Banche dati professionali (ex 3270)
Testi integrali degli Atti Parlamentari della XIII Legislatura

Documento


344376
STA0298-0011
Stenografico d'Aula n. 298 del 19 gennaio 1998 (STA13-298)
(suddiviso in 68 Unità Documento)
Unità Documento n.11 (che inizia a pag.9 dello stampato)
(il TITOLO si trova nell'Unità Documento n.6)
DISCUSSIONE: DOC. IV, n. 11A. ...(Discussione - Doc. IV, n. 11-A). LAVASS
...DISCUSSIONE: DOC. IV, n. 11A. ...(Discussione - Doc. IV, n. 11-A).
FRANCESCO BONITO, Relatore di minoranza.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
ZZSTA ZZRES ZZSTA190198 ZZSTA980119 ZZSTA000198 ZZSTA000098 ZZSTA298 ZZ13 ZZDI ZZLL
    FRANCESCO BONITO,  Relatore di minoranza.  Presidente,
  prima di utilizzare il tempo a mia disposizione, vorrei
  segnalare che, probabilmente per mia responsabilità, nello
  stampato vi sono alcuni errori, peraltro di non scarso
  rilievo, posto che le cifre sono sempre indicate in milioni
  mentre vanno intese in miliardi.  Dico questo anche per rendere
  l'esatta oggettività della vicenda.
     Vorrei altresì pregarla, allo scadere dei primi dieci
  minuti del tempo a disposizione dei relatori di minoranza, di
  avvisarmi poiché i successivi dieci minuti sono a disposizione
  dell'onorevole Meloni.
     La parte minoritaria della Giunta ha ritenuto che il
  giudice per le indagini preliminari di Milano abbia disposto
  la misura cautelare personale in danno dell'onorevole
 
                              Pag. 10
 
  Previti in modi giuridicamente corretti ed in assenza di
  intenti politici ovvero di persecuzione politica.  Ha, quel
  giudice, adeguatamente valutato i fatti di gravità enorme
  (verosimilmente il fatto più grave di corruzione mai
  verificatosi nel corso della storia del nostro paese)
  pervenendo, di poi, a giuste determinazioni circa le esigenze
  cautelari.
     Giova, ancorché per ampia sintesi, ripercorrere le vicende
  che hanno originato il processo in ordine al capo B)
  dell'imputazione, giacché le stesse appaiono più eloquenti di
  ogni causidica considerazione.
     Nel 1979, il gruppo SIR-Rovelli versava in gravi
  difficoltà finanziarie.  Le banche creditrici decisero
  pertanto, su invito governativo, di costituirsi in consorzio
  per tentarne il salvataggio.  Fu all'uopo conclusa un'intesa
  negoziale tra le parti.  A causa di assunte inadempienze
  rispetto a tali intese, la SIR convenne in giudizio l'IMI
  (capo consorzio) invocando un cospicuo risarcimento.
     Il 31 ottobre 1986, il tribunale di Roma, presidente
  Filippo Verde, adottò una prima pronunzia parziale,
  riconoscendo il diritto della SIR al preteso risarcimento e
  disponendo il prosieguo della causa per la quantificazione del
  danno.
     Pochi mesi dopo tale sentenza, il dottor Filippo Verde
  passò le vacanze di fine d'anno occupando più stanze di un
  lussuoso albergo di Lugano a spese dell'avvocato Attilio
  Pacifico, coimputato con l'onorevole Cesare Previti.  Sempre a
  favore di Filippo Verde sono provati altresì versamenti per
  centinaia di milioni su conti svizzeri da parte dello stesso
  avvocato Pacifico, al quale - assai verosimilmente - la
  necessaria provvista venne fornita dall'onorevole Previti (a
  tale scopo nella relazione scritta indico il riferimento
  all'ordinanza del GIP di Milano).
     Il 13 maggio 1989, il tribunale di Roma decise anche la
  quantificazione del danno (fissato in 750 miliardi) ma in
  circostanze assai particolari.  Il dottor Verde non era più
  presidente del collegio avendo nel frattempo assunto
  l'incarico di capo gabinetto del Ministero di grazia e
  giustizia.  In tale veste convocò il dottor Minniti, giudice
  noto per la sua integrità morale e per la sua competenza
  professionale, presso il Ministero per un'importante riunione.
  Il dottor Minniti fece presente che la convocazione cadeva nel
  giorno in cui avrebbe dovuto decidere la causa SIR-IMI, ma a
  causa delle insistenze del Verde, dovette raggiungere il
  Ministero.
     Il dottor Minniti, peraltro, diede disposizioni alla
  dottoressa Campolongo di sostituirlo nel collegio e di non
  provvedere alla decisione.  Il dottor Minniti, infatti, aveva
  già informato il presidente della Corte d'appello, dottor
  Sammarco, delle sue intenzioni di procedere ad una nuova
  consulenza in ordine alla quantificazione del danno, nutrendo
  riserve in ordine alla consulenza tecnica in atti.
     Tornato dalla riunione presso il Ministero (tenuta con il
  dottor Verde e con il dottor Sammarco, e di cui non è rimasta
  traccia presso gli uffici di via Arenula) il dottor Minniti
  trovò una sgradita sorpresa: la causa era stata decisa ed in
  favore della SIR era stato liquidato un danno di 750 miliardi
  (non milioni, come si legge nella relazione).
     La sentenza venne impugnata davanti alla Corte d'appello e
  qui riunita con lo "spezzone" deciso dal collegio presieduto
  dal dottor Filippo Verde che, nel frattempo, era pervenuto in
  Cassazione e qui cassato con remissione al giudice di secondo
  grado.
     Dopo il passaggio della Corte d'appello, comunque
  favorevole alla SIR, ancorché con liquidazione diversa del
  danno (500 miliardi), il giudizio approdò nuovamente in
  Cassazione.
     Qui si verificarono altri fatti francamente sconcertanti.
  Il ricorso dell'IMI, infatti, sarebbe risultato sprovvisto di
  procura speciale  ad litem,  circostanza questa che
  indusse l'IMI a presentare (riportiamo stralci della sentenza
  della Corte di cassazione, riprodotta nell'ordinanza del GIP
  di Milano) "nota sottoscritta dai tre avvocati presenti
  all'udienza nelle quali si affermava, tra l'altro, che la
  procura indicata nell'epigrafe del ricorso era stata
 
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  regolarmente rilasciata per autentica notarile Mario Lupi di
  Roma in data 6 dicembre 1990 ed era stata regolarmente
  depositata insieme al ricorso, alla copia della sentenza
  impugnata ed ai fascicoli dei precedenti gradi di giudizio"
  (nella relazione è riportato il passo della sentenza).
     Per tale vicenda vennero presentate due querele contro
  ignoti da parte del presidente dell'IMI, dottor Arcuti, per il
  reato di cui all'articolo 490 del codice penale e la stessa,
  nonostante due provvedimenti di archiviazione (condotti al
  vaglio del giudice di legittimità), risulta ancora
  pendente.
     La storia processuale proseguì nei termini che seguono e
  che riprendiamo dall'ordinanza del giudice per le indagini
  preliminari di Milano (ometto un passo per guadagnare
  tempo).
     Pendendo il giudizio di Cassazione, il presidente
  designato, dottor Corda, venne sostituito dal presidente
  Brancaccio in seguito al curioso episodio che viene riportato
  nella mia relazione, alla quale rimando per una più rapida
  lettura.
     Dopo la sostituzione del presidente Corda, il ricorso
  dell'IMI venne dichiarato inammissibile e la SIR potè
  incassare il risarcimento di circa mille miliardi, dei quali
  650 miliardi di parte capitale.
     Successivamente alla sentenza, circa il 10 per cento di
  tale capitale venne versato dagli eredi Rovelli agli avvocati
  Pacifico, Acampora e Previti, il quale, per parte sua, incassò
  21 miliardi circa.
     Gli eredi Rovelli della causale di tale cospicuo
  versamento hanno fornito versioni concordanti quanto
  inverosimili.  Ha infatti sostenuto la vedova Rovelli che il
  marito Nino, in punto di morte (alla fine del 1990 e
  nell'imminenza di un delicato intervento chirurgico) le disse
  che, se fosse mancato, avrebbe dovuto corrispondere ad una
  richiesta di denaro che le sarebbe pervenuta da tale avvocato
  Pacifico.
     Deceduto il Rovelli, infatti, l'avvocato Pacifico si
  presentò ai suoi eredi e chiese il versamento di 30 miliardi,
  preannunciando analoghe richieste, puntualmente pervenute, da
  parte degli avvocati Acampora e Previti.
     A proposito di quest'ultimo, così si esprime Felice
  Rovelli: "Anche Previti l'ho visto qualche mese dopo la morte
  di mio padre...  Nel primo incontro Previti mi disse che il
  debito  di mio padre nei suoi confronti era di circa 20
  miliardi.  Anche a Previti non ho mai chiesto spiegazioni,
  poiché anche lì si trattava di pagare tutti gli impegni che mi
  venivano prospettati come assunti da mio padre, oppure
  rifiutarli.  Anche Previti pochi giorni dopo la disponibilità
  liquida del denaro da parte della mia famiglia mi comunicò,
  vedendomi a Lugano, gli estremi del bonifico: 18 milioni di
  franchi svizzeri alla SBS Ginevra, riferimento del conto
  "Filippo"".
     Né Pacifico, né Acampora e neppure l'onorevole Previti
  hanno mai fornito giustificazioni plausibili e credibili in
  relazione a versamenti di tali ingenti somme.  L'onorevole
  Previti - in particolare - ha dichiarato ai magistrati che
  Nino Rovelli, prima di morire, gli affidò l'incarico
  fiduciario di operare versamenti in favore di alcuni soggetti
  che si è sempre rifiutato di indicare trincerandosi dietro il
  segreto professionale.
     Al riguardo giova osservare:  a)  il segreto
  professionale costituisce argomento pretestuoso ed integra una
  difesa assai debole, giacché - se solo volesse - l'onorevole
  Previti potrebbe essere liberato dal vincolo deontologico con
  una semplice richiesta al consiglio dell'ordine presso il
  quale è iscritto;  b)  le dichiarazioni dell'onorevole
  Previti sono in palese contrasto con quelle (viceversa
  concordanti) rese dalla vedova Rovelli e da Felice Rovelli
  ("Previti mi disse che il  debito  di mio padre nei suoi
  confronti era di circa 20 miliardi");  c)  l'onorevole
  Previti ha dichiarato che fu Rovelli  junior  a rivolgersi
  a lui per confermargli il mandato fiduciario contratto con il
  padre, mentre Rovelli  junior  ha dichiarato che fu il
  Previti a rivolgersi a lui dopo la richiesta di denaro
  avanzatagli dall'avvocato Pacifico;  d)  l'onorevole
  Previti ha dichiarato di aver versato, in esecuzione del
  mandato ricevuto
 
                              Pag. 12
 
  dal Rovelli  senior,  deceduto nel 1990, una certa somma
  in favore di una società (la CODAVA) costituitasi nel 1994
  (ricerchino i colleghi nella sua memoria le giustificazioni
  del Previti e le valutino da soli!);  e)  l'onorevole
  Previti assume di aver adempiuto ad un mandato fiduciario
  versando a più soggetti una ventina di miliardi, ma non ha mai
  presentato un resoconto al mandante, il quale, da parte sua,
  non ha dimostrato alcuna curiosità sui tempi, sui modi e sui
  termini dell'utilizzo di una somma così rilevante di sua
  proprietà (!);  f)  l'onorevole Previti ha mentito sulle
  circostanze (di non scarso momento ai fini della
  verosimiglianza del suo comportamento) sia ai giudici (ed era
  un suo diritto) sia alla Giunta per le autorizzazioni.
     E' quest'ultima una circostanza di gravità estrema,
  giacché l'onorevole Previti ha dichiarato il falso non come
  imputato bensì come deputato, non davanti ad un giudice, bensì
  davanti ai rappresentanti della volontà popolare, non per
  difendere se stesso, ma per sviare il corretto esercizio di un
  potere politico teso alla difesa della libertà della funzione
  parlamentare, condizione ineludibile per ogni democrazia.
     Davanti alla Giunta l'onorevole Previti ha mantenuto il
  suo atteggiamento di reticenza, opponendo il suo "non ricordo"
  rispetto alla fonte dell'accredito di 1.800 milioni sul suo
  conto cifrato "Mercier", del 16 aprile 1991, riversato sui
  conti "Pavone" e "Pavoncella" del Pacifico e di qui pervenuti,
  per lire 500 milioni sul conto corrente svizzero "Master" di
  Filippo Verde.
     Nulla dice, ancora, l'onorevole Previti, di credibile e di
  verosimile sulla somma di USD 434.404 (accreditata sul conto
  "Mercier" su disposizione di un soggetto sconosciuto) ed in
  pari data bonificata alla SBT di Bellinzona, la quale provvide
  a versarla sul conto "Rowena" di Renato Squillante.
     A fronte di fatti, circostanze, atti, dichiarazioni di
  tale natura e contenuto, la maggioranza della Giunta ha
  ritenuto di riscontrare nel provvedimento custodiale disposto
  dal GIP un fine di persecuzione politica in danno
  dell'onorevole Previti.
     Tale conclusione non può essere per nulla condivisa.
     Sul piano dei principi la maggioranza dei componenti la
  Giunta assume infatti che il  fumus persecutionis  sia
  desumibile da ogni violazione della legge processuale o
  sostanziale riscontrabile nel processo portato al suo esame,
  giacché in esse violazioni si sostanzierebbe quell'accanimento
  investigativo idoneo a dare corpo e sostanza alla persecuzione
  medesima.
     La conseguenza logica di tale principio è che la Giunta ed
  il Parlamento possono "processare il processo", possono
  assumere le vesti di giudice di gravame e di legittimità,
  possono, infine, opinare su valutazioni di stretta natura
  giurisdizionale, magari rilevando il  fumus  dal fatto che
  non la misura cautelare personale in carcere avrebbe dovuto
  essere adottata, bensì quella domiciliare, e magari, ancora,
  cassando la stessa pronuncia della Corte di cassazione - come
  pure propone (nella sostanza) il relatore di maggioranza - che
  ha giudicato in ordine alla competenza territoriale.
     Il Parlamento, invece, ha compiti istituzionali non
  giurisdizionali ed è esso sede della vita politica, di guisa
  che...  Siamo già quasi arrivati?
 
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