| FRANCESCO BONITO, Relatore di minoranza. Presidente,
prima di utilizzare il tempo a mia disposizione, vorrei
segnalare che, probabilmente per mia responsabilità, nello
stampato vi sono alcuni errori, peraltro di non scarso
rilievo, posto che le cifre sono sempre indicate in milioni
mentre vanno intese in miliardi. Dico questo anche per rendere
l'esatta oggettività della vicenda.
Vorrei altresì pregarla, allo scadere dei primi dieci
minuti del tempo a disposizione dei relatori di minoranza, di
avvisarmi poiché i successivi dieci minuti sono a disposizione
dell'onorevole Meloni.
La parte minoritaria della Giunta ha ritenuto che il
giudice per le indagini preliminari di Milano abbia disposto
la misura cautelare personale in danno dell'onorevole
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Previti in modi giuridicamente corretti ed in assenza di
intenti politici ovvero di persecuzione politica. Ha, quel
giudice, adeguatamente valutato i fatti di gravità enorme
(verosimilmente il fatto più grave di corruzione mai
verificatosi nel corso della storia del nostro paese)
pervenendo, di poi, a giuste determinazioni circa le esigenze
cautelari.
Giova, ancorché per ampia sintesi, ripercorrere le vicende
che hanno originato il processo in ordine al capo B)
dell'imputazione, giacché le stesse appaiono più eloquenti di
ogni causidica considerazione.
Nel 1979, il gruppo SIR-Rovelli versava in gravi
difficoltà finanziarie. Le banche creditrici decisero
pertanto, su invito governativo, di costituirsi in consorzio
per tentarne il salvataggio. Fu all'uopo conclusa un'intesa
negoziale tra le parti. A causa di assunte inadempienze
rispetto a tali intese, la SIR convenne in giudizio l'IMI
(capo consorzio) invocando un cospicuo risarcimento.
Il 31 ottobre 1986, il tribunale di Roma, presidente
Filippo Verde, adottò una prima pronunzia parziale,
riconoscendo il diritto della SIR al preteso risarcimento e
disponendo il prosieguo della causa per la quantificazione del
danno.
Pochi mesi dopo tale sentenza, il dottor Filippo Verde
passò le vacanze di fine d'anno occupando più stanze di un
lussuoso albergo di Lugano a spese dell'avvocato Attilio
Pacifico, coimputato con l'onorevole Cesare Previti. Sempre a
favore di Filippo Verde sono provati altresì versamenti per
centinaia di milioni su conti svizzeri da parte dello stesso
avvocato Pacifico, al quale - assai verosimilmente - la
necessaria provvista venne fornita dall'onorevole Previti (a
tale scopo nella relazione scritta indico il riferimento
all'ordinanza del GIP di Milano).
Il 13 maggio 1989, il tribunale di Roma decise anche la
quantificazione del danno (fissato in 750 miliardi) ma in
circostanze assai particolari. Il dottor Verde non era più
presidente del collegio avendo nel frattempo assunto
l'incarico di capo gabinetto del Ministero di grazia e
giustizia. In tale veste convocò il dottor Minniti, giudice
noto per la sua integrità morale e per la sua competenza
professionale, presso il Ministero per un'importante riunione.
Il dottor Minniti fece presente che la convocazione cadeva nel
giorno in cui avrebbe dovuto decidere la causa SIR-IMI, ma a
causa delle insistenze del Verde, dovette raggiungere il
Ministero.
Il dottor Minniti, peraltro, diede disposizioni alla
dottoressa Campolongo di sostituirlo nel collegio e di non
provvedere alla decisione. Il dottor Minniti, infatti, aveva
già informato il presidente della Corte d'appello, dottor
Sammarco, delle sue intenzioni di procedere ad una nuova
consulenza in ordine alla quantificazione del danno, nutrendo
riserve in ordine alla consulenza tecnica in atti.
Tornato dalla riunione presso il Ministero (tenuta con il
dottor Verde e con il dottor Sammarco, e di cui non è rimasta
traccia presso gli uffici di via Arenula) il dottor Minniti
trovò una sgradita sorpresa: la causa era stata decisa ed in
favore della SIR era stato liquidato un danno di 750 miliardi
(non milioni, come si legge nella relazione).
La sentenza venne impugnata davanti alla Corte d'appello e
qui riunita con lo "spezzone" deciso dal collegio presieduto
dal dottor Filippo Verde che, nel frattempo, era pervenuto in
Cassazione e qui cassato con remissione al giudice di secondo
grado.
Dopo il passaggio della Corte d'appello, comunque
favorevole alla SIR, ancorché con liquidazione diversa del
danno (500 miliardi), il giudizio approdò nuovamente in
Cassazione.
Qui si verificarono altri fatti francamente sconcertanti.
Il ricorso dell'IMI, infatti, sarebbe risultato sprovvisto di
procura speciale ad litem, circostanza questa che
indusse l'IMI a presentare (riportiamo stralci della sentenza
della Corte di cassazione, riprodotta nell'ordinanza del GIP
di Milano) "nota sottoscritta dai tre avvocati presenti
all'udienza nelle quali si affermava, tra l'altro, che la
procura indicata nell'epigrafe del ricorso era stata
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regolarmente rilasciata per autentica notarile Mario Lupi di
Roma in data 6 dicembre 1990 ed era stata regolarmente
depositata insieme al ricorso, alla copia della sentenza
impugnata ed ai fascicoli dei precedenti gradi di giudizio"
(nella relazione è riportato il passo della sentenza).
Per tale vicenda vennero presentate due querele contro
ignoti da parte del presidente dell'IMI, dottor Arcuti, per il
reato di cui all'articolo 490 del codice penale e la stessa,
nonostante due provvedimenti di archiviazione (condotti al
vaglio del giudice di legittimità), risulta ancora
pendente.
La storia processuale proseguì nei termini che seguono e
che riprendiamo dall'ordinanza del giudice per le indagini
preliminari di Milano (ometto un passo per guadagnare
tempo).
Pendendo il giudizio di Cassazione, il presidente
designato, dottor Corda, venne sostituito dal presidente
Brancaccio in seguito al curioso episodio che viene riportato
nella mia relazione, alla quale rimando per una più rapida
lettura.
Dopo la sostituzione del presidente Corda, il ricorso
dell'IMI venne dichiarato inammissibile e la SIR potè
incassare il risarcimento di circa mille miliardi, dei quali
650 miliardi di parte capitale.
Successivamente alla sentenza, circa il 10 per cento di
tale capitale venne versato dagli eredi Rovelli agli avvocati
Pacifico, Acampora e Previti, il quale, per parte sua, incassò
21 miliardi circa.
Gli eredi Rovelli della causale di tale cospicuo
versamento hanno fornito versioni concordanti quanto
inverosimili. Ha infatti sostenuto la vedova Rovelli che il
marito Nino, in punto di morte (alla fine del 1990 e
nell'imminenza di un delicato intervento chirurgico) le disse
che, se fosse mancato, avrebbe dovuto corrispondere ad una
richiesta di denaro che le sarebbe pervenuta da tale avvocato
Pacifico.
Deceduto il Rovelli, infatti, l'avvocato Pacifico si
presentò ai suoi eredi e chiese il versamento di 30 miliardi,
preannunciando analoghe richieste, puntualmente pervenute, da
parte degli avvocati Acampora e Previti.
A proposito di quest'ultimo, così si esprime Felice
Rovelli: "Anche Previti l'ho visto qualche mese dopo la morte
di mio padre... Nel primo incontro Previti mi disse che il
debito di mio padre nei suoi confronti era di circa 20
miliardi. Anche a Previti non ho mai chiesto spiegazioni,
poiché anche lì si trattava di pagare tutti gli impegni che mi
venivano prospettati come assunti da mio padre, oppure
rifiutarli. Anche Previti pochi giorni dopo la disponibilità
liquida del denaro da parte della mia famiglia mi comunicò,
vedendomi a Lugano, gli estremi del bonifico: 18 milioni di
franchi svizzeri alla SBS Ginevra, riferimento del conto
"Filippo"".
Né Pacifico, né Acampora e neppure l'onorevole Previti
hanno mai fornito giustificazioni plausibili e credibili in
relazione a versamenti di tali ingenti somme. L'onorevole
Previti - in particolare - ha dichiarato ai magistrati che
Nino Rovelli, prima di morire, gli affidò l'incarico
fiduciario di operare versamenti in favore di alcuni soggetti
che si è sempre rifiutato di indicare trincerandosi dietro il
segreto professionale.
Al riguardo giova osservare: a) il segreto
professionale costituisce argomento pretestuoso ed integra una
difesa assai debole, giacché - se solo volesse - l'onorevole
Previti potrebbe essere liberato dal vincolo deontologico con
una semplice richiesta al consiglio dell'ordine presso il
quale è iscritto; b) le dichiarazioni dell'onorevole
Previti sono in palese contrasto con quelle (viceversa
concordanti) rese dalla vedova Rovelli e da Felice Rovelli
("Previti mi disse che il debito di mio padre nei suoi
confronti era di circa 20 miliardi"); c) l'onorevole
Previti ha dichiarato che fu Rovelli junior a rivolgersi
a lui per confermargli il mandato fiduciario contratto con il
padre, mentre Rovelli junior ha dichiarato che fu il
Previti a rivolgersi a lui dopo la richiesta di denaro
avanzatagli dall'avvocato Pacifico; d) l'onorevole
Previti ha dichiarato di aver versato, in esecuzione del
mandato ricevuto
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dal Rovelli senior, deceduto nel 1990, una certa somma
in favore di una società (la CODAVA) costituitasi nel 1994
(ricerchino i colleghi nella sua memoria le giustificazioni
del Previti e le valutino da soli!); e) l'onorevole
Previti assume di aver adempiuto ad un mandato fiduciario
versando a più soggetti una ventina di miliardi, ma non ha mai
presentato un resoconto al mandante, il quale, da parte sua,
non ha dimostrato alcuna curiosità sui tempi, sui modi e sui
termini dell'utilizzo di una somma così rilevante di sua
proprietà (!); f) l'onorevole Previti ha mentito sulle
circostanze (di non scarso momento ai fini della
verosimiglianza del suo comportamento) sia ai giudici (ed era
un suo diritto) sia alla Giunta per le autorizzazioni.
E' quest'ultima una circostanza di gravità estrema,
giacché l'onorevole Previti ha dichiarato il falso non come
imputato bensì come deputato, non davanti ad un giudice, bensì
davanti ai rappresentanti della volontà popolare, non per
difendere se stesso, ma per sviare il corretto esercizio di un
potere politico teso alla difesa della libertà della funzione
parlamentare, condizione ineludibile per ogni democrazia.
Davanti alla Giunta l'onorevole Previti ha mantenuto il
suo atteggiamento di reticenza, opponendo il suo "non ricordo"
rispetto alla fonte dell'accredito di 1.800 milioni sul suo
conto cifrato "Mercier", del 16 aprile 1991, riversato sui
conti "Pavone" e "Pavoncella" del Pacifico e di qui pervenuti,
per lire 500 milioni sul conto corrente svizzero "Master" di
Filippo Verde.
Nulla dice, ancora, l'onorevole Previti, di credibile e di
verosimile sulla somma di USD 434.404 (accreditata sul conto
"Mercier" su disposizione di un soggetto sconosciuto) ed in
pari data bonificata alla SBT di Bellinzona, la quale provvide
a versarla sul conto "Rowena" di Renato Squillante.
A fronte di fatti, circostanze, atti, dichiarazioni di
tale natura e contenuto, la maggioranza della Giunta ha
ritenuto di riscontrare nel provvedimento custodiale disposto
dal GIP un fine di persecuzione politica in danno
dell'onorevole Previti.
Tale conclusione non può essere per nulla condivisa.
Sul piano dei principi la maggioranza dei componenti la
Giunta assume infatti che il fumus persecutionis sia
desumibile da ogni violazione della legge processuale o
sostanziale riscontrabile nel processo portato al suo esame,
giacché in esse violazioni si sostanzierebbe quell'accanimento
investigativo idoneo a dare corpo e sostanza alla persecuzione
medesima.
La conseguenza logica di tale principio è che la Giunta ed
il Parlamento possono "processare il processo", possono
assumere le vesti di giudice di gravame e di legittimità,
possono, infine, opinare su valutazioni di stretta natura
giurisdizionale, magari rilevando il fumus dal fatto che
non la misura cautelare personale in carcere avrebbe dovuto
essere adottata, bensì quella domiciliare, e magari, ancora,
cassando la stessa pronuncia della Corte di cassazione - come
pure propone (nella sostanza) il relatore di maggioranza - che
ha giudicato in ordine alla competenza territoriale.
Il Parlamento, invece, ha compiti istituzionali non
giurisdizionali ed è esso sede della vita politica, di guisa
che... Siamo già quasi arrivati?
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