| MICHELE SAPONARA. Signor Presidente, onorevoli colleghi,
ho letto di una collega del PDS che si asterrà dal voto e che
avrebbe votato contro se la difesa Previti e la relazione
Carrara non si fossero incentrate sul fumus
persecutionis e si fossero invece limitate ad evidenziare
l'assenza di elementi che giustificassero l'arresto.
Sarei pronto a discutere questo aspetto, anzi sarei
contento di farlo. Ma i relatori di minoranza hanno ritenuto
imprescindibile parlare del fumus persecutionis per
negarlo, atteso che compito della Giunta prima e del
Parlamento ora è proprio quello di verificare l'esistenza o
meno di esso. E ci hanno invitato, anzi sfidato a trovare un
qualsiasi elemento che possa giustificare l'esistenza del
fumus persecutionis e far pensare che i giudici di
Milano abbiano potuto o voluto, colposamente o
intenzionalmente, perseguitare l'onorevole Previti.
Accetto la sfida a malincuore, colleghi, perché ripugna a
tutti ipotizzare che dei magistrati possano, in uno Stato di
diritto, voler perseguitare un cittadino, parlamentare o meno.
E ripugna ancora di più se si pensa che quei magistrati,
additati al mondo intero come coloro che sono stati capaci di
scoperchiare la corruzione e di azzerare un'intera classe
politica, possano essere tacciati di volontà persecutoria, di
usare un atteggiamento men che sereno nei confronti di un
indagato.
Voglio tranquillizzarvi, colleghi. Il fumus
persecutionis, così come è stato da tutti indicato, non è
la persecuzione, non è la prova di un reato commesso da parte
dei giudici che possa delegittimare la magistratura. A mio
avviso, il fumus persecutionis è l'esistenza di
elementi, di forzature, di errori nei quali i giudici -
pool e GIP - siano incorsi e che possano aver fatto
ragionevolmente dubitare della serenità degli stessi. Così
posto il problema, ritengo che in questa vicenda di forzature
ve ne siano tantissime. E' chiaro che a questo punto bisogna
ripercorrere, sia pure fugacemente, l'iter processuale e
verificare tutti gli elementi del processo.
La competenza. L'onorevole Dalla Chiesa diceva che noi non
possiamo sostituirci alla Cassazione e affermare che è
incompetente un giudice che dalla Cassazione è stato
dichiarato competente. Ritengo che quello relativo alla
competenza sia l'elemento più importante. Voi sapete,
colleghi, che l'articolo 25 della Costituzione stabilisce che
nessuno può essere distolto dal giudice naturale costituito
per legge. E la competenza prevista dall'articolo 11 del
codice di procedura penale per i reati commessi dai magistrati
è assolutamente inderogabile.
Noi sappiamo, colleghi, come è stata radicata la
competenza dei giudici di Milano. Conosciamo tutta la vicenda
del bar Mandara, sappiamo del procedimento disciplinare che è
stato tenuto dinanzi al Consiglio superiore della magistratura
a carico della dottoressa Boccassini, e indirettamente a
carico del giudice Rossato, allorché costoro hanno parlato di
una intercettazione ambientale assolutamente inesistente,
laddove sappiamo che si è trattato soltanto di appunti presi
da un viceispettore della Polizia di Stato. Mi piace, o meglio
mi dispiace dover leggere, a questo punto, ciò che ha
dichiarato il dottor Marco Pivetti, componente di magistratura
democratica del Consiglio superiore della magistratura, a
proposito di questa vicenda: "Resta il fatto che le
espressioni usate nell'ordinanza cautelare, insieme alla
genericità di quelle usate nella richiesta e insieme alla
forma grafica della riproduzione del dialogo nell'ordinanza
stessa e alla anomalia, e quindi alla
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imprevedibilità di quello che era una sorta di verbale di
ascolto rendevano palesemente inevitabile che si creasse nei
terzi" (quindi anche nella Corte di cassazione che ha
dichiarato la competenza del tribunale di Milano a seguito del
ricorso proposto avverso l'ordinanza di custodia cautelare)
"la convinzione che il testo in questione fosse la
trascrizione di una conversazione intercettata e
registrata.
E questa convinzione è durata per non pochi mesi". E
ancora - ed è grave, signori -: "Si è trattato di una
scorrettezza oggettivamente molto grave, quindi di una grave
violazione delle regole di lealtà che debbono governare
l'operato di chi nel processo non rappresenta interessi di
parte, ma è chiamato a rappresentare imparzialmente la legge.
Ho parlato di scorrettezza oggettiva perché non mi interessa
in questa sede esaminare se sia più probabile l'ascrizione
della scorrettezza ad una volontà maliziosa oppure a
negligenza. Non mi riconosco quindi nei giudizi assolutori
espressi nella proposta dalla Commissione. Non condivido che
tutto sia stato regolare e che il PM di Milano abbia in questo
caso ben operato. Non ritengo, da questa sede, di poter dire
ai magistrati che essi si possono comportare così. Credo anzi
che sia mio dovere dire quello che sento e che cioè i
magistrati non possono comportarsi così nei confronti degli
indagati". Signori, è o non è una forzatura questa? Lo dice un
componente del Consiglio superiore della magistratura, e
vivaddio ha ragione il collega Pecoraro Scanio: ci sono gli
ipocriti e ci sono i non ipocriti; non credo di essere
ipocrita nel denunziare questi fatti documentati e
conclamati.
A proposito di competenza e di gravi indizi, certo fa
impressione sentir parlare di miliardi e di giudici corrotti,
ma i fatti sono assolutamente indeterminati, non ci sono le
sentenze aggiustate, non ci sono le date, non vengono indicati
i giudici corrotti, non si sa se si tratti di corruzione
propria o impropria e quindi non si sa come difendersi o
quando si prescrivano tali fatti.
Gestione Ariosto: signori, l'Ariosto è stata trovata falsa
e calunniosa in tanti, tanti episodi, eppure non si è
proceduto contro la stessa. L'Ariosto ha detto che Berlusconi,
la Fininvest, aveva costituito presso l'Efibanca un grosso
conto da cui potesse attingere Previti per corrompere i
giudici. Nel corso delle indagini preliminari si è subito
accertato che l'Efibanca non aveva questo conto né questi
compiti. Addirittura l'Ariosto il 29 settembre 1995 aveva
indicato fra i magistrati che frequentavano casa Previti anche
l'onorevole Mancuso. In sede di incidente probatorio ha poi
ritrattato. Era accaduto, signori, che nel luglio 1995 Mancuso
aveva mandato gli ispettori a Milano; in quel momento, dunque,
Mancuso a Milano non era gradito.
Vorrei parlare anche dell'inquinamento probatorio che il
giudice vede non già nell'alterazione delle prove, bensì nella
possibilità che venga inquinata l'interpretazione. Citerò due
sentenze della Cassazione: "In tema di misure cautelari
personali, il pericolo per l'acquisizione o la genuinità della
prova, richiesto dall'articolo 274 del codice di procedura
penale, deve essere concreto e va identificato in tutte quelle
situazioni dalle quali sia possibile desumere, secondo la
regola dell' id quod plerumque accidit, che l'indagato
possa realmente turbare il processo formativo della prova,
ostacolandone la ricerca o inquinando le relative fonti. Per
evitare che il requisito richiesto del concreto pericolo perda
il suo significato e si trasformi in semplice clausola di
stile, è necessario che il giudice indichi, con riferimento
all'indagato, le specifiche circostanze di fatto dalle quali
esso è desunto e fornisca sul punto adeguata e logica
motivazione".
Mi richiamo per un attimo alla relazione dei colleghi di
minoranza, i quali dicono che: "le esigenze cautelari appaiono
evidenti in un contesto come quello ricostruito dal giudice
milanese e che, comunque, non è il Parlamento giudice il quale
possa valutare quelle esigenze, fatta salva l'eventuale
assoluta in
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congruenza della motivazione giudiziale, nel caso di specie
non seriamente sostenibile".
Allora, io mi chiedo quali maggiori prove si possano
portare per sostenere che la motivazione posta dal GIP a
fondamento dell'ordinanza di custodia cautelare è
assolutamente incongrua, è una clausola di stile, è
contraddetta dalle risultanze di fatto, allorché si dice che
Previti può inquinare le prove e si dimentica che tra la prima
e la seconda richiesta sono state effettuate delle indagini,
sono state acquisite delle prove, è stato sentito il dottor
Casoli, il quale avrebbe potuto ben essere interpellato e
condizionato e invece è stato libero di dire quello che ha
voluto dire (vero o falso che sia).
Quindi, noi abbiamo la prova che forzature ce ne sono
state e tante e queste forzature fanno pensare al fumus.
Quest'ultimo non significa prova certa, ma apparenza: un
qualche cosa che possa far ragionevolmente dubitare. Anche se
c'è il minimo dubbio, noi pensiamo che si applichi l'articolo
68 e che la Camera sia facoltizzata a respingere la richiesta
dei giudici di Milano.
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