che
il letto sinterizzi e si defluidifichi a causa della fusione
della sabbia con sostanze basso fondenti presenti nel rifiuto.
Il forno può operare a pressione atmosferica o a pressione più
alta .Normalmente si preferisce la pressione atmosferica.
Esistono anche varianti di forni ricircolati dove si ha un
trascinamento di particolato che viene ricircolato e
depositato sul letto dopo essere passato in un ciclone di
separazione e prima che i fumi lascino il letto. Ciò consente
una turbolenza che evita le disomogeneità del processo e
favorisce l'efficienza dello scambio termico. L'alimentazione
deve avvenire con pezzature opportune di materiale da 50 a 60
millimetri. Le temperature in gioco sono dell'ordine degli
850^C anche se spesso alla combustione viene associata una
camera di post-combustione che porta la temperatura fino a
950-1000 ^C. Tali forni operano con eccessi d'aria compresi
tra il 20 e il 40 per cento e si possono raggiungere
rendimenti termici del 99% dove per rendimento termico si
intende il rapporto in volume tra la CO2 nei fumi e la somma
di CO e CO2.
Forno a suola a piani multipli.
Tale tipo di forno trova impiego nell'incenerimento dei
fanghi con una umidità che si aggira tra il 50% e l'85%. Non
si adatta per l'incenerimento di solidi. I piani di tali
forni, vere e proprie fornaci, sono variabili tra i 5 e i 12.I
fanghi vengono introdotti sul primo piano a partire dall'alto
e, tramite bracci rotanti, passano ai piani inferiori
successivi. La combustione avviene nei piani centrali del
forno con temperature dell'ordine dei 900-1000^C, mentre i gas
in uscita hanno temperature nel range 400 - 700^C. Problemi di
tali forni sono costituiti dagli odori dei gas in uscita( che
richiedono una fase di post-combustione) e dalla fusione delle
ceneri,
Camere di post-combustione.
Le camere di combustione, poste a valle delle camere di
combustione, vengono utilizzate per completare la combustione
dei gas prodotti nella camera primaria. I parametri che di
norma sono
Pag. 281
controllati nella camera di post-combustione sono il tempo
medio di residenza dei fumi, la temperatura dei fumi, la
turbolenza, il contenuto di ossigeno dei fumi.
Le tecnologie di trattamento delle emissioni.
Filtri elettrostatici.
Nonostante abbiano avuto finora largo impiego, tali
sistemi sono sempre di più sostituiti da sistemi filtranti più
efficaci ed efficienti per l'abbattimento delle emissioni e il
raggiungimento degli standard fissati dalle severe leggi
sull'inquinamento dell'aria. Tali filtri permettono la
separazione delle particelle solide e liquide dai gas che
vengono convogliati in un campo elettrostatico. In tale
passaggio le particelle si caricano elettricamente e una volta
immerse in un campo elettrico, si raccolgono sull'elettrodo,
vengono rimosse e liberano l'elettrodo che raccoglie poi le
successive particelle. I vantaggi offerti da tali filtri sono
costituiti dalle elevate efficienze di rimozione dell'ordine
del 99% anche per basse granulometrie dell'ordine dei 5
microns. Sono anche basse e modeste le perdite di carico in
confronto ad altri sistemi di uguale efficienza. Tra i fattori
negativi vi è l'alto costo di installazione, il rischio di
incendi e di esplosioni e l'impiego di mano d'opera
specializzata per le operazioni di gestione e manutenzione.
Mezzi filtranti.
Sono considerati i migliori sistemi per l'abbattimento
delle polveri negli impianti di termodistruzione dei rifiuti.
Il particolato presente nei fumi secchi viene catturato
aerodinamicamente su mezzi assorbenti costituiti da tessuti o
mezzi porosi. Dopo un primo assorbimento si forma uno strato
di materiale particolato che funge anch'esso da mezzo
filtrante. L'accumulo di particolato, tuttavia, abbassa
l'efficienza del mezzo filtrante e provoca perdite di carico
che richiedono la rimozione delle polveri stratificate.
Normalmente tali mezzi filtranti sono costituiti da uno o più
comparti distanziati tra loro e aventi forma di maniche o
sacchi. I vantaggi di tali filtri rispetto ad altri sistemi
simili sono costituiti dalla elevata efficienza, valutata
intorno al 99% di captazione per ogni tipo di granulometria.
Non vi sono problemi di corrosione ne di scarichi liquidi. A
volte si utilizzano additivi che vengono iniettati nel flusso
gassoso e permettono l'assorbimento e la rimozione dei gas sul
letto filtrante. Lo svantaggio consiste nell'usura delle
maniche a causa delle temperature in gioco, nell'intasamento
del tessuto se sono presenti nei gas sostanze igroscopiche o
adesive.
Depolveratori a umido.
Si usano quando vengono termodistrutti i fanghi o alcuni
tipi di residui industriali. Quando nel gas che contiene le
polveri è presente anche un inquinante gassoso solubile in
mezzo acquoso, il sistema ad umido è capace di trasferire la
massa dell'inquinante nella fase
Pag. 282
liquida. Il liquido di depolverazione è a volte costituito da
goccioline atomizzate stese sulle pareti del condotto in cui
transita il flusso gassoso. I depolveratori ad umido più
utilizzati sono le torri di lavaggio a spruzzo con anelli o
materiali di riempimento fissi o in movimento e i sistemi
Venturi. L'efficienza massima si ottiene con i Venturi ed è
regolata dalla velocità del gas nella parte più stretta del
sistema e dal grado di dispersione dell'acqua. La
depolverazione ad umido offre indubbi vantaggi in quanto,
oltre al trattamento di emissioni gassose, ha buona efficacia
anche sulle particelle solide fini, riduce i rischi di
esplosioni e di incendio e offre ingombri bassi. Gli svantaggi
sono il conseguente inquinamento delle acque e la produzione
di fanghi, la bassa temperatura dei fumi che vengono emessi
dal camino allo stato molto umido.
Sistemi di assorbimento.
L'assorbimento di gas e vapori acidi o basici su liquidi
è un processo ad umido in cui il liquido esausto può
generalmente essere rigenerato in sistemi di deassorbimento
rimettendo in ciclo il liquido stesso di assorbimento.
Esistono anche processi a secco che utilizzano il calcare, la
calce atomizzata per l'assorbimento dei gas. L'efficienza di
tali sistemi è alta per gas molto reattivi come per esempio la
SO2, l'acido cloridrico, l'acido fluoridrico. I problemi di
tali sistemi sono legati allo smaltimento dei prodotti di
assorbimento ove questi non possano essere riciclati.
Sistemi avanzati.
In alcuni impianti complessi di trattamento dei rifiuti
per termodistruzione, esiste una serie di configurazioni
particolarmente predisposte per l'abbattimento dei
microinquinanti in cui sono installati anche altri sistemi per
l'abbattimento o la riduzione degli ossidi di azoto. Tali
sistemi prendono il nome di SNCR ossia "selective non
catalytic reduction" o SCR "selective catalytic reduction".
- SNCR -
In camera di combustione viene addizionata urea o
ammoniaca o composti ammidici per cui si ha una reazione ad
alta temperatura tra gli ossidi di azoto e l'additivo immesso
che porta alla formazione di azoto molecolare. Per ottenere la
massima efficienza del processo e la minima perdita di
ammoniaca (aggiunta in eccesso) occorre ben posizionare gli
ugelli di iniezione nelle zone comprese in ben determinati
intervalli di temperatura tra 900^C e 1000 ^C. Il rendimento
di rimozione degli ossidi di azoto può raggiungere valori
anche del 70%. E' da notare che in tali condizioni, la
presenza di ammoniaca comporta anche una riduzione delle
diossine a valle della caldaia. Tale fenomeno sembra sia
collegato alla inibizione dell'attività catalitica delle
ceneri volanti nei processi di riformazione delle diossine a
bassa temperatura.
Pag. 283
-SCR -
In questo caso la conversione degli ossidi di azoto
avviene a basse temperature dell'ordine dei 250-350^C, in
quanto si utilizzano catalizzatori a base di platino, titanio,
vanadio. L'unità catalitica di conversione viene collocata a
valle del sistema di depolverazione e assorbimento. In tal
modo si ridurranno notevolmente i rischi di disattivazione del
catalizzatore. Tale sistema di catalisi incide efficacemente
anche sulla conversione di composti organici in quanto,
essendo esso in grado di fissare l'ossigeno libero presente
nei fumi, innesca reazioni di ossidazione. Le riduzioni degli
ossidi di azoto sono intorno all'80%. Se il convertitore
catalitico viene inserito a valle di un elettrofiltro , di un
lavaggio a due stadi con un condensatore ed un Venturi, si
hanno anche conversioni elevate dell'ordine del 90-95% anche
per le diossine e furani il che consente di raggiungere valori
di concentrazione residua di TCDD nei fumi inferiori a 0.1
nanogrammi/ Nmc. Nel caso in cui il convertitore catalitico
sia posto a valle di un impianto a semisecco con filtro a
maniche, il dosaggio di solfuro sodico è efficace per la
rimozione del mercurio.
(1) Istituto per l'Ambiente 1995 - Tecnologie per il
trattamento e lo smaltimento dei rifiuti di origine
industriale - 1 la Termodistruzione - a cura di D. Pitea, M.
Giugliano.
(2) Fondazione Lombardia per l'Ambiente 1996 - La
termoutilizzazione nello smaltimento dei rifiuti.
Norme tecniche per la realizzazione delle
discariche
La deliberazione del 27 luglio 1984, come sopra detto,
detta i criteri tecnici per la progettazione, installazione ,
gestione, delle discariche controllate per ospitare rifiuti
urbani e speciali. La normativa tecnica è derivata da quella
dei Paesi del nord-Europa e d'oltre Oceano degli anni '80.Il
principio fondamentale che deve guidare chi si accinge a
progettare una discarica controllata di rifiuti è quello di
prevedere un sistema di impermeabilizzazione naturale a base
di argille di determinato spessore o artificiale a base di
teli plastici aventi spessori e caratteristiche di resistenza
atti ad evitare comunque che, a causa di rotture o
fessurazioni del manto, possano insorgere contatti diretti tra
il percolato e la falda idrica sottostante. La severità
costruttiva delle discariche secondo la norma italiana è
strettamente connessa con la tipologia e con le
caratteristiche dei rifiuti che in esse verranno ospitate e
cresce dalla I categoria A (che ospita i rifiuti solidi
urbani) alle categoria B e C che ospitano rifiuti speciali.
L'esperienza nazionale della gestione delle discariche
controllate ha mostrato che la norma tecnica deve essere
implementata e in tal senso urge l'emanazione del decreto
attuativo dell'articolo5, comma 6, del decreto legislativo 5
febbraio 1997 n. 22 che relativamente ai rifiuti solidi
urbani, a nostro giudizio, dovrebbe tenere in considerazione
se non inglobare del tutto quanto riportato nelle "linee guida
per le discariche controllate di rifiuti solidi urbani"
Pag. 284
ossia il documento redatto dal CISA (Centro di ingegneria
ambientale e sanitaria dell'Università di Cagliari) nel 1997
cui hanno aderito almeno 80 esperti nazionali di
pianificazione ambientale, fisici, chimici, ingegneri,
igienisti, legali, amministrativisti. Nel documento viene dato
ampio risalto:
ai criteri di pianificazione sia su vasta scala che a
scala locale;
alla scelta del sito e alla sua caratterizzazione
attraverso un attento studio della topografia, delle attività
antropiche;
alle caratteristiche naturalistiche ed agroforestali,
geologiche, pedologiche, idrografiche, geotecniche etc.;
agli aspetti di stabilità e deformazione delle
discariche sia del corpo dei rifiuti, sia dei rivestimenti,
della copertura finale in fase di ripristino, delle arginature
e delle opere di sostegno;
al "sistema barriera di base" con la scelta dei
materiali e degli strati di impermeabilizzazione, al sistema
di drenaggio, raccolta del percolato, gestione, monitoraggio
del percolato;
al sistema di prevenzione della contaminazione della
falda;
al sistema di gestione del biogas sia in termini di
captazione che di trasporto, di controllo della diffusione e
dello smaltimento;
alla gestione della discarica (organizzazione, aree di
servizi, piani di gestione, raccolta dati, aspetti economici
ed amministrativi etc);
modalità di gestione post-esercizio;
ai sistemi di tutela della popolazione, della sicurezza
dei lavoratori;
agli aspetti igienico-sanitari e ai programmi di
certificazione di qualità sia della gestione che del sito
scelto.
Nel panorama internazionale delle tecniche di
realizzazione delle discariche controllate va rilevato che, il
manuale tecnico "Solid waste disposal facility criteria"
redatto dall'EPA-USA nel 1993 e aggiornato nel mese di aprile
del 1998 come documento EPA 530-R-93-017, è oggi da ritenersi
uno strumento assai avanzato da utilizzare da parte di chi è
chiamato a normare, progettare, costruire nel settore delle
discariche a minor impatto ambientale.
Il panorama internazionale delle discariche.
Nel panorama internazionale si evidenzia che il ricorso
alla discarica come sistema di smaltimento è ancora assai
diffuso e variegato pur con diverse percentuali di utilizzo.
Negli Stati Uniti d'America, per esempio, in cui la produzione
di rifiuti solidi urbani è passata da 88 milioni di tonnellate
del 1988 a 217 milioni di tonnellate del 1997, pur vigendo un
approccio di gestione integrata, il ricorso alla discarica
controllata (landfill) nei 2200 siti comunali
Pag. 285
risultava nel 1997 dell'ordine del 45% a fronte di un 27% di
riciclo includente il compostaggio e di un 18% di
termodistruzione. In Giappone il dato del ricorso alla
discarica si attesta mediamente intorno al 25% essendo
prevalente la termodistruzione (circa il 73%) e poco praticato
il recupero. In ambito europeo la situazione, per ciò che
attiene ai rifiuti solidi urbani, a metà degli anni '90 era la
seguente:
...(omissis)...
In Italia agli inizi degli anni '90 si avevano valori
intorno al 90% per la discarica, al 6% per la termodistruzione
e al 4% per il recupero. Dal secondo rapporto sui rifiuti
solidi urbani e sugli imballaggi e rifiuti da imballaggio,
elaborato dall'Osservatorio Nazionale rifiuti e dall'Anpa e
riferito al periodo 1996-1997, si evince che lo smaltimento in
discarica si è attestato al 79.9%, la termodistruzione al
6.6%, la produzione di compost e CDR (combustibile derivato
dai rifiuti) intorno al 9.4% e gli altri trattamenti intorno
al 1.2%.
I sistemi di trattamento.
Il trattamento dei rifiuti solidi urbani.
I rifiuti solidi urbani sono sottoposti a procedure
diverse a seconda della loro destinazione. Nel caso
dell'avviamento in discarica o alla termodistruzione tal quali
(tale pratica è ancora in uso, nonostante la normativa vigente
imponga la raccolta differenziata, il recupero e la
limitazione dell'utilizzo delle discariche da 1 gennaio 2001),
il rifiuto raccolto dai servizi comunali, viene avviato alle
stazioni di trasferenza nelle quali viene pressato in macchine
compattatrici, regettato e avviato allo smaltimento. Una volta
abbancato in discarica viene deodorizzato utilizzando
opportuni agenti chimici o poliuretani sotto forma di spray,
ricoperto con inerte e successivamente compattato. Il
percolato prodotto dai processi fermentativi e dal dilavamento
delle piogge viene periodicamente raccolto e avviato agli
impianti di depurazione o riciclato in testa alla discarica.
Se invece il rifiuto urbano viene sottoposto a raccolta
differenziata sia con il sistema di raccolta porta a porta in
contenitori
Pag. 286
separati messi a disposizione dei cittadini ,sia per mezzo di
cassonetti di colore diverso per la raccolta singola o
multimateriale, allora i trattamenti sono di due tipi:
selezione manuale o meccanica della frazione secca
(comprensiva di deferrizzazione dei materiali metallici per
mezzo di elettrocalamite) da avviare successivamente alle
filiere di recupero di legno, carta, alluminio e metalli,
vetro, plastica e compostaggio della frazione umida da rifiuto
urbano tal quale per l'ottenimento di un compost di bassa
qualità o dai residui dei mercatali e delle operazioni di
sfalcio e giardinaggio per ottenere invece un compost di
qualità. Mentre per il recupero della frazione secca i singoli
materiali vengono avviati alle filiere delle aziende di
produzione di plastica, vetro, carta, alluminio etc, nel caso
del compostaggio la frazione umida in alcune regioni viene
compostata in idonei compostatori in legno aerati a cura delle
stesse famiglie che la producono (es. Trentino) o conferita ad
operatori che la avviano a impianti di compostaggio. I
problemi che si pongono con tali impianti sono essenzialmente
quelli dei cattivi odori (che non favoriscono il consenso
delle popolazioni esposte) ove questi non siano provvisti di
idonei biofiltri a letto torbiero o a microorganismi
supportati su anelli ceramici. Gli impianti sopracitati sono
provvisti di biofiltri e solo nel caso del sito di Tempio
Pausania è necessario potenziare l'unico filtro a letto
torbiero esistente, data l'intensità dei cattivi odori,
peraltro verificata dalla Commissione nel corso della visita
nella regione Sardegna nei giorni 30 e 31 dello scorso mese di
gennaio.Particolari dettagli possono riscontrarsi
nell'allegato al documento.
Il trattamento dei rifiuti di origine sanitaria.
Ai sensi dell'articolo 45 del decreto legislativo n. 22
del 5 febbraio 1997, i rifiuti di origine sanitaria, subiscono
un trattamento di smaltimento definito per termodistruzione
preceduto per alcune tipologie da disinfezione. Il decreto
attuativo dell'articolo 45, da poco emanato, dà la possibilità
di avviare tali rifiuti alla discarica controllata previa
sterilizzazione ove il fabbisogno degli impianti di
termodistruzione non risulti adeguato. In tal caso però la
procedura del conferimento in discarica è subordinata
all'autorizzazione del presidente della regione interessata,
d'intesa con i ministri della Sanità e dell'Ambiente. Impianti
con tecnologia accettabile sono quelli della ditta Mengozzi di
Forlì e dell'Ama di Ponte Malnome a Roma che tuttavia
richiedono una più accurata gestione, soprattutto per ciò che
riguarda le emissioni di mercurio.
Trattamento del percolato di discarica.
Il percolato, com'è noto, si forma a seguito delle
degradazione fermentativa dei rifiuti organici collocati nella
discarica e del dilavamento della superficie esposta dei
rifiuti causato dalle piogge che, infiltrandosi nel corpo
della discarica, percolano e permeano il corpo stesso
raggiungendo poi il fondo. Periodicamente è previsto che il
percolato venga allontanato prelevandolo, a mezzo pompe, dai
pozzi appositamente installati nella discarica e che vengono
alimentati
Pag. 287
dalla rete di drenaggio presente sul fondo stesso della
discarica. Data la composizione chimica del liquido (alti
valori di COD e BOD) esso va trattato in impianti di
depurazione biologici possibilmente muniti di sezione dei
denitrificazione, in considerazione della concentrazione di
ammoniaca presente nel percolato stesso.
Il trattamento dei rifiuti speciali.
I rifiuti speciali comprendono un'ampia gamma di
tipologie che va dai rifiuti inerti ai rifiuti speciali
pericolosi di origine industriale.
Nel caso dei rifiuti inerti, i trattamenti sono limitati
alla frantumazione (seguita in qualche caso da vagliatura e
separazione per pezzatura), al bagnamento per minimizzare i
problemi di polverosità durante il trasporto e durante
l'abbancamento in discarica. Un particolare trattamento
subiscono le lastre di eternit che sono miscele di
cemento-amianto. Tali lastre una volta, rimosse dai capannoni
o da altri manufatti, vengono bagnate, avvolte con teli di
plastica, sigillate e conferite nelle discariche, avendo cura
di non provocare rotture durante le fasi di abbancamento. Ciò
al fine di evitare la dispersione di fibre libere di amianto
cancerogeno in atmosfera.
I rifiuti speciali possono essere trattati ai fini di un
loro corretto smaltimento o di un loro recupero. Con le
operazioni di centrifugazione o filtropressatura effettuate
per es. su fanghi della industria petrolifera, chimica,
farmaceutica, vengono recuperati prodotti ancora utilizzabili
separandoli dalle torte (filter cake) che, dopo successivo
trattamento di inertizzazione, vengono avviate alla discarica
controllata. Nel settore farmaceutico, dai brodi di cultura o
dai liquidi biologici esausti, è possibile recuperare i
principi attivi o comunque le specie chimiche ancora
utilizzabili, tramite processi di evaporazione,
refrigerazione, distillazione azeotropica, cristallizzazione,
filtrazione. Nel settore della galvanotecnica e della
elettrometallurgia o delle concerie, trovano buona
applicazione i processi di neutralizzazione acido-base, della
riduzione con agenti riducenti seguita da precipitazione dei
sali insolubili, come nel caso dei cromati che sottoposti a
trattamento con bisolfito sodico vengono precipitati dalla
soluzione come idrossido di cromo trivalente insolubile. Nel
settore della galvanotecnica sono anche utilizzati trattamenti
di ossidazione con cloro o ipoclorito sodico sui rifiuti che
contengono cianuri. Nel settore della metallurgia sono
applicati i trattamenti di cementazione ed elettrolisi.
Nell'industria chimica il recupero dei solventi dai rifiuti
avviene, se economicamente praticabile, per distillazione,
strippaggio. Alcuni componenti pregiati di natura organica
presenti nei rifiuti possono essere recuperati per estrazione
con solventi selettivi. Nel settore dei metalli pregiati si
possono utilizzare le membrane osmotiche o lo scambio ionico
per il recupero di alcune specie ioniche di particolare
interesse. Promettente sembra la via dell'essiccamento seguito
dalla calcinazione di alcuni fanghi inorganici contenenti
calce, alluminio, etc. nel settore del recupero dei metalli
pregiati (oro, argento, etc) dai rifiuti esistono realtà
industriali nazionali come la Chimet di Prato (specializzata
nel recupero dell'oro) e la Engitec di Milano che ha
sviluppato un processo di recupero dei metalli dalle
Pag. 288
schede e dalla componentistica dei computers televisori e
dalle apparecchiature elettroniche e un altro processo di
recupero dello zinco dalle ferriti di zinco componenti
principali dei fumi della metallurgia dello zinco.
Un particolare settore dei trattamenti è quello dei
processi di inertizzazione. L'inertizzazione ha lo scopo di
ridurre o eliminare la cessione dei componenti inquinanti
presenti nel rifiuto. In tal modo si ottengono due risultati:
il primo è quello di declassare il rifiuto permettendone lo
smaltimento in discariche di categoria meno severa (es. 2B
anziché 2C) e a costi più bassi, il secondo è quello di
ridurre sensibilmente la pericolosità nel tempo nei confronti
delle popolazioni esposte e dell'ambiente. Nei i processi di
inertizzazione si può fare ricorso al cemento o alla bentonite
associata all'idrossido di calcio che facilitano i fenomeni di
precipitazione e complessazione degli ioni metallici presenti
nel rifiuto, rendendoli insolubili. Numerosi trattamenti sono
stati brevettati a livello internazionale come per es. il
Chemfix degli USA che è utilizzato anche in Italia dalla
Servizi industriali e che fa ricorso all'utilizzo di cemento e
silicati solubili, il Sealoseafe.stablex (prevalentemente
utilizzato in Gran Bretagna, Giappone, Nord America) che
impiega il cemento portland e alcune tipologie di silicati
complessi di alluminio e ferro. A Modena, presso la
piattaforma polifunzionale gestita dal Comune viene impiegato
il processo Soliroc brevettato in Belgio e che rientra nei
processi cosiddetti a base acida ed è adatto per i rifiuti
della galvanica, della fotografia, dei metalli pesanti in
genere. Altri brevetti fanno ricorso alla calce (Envirosafe
Usa, Petrifix francese), alle argille (Biobrick-Usa),o a
sostanze termoplastiche, o a incapsulamento in polietilene o
polimeri organici. In Italia, sono state sviluppate e
consolidate esperienze di inertizzazione dei fondami di
serbatoi del settore petrolifero (tecnologia Ecotec utilizzata
nelle raffinerie Agip di San Nazzaro dei Burgondi, Saras di
Sarroch, Agip di Livorno) con impianti che prevedono una
centrifugazione preliminare con centrifughe orizzontali o
verticali a due o tre vie, per mezzo delle quali, dal fondame
si separa quasi tutto l'olio libero che viene rilavorato in
raffineria (tale olio contiene non più dell'uno per cento di
acqua) e una torta prevalentemente costituita da inorganico
con una parte minima di olio adsorbito che viene sottoposta a
trattamenti di inertizzazione con silicati solubili. Il
prodotto della inertizzazione , dopo un periodo di maturazione
all'aria, viene sottoposto a test di cessione ed avviato in
discarica di tipo 2B.Come la Commissione ha avuto modo di
appurare, presso la Saras viene impiegata un'altra tecnologia
Ecotec , detta TOR, che è molto simile a quella di
inertizzazione dei fondami oleosi ma fa anche ricorso a
particolari additivi chimici per il trattamento, tra l'altro,
dei catalizzatori esausti a base di metalli come il cobalto e
il molibdeno. Un trattamento di inertizzazione dei fondami
oleosi di tipo bentonitico è anche utilizzato dalla società
Riccoboni presso la raffineria Api di Falconara, Ancona).
Recentemente è stato realizzato dalla società Ecoservice di
Macerata un impianto di inertizzazione a servizio di terzi di
Macerata. In tale impianto, già operativo da circa un anno con
ottimi risultati, si utilizza il processo Inertix elaborato e
progettato dall'Università di Roma "La Sapienza" presso
l'Istituto di Chimica
Pag. 289
Organica dal Prof. Ortaggi. Per ciò che riguarda il
trattamento delle acque di falda contaminate da BTX (benzene,
toluene, xilene) è da anni operativo presso la raffinera Agip
di Sannazzaro dei Burgondi un sistema ad ossidazione con ozono
denominato TAF e un altro di ossidazione delle sode esauste
(classificate come rifiuti pericolosi) ricche di, solfuri,
mercaptani e fenoli (rifiuti pericolosi) denominato ISO
entrambi con tecnologia Ecotec.
La sperimentazione in Italia.
Oltre alle tecnologie di trattamento dei rifiuti speciali
nazionali utilizzate prevalentemente nel settore petrolifero e
in quello del recupero dei metalli, vi è da considerare che
sono state sviluppate o sono ancora in fase di sperimentazione
da parte di Enea, CNR, Pirelli, tecnologie di trattamento dei
rifiuti che, in qualche caso, hanno permesso l'ottenimento di
brevetti. Per i dettagli vedi allegato.
Gli impianti mobili Enea per il trattamento dei
rifiuti.
Il dipartimento ambiente, divisione tecnologie,
ingegneria e servizi ambientali dell'Enea di Roma ha
sviluppato una serie di prototipi di impianti mobili utili non
solo a sostegno degli impianti fissi ma anche per altri
impieghi quali lo smaltimento di rifiuti speciali (teloni di
plastica utilizzati in agricoltura e contaminati da
antiparassitari, sacchi di plastica sporchi di diserbanti,
rifiuti infetti ospedalieri, percolati di discarica etc). Tali
impianti, alcuni dei quali ancora in sperimentazione, sono
anche utilizzabili nelle operazioni di bonifica dei siti
contaminati anche da amianto e per il trattamento "in situ"
quando i contaminanti da rimuovere non ne consigliano il
trasporto e lo smaltimento in altri siti più o meno lontani.
L'utilizzo di unità mobili per il trattamento dei rifiuti o
per la bonifica dei siti contaminati è previsto anche dal
decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997.
Impianto mobile Focus ex Triter, di termotrattmento dei
rifiuti solidi e terreni inquinati da sostanze organiche. Si
tratta di un forno a tamburo rotante con potenzialità di 7.65
MW termici. La sezione di trattamento dei fumi è in grado di
rispettare i limiti più stringenti della normativa ed è
provvista di un sistema di rilevazione in continuo dei
macroinquinanti.
Impianto mobile Icam ex Tricem di stabilizzazione e
solidificazione in matrice cementizia di rifiuti contenenti
amianto. La carica di amianto viene trattata con una miscela
di cemento acqua e additivi in un omogenizzatore-miscelatore,
previa triturazione del rifiuto.
Impianto mobile Dedalo ex Triper di trattamento di
percolati di discarica di rsu che consiste in una
termoconcentrazione, seguita da alcalinizzazione e strippaggio
con aria e neutralizzazione finale.
Stazione fissa e mobile ABI 2000. Si tratta di un
impianto di termodistruzione, di cui si sta sperimentando un
ossidatore catalitico per l'abbattimento delle emissioni. Ci
vorranno almeno altri due anni perché ilsistema sia
utilizzabile.
Pag. 290
Impianto mobile Iris ex Triris di sterilizzazione di
rifiuti ospedalieri di reflui urbani e di detossicazione di
rifiuti industriali e agroindustriali. Il processo utilizzato
è chimico-fisico di inibizione biologica e scissione chimica
delle sostanze sottoposte a bombardamento con un fascio di
elettroni prodotti da una macchina acceleratrice lineare
Processo CNR per l'inertizzazione dell'amianto in
fibre.
Con l'entrata in vigore del Dlgs n. 22/97 ed in
particolare con il Dlgs n. 389/97 di modifica, tutti i RCA
possono essere avviati sia in discariche controllate di
adeguata tipologia sia in impianti di trattamento e
inertizzazione. I trattamenti di inertizzazione hanno lo scopo
di bloccare le fibre libere di amianto, di eliminare la
pericolosità e quindi quello di declassificare i RCA in
maniera da poterli smaltire in discariche di categoria
inferiore alla 2C, a costi più contenuti. I processi di
trattamento di inertizzazione dell'amianto sono vari e
numerosi e vanno da quelli di stabilizzazione e
solidificazione a trattamenti chimico-fisici (vetrificazione,
vetroceramizzazione etc). Di ciò, ha riferito alla Commissione
la dottoressa Marabini del CNR (audizione del 3 febbraio
2000). La Commissione, però, non è ancora venuta in possesso
dei disciplinari tecnici, per potere esprimere un proprio
giudizio. Il nostro Paese, secondo quanto riferito la Dott.ssa
Marabini, ha diversi brevetti CNR ed ha già approntato i
disciplinari tecnici per i trattamenti di vetrificazione e
vetroceramizzazione. Di alcuni di tali brevetti è stata data
la licenza esclusiva alla società Ecotec di Roma che si
appresta a sperimentare un processo di trasformazione in
mattoni in un'area del Comune di Casale Monferrato sotto la
supervisione del CNR e con il contributo economico del
Ministero dell'Ambiente e della Regione Piemonte. Tali
processi intervengono sulla natura cristallo-chimica dei
minerali di amianto e rendono inerte, in quanto la
trasformano, la matrice di amianto. I sistemi chimico-fisici,
offrono quindi la possibilità di reimpiego e/o riciclo
dell'amianto. Al momento, però, non essendo stati recepiti i
disciplinari tecnici nazionali in sede europea, non si può
attivare il meccanismo di trattamento ai fini del recupero, ma
solo il trattamento al fine di eliminazione della pericolosità
con conseguente smaltimento in discarica controllata. Con
l'emanazione del decreto attuativo dell'articolo17 del Dlgs n.
22/97, ossia del DM n. 471/99 sulle bonifiche dei siti
contaminati, assumono un ruolo assai importante i trattamenti
di inertizzazione o quelli di tipo chimico-fisico i
disciplinari tecnici di cui sopra, sono ancora fermi presso i
Ministeri Ambiente e Sanità per la concertazione. La
Commissione ritiene che, ulteriori ritardi in materia, non
solo fanno aumentare i costi di smaltimento ma inducono gli
operatoti senza scrupoli a commettere illeciti lucrosi in un
mercato che peraltro appare assai carente di idonei impianti
di discarica di tipo 2B e 2C. Tali ritardi negli ultimi anni
hanno favorito sempre più il ricorso ad impianti di
smaltimento esteri europei come quello della Inertam in
Francia o le discariche austriache e della Germania.
Pag. 291
Impianto sperimentale Pirelli per la produzione di
CDR.
E' noto come la raccolta differenziata permetta la
separazione a monte dei singoli materiali secchi (carta,
plastica, vetro, metallo, legno) inviati alle filiere e della
frazione umida inviata alla produzione di compost. Il CDR
invece è un combustibile derivato dai rifiuti raccolti in
maniera indifferenziata, che dopo deferrizzazione sono
trattati per vagliatura fino ad ottenere un minimo di frazione
organica putrescibile. La frazione umida del trattamento
pro-CDR è inviata alla produzione di compost di scarsa qualità
utilizzabile per es. per il riempimento di cave e discariche
mentre la frazione secca dopo vagliatura viene triturata
essiccata e trasformata in bricchette o coriandoli pronti per
la termodistruzione con recupero di calore. In Italia non si è
ancora sviluppato concretamente il settore della produzione e
utilizzo del CDR ma sono interessanti alcune iniziative come
quella della società Pirelli di Milano il cui progetto fa
ricorso ai pneumatici usati per ottenere un CDR. Il progetto,
in fase sperimentale, prevede l'ottenimento del combustibile
partendo da una miscela di 500/ton/giorno di RSU tal quale, di
60 ton/giorno di pneumatici fuori uso e di 50 ton/giorno di
plastica non riciclabile. I flussi dei prodotti in uscita dal
processo sono costituiti da 312 ton/giorno di CDR, di 215
ton/giorno di parte umida organica, di 20.5 ton/giorno di
metalli e di 35.5 Ton/giorno di scarti inerti da inviare in
discarica. La sperimentazione è stata condotta da Enea nel
luglio del 1997 e garantisce anche il rispetto delle emissioni
di microinquinanti in atmosfera. La Pirelli stima che per
produrre "CDR Pirelli" siano necessarie 360.000 ton/anno di
pneumatici usati che costituiscono il 15% del CDR.Il prezzo
del CDR Pirelli a bocca di centrale è competitivo rispetto a
quello del carbone.
Trattamento delle carcasse e delle farine
animali.
Il ben noto fenomeno della BSE, o della "mucca pazza", su
cui la Commissione sta effettuando un'apposita indagine che
sarà oggetto di una relazione a parte, ha notevoli risvolti
relativamente allo smaltimento delle carcasse animali e delle
farine infette che, per legge, debbono essere avviate alla
distruzione. Un impianto oggetto di visita da parte della
Commissione nell'area del Consorzio Sisri di Brindisi, per
come già riferito nel presente documento, si ritiene sia
idoneo sia per le farine, sia per le carcasse (anche immesse
in grossi fusti metallici) sia per grassi animali a diverso
grado di viscosità. E' stata segnalata all'attenzione della
Commissione anche una promettente tecnologia detta "Sistema di
smaltimento Polimass - carne" della società Ecoenergy Ricerche
di Trapani e che consiste di un processo di
ossidodistruzione messo a punto in collaborazione con
l'Università di Messina. La carcassa animale, posta in
apposito cassone, viene triturata fino ad una pezzatura di 10
centimetri ed ulteriormente triturata a pezzature più fini. Il
materiale triturato, viene quindi immesso in un reattore di
ossidodistruzione a bagno ossidante, in cui si innesca un
processo di depolimerizzazione che si completa in circa 50
secondi. Il prodotto della polimerizzazione è un poliglicol.
Il poliglicol viene quindi mescolato con biomasse a grandi
superfici e fatto reagire con un additivo denominato MDI. Il
materiale ancora in fase di reazione, detto
Pag. 292
polixano espanso, viene depositato in cassoni metallici e si
solidifica. Il prodotto finale è sterile e può essere
utilizzato in campo industriale nella fabbricazione di materie
plastiche. Un impianto di ossidodistruzione può essere fisso o
carrellabile ed ha una potenzialità di trattamento di 15
tonnellate/ora. L'applicazione della ossidodistruzione può
essere estesa al risanamento delle discariche e ai siti
contaminati.
Trattamenti di bonifica.
Air sparging (*).
Tale tecnologia consente di immettere aria compressa
nella zona satura del suolo, al di sotto del livello
contaminato.Tale tecnologia generalmente abbinata alla
ventilazione del suolo, fa si che l'aria contaminata venga
rimossa e trattata prima che migri verso manufatti vicini e
che possa contaminare la zona vadosa (zona insatura
superficiale). Con tale sistema possono essere estratti dal
suolo gli inquinanti più volatili quali MTBE
(metil-terziariobutil etere), alcooli, componenti leggeri
delle benzine e BTEX (benzene, toluene, etilbenzene,
xileni).
Biobonifica on site tramite immissione di funghi
Immettendo particolari funghi in un terreno contaminato
si possono degradare gli idrocarburi pesanti (gasoli pesanti,
combustibili, catrami di carbon fossile,olio grezzo,
lubrificanti, PCB, solventi clorurati) ed altre sostanze
organiche. Si tratta di una tecnologia recente. La scelta del
tipo di funghi, sperimentata previamente in laboratorio, è
decisiva per la buona riuscita del processo degradativo. Ila
funzione dei funghi è quella di produrre degli enzimi
extracellulari che sono in grado di rompere le complesse
molecole degli idrocarburi pesanti. Gli spezzoni molecolari
vengono poi metabolizzati dai funghi e dagli altri
microrganismi presenti nel suolo con sviluppo finale di acqua
e anidride carbonica.
Bonifica biologica o bioremediation.
La bioremediation è una delle più promettenti tecnologie
per risolvere i problemi della contaminazione dei suoli da
sostanze pericolose in quanto utilizza batteri o funghi in
grado di trasformare la sostanza organica in anidride
carbonica ed acqua. L'utilità di tale tecnologia consiste nel
fatto che i contaminanti, nella gran parte dei casi, vengono
biodegradati nello stesso posto, senza trasferimento di
materiali in altro sito e che i batteri utilizzano la stessa
sostanza contaminante per il loro nutrimento. Negli USA, dove
si sono effettuate da parte dell'EPA (Environmental
protection Agency) ricerche approfondite in occasione
della grave contaminazione delle coste dell'Alaska causata
dalla perdita di petrolio grezzo della Exxon Valdez, fino a
qualche anno fa, l'utilizzo della bioremediation, era
piuttosto limitato proprio per la non chiara conoscenza dei
processi biodegradativi in campo, per alcune applicazioni
improprie che si erano constatate, per la necessità di
ingegnerizzazione del processo e per la esigenza di disporre
di procedure di attento controllo.Recentemente si sono avute
esperienze
Pag. 293
assai positive di bioremediation in Olanda, Francia,
Germania, e Austria. La tecnologia della "bioremediation" può
essere applicata sia "in situ" che "ex situ" su terreni a
permeabilità medio-alta, ricircolando una soluzione nella zona
satura. Tale soluzione contiene nutrienti a base di sali di
azoto e di fosforo, microorganismi indigeni (ossia dello
stesso suolo) o alloctoni (di altra provenienza)
opportunamente selezionati per biodegradare i contaminati
organici presenti. La biodegradazione avviene in presenza di
ossigeno. In alcuni casi, in presenza di metano, si ha una
biodegradazione anaerobica. In tali condizioni, la sostanza
organica, si biodegrada fino ad anidride carbonica e acqua. I
vantaggi della bioremediation sono quelle della versatilià ad
essere applicata a ogni tipo di sostanza organica
biodegradabile idrocarburi, sostanze organiche non alogenate,
con rendimenti molto alti. Gli svantaggi sono: la
indefinibilità a priori dei tempi di degradazione, a causa
della estrema variabilità delle condizioni di attività dei
microrganismi, i valori estremi di pH del suolo contaminato,
la presenza di metalli pesanti e/o di sostanze chimiche
tossiche. La bioremediation ha scarsa efficacia su terreni a
bassa permeabilità che rendono difficile la veicolazione delle
soluzioni nutrienti. Nel caso dell'utilizzo di batteri
alloctoni, preparati per es. in laboratorio, occorre valutare
attentamente gli effetti indotti dalla eventuale presenza di
microroganismi opportunisti o patogeni che, se sfuggono in
falda, possono provocare seri problemi di contaminazione
biologica del mezzo idrico. La biobonifica ex situ può
comportare la modifica delle caratteristiche tessiturali del
suolo (bioslurry, bioremediation on pile, landfarming). Come
mezzo di ossidazione si può usare ossigeno, aria mediante
compressori o miscelatori, acqua ossigenata, mediante
iniettori. E' da tenere presente che nel nostro Paese si è
finora applicata tale tecnologia, in assenza di regole
tecniche ben precise con grave pregiudizio per l'ambiente e la
salute dei cittadini. Non è escluso, infatti, che già si siano
verificate contaminazioni della falda, in considerazione
soprattutto che i controlli da parte degli organi preposti non
solo sono carenti, ma se anche vi fosse l'auspicata attenzione
e frequenza di intervento non potrebbero essere condotti in
maniera mirata, non essendovi a disposizione , per l'appunto,
regole ministeriali certe. Tale emotivo di preoccupazione deve
spingere il legislatore a dare al più presto attuazione a
quanto previsto al punto C-bis dell'articolo 17 del decreto
legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997 al fine di evitare
pericolose contaminazioni del suolo e della falda.
L'applicazione "indiscriminata" della bioremediation finora è
avvenuta, come risulta alla Commissione, in alcuni settori
industriali ed in particolare nel settore della petrolchimica
all'interno dei siti di produzione in quello petrolifero
presso le stazioni di servizio di vendita dei carburanti in
cui spesso si verificano perdite di benzina e gasoli dai
serbatoi interrati forati.
Capping (isolamento superficiale).
Nei casi di siti contaminati, in attesa di bonifica la
fine di evitare il dilavamento degli inquinati nel suolo da
parte della infiltrazione delle piogge o nel caso di una
discarica esaurita si effettua il capping o isolamento
supeficiale. Per effettuare il capping si possono
utilizzare argille o materiali plastici sintetici. Con il
capping oltre a limitare
Pag. 294
l'infiltrazione delle acque di pioggia, si minimizza o
elimina la migrazione degli inquinanti per capillarità.
Inoltre il capping favorisce la crescita di coperture
vegetali, la resistenza alla erosione, la prevenzione delle
fessurazioni per essiccamento, il controllo della fuoriuscita
del biogas, una maggiore resistenza ai fenomeni di
gelo-disgelo.
Cementazione in situ mediante iniezione e
mescolamento.
La cementazione per mezzo di mescolamento o di iniezione
nel sito contaminato di sostanze in grado di immobilizzare gli
inquinanti presenti è materia che attiene agli interventi
geotecnici in cui vi è una buona esperienza nel nostro Paese.
La tecnologia consiste nel miscelare composti chimici speciali
o tradizionali (cemento, calce, fly-ash, bentonite etc) con la
massa dei rifiuti o del terreno contaminato utilizzando
metodologie differenti quali la miscelazione con eliche, la
iniezione per permeazione o claquage, il trattamento di
jet-grouting. La tecnologia della cementazione è utilizzata
per il consolidamento di terreni e scavi tramite perforazioni
verticali finalizzate a realizzare colonne di materiale che si
intersecano l'una con l'altra. La limitazione di tale
tecnologia consiste nella disuniformità del trattamento e nei
costi elevati. E' necessario, quando si applica tale
tecnologia, che si verifichi la propagazione della miscela,
per mezzo di scavi o trincee.
Sistema di contenimento perimetrale.
Il sistema di contenimento perimetrale o di isolamento
delle pareti viene utilizzato per impedire o ostacolare la
percolazione di inquinanti da una zona contaminata e per
impedire il contatto tra la massa inquinata e la falda idrica
sottostante. I sistemi di contenimento perimetrali sono
generalmente di due categorie: barriere ad inserimento quali
le palancole tradizionali, le palizzate in pannelli di
acciaio, i muri di contenimento a trave infissa fissa e le
barriere di escavazione quali quelle con argilla, i muri di
contenimento ad iniezione, i muri di contenimento a membrana,
i muri di contenimento a pannelli, i diaframmi a calcestruzzo,
le trincee di fanghi bentonitici, i muri di contenimento a
geomembrane, le barriere cemento-bentonite, le barriere a
palancolata, i sistemi di pali accostati tipo jet-grouting, le
barriere realizzate tramite mescolamento del terreno in sito
con additivi. In tutti questi sistemi è importante il
controllo della permeabilità.
Desorbimento termico di suoli contaminati.
Le tecnologie di desorbimento termico comprendono una
pluralità di processi di vaporizzazione di sostanze organiche
volatili o semi-volatili da suoli contaminati o da fanghi. Il
processo di desorbimento termico deve essere condotto in
maniera tale da evitare la combustione dei contaminanti
nell'unità primaria. Una volta estratti i vapori delle
sostanze organiche si avviano ad un post-combustore, oppure
vengono condensate per un eventuale riutilizzo.
Pag. 295
Le polveri e il particolato derivanti dal desorbimento sono
controllati con cicloni, filtri a tessuto, o scrubber del tipo
venturi. Se nel vapore sono presenti sostanze acide, lo
scrubbing ad umido avviene in presenza di alcali. I vapori,
oltre che condensati, possono essere assorbiti su carbone
attivo. Il desorbimento può avvenire per riscaldamento diretto
(per es. in tamburo rotante), per estrazione e riscaldamento
indiretto, per estrazione con vapore "in situ" (per mezzo di
tubi e iniettori di vapore e aria calda).
Estrazione con solvente.
E' una tecnica di pretrattamento per la bonifica di
terreni con permeabilità medio-alta. L'estrazione con solvente
agisce sulla zona satura del suolo, produce contaminanti in
alta concentrazione, materiali solidi e acqua. Il solvente
impiegato separa i contaminanti oleosi dai terreni e dai
fanghi, riducendo il volume del suolo che verrà
successivamente trattato. Il solvente nelle applicazioni
pratiche viene miscelato al suolo, poi viene separato e
riciclato. Al solvente a volte si aggiungono delle sostanze
tensioattive per aumentare la rimozione dei contaminanti. La
scelta dei solventi va previamente definita con prove di
laboratorio.
Incenerimento o termodistruzione del suolo
contaminato.
Viene realizzato con impianti generalmente mobili e
consiste nella combustione controllata in condizioni
ossidanti. I terreni che vengono trattati per termodistruzione
sono quelli contaminati da idrocarburi aromatici, alifatici,
aromatici, policiclici, cianuri complessi. I forni sono del
tipo a tamburo rotante o ad infrarosso che utilizzano barre a
carburo di silicio riscaldate da una resistenza elettrica per
generare radiazioni termiche di lunghezza d'onda nella regione
dello spettro elettromagnetico corrispondente al vicino
infrarosso. Un impianto mobile sperimentato negli Stati Uniti
d'America è quello con tecnologia Shirco. Vengono utilizzati
anche i forni a letto fluido o ad arco plasma
Lavaggio del suolo.
Tale tecnica di pretrattamento si utilizza per bonificare
i terreni a medio-alta permeabilità che consiste nel far
circolare nel suolo acqua pura o additivata con solventi
organici, agenti chelanti, tensioattivi, acidi o basi, con lo
scopo di far staccare dalla matrice del suolo una parte del
contaminate in modo che passi in soluzione e in modo da
separare le particelle fini colloidali dal terreno a
granulometria più grande. Una variante è quella di additivare
microorganismi e fertilizzanti in modo da associare all'azione
di lavaggio quella della biodegradazione.
Separazione elettrocinetica.
E' utilizzata per la decontaminazione dei terreni a grana
medio-fine e a permeabilità meduio-bassa, basata
sull'applicazione di
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un campo elettrico per mezzo di elettrodi infissi nel suolo.
La rimozione dei contaminanti avviene attraverso meccanismi di
avvezione di tipo elettroosmotico, per diffusione e per
migrazione di ioni. L'elettrolisi iniziale dell'acqua genera
la produzione di ioni idrogeno ed ossigeno molecolare
all'anodo e di ioni ossidrile ed idrogeno molecolare al
catodo. Gli ioni idrogeno tendono a migrare verso il catodo
forzando per attrito viscoso anche una frazione delle
particelle di acqua che si oppongono al loro moto. Al catodo
si produce quindi un flusso d'acqua di tipo avvettivo (flusso
elettroosmotico) che si sovrappone a quello naturale od
eventualmente forzato per via idraulica. Altri processi
elettrochimici avvengono oltre a quelli descritti e portano
alla acidificazione del suolo. La tecnica è utilizzata per la
rimozione di cationi metallici inorganici da terreni argillosi
e limosi con una efficienza di rimozione che va dal 75% al
95%. La tecnica è applicata anche per terreni contaminati da
rifiuti radioattivi. E' necessaria una sperimentazione
preliminare in laboratorio. Sia gli anodi che i catodi , tra
loro interconnessi, formano due sistemi di circolazione
separati eventualmente riempiti con soluzioni chimiche a base
di agenti complessanti o di solventi, in grado di migliorare
l'efficienza del processo nel caso di inquinanti solubili in
acqua.
Steam sparging.
Consiste nella iniezione di vapore nella zona satura del
suolo contaminato e viene applicato a terreni contaminati da
componenti semi-volatili non biodegradabili, consentendo di
aumentare la solubilità del contaminate. Viene utilizzata una
miscela aria in pressione- vapore che viene immessa nel suolo
per mezzo di un tubo fessurato installato di norma al di sotto
del limite inferiore della contaminazione.
Ventilazione del suolo (soil venting).
Tale tecnica è utilizzata per la rimozione di composti
organici volatili (COV) dalla zona insatura o vadosa di un
suolo contaminato che abbia una permeabilità medio-alta. Il
sistema fa capo a pozzi di aspirazione collegati ad un
aspiratore e consiste in un circuito di condotte forate e di
collettori che stabiliscono un gradiente forzato di pressione
fra zone del suolo. Tale sistema cattura in superficie i
vapori e li invia ad un impianto di trattamento dei gas.
Vetrificazione in situ (Soil vitrification).
Il trattamento del suolo con tale tecnologia provoca la
fusione del terreno in situ. Il materiale di fusione non è più
dilavabile, ha caratteristiche vetrose simili alle ossidiane
dell'isola di Lipari e non cede alcun inquinante. La
vetrificazione viene ottenuta infiggendo elettrodi di grafite
nel sottosuolo e applicando una differenza di potenziale tra
quattro elettrodi. L'elevata resistenza elettrica del terreno
genera calore e la temperatura elevata raggiunge i 2000^C a
cui il terreno e gli eventuali contaminanti o rifiuti fondono.
Il volume del materiale fuso procede dall'alto verso il basso
e tende ad
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interessare anche le zone laterali. Sulla superficie del
terreno viene posto un coperchio mantenendo il sistema in
lieve depressione per impedire fughe di gas e particelle
sospese. Il trattamento riguarda generalmente le zone insature
al di sopra delle acque di falda. Per effetto della fusione
del suolo la superficie si abbassa per il fenomeno della
subsidenza.
(*) definizioni tratte dal Manuale Unichim n. 175,
edizione 1994).
Phytoremediation.
La phytoremediation è una tecnologia che utilizza alcune
piante per rimuovere, degradare, stabilizzare sia i
contaminanti organici che inorganici presenti nel suolo, nelle
acque ,nelle acque di falda o nelle acque superficiali. La
phytoremediation riguarda un numero diverso di tecnologie. Si
ha cosi per es. la Rhizosphere bioremediation, adatta per la
biodegradazione di idrocarburi policiclici aromatici,
pesticidi, e altre sostanze organiche), oppure la
fitoestrazione di metalli e radionuclidi.
Pump and treat system.
La tecnologia consiste nel pompare l'acqua di falda
contaminata fino alla superficie, nel rimuovere i contaminanti
e nel ripompare l'acqua decontaminata in falda o nello
scaricarla in acque di superficie. Nel caso di contaminazione
della falda da sostanze oleose si utilizzano particolari
sistemi detti "scavengers" in cui vi è installata una doppia
pompa. La prima deprime la falda e permette la formazione di
un cono di depressione in maniera tale da richiamare l'olio
dalla superficie della falda. L'olio raccolto nel cono di
depressione, raggiunto un dato spessore, viene aspirato dalla
seconda pompa grazie al consenso dato da un sensore a raggi
infrarossi.
Stabilization and solidification
E' una tecnologia che utilizza sistemi differenti quali
il trattamento con bitume, le resine epossidiche, le miscele
cemento-bentonite, la calce, additivi complessanti, miscele
cementizie a base di silicati liquidi. L'obiettivo di tali
trattamenti di stabilizzazione, innocuizzazione,
inertizzazione è quello di bloccare le matrici inorganiche e
qualche volta organiche solubili, rendendole meno cedibili
all'ambiente. Viene applicata generalmente on site o extra
situ, rimuovendo il terreno contaminato con escavatori o pale
meccaniche. I processi di trattamento per inertizzazione
coinvolgono chimismi di complessazione, gelificazione,
precipitazione, insolubilizzazione o semplice inglobamento,
come nel caso del trattamento con bitumi in cui la fase
organica viene complessata dalla cosiddetta "fase maltenica"
che è uno dei componenti del bitume. Il risultato
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dell'efficacia della inertizzazione si verifica con il test
di cessione. La normativa nazionale, perfezionata
dall'Istituto di ricerca sulle acque (IRSA) prevede ce il test
di cessione sia effettuato sottoponendo il rifiuto ( a matrice
prevalentemente organica) o il terreno trattato con una
soluzione di acido acetico a pH 5.5, per 24 ore sotto
agitazione. Alla fine del test l'acqua di leaching viene
analizzata per la determinazione dei contaminati confrontando
le concentrazioni con i limiti della tabella A della legge n.
319/76. Se la matrice del rifiuto o del terreno trattato è
prevalentemente inorganica, si applica il test IRSA alla CO2
satura con la stessa procedura del test all'acido acetico ma
in contenitore chiuso (per mantenere le condizioni di
saturazione). Il test di cessione secondo la normativa
nazionale vigente viene utilizzato non solo per verificare
l'efficacia dei trattamenti inertizzanti ma anche per
orientare lo smaltimento nelle discariche controllate.
Rating delle tecnologie di ripristino
ambientale.
Quando si applicano le tecnologie di bonifica in un sito
contaminato, vi è un numero elevato di parametri da tenere in
considerazione. Un sistema valido per selezionare le
tecnologie è lo strumento dell'analisi di rischio e del
rapporto costi benefici. A tal proposito la Commissione
Economica per le Nazioni Unite ha di recente indicato i
parametri che debbono essere esaminati per valutare le
tecnologie di intervento assegnando un "rating" delle stesse
sia per gli interventi in situ che per quelli ex situ. Le
tavole I e II che seguono riportano tale "rating".
Pag. 299
... (omissis) ...
Pag. 300
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