| ARMANDO VENETO. - Al Ministro di grazia e giustizia. -
Per sapere - premesso che:
nel corso della discussione relativa alla richiesta di
autorizzazione a procedere a carico dell'onorevole Paolo
Cirino Pomicino, svoltasi in data 4 febbraio 1997, la Camera
ha appreso che un magistrato della Repubblica aveva esercitato
l'azione
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penale a carico del parlamentare per comportamenti e
manifestazioni di volontà propri dell'attività che si svolge
nel Parlamento, in esecuzione del mandato popolare ed in
applicazione della legge;
era così palese l'esercizio del diritto-dovere che
l'ordinamento attribuisce ai membri del Parlamento, che a
larghissima maggioranza la Camera ha accolto la proposta
unanime della Giunta per le autorizzazioni a procedere ed ha
ritenuto ricorresse l'ipotesi disciplinata dall'articolo 68
della carta costituzionale;
proprio la non controvertibilità del diritto
dell'onorevole Paolo Cirino Pomicino evidenzia l'ipotesi che
il pubblico ministero che esercitò l'azione penale abbia
superato i limiti della propria funzione, abusando del proprio
ufficio. Ipotesi che va verificata, ovviamente, ma della quale
pare ricorrano gli estremi essenziali, stando ai fatti che nel
dibattito parlamentare sono emersi;
basta peraltro parametrare l'ipotesi che normalmente
viene contestata ad amministratori e funzionari delle
amministrazioni periferiche e centrali, rei di avere
oltrepassato i limiti delle proprie competenze, per avvedersi
che un pubblico ministero che ipotizzi un reato a carico di un
parlamentare per un voto manifestato su un provvedimento di
legge abusi del proprio ufficio, poiché utilizza il potere
conferitogli dalla legge per fini palesemente diversi da
quelli propri; a meno che non ci si trovi in presenza di
magistrato afflitto da così gravi carenze culturali di base,
da far dubitare che possa svolgere adeguatamente i compiti che
l'ordinamento gli affida -:
se non ritenga di avere il dovere di informare il
procuratore generale presso la Corte Suprema di Cassazione
affinché il medesimo eserciti l'azione disciplinare e,
eventualmente, l'azione penale;
se non ritenga di informare l'organo di autogoverno
della magistratura italiana perché intervenga, al di là del
fatto singolo, per dettare norme di comportamento che valgano
ad evitare il ripetersi di fatti analoghi a quello qui
ricordato.
(3-00704)
(10 febbraio 1997)
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