| NANDO DALLA CHIESA. Signor Presidente, onorevoli colleghi,
credo che la relazione che abbiamo ascoltato questo pomeriggio
abbia fatto cadere molti veli. Per settimane si è ripetuto che
non era in ballo una accusa, rivolta alla magistratura
milanese, di avere realizzato una persecuzione politica. Lo si
è affermato più volte, ma questo principio oggi è stato
liquidato con dei riferimenti molto espliciti alla
qualificazione dell'attività della magistratura milanese. Si
sono addebitate accuse specifiche, come quella di interessi
privati in atti di ufficio, e si sono addebitate accuse più
grosse, come quella di voler perseguire l'immagine di un
partito politico e del suo leader; si è dipinto il
pool come un soggetto politico, dimenticando che non
stiamo parlando di un atto che ci è giunto dal pool,
vale a dire dalla procura, bensì di un atto che ci è stato
trasmesso da un giudice terzo; infatti, abbiamo fatto in modo
che pervenisse a questi la richiesta affinché lo stesso, dopo
aver effettuato una rapida valutazione della richiesta della
procura, si rivolgesse al Parlamento. Quindi, chiediamo gli
atti al GIP e continuiamo a parlare della procura di Milano.
Mi sembra questo un grande elemento di debolezza della nostra
discussione. Semmai, è la relazione stessa che tradisce un
eccesso di politicizzazione della questione.
Siccome in Giunta alcuni di coloro che avevano votato per
il "no" avevano chiesto al relatore di non inserire nella sua
relazione questo attacco alla magistratura milanese, è ben
difficile dividere il "no" dall'accusa di una persecuzione
politica. Una volta che determinate affermazioni sono state
scritte e sono state dette ad alta voce, non si può far finta
che ciò non sia avvenuto. Se tali affermazioni non vengono
condivise, ovviamente non si può condividere neppure
l'impianto stesso della relazione, ma ciò attiene alla libertà
di coscienza di ciascuno.
Un secondo principio più volte affermato è stato
vanificato dalla relazione. Si era sostenuto in svariate
occasioni il fatto che noi non siamo una corte di merito,
invece ci siamo comportati proprio come una corte di merito,
anzi, come qualcosa di più: ci stiamo comportando come una
inedita combinazione di corte di merito e di Corte di
cassazione, che interviene sulle questioni di competenza,
sulla valutazione delle prove, sulla valutazione dei
testimoni, interviene sul momento in cui si è compiuto o
perfezionato l'atto corruttivo; in poche parole interveniamo
su tutto, allestendo noi di fatto un processo al GIP in sua
assenza.
Se è vero che non ci deve essere accanimento da parte
della magistratura nel momento in cui indaga su un membro
della Camera e richiede l'adozione di una misura cautelare nei
suoi confronti, è altrettanto vero che noi, per decidere se
dobbiamo dire "sì" o "no" a questa misura, non possiamo
accanirci e distruggere il lavoro che il GIP ci consegna; non
possiamo comportarci con un accanimento che è giustificato in
un avvocato difensore, lo è meno in un pubblico
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ministero e comunque non è giustificato in un Parlamento al
quale viene rimessa una funzione specifica, che lo deve
portare non a sostituirsi al GIP, ma a decidere se l'impianto
accusatorio sia infondato e pretestuoso o semplicemente
opinabile, come tutte le richieste di misura cautelare
avanzate da un GIP.
Quindi, dobbiamo limitarci a scegliere se vogliamo
difendere in questa sede il principio fondamentale di una
democrazia, quello dell'uguaglianza dei cittadini di fronte
alla legge, o se vogliamo contrapporre a questo principio non
la tutela del parlamentare che esercita il diritto della
democrazia a nome degli eletti, ma una specifica tutela del
parlamentare che non viene chiesta con riferimento ad atti e
comportamenti politici, bensì con riferimento ad attività che
con la politica non hanno nulla a che fare. Di fronte a questa
scelta, opto per difendere il principio dell'uguaglianza dei
cittadini davanti alla legge (Applausi -
Congratulazioni).
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