| GIOVANNI MELONI, Relatore di minoranza. Faccio
naturalmente riferimento alla relazione scritta presentata da
me e dall'onorevole Bonito per tentare di sviluppare un breve
ragionamento. Credo innanzitutto importante dare atto al
relatore Carrara del fatto che, per lo meno sul piano delle
enunciazioni, egli definisca la finalità della discussione
odierna in termini corretti. A me sembra questo un punto
assolutamente fondamentale, che voglio pertanto riprendere.
L'onorevole Carrara conferma quanto da tempo in dottrina e
in giurisprudenza risulta ormai assolutamente non controverso,
anche se (occorre forse ricordarlo proprio in questo momento,
in questa sede) non sempre è stato pacifico nelle
deliberazioni delle Camere in tema di autorizzazioni a
procedere. Comunque, come dicevo, dottrina e giurisprudenza
concordano sul fatto che l'Assemblea non è chiamata ad
esprimere un giudizio sulla legittimità del provvedimento del
giudice che dispone la misura cautelare, perché, se così
facesse, assumerebbe la funzione del giudice del riesame,
bensì deve accertare che la misura disposta non nasconda
finalità politiche le quali, mentre da un lato svierebbero la
funzione tipica del processo penale, dall'altro lato
costituirebbero una lesione gravissima della funzione
parlamentare.
In altre parole (sempre per utilizzare i concetti mediante
i quali si articola il ragionamento dell'onorevole Carrara),
si tratta di valutare non solo se l'accusa sia stata
contestata falsamente ad un parlamentare per impedirne o in
qualche modo limitarne l'attività politica, ma pure che non si
proceda contro di lui con un rigore non giustificato o
comunque in modo palesemente difforme rispetto
all'applicazione delle normali regole processuali. Si tratta
insomma di valutare se l'atteggiamento del giudice abbia
assunto una funzione offensiva ordinata al fine di eliminare
un avversario politico (si tratta ancora di parole del
relatore per la maggioranza).
La tesi del collega Carrara però è proprio questa. A suo
giudizio, appare chiaro l'accanimento dei giudici di Milano,
tendente non solo a colpire l'onorevole Previti ma anche a
coinvolgere l'onorevole Berlusconi. In definitiva, ci
troveremmo di fronte ad un'operazione politica ordita dai
magistrati di Milano (dai PM innanzitutto, poi avallata dal
GIP), volta a danneggiare una forza politica di opposizione
attraverso il coinvolgimento dei suoi massimi esponenti e
segnatamente con l'arresto - certamente clamoroso -
dell'onorevole Previti".
Come fa l'onorevole Carrara a giungere a tale conclusione?
Il suo ragionamento passa in esame quello che egli definisce
"il contesto storico-processuale" per formulare
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una serie di osservazioni che attengono alla regolarità degli
atti, alle valutazioni del giudice, all'asserita inosservanza
di norme di legge e alla loro non corretta applicazione. Dalla
valutazione degli atti del processo egli deduce l'intento
persecutorio dei magistrati di Milano e conclude per il
rifiuto dell'autorizzazione richiesta.
Naturalmente, come dicevo, non ho il tempo di esaminare il
contenuto delle sue valutazioni e faccio riferimento alla
relazione. Voglio invece proporre brevemente un ragionamento
dal quale mi sembra di poter evidenziare una contraddizione
che a me pare insanabile tra le premesse metodologiche
corrette - ripeto, le sole sulle quali fondare la nostra
discussione oggi - e il processo logico seguito per giungere
alle conclusioni cui il relatore di maggioranza perviene.
L'onorevole Carrara assume nei confronti degli atti che
sottopone alla sua valutazione l'atteggiamento tipico - vorrei
dire - dell'avvocato difensore: mette in dubbio il quadro
indiziario, asserisce la violazione delle norme, contesta
l'esigenza delle misure cautelari, sceglie - come ogni buon
difensore - i fatti e gli atti che servono alle sue tesi,
trascurando gli altri. Se si confronta l'argomentazione della
relazione di maggioranza con il contenuto della memoria
difensiva dell'onorevole Previti, raccolta in un volume
inviato a tutti i deputati, si può facilmente riscontrare come
vengano percorsi gli stessi argomenti, ma soprattutto come
medesima sia la logica ad essi sottesa. Abbiamo però appena
detto che il compito di questa Camera è quello non di valutare
la bontà delle tesi difensive quanto quello di ricercare
l'intento persecutorio del giudice terzo che ha emesso il
provvedimento. Ora, se da quelle tesi difensive vogliamo
dedurre l'esistenza di tale intento persecutorio, noi dobbiamo
necessariamente, direi costretti dalla forza della logica e
della conseguenzialità degli argomenti allegati, ricostruire
un quadro che definire raccapricciante è un mero eufemismo. Il
quadro è infatti il seguente: nasce, all'interno di forza
Italia, una macchinazione dovuta al fatto che l'avvocato Dotti
è avversario politico dell'onorevole Previti; l'avvocato
approfitta della contiguità dei rapporti con l'Ariosto, la
ispira e la istruisce affinché accusi l'onorevole Previti; i
due mettono insieme un racconto tanto fantasioso quanto
calunnioso ma in qualche modo accorto, tanto che il giudice
trova riscontri che in alcuni casi ritiene decisivi.
Si potrebbe osservare - è vero - che in fondo così accorto
il racconto non è, visto che chi mette in moto questa
straordinaria macchinazione non riesce a suggerire all'Ariosto
nemmeno alcuni elementi per indicare le straordinarie
particolarità della casa dell'onorevole Previti; ma questa
macchinazione, per avere efficacia, deve incontrarsi con
un'altra, quella dei magistrati di Milano, i quali, forniti di
questa ghiotta occasione, si lancerebbero anima e corpo non
solo ad assecondare gli intenti limitati di Dotti, che vuole
evidentemente nuocere a Previti, ma partirebbero di qui per
colpire a morte forza Italia e il suo leader.
Se le tesi del relatore sono vere, questo e solo questo
può essere il quadro, che bisogna essere disposti ad
accettare, entro il quale sarebbero nati il processo e la
misura cautelare di cui discutiamo.
Possiamo discutere finché vogliamo sul piano teorico, come
è stato fatto nel corso di questi giorni, se l'intento
persecutorio possa essere desunto da atti dolosi o anche da
atti riconducibili a colpa, errore, negligenza, imperizia. Ma
nel caso concreto di cui stiamo parlando un siffatto castello
non può essere costruito per errore, errore che sarebbe
proprio sia del pubblico ministero sia del giudice. Se le
valutazioni sono quelle della difesa dell'onorevole Previti,
ci troviamo di fronte ad una volontà ferma e determinata,
perfettamente consapevole, di colpire per fini diversi da
quelli per i quali ha luogo l'azione penale.
Si badi che peraltro questo non basta perché, esaminando
la precaria situazione economica della teste Ariosto, si
giunge fino al punto di lasciare intendere che le sue
affermazioni potrebbero derivare dal
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fatto che settori dello Stato l'hanno sostenuta
economicamente. Quali settori? I servizi, forse?
Argomentazione abbastanza curiosa, visto che proprio in questi
giorni si è dimostrato che se torbidi personaggi, in altro
tempo in qualche modo legati ai settori dei servizi, hanno
avuto un ruolo in questa vicenda, essi sono intervenuti per
squalificare la Ariosto, come dimostra la pubblicazione, due
domeniche or sono, del falso documento sui rapporti tra la
teste e i servizi stessi.
In conclusione, colleghi, a fronte del quadro che emerge
dal ragionamento, da nessun'altro fatto se non dal relatore e
dall'onorevole Previti, a me sembrano chiari i corni
dell'alternativa di fronte alla quale ci troviamo. Occorre
scegliere. A me sembra che non vi sia traccia di persecuzione
e nessuno riesca a descrivere atti che effettivamente possano
essere indicati come persecutori, né che alcuno sostenga un
ragionamento che in qualche modo avalli questa ipotesi.
Altri coimputati sono stati arrestati ed io non voglio
usare questa argomentazione per affermare che vi è una
esigenza di trattamento egualitario. Non è questo il punto. Vi
è qualcosa di più. Se si ammette che si tratta di una
macchinazione, di un intento persecutorio, bisogna che anche
questi atti, anche le ordinanze di arresto degli altri
coimputati vengano piegati all'esigenza della macchinazione e
non già alle esigenze di carattere processuale. I coimputati
sarebbero finiti in galera a causa delle finalità politiche
dei giudici di Milano.
Altra questione riguarda l'abuso delle misure cautelari,
di cui molto si è parlato in questi giorni. Credo che, se
dobbiamo parlare di questo tema, non possiamo farlo in tale
sede. Vi sono altri strumenti contro l'abuso delle misure
cautelari; vi sono rimedi ordinari e rimedi legislativi. E'
questa, semmai, la sede per riflettere su tale punto. Ma guai
ad usare una prerogativa parlamentare per scongiurare asseriti
abusi nella custodia cautelare, perché ci porremmo in una
situazione nella quale vi sarebbero cittadini di serie A e
cittadini di serie B.
L'arresto di un parlamentare credo sia, colleghi, un fatto
traumatico, che non esito a definire terribile. Non credo che
noi siamo qui essenzialmente per questo. Può anche ripugnare
il fatto che la misura cautelare in ipotesi possa in ogni caso
colpire un innocente. Tuttavia, noi infliggeremmo una colpa
mortale alle istituzioni se negassimo l'autorizzazione senza
indicare al paese con estrema chiarezza e sicurezza che quei
giudici hanno agito in modo difforme rispetto al loro dovere.
Se non siamo in grado di fare questo, la richiesta deve essere
accolta (Applausi dei deputati dei gruppi di rifondazione
comunista-progressisti e della sinistra
democratica-l'Ulivo).
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