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Testi integrali degli Atti Parlamentari della XIII Legislatura

Documento


344428
STA0298-0063
Stenografico d'Aula n. 298 del 19 gennaio 1998 (STA13-298)
(suddiviso in 68 Unità Documento)
Unità Documento n.63 (che inizia a pag.39 dello stampato)
(il TITOLO si trova nell'Unità Documento n.6)
DISCUSSIONE: DOC. IV, n. 11A. ...(Discussione - Doc. IV, n. 11-A). LAVASS
...DISCUSSIONE: DOC. IV, n. 11A. ...(Discussione - Doc. IV, n. 11-A).
ALFREDO MANTOVANO.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
ZZSTA ZZRES ZZSTA190198 ZZSTA980119 ZZSTA000198 ZZSTA000098 ZZSTA298 ZZ13 ZZDI ZZLL
    ALFREDO MANTOVANO.  Signor Presidente, onorevoli colleghi,
  novant'anni fa in quest'aula (seduta del 2 aprile 1908) si
  discuteva della richiesta di arresto dell'onorevole Enrico
  Ferri; intervenne tra gli altri l'onorevole Barzilai, il quale
  disse testualmente: "Non credo alle questioni di diritto
  portate nelle Assemblee politiche; la questione di diritto è
  di solito la forma onesta della quale si veste una questione
  politica.  Il diritto è la luce riflessa della verità, ma
  quando questa luce penetra attraverso i cristalli prismatici
  di quest'Assemblea, essa si scompone nei suoi elementi, dal
  rosso al violaceo, e ciascuno si piglia l'elemento che crede
  più conforme alle proprie idee politiche".  Signor Presidente,
  credo che i parametri che devono orientare la nostra decisione
  siano esattamente opposti a quelli che furono esposti
  novant'anni fa da questo nostro collega.
     La decisione che siamo chiamati a prendere sarà tanto più
  corretta quanto più la luce del diritto che penetra
  dall'esterno sarà diretta e trasparente, senza filtri
  impropri; sarà tanto più corretta quanto più sarà adeguata
  agli elementi di fatto che sono stati sottoposti alla nostra
  attenzione, senza condizionamenti di alcun tipo.  Per questo
  riteniamo necessario entrare nel merito dei presupposti della
  misura cautelare (l'ha fatto l'onorevole Berselli e lo farà
  domani l'onorevole Trantino), perlomeno quanto alla
  sussistenza delle esigenze cautelari.
 
                              Pag. 40
 
     La circostanza che il Parlamento intervenga su una
  decisione adottata dal giudice, il quale ha già verificato se
  esistano le condizioni di cui agli articoli 273 e 274 del
  codice di procedura penale e che debba valutare soltanto la
  presenza di un  fumus persecutionis  non solo non esclude
  ma impone quest'esame di merito, dal momento che non esistono
  parametri diversi al di fuori di quelli previsti dagli
  articoli prima citati per stabilire se ricorra o meno il
  fumus persecutionis.  Quali dati potrebbero venire in
  soccorso del nostro approfondimento, se non si valutassero
  quegli elementi?  Sostenere il contrario equivarrebbe
  paradossalmente ad avallare la tesi che i colleghi favorevoli
  all'arresto hanno fin qui contestato, equivarrebbe cioè a
  cercare comportamenti dei magistrati diversi dagli atti
  giudiziari che possano altrimenti evidenziare il  fumus.
  Ma noi ci rifiutiamo di svolgere questa ricerca.
     Il voto al quale ci accingiamo non è né un referendum né
  un processo al lavoro svolto dai magistrati dai quali è
  partita la richiesta di arresto.  Non è questo il momento e non
  è questa la sede per parlare di relazioni ipotetiche o anche
  reali tra specifiche iniziative giudiziarie e il perseguimento
  di determinati obiettivi politici; basta e avanza attenersi ai
  fatti sottoposti alla nostra valutazione.
     Fino a due anni fa circa ho svolto la funzione di giudice
  penale e mi è capitato più di una volta - lo dico con
  riferimento all'intervento dell'onorevole Izzo - di imbattermi
  in qualche imputato la cui difesa era, diciamo così,
  esagerata; non so se questo sia il caso dell'onorevole
  Previti, so però che nessun giudice degno di questo nome
  condanna un imputato per una difesa esagerata, ma tutt'al più
  per gli elementi di fatto sottoposti alla sua attenzione.
     Allora, interessiamoci soprattutto delle esigenze
  cautelari.  Il GIP ne richiama due delle tre previste
  dall'articolo 274 del codice di procedura penale: il pericolo
  di inquinamento delle prove e il rischio di ripetizione che
  riguardi delitti della stessa specie di quelli per i quali si
  procede.  Con estrema pacatezza ma con altrettanta sicurezza
  posso dire che quest'ultima esigenza è realmente inesistente.
  E' significativo che nelle 132 pagine dell'ordinanza di
  custodia cautelare appena 8 righi siano dedicati alla
  sussistenza di questa esigenza.  Immagino (mi si consenta la
  battuta) che se l'onorevole Previti si avvicinasse ad un
  qualsiasi palazzo di giustizia scatterebbe il sistema di
  allarme: figuriamoci se si avvicinasse a coloro che si trovano
  all'interno del palazzo di giustizia!
     La prima esigenza cautelare, il rischio di inquinamento
  delle prove, deve fare i conti con la nuova formulazione
  dell'articolo 274, lettera  a),  del codice di procedura
  penale, cioè con la concretezza e l'attualità del pericolo.
  Che cosa determina il rischio di inquinamento delle prove
  secondo il GIP?  Sei elementi.  Primo: la natura dei fatti
  contestati, cioè un quadro sistematico di corruttela.  Secondo:
  la sparizione della procura IMI.  Terzo: la conoscenza da parte
  dell'onorevole Previti di notizie riservate in ordine al
  processo in corso.  Quarto: la capacità di interferire sul
  funzionamento e sulla formazione dei collegi giudicanti.
  Quinto: i rapporti anche recenti con i signori Pacini
  Battaglia e Giancarlo Rossi.  Sesto: l'atteggiamento
  "spregiudicato" che l'onorevole Previti avrebbe tenuto nella
  vicenda Mondadori.
     Il primo argomento, la natura dei fatti contestati, è
  irrilevanti rispetto al pericolo in oggetto.  Il secondo, il
  terzo e il quarto argomento (sparizione della procura IMI,
  conoscenza di notizie riservate, capacità di interferire sul
  funzionamento e sulla formazione dei collegi giudicanti) si
  riferiscono ad un periodo storico del tutto cessato, non
  avendo più l'onorevole Previti, proprio per l'enorme clamore
  delle indagini e per la presumibile attenzione di cui
  continuerà ad essere oggetto da parte dell'autorità
  giudiziaria, alcuna concreta possibilità di contattare
  pubblici ufficiali.  Il quinto argomento, i rapporti con Pacini
  Battaglia e Rossi, appare oscuro, non avendo il GIP chiarito
  per quale ragione questi rapporti, pur essendo anche tali
 
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  soggetti al centro di enorme attenzione, dovrebbero oggi
  comportare un rischio di inquinamento delle prove.  Il sesto
  argomento, l'atteggiamento spregiudicato nella vicenda
  Mondadori, non è pertinente perché attiene ad una presunta
  indole soggettiva dell'onorevole Previti, mentre ciò che
  appare mancante è l'attuale possibilità da parte sua di
  incidere sul materiale probatorio.
     Questi e soltanto questi sono i dati oggettivi sui quali
  siamo chiamati a basare la nostra valutazione, senza farci
  condizionare da altri ordini di considerazioni.  In precedenza
  ho citato un episodio di novanta anni fa; ora vorrei andare
  ancora più indietro nel tempo e ricordare un episodio narrato
  da quel grande giurista che è stato Salvatore Satta in un
  libretto, stampato di recente, intitolato  Il mistero del
  processo.
     Parigi, 2 settembre 1792.  E' in corso un giudizio a carico
  del maggiore Bachmann, guardia svizzera del re, davanti al
  tribunale rivoluzionario.  Nell'aula d'udienza i giudici
  interrogano come testimoni alcuni soldati svizzeri e, in quel
  mentre, una folla di sanculotti irrompe nel palazzo, forza i
  cancelli del carcere, da là trascina i prigionieri in mezzo al
  cortile e ne fa scempio.  Venuta a conoscenza che nella sala
  delle udienze si trovano gli svizzeri, la folla sale le scale
  e appare sulla porta grondante di sangue, pronta a completare
  con le guardie del re presenti l'opera iniziata nel cortile.
  Ma il presidente del tribunale, tale Lavau, blocca la torma e
  intima di "rispettare la legge e l'accusato che è sotto la sua
  spada".  I sanculotti si fermano, restano in silenzio e poi
  indietreggiano, avendo compreso, come scrive il cronista del
  tempo Lenotre, che "l'opera che essi compiono là in basso, le
  maniche rivoltate e la picca tra le mani, questi borghesi,
  mantello e cappello a piuma, la perfezionano sui loro
  seggi".
     Signor Presidente, e concludo, oggi, certo, non ci sono le
  picche, ma i  fax.  Dobbiamo seguire gli stessi parametri
  di decisione dei giacobini?  Ho ascoltato appelli alla dignità
  della politica: la politica perderebbe dignità se non
  autorizzasse l'arresto dell'onorevole Previti.  Ma faremmo un
  cattivo favore alla nostra personale dignità, prima ancora che
  alla dignità di parlamentari, se ci preoccupassimo
  esclusivamente dell'umore della folla.
     La folla applaude il re, ma dopo qualche anno applaude il
  boia che mostra la testa del re.  La folla osanna Robespierre,
  ma dopo qualche mese approva i suoi carnefici.  Vogliamo far
  dipendere la libertà di una persona - chiunque sia quella
  persona - dall'umore della folla?  Mi auguro che in quest'aula
  non ci sia nessuno che immagini oggi che la giustizia debba
  indossare il berretto frigio.  Anche se devo dire che qualcuno
  - non molti - degli interventi ascoltati mi fa venire il
  dubbio che il berretto frigio taluno non se lo tolga neppure
  per andare a dormire.
     Mi auguro che per tutti il solo tribunale sia quello della
  propria coscienza; il riscatto autentico della politica ci
  sarà se sulle suggestioni giacobine prevarrà la nostra
  coscienza di uomini liberi  (Applausi dei deputati del
  gruppo di alleanza nazionale).
 
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