| GIOVANNI GIULIO DEODATO. Signor Presidente, onorevoli
colleghi, qualsiasi considerazione o valutazione sul problema
oggi all'esame della Camera deve essere, a mio giudizio,
preceduta dalla comune e motivata riflessione in ordine alla
natura, all'oggetto e ai limiti della decisione che ci
accingiamo ad adottare.
Se la natura è, come in effetti è, quella attribuita
dall'articolo 68 della Costituzione, è importante continuare a
ribadire che l'oggetto non è costituito dalla violazione circa
la colpevolezza del deputato nei cui confronti è stata chiesta
l'esecuzione della massima misura cautelare né dall'esame di
merito in ordine ai pur gravi fatti ascrittigli.
L'oggetto della nostra decisione è costituito dalla
valutazione circa l'oggettiva esistenza dei presupposti per
l'esecuzione della misura cautelare richiesta dalla
magistratura nei confronti di un componente di questa
Assemblea. L'autorizzazione all'arresto preventivo di un
parlamentare è stata sempre considerata, da entrambe le
Camere, come un provvedimento eccezionale. L'eccezionalità e
l'atipicità del provvedimento trovano puntuale riscontro
nell'esiguità dei casi in cui esso è stato adottato. Onorevoli
colleghi, in cinquant'anni di vita repubblicana la Camera ha
autorizzato l'arresto soltanto di quattro deputati per reati
della massima gravità. Una rassegna completa e scrupolosa
delle decisioni che questa Assemblea ha adottato mette in
risalto quattro indirizzi che, in materia di autorizzazione
all'arresto preventivo, possono considerarsi consolidati.
Un primo indirizzo richiede quale presupposto per
l'autorizzazione l'esistenza di una sentenza di condanna
passata in giudicato o, quanto meno, di una sentenza di primo
grado. In questo senso la Camera, accogliendo la proposta
della Giunta, si è ripetutamente espressa.
In altre occasioni la Camera si è posta la necessità di
esprimere un giudizio di prevalenza tra le esigenze cautelari,
rappresentate dalla magistratura, e l'interesse al
mantenimento del plenum dell'Assemblea a fronte anche
del rischio di compromettere la funzionalità degli organi
parlamentari e di penalizzare il gruppo a cui appartiene
l'indagato. In questa ipotesi la Camera ha privilegiato la
necessità di tutelare l'interesse dell'organo parlamentare a
non essere privato, sia pure temporaneamente, della
completezza della propria composizione.
Un terzo indirizzo della Camera attiene al cosiddetto
fumus persecutionis che sia eventualmente ravvisabile
nella richiesta della magistratura. L'accertamento del
fumus costituisce un aspetto essenziale della
valutazione che spetta alla Camera, la quale deve addentrarsi
in una specifica analisi circa la sua sussistenza.
Al riguardo non si può condividere la prospettazione
assolutamente restrittiva contenuta nella relazione di
minoranza: essa infatti, proponendo pedissequamente
l'accettazione della richiesta della misura cautelare e la
condivisione integrale della motivazione, così come è stata
formulata
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dalla magistratura, configura per la stessa Camera un ruolo
subordinato, inutile o quanto meno fortemente riduttivo.
La dottrina giuridica ha ben chiarito che il fumus
persecutionis ha diverse forme di manifestazione e può
concretarsi nell'esistenza di indizi che possono far ritenere
non solo che la misura cautelare sia stata elevata falsamente
o nell'intento di colpire il parlamentare nell'esercizio della
sua attività, ma anche che nel modus procedendi adottato
nei confronti del parlamentare sia riscontrabile un rigore
ingiustificato o dovuto a ragioni politiche. Questa seconda
ipotesi è quella che si è verificata nel caso Previti, in cui
il rigore ingiustificato si è tradotto in una lunga serie di
violazioni di leggi procedurali, che sono state analiticamente
evidenziate nell'articolata e pregevole relazione di
maggioranza, alla quale mi riporto per evidenti ragioni di
tempo.
Dall'esame degli atti il rigore ingiustificato posto in
essere nel caso Previti si evidenzia in ogni fase della
procedura, oltre che nelle dichiarazioni di alcuni dei suoi
protagonisti, giustamente criticate dal relatore Carmelo
Carrara. Nel contempo però devo rilevare che, sulla base degli
elementi attualmente disponibili, risulta esclusa, a mio
parere, l'esistenza di un complotto ordito dalla procura della
Repubblica di Milano, dal GIP e dai servizi segreti a danno
dell'onorevole Previti.
Detto questo, va considerato che tra le numerose e gravi
violazioni di norme alcune sono emblematiche. Tra queste, in
primo luogo, vi è l'assoluta genericità dei due capi di
imputazione, al punto di costituire causa di nullità. Intendo
riferirmi alla mancanza nel capo A) di qualsiasi
specificazione circa gli atti che sarebbero stati oggetto di
accordi corruttivi, circa le persone che avrebbero compiuto
tali atti, circa i luoghi e i tempi della presunta azione
criminosa. Del pari, va rilevata la mancanza nel capo B)
di qualsiasi certezza in ordine al tempo dell'accordo
corruttivo tra l'imputato, il Rovelli e gli avvocati, nonché
in ordine al tempo dei successivi accordi corruttivi tra
questi e i magistrati coinvolti. In secondo luogo, le serie e
fondate ragioni, desumibili dagli atti, che inducono a
ritenere l'avvenuta prescrizione di fatti e quindi
l'esclusione dell'applicazione di ogni tipo di misura
cautelare. In terzo luogo, in particolare per quanto riguarda
la competenza territoriale, serie e fondate ragioni - anche
queste desumibili dagli atti - portano ad escludere la
competenza del tribunale di Milano. Infine, un quarto
indirizzo della Camera per la non concessione da parte della
stessa dell'autorizzazione all'arresto è costituito dalla
insussistenza dei presupposti di cui all'articolo 274 del
codice di procedura penale, che la legge pone come condizioni
valide per qualunque cittadino, perché siano disposte misure
cautelari nei suoi confronti.
Il GIP di Milano, nell'ordinanza di applicazione della
misura cautelare nei confronti dell'onorevole Previti, ha
escluso che sussista il pericolo di fuga, di cui al punto
b) dell'articolo 274 del codice di procedura penale;
pericolo che era stato invece prospettato dal pubblico
ministero.
Il GIP ha ritenuto, invece, sussistenti sia il pericolo
per l'acquisizione e la genuinità della prova (punto a)
dello stesso articolo) sia il pericolo di reiterazione da
parte dell'onorevole Previti di delitti - si noti - della
stessa specie di quella di cui si procede (punto c)
dell'articolo 274 del codice di procedura penale).
In ordine al pericolo di inquinamento della prova,
l'ordinanza del GIP precisa (a pagina 143) tra l'altro che
"l'acquisizione di documentazione bancaria attestante
movimenti di denaro, non costituisce un'esigenza cautelare in
senso stretto in quanto si tratta solo di attendere l'esito
delle erogatorie estere dalle quali, indubitabilmente,
prevarrà una genuina documentazione". Nel contempo, però, il
GIP ritiene che uno degli aspetti risolutori del procedimento
in esame sia costituito dalla interpretazione dei rapporti
sottostanti a movimenti bancari e che proprio su tale
interpretazione sia elevatissima la possibilità di
inquinamento.
Questa prospettazione non tiene conto di due elementi
essenziali: del tempo trascorso dall'epoca dei fatti, che di
per sé
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esclude ogni inquinamento; e del fatto che non basta certo
un'intesa surrettizia relativa alla interposizione di un
rapporto concordata tra i protagonisti dello stesso, a porre
nel nulla il valore di una prova documentale. Va peraltro
sottolineato, da un lato, che la riforma del 1995
dell'articolo 274 del codice di procedura penale ha
espressamente richiesto la concretezza e l'attualità del
pericolo di inquinamento e, dall'altro lato che, secondo un
costante orientamento della Corte di cassazione, il giudice
deve indicare le specifiche circostanze di fatto e deve
fornire sul punto adeguate e logiche motivazioni. Il che
nell'ordinanza del GIP di Milano, a mio parere, non è avvenuto
puntualmente.
Quanto poi al pericolo di reiterazione - anch'esso
ritenuto sussistente dal GIP sia pure con diversa graduazione
- si tratta di una valutazione sganciata dalla realtà. Sono
certo che ciascun componente di questa Assemblea possa
responsabilmente rendersi conto se allo stato attuale
l'onorevole Previti sia nella condizione per porre in essere
un delitto della stessa specie di quello per il quale si
procede e che richiede il concorso di magistrati e di alti
appartenenti all'amministrazione giudiziaria.
Sempre per quanto attiene all'ordinanza del GIP va anche
osservato che, per il fatto di cui al capo A),
l'indagine preliminare - a cui era condizionato l'arresto
preventivo dell'onorevole Previti - è ormai terminata.
Conclusivamente, l'invito al voto negativo sulla richiesta
di carcerazione dell'onorevole Previti, si accompagna da parte
mia all'auspicio vivissimo - che vale per l'onorevole Previti,
come per qualunque altro cittadino - che il giudizio penale
abbia il suo regolare corso e porti in termini ragionevolmente
brevi all'accertamento dei fatti.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi avvio alla
conclusione. Dal quadro che ho cercato di delineare emerge il
delicatissimo compito che è davanti a questa Assemblea e che -
ne sono certo - ciascuno di noi adempirà in piena coscienza:
la valutazione in ordine alla sussistenza del fumus
persecutionis ed all'esistenza dei presupposti previsti
dall'articolo 274 del codice di procedura penale.
L'elevato numero di violazioni di norme che in questo
procedimento sono state poste in essere è illuminante ai fini
della nostra analisi. Non è vero - come si è sostenuto nella
relazione di minoranza (riproducente in modo pedissequo ed
acritico tutti gli argomenti contenuti nell'ordinanza del GIP)
- che attraverso questo accertamento la Camera finisce per
assumere la posizione di giudice di gravame del merito della
legittimità dell'ordinanza. E' vero, invece, che una serie di
violazioni di norme come quelle sottoposte alla vostra
attenzione esclude l'esistenza delle condizioni previste per
l'arresto dell'onorevole Previti e produce l'effetto di
colpire il deputato nella sua attività parlamentare. Questo è
esattamente ciò che la Costituzione ha voluto scongiurare.
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