Banche dati professionali (ex 3270)
Testi integrali degli Atti Parlamentari della XIII Legislatura

Documento


344499
SMC0292-0054
Bollettino Giunte e Commissioni n. 292 del 20 gennaio 1998 - edizione definitiva - (SMC13-292)
(suddiviso in 75 Unità Documento)
Unità Documento n.54 (che inizia a pag.89 dello stampato)
                             Pag. 89
 
                   X COMMISSIONE PERMANENTE
          (Attività produttive, commercio e turismo)
 
 
IN SEDE REFERENTE
C625; C2456; C2644. LAVCOMM
C625; C2456; C2644.
Proposte di legge: MATTIOLI e GARDIOL: Regolamentazione dell'attività dell'impresa di lavanderia e tintoria (625). (Parere della I, della II ex articolo 73 comma 1- bis del Regolamento, limitatamente alle disposizioni in materia di sanzioni, della V, della XI e della XII Commissione). MOLINARI ed altri: Legge quadro sull'attività delle imprese di lavanderia, pulitura a secco, tintoria di abiti ed indumenti, smacchiatura, stireria ed affini (2456). (Parere della I, della II ex articolo 73, comma 1- bis, del Regolamento, limitatamente alle disposizioni in materia di sanzioni), della V, della VII, della XI, della XII e della XIV Commissione). VOLONTE' ed altri: Legge quadro sull'attività delle imprese di lavanderia, pulitura a secco, tintoria di abiti ed indumenti, smacchiatura, stireria ed affini (2644). (Parere delle Commissioni I, della II ex articolo 73, comma 1- bis, del Regolamento limitatamente alle disposizioni in materia di sanzioni, della V, della VII, della XI, della XII e della XIV Commissione).
(Esame e rinvio).
Carlo CARLI, presidente. Paolo PALMA.
Martedì 20 gennaio 1998. - Presidenza del Vicepresidente Carlo CARLI.
ZZSMC ZZRES ZZSMC200198 ZZSMC980120 ZZSMC000198 ZZSMC000098 ZZSMC292 ZZ13 ZZD ZZC10 ZZRE ZZHH ZZII ZZFF
     La Commissione inizia l'esame delle proposte di legge
  all'ordine del giorno.
 
     Carlo CARLI,  presidente,  cogliendo l'occasione
  dell'avvio dell' iter  delle proposte di legge, informa la
  Commissione che la documentazione predisposta dal Servizio
  studi ha ora una nuova impostazione redazionale e di
  contenuto, alla luce delle norme regolamentari
  sull'istruttoria legislativa entrate in vigore il 1^ gennaio
  scorso.  Le schede dei dossier, infatti, come di consueto
  illustreranno il contenuto dei testi, ma facendo specifico
  riferimento a ciascuno degli aspetti che la Commissione è
  tenuta ad approfondire ai sensi del nuovo articolo 79 del
  Regolamento (necessità dell'intervento legislativo; conformità
  alla Costituzione, alla normativa dell'Unione europea e
  rispetto delle competenze regionali e degli enti locali;
  individuazione degli obiettivi dell'intervento e relativi
  oneri per i soggetti pubblici e privati; chiarezza del dettato
  legislativo).
 
     Paolo PALMA (gruppo popolari e democratici-l'Ulivo),
  relatore,  osserva che le proposte di legge in esame
  attengono alla regolamentazione di un settore, quello delle
  imprese di tinto-lavanderia, che ha una notevole diffusione
  nel Paese, ed una discreta rilevanza in termini
  occupazionali.
     Vi operano, stando ai dati disponibili (ufficiali o
  forniti dalle rappresentanze degli operatori) tra le 20 e le
  25 mila imprese, quasi esclusivamente di piccola e
  piccolissima dimensione e di natura
 
                              Pag. 90
 
  prevalentemente artigiana.  Le poche imprese industriali
  sarebbero anch'esse, per la maggior parte, di dimensioni molto
  ridotte (oltre la metà avrebbe non più di tre addetti).
     Il settore risulta distribuito, trattandosi di servizi al
  pubblico molto diffusi, in modo capillare su tutto il
  territorio nazionale.  Il numero delle imprese è più elevato
  rispetto agli altri paesi comunitari (si stima che le imprese
  italiane siano più numerose della somma di quelle operanti in
  Francia, Germania ed Inghilterra).
     Questa attività ha infatti avuto una fase di forte
  espansione, tra la fine degli anni cinquanta ed i primi anni
  settanta, durante la quale si è verificato un incremento, per
  taluni eccessivo, del numero degli operatori; incremento che
  ha portato l'Italia a diventare  leader  mondiale nella
  produzione degli impianti di lavaggio (si calcola che l'Italia
  produca 10 mila lavatrici a secco ogni anno, di cui la massima
  parte viene esportata).  E' poi intervenuta una lunga e
  profonda crisi, con andamenti della domanda altalenanti ed
  insoddisfacenti.  Tale andamento congiunturale si è
  accompagnato ad un progressivo e consistente incremento degli
  obblighi e degli oneri amministrativi in capo a questa
  categoria (si pensi alla problematica della tutela ambientale
  e della salute sui luoghi di lavoro), che ha imposto il
  rispetto di misure necessarie ma notevolmente gravose, specie
  in ragione delle ridottissime dimensioni delle imprese.
     Vengono anche segnalate, dagli operatori, ulteriori
  difficoltà derivanti dalla totale assenza di regolamentazioni
  comunali e di uniformi indirizzi dell'azione amministrativa,
  che, mentre agli operatori regolari crea difficoltà
  burocratiche, le più svariate, non appare in grado di
  contrastare efficacemente i fenomeni di abusivismo e
  concorrenza sleale (forse favoriti dalla presenza di imprese
  che svolgono attività itinerante).
     D'altro canto la categoria ha dovuto affrontare, in
  assenza di qualsiasi ausilio pubblico, un processo di
  qualificazione ed aggiornamento professionale, anche della
  manodopera dipendente, e di rinnovo degli impianti, imposto
  dalla evoluzione delle esigenze della clientela, dalla
  crescente complessità delle attrezzature e delle tecniche di
  lavorazione, e dalla forte innovazione verificatasi nel campo
  delle fibre tessili, che ha coinvolto le stesse modalità di
  trattamento dei tessuti.
     Da tempo, quindi, le organizzazioni di rappresentanza del
  settore (soprattutto degli artigiani, che costituiscono la
  categoria di gran lunga più numerosa), hanno reiteratamente
  richiesto una disciplina che regolamentasse questa attività in
  grado di consentire uno sviluppo delle imprese compatibile con
  le effettive esigenze del mercato; e di tutelare allo stesso
  tempo i consumatori e gli operatori più qualificati,
  introducendo, in analogia a quanto avviene in altri paesi
  comunitari, requisiti di qualificazione minimi, obbligatori
  per l'esercizio dell'attività rivolta al pubblico.
     Una regolamentazione specifica è infatti ritenuta
  necessaria perché siano fornite all'utente dei servizi di
  tinto-lavanderia idonee garanzie del rispetto dei necessari
  canoni di igiene e di sicurezza.
     Tutte e tre le proposte di legge in esame hanno inteso,
  evidentemente, raccogliere queste istanze, prevedendo che
  vengano affidati all'Ente Regione compiti programmatori e di
  indirizzo; mentre ai comuni verrebbero affidati i compiti
  definitori ed attuativi dell'azione amministrativa.
     Paiono conseguentemente superate, quindi, le carenze di
  impianto che avevano portato la Camera, e segnatamente la
  Commissione Affari Costituzionali, nel novembre del 1992, ad
  esprimere parere sfavorevole su di una proposta analoga che si
  prefiggeva di regolamentare la materia (1^ firmatario
  l'onorevole Righi) di cui la stessa Commissione aveva iniziato
  l'esame nel 1989.  Il rigetto venne allora motivato con il
  mancato rispetto delle competenze costituzionalmente
  attribuite alle Regioni.
     Nei contenuti le proposte di legge in esame sono, in
  realtà, salvo alcune differenze, abbastanza simili e muovono
  da una impostazione tendenzialmente omogenea,
 
                              Pag. 91
 
  analogamente ad altre due proposte presentate durante la
  precedente legislatura (AC937, Sanese ed altri, discussa dalla
  X Commissione il 19/11/ ed il 15/12/1992, e AC1831, Mattioli
  ed altri, assegnata alla X Commissione e mai discussa).
     Se ne richiamano di seguito i tratti salienti e taluni
  aspetti problematici.  Due i punti fondamentali che vengono
  affrontati: 1. la attribuzione alle Regioni di specifici
  compiti programmatori in materia di tinto-lavanderie e di
  conseguenti compiti attuativi ai comuni; 2. l'introduzione di
  requisiti tecnico-professionali obbligatori per gli operatori
  del settore.
     L'articolo 1, comma 1, delimita, in tutte e tre le
  proposte, l'ambito di applicazione delle nuove disposizioni
  alle attività delle imprese di lavanderia, pulitura a secco,
  tintoria di abiti ed indumenti, smacchiatura, stireria ed
  affini in genere, esclusivamente per il servizio rivolto al
  pubblico.
     Vengono conseguentemente escluse le lavanderie
  industriali, quelle cioè che operano prevalentemente per altre
  imprese ed enti, pubblici e privati, e ciò, probabilmente, in
  quanto si tratta di imprese di per sé più strutturate, oltre
  che numericamente e di poco significato.
     Lo stesso comma attribuisce alla legge il fine di
  assicurare uno sviluppo del settore compatibile con le
  effettive esigenze del contesto sociale, le potenzialità del
  mercato.
     Un ruolo significativo viene attribuito alle regioni, che,
  sulla base dell'analisi della concreta realtà imprenditoriale,
  dovranno stabilire le linee programmatiche alle quali saranno
  chiamate a conformarsi specifiche regolamentazioni comunali
  dell'attività, nel rispetto degli equilibri istituzionali
  costituzionalmente sanciti.
     Le regioni saranno quindi chiamate (articolo 1, comma 2,
  lettera  a)  a predisporre progetti di razionale
  evoluzione e sviluppo qualitativo del settore che,
  compatibilmente con le effettive esigenze del contesto
  sociale, del territorio e le potenzialità del mercato dovranno
  individuare criteri differenziati di dislocazione delle
  imprese a livello locale tenendo conto del numero e delle
  esigenze degli abitanti e degli utenti, in relazione alla
  natura delle aree urbane esistenti.
     Sul punto la proposta Volonté (AC2644) adotta una
  impostazione dinamica (mutuata da altre precedenti normative
  analoghe) facendo riferimento, ai fini della valutazione delle
  potenzialità del mercato, non solo alla popolazione residente
  ma anche a quella "fluttuante", e con ciò consentendo un
  migliore adattamento delle regolamentazioni comunali a
  situazioni particolari, quali quelle che si riscontrano, ad
  esempio nelle località turistiche.
     Inoltre le tre proposte prevedono (articolo 1, comma 2,
  lettera  b)  che le stesse regioni debbano definire
  appositi indirizzi per la "regolamentazione" (ma forse sarebbe
  più opportuno far riferimento alle modalità di attuazione, e
  relativo controllo) dei requisiti di sicurezza dei locali e
  delle apparecchiature, delle cautele d'esercizio di sicurezza
  dei locali e delle apparecchiature, delle cautele d'esercizio
  e delle condizioni sanitarie in cui operano gli addetti delle
  imprese, in conformità delle disposizioni vigenti definite
  dalle normative statali e comunitarie in materia di igiene,
  sanità e sicurezza.
     Si deve poi notare che la lettera  c),  del comma 2,
  dell'articolo 1, della proposta 2644 prevede un regime di
  autorizzazioni comunali fondato su un sistema preventivo di
  verifica dei requisiti attinenti l'esercizio dell'attività,
  con specifico riferimento a quelle previste in materia di
  tutela dell'ambiente.
     Si avrebbe così una unica sede amministrativa (una sede
  polifunzionale comunale) competente per tutti gli adempimenti
  procedurali in materia ambientale (acqua, aria, rifiuti).
     Si ritiene che tale meccanismo, se correttamente
  applicato, possa effettivamente costituire un elemento di
  semplificazione per la fase di avvio delle imprese; ma sarebbe
  opportuno estenderlo anche a tutte le autorizzazioni attinenti
  locali ed attrezzature, ed ai requisiti di qualificazione
  professionale, avendo verificato,
 
                              Pag. 92
 
  prima dell'adozione di una tale impostazione, se essa non
  possa, eventualmente, considerarsi superata, o comunque da
  integrare dalle misure previste dalla legge Bassanini 59/97,
  che prevede una apposita delega per la semplificazione,
  appunto, degli adempimenti necessari per l'avvio di attività
  imprenditoriali.
     Andrebbe comunque probabilmente inserita una norma di
  salvaguardia, analoga alla lettera  c)  del comma 3
  dell'articolo 1 della legge n. 127 del 1997, laddove si
  prevede che i regolamenti di semplificazione delle norme sulla
  documentazione amministrativa debbano "evitare che le misure
  di semplificazione comportino oneri o ritardi dell'atto
  amministrativo".
     Per le imprese del settore che svolgono attività in forma
  itinerante tutte le proposte prevedono un regime
  autorizzatorio particolare, con la conseguente necessità che
  le regioni fissino specifici criteri per l'individuazione dei
  necessari requisiti di sicurezza ed igienico-sanitari che i
  locali, gli impianti, e gli stessi mezzi di trasporto
  utilizzati da questa specifica tipologia di imprese dovranno
  avere, e ciò in conseguenza della particolarità di tale
  modalità organizzativa.
     Le proposte affrontano poi, sia pure in maniera diversa,
  la problematica del contenzioso con l'utenza privata
  riconfermando il valore degli usi e consuetudini depositati
  presso le camere di commercio.  Sul punto appare da valutare
  con attenzione la proposta Volontè ove - in applicazione della
  recente legge di riforma dei suddetti enti (legge n. 580 del
  1993) - si prevede anche l'istituzione, in sede camerale, di
  apposite commissioni arbitrali per la conciliazione di tali
  controversie, generalmente di valore molto modesto.  La
  proposta Volontè prevede anche la partecipazione delle
  associazioni di rappresentanza delle imprese e dei
  consumatori, probabilmente con funzione di assistenza alle
  parti.
     Vengono poi definiti (articolo 2) alcuni requisiti di
  qualificazione necessari per l'esercizio dell'attività.
     Si individuano innanzitutto (comma 1) quali soggetti
  debbano possederli, a registro della diversa natura giuridica
  assunta dall'impresa (si distingue, cioè a seconda che si
  tratti di imprese artigiane oppure industriali o di diversa
  natura).
     Relativamente alle imprese industriali si fa riferimento
  all'ormai superato registro delle ditte, oggi sostituito dal
  registro delle imprese, già previsto dal codice civile, ma
  istituito, di fatto, solo a seguito del decreto del Presidente
  della Repubblica 7 dicembre 1995, n. 581, attuativo
  dell'articolo 8 della citata legge di riforma delle Camere di
  commercio.
     E si prevede che la qualificazione professionale debba
  essere conseguita "dal titolare o dagli addetti, ..., preposti
  a centri autonomi di esercizio dell'attività".
     Per le imprese artigiane, invece, si opera una
  differenziazione tra imprese individuali ed imprese
  societarie.
     Mentre nel primo caso l'obbligo di qualificazione farebbe
  capo "al titolare" (in coerenza con la disposizione di cui al
  quarto comma dell'articolo 2 della legge quadro del settore
  legge n. 443 del 1985, secondo la quale "l'imprenditore
  artigiano, nell'esercizio di particolari attività che
  richiedono una peculiare preparazione ed implicano
  responsabilità a tutela e garanzia degli utenti, deve essere
  in possesso dei requisiti tecnico-professionali previsti dalle
  leggi statali"), nel caso di società le proposte si
  diversificano.
     La proposta Mattioli prevede che la qualificazione debba
  essere conseguita "da almeno uno dei soci", le altre due la
  richiedono per la "maggioranza dei soci" (Molinari) o "per la
  maggioranza dei soci partecipanti al processo di lavorazione
  nelle imprese" (Volontari).
     La questione non è di secondaria importanza, in quanto
  mentre risulta corretta la impostazione in relazione alle
  imprese individuali (alle quali andranno probabilmente
  aggiunte anche le nuove S.r.l. unipersonali artigiane
  introdotte dalla recente legge n. 133 del 1997, che ha
  modificato la citata legge quadro per l'artigianato) la stessa
  cosa non pare valere per la disposizione sulle società
  artigiane.  In quanto essa introdurrebbe
 
                              Pag. 93
 
  una discriminazione, a sfavore dell'artigianato, rispetto
  alle altre tipologie di impresa.
     Discriminazione non giustificata dal tenore della norma
  generale (per il settore) sopra citata, in quanto essa fa
  riferimento all'imprenditore artigiano individuale, e non ci
  pare possa automaticamente avere ricadute su tutti i soci di
  tali imprese; e neanche su tutti quelli tra costoro che
  partecipano lavoro.
     Considerando poi che vi sono già altri esempi di normative
  su settori specifici (il riferimento va alla legge n. 46 del
  1990 relativa all'installazione di impianti, ed alla legge n.
  122 del 1992, sull'attività di autoriparazione) le cui norme
  hanno previsto requisiti professionali generali che si
  applicano, anche nel caso di imprese artigiane societarie, ad
  uno solo dei soci, parrebbe più opportuno ripercorrere una
  simile impostazione.  Prevedendo cioè che, quale che sia la
  forma prescelta per esercitare l'impresa di tinto-lavanderia,
  la necessaria qualificazione professionale debba essere
  garantita da un soggetto per ogni sede ove vi sia lo
  svolgimento dell'attività intesa sia come produzione del
  servizio, sia come rapporto con il pubblico.  Sarebbe, questa,
  una soluzione più equa in grado di garantire un corretto
  svolgimento di un'attività che comincia con la presa in
  consegna dei capi da pulire e termina con la loro
  riconsegna.
     Le proposte proseguono individuando una serie di percorsi,
  formativi o professionali, che si ritengono, alternativamente
  in grado di fornire una qualificazione adeguata allo
  svolgimento imprenditoriale dell'attività.
     Come prima ipotesi viene indicata quella del conseguimento
  di un attestato di qualifica ottenuto al termine della
  partecipazione a corsi regionali di qualificazione
  professionale.  Tra le proposte vi sono alcune differenze in
  relazione alla identificazione delle caratteristiche di tali
  corsi (durata temporale ed in ore).
     Considerando sia le esperienze già presenti in alcune
  regioni, sia i periodo formativi a cui si fa riferimento nella
  direttiva comunitaria in materia di diritto di stabilimento
  (75/368/CE) la soluzione più consona appare quella presente
  nella proposta Molinari che fa riferimento a corsi di durata
  biennale di almeno 1.200 ore (ma viste le tematiche sulle
  quali questi corsi dovrebbero fornire, anche a soggetti privi
  di una qualsiasi competenza, forse si potrebbe prevedere una
  maggior numero di ore.
     Appare da verificare l'attualità del riferimento alla
  legge 21 dicembre 1978, n. 845 (legge quadro sulla formazione
  professionale) probabilmente superato con l'approvazione del
  disegno di legge Treu.
     Come pure va verificato il riferimento, presente nella
  proposta Volontè, a "tirocini pratici" presso le imprese del
  settore, e la possibilità di utilizzare a questi fini i
  cosiddetti "tirocini formativi" di cui all'articolo 18 della
  legge Treu (legge n. 24 giugno 1997, n. 196), di cui
  dovrebbero essere in via di emanazione le disposizioni
  applicative.
     Si prevede inoltre che venga garantita una certa
  omogeneità dei programmi e delle modalità di svolgimento dei
  corsi attraverso la consultazione, da parte delle singole
  Regioni, delle rappresentanze regionali delle imprese
  appartenenti alle associazioni di categoria maggiormente
  rappresentative a livello nazionale.
     Vengono poi indicati quali titoli di qualificazione
  (probabilmente per l'assenza di percorsi formativi specifici
  per il settore nella scuola superiore) "titoli di studio a
  carattere tecnico attinenti l'attività".  Tali riferimenti
  vanno intesi come rivolti a diplomi di maturità, tecnica o
  professionale, o a diplomi di laurea, conseguiti in discipline
  scientifiche o tecniche certamente non coincidenti con le
  problematiche del settore, ma comunque in grado di fornire una
  preparazione generale tecnica utile ai fini dell'espletamento
  dell'attività.
     Opportunamente si prevede infine che possa costituire
  titolo di qualificazione anche la prestazione di attività
  lavorativa qualificata in posizione subordinata, in forma di
  collaborazione familiare (in una
 
                              Pag. 94
 
  impresa artigiana) o in qualità di socio partecipante al
  lavoro se svolta per un congruo periodo.
     Anche in questo caso, rispetto alla durata minima, che
  risulta differenziale nelle diverse proposte sembra
  preferibile una soluzione che si attesti su di un minimo di
  due anni di esperienza professionale qualificata, salvo
  prevedere una riduzione qualora essa sia stata preceduta dallo
  svolgimento del periodo, completo, di apprendistato previsto
  dalla contrattazione collettiva; che effettivamente è da
  riconoscere come esperienza formativa specifica qualificante,
  anche se di per sé non sufficiente.
     Le proposte fanno quindi riferimento ai cosiddetti
  esercizi di raccolta e di recapito degli indumenti, presenti
  in talune realtà, prevedendo che se appartenenti ad imprese
  del settore essi debbano essere gestiti dallo stesso titolare
  dell'impresa, da un socio o da un dipendente (che anch'essi
  dovranno essere qualificati).  Mentre si prevede che qualora si
  tratti di recapiti che non siano sedi di imprese del settore,
  occorre, comunque, che siano in grado di dimostrare di avere
  un rapporto contrattuale, che viene qualificato
  necessariamente come appalto (ma potrebbe benissimo avere
  un'altra qualificazione giuridica - di somministrazione ad
  esempio -), con imprese di tinto-lavanderia.
     Il punto merita un approfondimento, sia per quanto sopra
  rilevato relativamente alla qualificazione data al rapporto
  contrattuale con l'impresa di tinto-lavanderia, sia in
  considerazione del fatto che referente dell'esercizio di
  recapito potrebbe essere anche una lavanderia cosiddetta
  industriale, non rientrante nell'ambito di applicazione della
  legge.
     Se si adottasse, comunque, la soluzione indicata sopra ai
  fini della individuazione dei soggetti che debbano garantire
  la qualificazione professionale, secondo la quale occorrerebbe
  la presenza di un soggetto qualificato per ogni sede ove
  sussista rapporto con il pubblico, l'obiettivo della norma
  potrebbe, forse, considerarsi già raggiunto, e la stessa
  potrebbe essere espunta.
     Le proposte prevedono, quindi, un regime sanzionatorio
  (sanzioni amministrative) per l'esercizio dell'attività sia
  nel caso di assenza dei requisiti di qualificazione, sia di
  mancanza della prevista autorizzazione comunale (in tale
  ipotesi vi è, tra le proposte, una differenziazione nella
  determinazione dell'entità minima della sanzione).
     Infine nelle proposte vengono inserite diverse norme
  transitorie, tutte finalizzate a consentire alle imprese
  preesistenti un passaggio non traumatico al nuovo regime.
     La proposta Volontè prevede la sospensione
  dell'applicazione delle norme in materia di qualificazione
  professionale per un anno.
     Tale previsione appare diretta a tutelare la posizione di
  chi avesse intrapreso, legittimamente, l'attività in un
  periodo anteriore, di almeno un anno, alla entrata in vigore
  della nuova legge (chi l'avesse intrapresa prima, infatti, si
  troverebbe, secondo tale proposta, per propria esperienza
  professionale, già qualificato).
     La proposta coglie, probabilmente, un'esigenza
  condivisibile, ma difficilmente praticabile, in quanto non
  appare sufficiente a tutelare le posizioni acquisite da chi
  abbia avviato, anche attraverso investimenti di una certa
  consistenza, l'attività, immediatamente prima del varo della
  nuova legge. Né si può ritenere praticabile un ulteriore
  allungamento del periodo, già lungo, di inapplicazione della
  legge, che diverrebbe eccessivo.
     Ritiene, però, possa e debba comunque prevedersi, con una
  apposita disposizione, una salvaguardia per le suddette
  ipotesi, al limite modificando opportunamente le disposizioni
  (presenti nelle altre due proposte) dedicate alla fase di
  prima applicazione della legge.
     Un'ultima notazione riguarda la valutazione della
  congruità dei requisiti d'accesso a questa attività definiti
  con le proposte di legge in oggetto e gli analoghi requisiti
  previsti dalla normativa comunitaria ai fini dell'attuazione
  delle norme del Trattato che prevedono il diritto di
  stabilimento.  Il riferimento è alla direttiva
 
                              Pag. 95
 
  del Consiglio del 16 giugno 1976 (75/368/CEE) citata nelle
  relazioni alle proposte in esame, già recepita nel nostro
  ordinamento con il decreto legislativo 23 novembre 1991, n.
  391.
     Sarebbe quantomeno da verificare la legittimità di una
  così evidente differenziazione: infatti, mentre ai sensi
  dell'articolo 6 del decreto legislativo 23 dicembre 1991, n.
  391, essendo le attività in questione citate nella relativa
  Tabella A, lettera  m),  si richiedono (anche per
  l'esercizio di lavanderie, lavaggi a secco e tintorie)
  precedenti esperienze nel settore - formativo o di lavoro -
  aventi una durata minima di 6 anni, secondo le proposte in
  esame sarebbero invece sufficienti, per i cittadini italiani,
  analoghe esperienze di durata molto più breve (anche di soli
  due anni).
     Conclude rilevando che le proposte in esame pur nella loro
  snellezza e con le differenze evidenziate paiono
  complessivamente rispondere alle esigenze richiamate di
  contribuire a determinare un quadro normativo nuovo e più
  rispondente alle esigenze delle imprese del settore; ma anche
  a più generali esigenze dell'apparato produttivo, di lotta
  all'abusivismo, e, indirettamente, di tutela dell'ambiente e
  della salute sui luoghi di lavoro.
     Appare perciò, conseguentemente da valutare, anche in
  considerazione dei consistenti mutamenti del quadro normativo
  relativo agli obblighi ed agli oneri cui dette imprese sono
  state sottoposte negli ultimi anni, e che si profilano
  all'orizzonte, e visto che si tratta di imprese, per la
  stragrande maggioranza, di piccole e piccolissime dimensioni,
  se non sia possibile, prevedere oltre alle norme fin qui
  esaminate, anche forme di supporto finanziario che ne possano
  favorire processi di accorpamento aziendale e altresì
  l'aggiornamento tecnologico e professionale; possibilmente
  finalizzato all'adozione di strumenti e processi produttivi
  sempre più sicuri, sia sul fronte dell'ambiente che della
  sicurezza e della salute, oltre che dell'igiene.
  Probabilmente, stante la rilevante ma non sterminata
  dimensione del settore, specie laddove si intervenisse
  attraverso strumenti, anche già esistenti, di garanzia o di
  concorso al credito, si potrebbe, con un impiego di risorse
  decisamente ridotto, ottenere risultati importanti, che
  migliorerebbero anche l'ambiente in cui queste attività
  operano, svolgendo un servizio utile per la collettività e
  tutelerebbero i lavoratori del settore.
     Ritiene opportuno proporre quindi la costituzione di un
  Comitato ristretto, che possa rapidamente coordinare le tre
  proposte di legge in un unico testo da sottoporre all'esame
  della Commissione, e, se - come auspica - si dovessero
  registrare ampie convergenze, eventualmente richiedere
  l'assegnazione in sede legislativa.
 
     Carlo CARLI,  presidente,  ritiene che non saranno
  sollevate obiezioni alla istituzione di un Comitato ristretto.
  Peraltro, per consentire il maggior numero di interventi in
  sede di esame preliminare generale, ne rinvia il seguito ad
  altra seduta.
 
     La seduta termina alle 12,15.
 
DATA=980120 FASCID=SMC13-292 TIPOSTA=SMC LEGISL=13 NCOMM=10 SEDE=RE NSTA=0292 TOTPAG=0131 TOTDOC=0075 NDOC=0054 TIPDOC=B DOCTIT=0000 COMM=C10D F PAGINIZ=0089 RIGINIZ=001 PAGFIN=0095 RIGFIN=057 UPAG=NO PAGEIN=89 PAGEFIN=95 SORTRES=9801203 SORTDDL= FASCIDC=13SMC 00292 SORTNAV=59801200 00292 b00000 ZZSMC292 NDOC0054 TIPDOCB DOCTIT0054 NDOC0054



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