| Onorevoli Colleghi! - Già nell'XI legislatura, il
gruppo di Rifondazione Comunista con la proposta di legge n.
3206 presentata presso la Camera dei deputati aveva
sollecitato l'istituzione di una Commissione parlamentare di
inchiesta sulle spese militari. Quella proposta, a suo tempo
bollata da buona parte dei gruppi più legati alla lobby
militare e bellico-industriale, come mossa da una ostilità
ideologica nei confronti delle Forze armate, acquista oggi una
rinnovata attualità.
L'emergere di una sempre più estesa "tangentopoli con le
stellette" rischia infatti, questa sì, di pregiudicare
pesantemente il prestigio delle nostre Forze armate. La
dimensione del fenomeno, frutto di una politica che per anni
ha conservato il mondo militare in una zona franca al riparo
da ogni reale controllo da parte del Parlamento, è tale da
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rendere necessari provvedimenti eccezionali in grado di
risanare la struttura stessa, ponendo fine agli sprechi e al
sistema delle tangenti. Secondo gli ultimi dati, i militari
indagati (che non vuol dire, ovviamente, colpevoli) sia dalle
procure militari che da quelle ordinarie superano la cifra di
duemilacinquecento. Il recente arresto di tre alti ufficiali
per ordine della procura di Milano, intorno ai quali ruotava
un vero e proprio sistema di tangenti sulle forniture alle
strutture militari, induce a pensare ad un fenomeno che ha
potuto svilupparsi solo grazie alla complicità di uomini
collocati nei posti chiave della catena di comando.
La sola procura militare di Roma ha aperto sei inchieste
sui presunti illeciti nelle Forze armate. Grazie a queste
inchieste si è potuto fino ad ora recuperare allo Stato dieci
miliardi di lire.
Seicentoquaranta sono gli indagati e centinaia i rinvii a
giudizio. Appalti "truccati", fatture false e stipendi pagati
a persone che non ne hanno più diritto: questi i temi
ricorrenti. In particolare sul tavolo del procuratore Antonino
Intelisano, sono arrivate alcune delle pratiche che hanno
fatto più scalpore: quella che riguarda gli appalti concessi
in cambio di tangenti o di "favori" per l'informatizzazione
degli uffici di Esercito, Marina e Aviazione e quella che
concerne gli approvvigionamenti per i contingenti inviati
all'estero.
Altri filoni delle inchieste riguardano: gli appalti del
Genio militare; le fatture false che vengono esibite al
ritorno da una missione per chiedere il rimborso di
pernottamenti, magari mai effettuati o, in caso di
trasferimento all'estero, di spedizioni di mobili, mai
avvenuti; stipendi corrisposti a persone già in congedo.
Recentemente la procura di Pesaro ha messo in luce il fenomeno
delle "mazzette" in merito alla concessione di congedi per il
personale di leva in esubero sulle esigenze di servizio.
Molti dati fanno pensare, essendo completamente ignoti al
Parlamento i criteri di concessione di tali congedi ai
cosiddetti "esuberi", che il fenomeno vada ben al di là dei
confini della regione Marche.
A questo deplorevole fenomeno di malcostume e di oggettivo
illecito si affianca la particolare contingenza economica che
il nostro Paese sta attraversando che impone una politica di
rigido controllo della spesa pubblica. Sinora il contenimento
della spesa del settore statale si è sostanzialmente tradotto
in tagli successivi e sempre più consistenti dei trasferimenti
a favore della sanità, della previdenza, dei fondi
pensionistici. Altri dicasteri, a differenza di quello della
difesa, hanno dovuto subire tagli più o meno rilevanti alle
spese correnti e di investimento. Un occhio di riguardo, anche
per l'accresciuto ruolo internazionale del nostro Paese, è
sempre stato riservato alla difesa, tanto che l'aumento
previsto del bilancio di previsione del Ministero della difesa
per il corrente anno risulta essere circa il 16 per cento in
più, a netto dell'inflazione, del bilancio votato dal
Parlamento per il 1995.
E' evidente che l'aumento delle spese militari a fronte
sia del taglio delle spese sociali sia dell'emergere di
fenomeni vasti di corruzione all'interno delle Forze armate,
non appare giustificato nè legittimo all'opinione pubblica del
nostro Paese. E' indilazionabile una razionalizzazione della
spesa, colpendo gli sprechi, intervenendo sul fronte della
moralizzazione e della finalizzazione delle spese medesime.
Da anni la relazione della Corte dei conti sul rendiconto
dello Stato dà un giudizio molto severo sulla gestione della
spesa da parte del Ministero della difesa e denuncia con molta
chiarezza il disordine amministrativo e contabile,
l'aleatorietà e l'inefficacia dei controlli, lo spreco
derivante da procedure vecchie ed eccessivamente
parcellizzate. La Corte dei conti quantifica, nel solo 1994,
in circa 2.735 miliardi lo "spreco" della difesa, equivalente
a più del 10 per cento degli stanziamenti complessivi del
dicastero. Fondi che potrebbero utilmente essere impiegati nei
programmi di investimento per i quali il Ministero reclama da
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tempo al Parlamento stanziamenti aggiuntivi. Sul piano dei
controlli la situazione appare ancora più compromessa. Secondo
la Corte dei conti, in violazione delle leggi e dei
regolamenti che prevedono almeno un'ispezione l'anno per
ciascun ente della difesa, il servizio ispettivo della difesa
ha controllato solo 315 enti dell'Esercito sui 596 esistenti,
89 su 140 della Marina, mentre migliore è la situazione per
l'Aeronautica dove i comandi controllati sono stati 235 su
247. Alle ispezioni erano addetti alla fine del 1992 soltanto
27 persone a livello centrale.
Ma il problema non è solo quantitativo, come rileva la
stessa Corte dei conti. I controlli sono inadeguati
soprattutto "per la scarsa incisività del sistema di controllo
interno sia per la limitatezza che per il carattere
tradizionale delle tecniche di controllo (...) per
l'inadeguata qualificazione professionale del personale (...)
per l'impiego di metodologie che non consentono di acclarare
le discrasie gestorie (...) in relazione al conseguimento
degli obiettivi". Dunque una situazione intollerabile,
soprattutto in una situazione in cui il Ministro continuamente
ripete che le Forze armate sono vicine al collasso per
mancanza di risorse.
Da un altro punto di vista, assistiamo all'utilizzo
improprio di militari nella gestione di bar, circoli e mense
sottraendoli ai compiti di istituto. Questa questione pone con
grande forza il problema dell'impiego in mansioni improprie di
migliaia di militari. E' ben noto che quella del personale è
una delle componenti più rilevanti del bilancio della difesa e
l'utilizzo, in mansioni non previste, non autorizzate di
militari aggrava ulteriormente questo onere, con l'aggravante
che si tratta di una partita "invisibile", di un costo che
viene sostenuto dalla collettività tutta senza che di questo
vi sia traccia o notizia e neppure coscienza, se non da parte
dei diretti interessati e di chi porta la responsabilità per
questi impieghi impropri o non previsti.
Al di là delle pur importanti considerazioni
sull'inaccettabile deprofessionalizzazione alla quale sono
costretti questi militari, il loro impiego di fatto si tramuta
esclusivamente in un vantaggio personale e immediato per i
frequentatori delle strutture ricreative a spese del bilancio
della difesa e della collettività. Episodi di malcostume, come
quelli segnalati da interrogazioni del gruppo parlamentare di
Rifondazione comunista già nell'XI legislatura concernenti la
costruzione di una vasca da bagno con idromassaggio
nell'alloggio di servizio del comandante della 1^ regione
aerea, denotano una continua, scarsissima attenzione alle
esigenze di trasparenza e correttezza nell'uso dei fondi che
la collettività destina alla difesa, esigenza tanto più
avvertita oggi che da molte parti si lamenta da un lato la
riduzione dello stanziamento per la difesa, e dall'altro si
invocano come imprescindibili nuove spese per far fronte a
nuovi, importanti impegni operativi delle Forze armate
italiane.
Il problema tuttavia non può ricondursi o restringersi ai
soli comportamenti illeciti o non corretti.
Se così fosse si tratterebbe di una questione di ordine
puramente giudiziario, anche se - ove venissero confermate le
dimensioni degli abusi - gravi e motivati dubbi dovrebbero
essere espressi sui meccanismi interni di controllo del
Ministero.
La questione appare in verità più complessa perché vi è la
sensazione - suffragata peraltro da fatti ed episodi non
isolati - che l'amministrazione tenda frequentemente a
tollerare, se non persino a favorire, un impiego improprio dei
fondi destinati alla difesa nazionale. Basterà citare come
esempio quelle strutture variamente definite come "basi
logistiche", "centri di sopravvivenza" eccetera, realizzate e
gestite utilizzando capitoli di spesa destinati al
potenziamento della difesa, mentre si tratta di opere
esclusivamente destinate alle vacanze, spesso in località
esclusive, dei militari, per lo più ufficiali. Le spese di
ristrutturazione e costruzione degli edifici sono pagate con i
fondi del capitolo 4005 dello stato di previsione del
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Ministero della difesa al quale dovrebbero essere imputate
spese per la "costruzione, il rinnovamento, l'ammodernamento
ed il completamento delle infrastrutture militari (...) opere
edili, stradali, ferroviarie, marittime, portuali,
aeroportuali, di difesa, poligoni di tiro, depositi vari".
Che cosa abbiano a che fare veri e propri alberghi
interamente pagati con il capitolo 4005 con la difesa
nazionale è una domanda che avrebbe certamente bisogno di
risposte meno generiche - al limite dell'arroganza - di quelle
che i diversi Ministri hanno fornito alle numerose
interrogazioni e interpellanze presentate su questo ed altri
argomenti negli anni scorsi. Non si tratta per di più di un
numero molto elevato di strutture sparse tra Bardonecchia e
Colle Isarco, Tarvisio e Valtournanche, Piane di Mocogno e
Fago del Soldato, Roccaraso ed Edolo, Valle Crosia e San Remo,
Cà Vio e Cecina, Riva del Garda e Valle Carene, Cefalù e
Gaeta, Dobbiaco e il Grappa, e molti altri ancora.
Di questi soggiorni il Ministero non solo paga gli
edifici, la loro ristrutturazione, il loro arredamento, ma
anche il personale di servizio (per lo più militari, anche di
leva, per un totale di quasi 14 mila persone secondo i dati
della Corte dei conti) nonchè gran parte dei costi generali di
gestione che dovrebbero in teoria essere a carico dei
frequentatori.
Eclatante il caso - segnalato dalla relazione della Corte
dei conti sul rendiconto generale dello Stato per il 1992 -
della struttura di Dobbiaco, dipendente dall'Aeronautica
militare, dove risultano entrate per soli 53 milioni
nell'intero 1991 contro una spesa, per il solo personale
esterno addetto al servizio ai tavoli riferito a soli sei mesi
di attività, di ben 534 milioni. La differenza - 481 milioni -
è interamente a carico del contribuente italiano che si trova
così a pagare tasse anche per pagare le vacanze dei militari.
E' impossibile, naturalmente, fare una casistica anche
soltanto approssimativamente esaustiva. Purtroppo
l'informazione sulla gestione delle spese per la difesa è
scarsa, frammentaria e reticente e tutto viene giustificato ed
occultato in nome di una riservatezza che spesso serve
soltanto a coprire i guasti di una cattiva gestione.
La Commissione di inchiesta che proponiamo d'istituire
deve dunque scavare in un ambito molto vasto, con una
ricognizione di carattere generale confortata da
approfondimenti puntuali e precisi per quegli aspetti meno
chiari e più soggetti a utilizzi impropri, con la duplice
finalità di individuare i rimedi normativi che possano
impedire il ripetersi o il manifestarsi di fenomeni di cattivo
o improprio uso delle risorse, e per individuare eventualmente
quelle aree sulle quali possa essere neces- sario intervenire
per ricondurre a legittimità l'uso di fondi che il Parlamento
ha destinato alla difesa nazionale e non a scopi diversi.
La Commissione di inchiesta si rende necessaria
soprattutto per dare ai cittadini, ai contribuenti fiducia in
un processo di necessaria trasparenza amministrativa da
applicare anche alle Forze armate, fatte salve le specificità
proprie. La difesa, per necessità organizzative e per ambito
di intervento, è naturalmente un corpo chiuso, difficilmente
penetrabile dall'esterno e dunque alle Forze armate non si
possono applicare quelle forme di controllo, più o meno
diretto, che invece sono possibili con altre amministrazioni
centrali e periferiche dello Stato. Dunque, ben lungi da
intenti persecutori o da volontà inquisitrice, la Commissione
si propone come un'importante occasione per costruire quel
prestigio di cui le Forze armate hanno bisogno per poter
efficacemente operare, soprattutto in un momento in cui si
richiede la presenza dei nostri militari in gravose e delicate
missioni all'estero (vedi Bosnia).
Riteniamo altresì doveroso, al fine di consentire al
Parlamento di accertare la reale entità delle spese necessarie
a supportare l'attività del Ministero della difesa e delle
Forze armate, congelare tutti gli aumenti stanziati nel
bilancio della difesa e che eccedono la percentuale
dell'inflazione annua. Apparirebbe anacronistico, nel momento
in cui sono aperte crepe profonde alla credibilità di gestione
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delle spese del Ministero e delle Forze armate stesse,
consentire alla difesa ciò che invece viene negato ad altri
decisivi dicasteri: la crescita del proprio bilancio ben oltre
la percentuale d'inflazione. Dopo un anno di accurata indagine
parlamentare, starà al Parlamento decidere, anche in base alle
risultanze della inchiesta stessa, se scongelare questi fondi
o attribuirli ad altra voce del bilancio dello Stato.
L'articolato della presente proposta di legge riprende
quello presentato dai deputati Bellei Trenti ed altri nella
XII legislatura (Atto Camera n. 3390).
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