| MARIANNA LI CALZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi,
ritengo sia opportuno - anche in considerazione delle
relazioni e degli interventi che ho ascoltato - ricordare a me
stessa ed ai colleghi
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quali siano i limiti della nostra discussione e quale sia
l'ambito dell'autorizzazione a procedere sulla quale siamo
chiamati a pronunciarci.
Noi non siamo chiamati a pronunciarci sui molti aspetti di
diritto e di merito che presenta il procedimento penale aperto
a carico del deputato Cesare Previti. Il secondo comma
dell'articolo 68 della Costituzione è estremamente chiaro e
definisce con puntualità l'ambito del sindacato della Camera
di appartenenza del parlamentare del quale viene chiesto
l'arresto. Esorbiterebbe dai nostri compiti ogni valutazione
sulla questione della competenza, come ogni computo sulla
prescrizione dei reati, nonché ogni esame che penetri comunque
nel merito del procedimento penale dal quale origina la
domanda di autorizzazione ad eseguire la misura cautelare
della custodia in carcere a carico del deputato Previti.
Dobbiamo valutare se concedere o denegare tale autorizzazione
sulla base dell'esistenza o meno del fumus
persecutionis.
Comprendo che non è facile pervenire ad un fondato
convincimento sul fumus persecutionis ragionando in
astratto.
Da una parte si collocano coloro che, a fronte di un
provvedimento giurisdizionale, ritengono che il sindacato
della Camera di appartenenza del parlamentare non possa che
essere meramente esterno. Se negli atti della magistratura non
si riscontrano evidenti violazioni della legge sostanziale o
processuale, stridenti anomalie nel procedimento, forzature
logiche e congetturali nella ricostruzione dei fatti, è ben
difficile sostenere che esista un fumus persecutionis
nell'esercizio dell'azione penale, che nel nostro ordinamento
resta obbligatoria. L'ambito di valutazione spettante alla
Camera sarebbe pertanto quello di accertare l'esistenza del
provvedimento giurisdizionale di deviazione dalla norma: quasi
un giudizio di legittimità preventivo rispetto a quello
eventualmente richiesto alla Corte di cassazione.
Dall'altra stanno coloro che ritengono legittima da parte
della Camera di appartenenza un'autonoma valutazione dei
profili di merito del provvedimento giurisdizionale. Il
fumus persecutionis potrebbe essere annidato nelle
pieghe di un provvedimento formalmente ineccepibile, in tanti
aspetti particolari in se stessi insignificanti ma che presi
tutti insieme dipanerebbero il filo di una volontà
persecutoria ancora più inquietante perché subdola.
La prima interpretazione delle garanzie volute dalla
Costituzione a salvaguardia della funzione del parlamentare si
colloca in un'ottica restrittiva; in sua forza si limiterebbe
formalisticamente il vaglio della Camera di appartenenza ad
aspetti palesemente fuorvianti eventualmente presenti nel
provvedimento giurisdizionale, rendendolo pressoché
pleonastico.
La seconda interpretazione si pone in un'ottica estensiva;
muovendo da essa si allargherebbe il vaglio al merito che,
precedendo il giudizio del giudice terzo, lo renderebbe
superfluo o conflittuale con la decisione assunta dalla
Camera. Infatti, poiché la Camera di appartenenza non è più
chiamata a decidere nell'ambito dell'autorizzazione a
procedere prevista dall'originaria formulazione dell'articolo
68 della Costituzione, denegare l'arresto di un parlamentare,
sulla base di valutazioni nel merito dell'accusa, non
inibirebbe il processo, come accadeva prima della riforma
dell'articolo 68, che potrebbe essere deciso con una sentenza
stridentemente contraddittoria con le conclusioni del
Parlamento.
Non manca infine chi ritiene che la Camera di appartenenza
dovrebbe consentire sempre e comunque alle richieste contenute
nei provvedimenti giurisdizionali per evitare di vulnerare il
principio costituzionale della parità dei cittadini di fronte
alla legge. Questa posizione non potrebbe avere che una sola
conseguenza: l'abrogazione della norma costituzionale posta a
garanzia della funzione parlamentare. Ad essa, infatti, si
contrappone la visione delle garanzie previste dall'articolo
68 della Costituzione di coloro che ritengono che comunque la
Camera di appartenenza debba negare l'autorizzazione
all'arresto
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di un suo componente per salvaguardare il plenum
dell'organismo legislativo.
Le garanzie previste dall'articolo 68 della Costituzione
sulle prerogative del parlamentare non possono certamente
essere intese nel senso che debbano garantire in ogni caso il
plenum assembleare; in tal modo, infatti, a fronte di
imputazioni gravissime, esse funzionerebbero come
inespugnabile privilegio di una vera e propria casta. Ma
queste garanzie non possono neppure essere viste come un
inutile orpello o come un ingiustificato intralcio alla
magistratura. L'articolo 68 della Costituzione mantiene -
correttamente inteso - una funzione di garanzia
nell'equilibrio dei poteri che nessun Parlamento ritiene
superflua almeno in Europa.
Personalmente ritengo che, per desumere la sussistenza o
meno del fumus persecutionis non ci si possa esimere da
una valutazione complessiva degli elementi fattuali e di
diritto di cui si compone il provvedimento giurisdizionale,
purché l'ottica resti quella di accertare se esso non sia
stato adottato con un animus estraneo alla mera esigenza
di giustizia. Nel caso specifico al nostro esame, non mi pare
che sia fondato sostenere l'esistenza del fumus
persecutionis o addirittura di una vis persecutoria,
com'è detto nella relazione di maggioranza.
Gli elementi d'accusa formulati dal pubblico ministero
sono stati sottoposti ad un primo vaglio di un giudice terzo e
permangono elementi gravi e concordanti con i riscontri negli
accertamenti. Tuttavia, ai fini della valutazione delle
esigenze cautelari, è stato lo stesso giudice a porci un
ulteriore problema, scrivendo, nell'ordinanza con la quale
accoglie la richiesta dell'ufficio del pubblico ministero,
che: "al fine di tutelare queste esigenze, il termine di
scadenza della misura va fatto coincidere con quello di
chiusura delle indagini preliminari".
Per quanto riguarda il capo di imputazione A), a
carico del deputato Previti, nell'ordinanza, l'indagine
preliminare deve ritenersi chiusa con l'avvenuto deposito
della richiesta di rinvio a giudizio, che è intervenuta
successivamente alla richiesta di custodia cautelare.
Per quanto riguarda il capo di imputazione B),
secondo il giudice per le indagini preliminari residuano
esigenze cautelari con riferimento a due bonifici relativi al
conto "Mercier". A tale proposito, bisogna anche rilevare che
nella documentazione allegata alla richiesta di rinvio a
giudizio, sempre pervenuta dopo, risulta esistente e già
pervenuta una rogatoria internazionale a detto conto
"Mercier", con l'individuazione dei relativi conti. Il che si
pone come un ulteriore elemento di valutazione ai fini della
residualità delle esigenze di carcerazione preventiva.
Dalla ricostruzione dell'iter conosciuto dal provvedimento
giurisdizionale a carico del deputato Previti, è emerso un
nuovo problema che attiene direttamente alla nostra
responsabilità di parlamentari ed ancor più alla
responsabilità di quelli tra noi che sono stati chiamati a
svolgere le delicate funzioni di componenti della Giunta per
le autorizzazioni a procedere.
Sono passati quasi cinque mesi dalla prima richiesta di
autorizzazione all'arresto dell'onorevole Previti e di certo
la mancata adozione dei decreti attuativi dell'articolo 68,
senza specifica responsabilità di alcuno, è stato un serio
ostacolo alla tempestività della nostra decisione. Tuttavia,
la necessità di accertare e seguire le norme procedurali che
vigono in carenza dei decreti attuativi dell'articolo 68 non
giustifica da sola il gravissimo ritardo con il quale oggi la
Camera è chiamata a decidere. Soprattutto quando si tratta di
deliberare in ordine a richieste di autorizzazione all'arresto
è indispensabile farlo in tempi rapidissimi. Le esigenze di
custodia cautelare sono, per loro natura, eccezionali e con
queste caratteristiche essa è prevista dalla legge.
L'intempestività nella sua esecuzione, se non ne vanifica le
finalità, sicuramente ne affievolisce la necessità fino a
renderla superflua.
La Giunta per le autorizzazioni a procedere e la stessa
Assemblea non
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possono decidere in questi casi seguendo la tempistica e le
priorità del proprio calendario. Il rispetto dello Stato di
diritto e dell'autonoma iniziativa in materia di azione penale
da parte della magistratura si dimostrerebbe, assai meglio che
con le parole, con decisioni assunte dalla Camera in tempi
strettissimi.
Allo stato delle cose, che ho sommariamente riassunto, in
sede di Giunta per le autorizzazioni a procedere ho già
personalmente ritenuto di astenermi. A prescindere da questa
mia personale posizione, che comporta un voto di astensione,
sulla richiesta di autorizzazione all'arresto del deputato
Previti, ciascun parlamentare, nella libertà e nella
solitudine che sono richieste, dovrà assumere una decisione da
adottare in scienza ed in coscienza: in scienza, e cioè in
diritto, per stabilire se nel caso specifico, che riguarda il
deputato Cesare Previti, debba essere attivata o meno la
salvaguardia prevista dall'articolo 68 della Costituzione; in
coscienza, interrogandosi cioè se la propria decisione sia
davvero scevra da pregiudizi, anche di nobile natura etica, e
da ogni meschino calcolo di natura politica. Ogni decisione
assunta su queste basi, qualunque sia il risultato del voto
dell'Assemblea, non avrà carattere delegittimante, né della
magistratura, il cui operato non verrebbe in alcun caso
sconfessato e che proseguirà con il processo (che ci auguriamo
rapido e conclusivo in tempi brevi), né del Parlamento, che
non avrebbe utilizzato una prerogativa costituzionale per
chiudersi in una stretta logica di contrapposti schieramenti.
Al contrario, sarebbe davvero esiziale per la nostra stessa
democrazia se dopo i tanti appelli al voto di coscienza
dovessero prevalere logiche di schieramento preconcetto a
favore o contro la magistratura o, peggio ancora, se finissero
con il prevalere spregiudicati calcoli politici sull'effetto
che l'una o l'altra decisione sul caso Previti potrebbero
avere negli sviluppi del confronto politico.
Nel dibattito che stiamo conducendo c'è dunque per
ciascuno di noi un dovere di strettissima pertinenza al tema
in discussione e, soprattutto, di sobrietà nei toni e nelle
valutazioni che mi appare come non secondario; un dovere che
credo permanga rafforzato anche con riferimento al voto che
questa Assemblea esprimerà.
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