| ALFREDO MANTOVANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi,
novant'anni fa in quest'aula (seduta del 2 aprile 1908) si
discuteva della richiesta di arresto dell'onorevole Enrico
Ferri; intervenne tra gli altri l'onorevole Barzilai, il quale
disse testualmente: "Non credo alle questioni di diritto
portate nelle Assemblee politiche; la questione di diritto è
di solito la forma onesta della quale si veste una questione
politica. Il diritto è la luce riflessa della verità, ma
quando questa luce penetra attraverso i cristalli prismatici
di quest'Assemblea, essa si scompone nei suoi elementi, dal
rosso al violaceo, e ciascuno si piglia l'elemento che crede
più conforme alle proprie idee politiche". Signor Presidente,
credo che i parametri che devono orientare la nostra decisione
siano esattamente opposti a quelli che furono esposti
novant'anni fa da questo nostro collega.
La decisione che siamo chiamati a prendere sarà tanto più
corretta quanto più la luce del diritto che penetra
dall'esterno sarà diretta e trasparente, senza filtri
impropri; sarà tanto più corretta quanto più sarà adeguata
agli elementi di fatto che sono stati sottoposti alla nostra
attenzione, senza condizionamenti di alcun tipo. Per questo
riteniamo necessario entrare nel merito dei presupposti della
misura cautelare (l'ha fatto l'onorevole Berselli e lo farà
domani l'onorevole Trantino), perlomeno quanto alla
sussistenza delle esigenze cautelari.
Pag. 40
La circostanza che il Parlamento intervenga su una
decisione adottata dal giudice, il quale ha già verificato se
esistano le condizioni di cui agli articoli 273 e 274 del
codice di procedura penale e che debba valutare soltanto la
presenza di un fumus persecutionis non solo non esclude
ma impone quest'esame di merito, dal momento che non esistono
parametri diversi al di fuori di quelli previsti dagli
articoli prima citati per stabilire se ricorra o meno il
fumus persecutionis. Quali dati potrebbero venire in
soccorso del nostro approfondimento, se non si valutassero
quegli elementi? Sostenere il contrario equivarrebbe
paradossalmente ad avallare la tesi che i colleghi favorevoli
all'arresto hanno fin qui contestato, equivarrebbe cioè a
cercare comportamenti dei magistrati diversi dagli atti
giudiziari che possano altrimenti evidenziare il fumus.
Ma noi ci rifiutiamo di svolgere questa ricerca.
Il voto al quale ci accingiamo non è né un referendum né
un processo al lavoro svolto dai magistrati dai quali è
partita la richiesta di arresto. Non è questo il momento e non
è questa la sede per parlare di relazioni ipotetiche o anche
reali tra specifiche iniziative giudiziarie e il perseguimento
di determinati obiettivi politici; basta e avanza attenersi ai
fatti sottoposti alla nostra valutazione.
Fino a due anni fa circa ho svolto la funzione di giudice
penale e mi è capitato più di una volta - lo dico con
riferimento all'intervento dell'onorevole Izzo - di imbattermi
in qualche imputato la cui difesa era, diciamo così,
esagerata; non so se questo sia il caso dell'onorevole
Previti, so però che nessun giudice degno di questo nome
condanna un imputato per una difesa esagerata, ma tutt'al più
per gli elementi di fatto sottoposti alla sua attenzione.
Allora, interessiamoci soprattutto delle esigenze
cautelari. Il GIP ne richiama due delle tre previste
dall'articolo 274 del codice di procedura penale: il pericolo
di inquinamento delle prove e il rischio di ripetizione che
riguardi delitti della stessa specie di quelli per i quali si
procede. Con estrema pacatezza ma con altrettanta sicurezza
posso dire che quest'ultima esigenza è realmente inesistente.
E' significativo che nelle 132 pagine dell'ordinanza di
custodia cautelare appena 8 righi siano dedicati alla
sussistenza di questa esigenza. Immagino (mi si consenta la
battuta) che se l'onorevole Previti si avvicinasse ad un
qualsiasi palazzo di giustizia scatterebbe il sistema di
allarme: figuriamoci se si avvicinasse a coloro che si trovano
all'interno del palazzo di giustizia!
La prima esigenza cautelare, il rischio di inquinamento
delle prove, deve fare i conti con la nuova formulazione
dell'articolo 274, lettera a), del codice di procedura
penale, cioè con la concretezza e l'attualità del pericolo.
Che cosa determina il rischio di inquinamento delle prove
secondo il GIP? Sei elementi. Primo: la natura dei fatti
contestati, cioè un quadro sistematico di corruttela. Secondo:
la sparizione della procura IMI. Terzo: la conoscenza da parte
dell'onorevole Previti di notizie riservate in ordine al
processo in corso. Quarto: la capacità di interferire sul
funzionamento e sulla formazione dei collegi giudicanti.
Quinto: i rapporti anche recenti con i signori Pacini
Battaglia e Giancarlo Rossi. Sesto: l'atteggiamento
"spregiudicato" che l'onorevole Previti avrebbe tenuto nella
vicenda Mondadori.
Il primo argomento, la natura dei fatti contestati, è
irrilevanti rispetto al pericolo in oggetto. Il secondo, il
terzo e il quarto argomento (sparizione della procura IMI,
conoscenza di notizie riservate, capacità di interferire sul
funzionamento e sulla formazione dei collegi giudicanti) si
riferiscono ad un periodo storico del tutto cessato, non
avendo più l'onorevole Previti, proprio per l'enorme clamore
delle indagini e per la presumibile attenzione di cui
continuerà ad essere oggetto da parte dell'autorità
giudiziaria, alcuna concreta possibilità di contattare
pubblici ufficiali. Il quinto argomento, i rapporti con Pacini
Battaglia e Rossi, appare oscuro, non avendo il GIP chiarito
per quale ragione questi rapporti, pur essendo anche tali
Pag. 41
soggetti al centro di enorme attenzione, dovrebbero oggi
comportare un rischio di inquinamento delle prove. Il sesto
argomento, l'atteggiamento spregiudicato nella vicenda
Mondadori, non è pertinente perché attiene ad una presunta
indole soggettiva dell'onorevole Previti, mentre ciò che
appare mancante è l'attuale possibilità da parte sua di
incidere sul materiale probatorio.
Questi e soltanto questi sono i dati oggettivi sui quali
siamo chiamati a basare la nostra valutazione, senza farci
condizionare da altri ordini di considerazioni. In precedenza
ho citato un episodio di novanta anni fa; ora vorrei andare
ancora più indietro nel tempo e ricordare un episodio narrato
da quel grande giurista che è stato Salvatore Satta in un
libretto, stampato di recente, intitolato Il mistero del
processo.
Parigi, 2 settembre 1792. E' in corso un giudizio a carico
del maggiore Bachmann, guardia svizzera del re, davanti al
tribunale rivoluzionario. Nell'aula d'udienza i giudici
interrogano come testimoni alcuni soldati svizzeri e, in quel
mentre, una folla di sanculotti irrompe nel palazzo, forza i
cancelli del carcere, da là trascina i prigionieri in mezzo al
cortile e ne fa scempio. Venuta a conoscenza che nella sala
delle udienze si trovano gli svizzeri, la folla sale le scale
e appare sulla porta grondante di sangue, pronta a completare
con le guardie del re presenti l'opera iniziata nel cortile.
Ma il presidente del tribunale, tale Lavau, blocca la torma e
intima di "rispettare la legge e l'accusato che è sotto la sua
spada". I sanculotti si fermano, restano in silenzio e poi
indietreggiano, avendo compreso, come scrive il cronista del
tempo Lenotre, che "l'opera che essi compiono là in basso, le
maniche rivoltate e la picca tra le mani, questi borghesi,
mantello e cappello a piuma, la perfezionano sui loro
seggi".
Signor Presidente, e concludo, oggi, certo, non ci sono le
picche, ma i fax. Dobbiamo seguire gli stessi parametri
di decisione dei giacobini? Ho ascoltato appelli alla dignità
della politica: la politica perderebbe dignità se non
autorizzasse l'arresto dell'onorevole Previti. Ma faremmo un
cattivo favore alla nostra personale dignità, prima ancora che
alla dignità di parlamentari, se ci preoccupassimo
esclusivamente dell'umore della folla.
La folla applaude il re, ma dopo qualche anno applaude il
boia che mostra la testa del re. La folla osanna Robespierre,
ma dopo qualche mese approva i suoi carnefici. Vogliamo far
dipendere la libertà di una persona - chiunque sia quella
persona - dall'umore della folla? Mi auguro che in quest'aula
non ci sia nessuno che immagini oggi che la giustizia debba
indossare il berretto frigio. Anche se devo dire che qualcuno
- non molti - degli interventi ascoltati mi fa venire il
dubbio che il berretto frigio taluno non se lo tolga neppure
per andare a dormire.
Mi auguro che per tutti il solo tribunale sia quello della
propria coscienza; il riscatto autentico della politica ci
sarà se sulle suggestioni giacobine prevarrà la nostra
coscienza di uomini liberi (Applausi dei deputati del
gruppo di alleanza nazionale).
| |