| ROSARIO OLIVO. Signor Presidente, signor rappresentante
del Governo, nella mia interpellanza, nel marzo scorso,
richiamavo la forte preoccupazione suscitata tra le
popolazioni calabresi dalla notizia della presenza nel nostro
mare di navi affondate contenenti materiale radioattivo e, in
altre aree della Calabria, di rifiuti tossici e nocivi.
Nel marzo 1994 le capitanerie di porto di mezza Italia ed
in particolar modo quelle calabresi, venivano allertate per
seguire gli strani spostamenti di una nave battente bandiera
albanese, la Korabi Durres. Il viaggio dell'imbarcazione
comincia il 1^ marzo 1994 dal porto di Durazzo: il carico
ufficialmente è denunciato come rottami di rame. Il 2 marzo la
nave giunge nell'antiporto di Crotone e la locale capitaneria
di porto, sospettando un trasporto illegale di clandestini,
decide un'ispezione.
Nella stiva figurano, effettivamente, solo rottami di
rame: 1.200 tonnellate di rottami gettati alla rinfusa.
Nonostante tutto risulti apparentemente in ordine, da Crotone
viene allertata la capitaneria di porto di Palermo, dove la
Korabi arriva il 4 marzo. Qui le autorità marittime,
oltre a ripetere i controlli già effettuati a Crotone,
eseguono anche dei rilievi per rilevare eventuali tracce di
radioattività nel carico. Il controllo dà esito positivo:
l'attività radioattiva registrata risulta essere sensibilmente
superiore ai limiti della legge. Alla Korabi viene
negato il permesso di scaricare il proprio carico ed anche
l'accesso al porto di Palermo.
Il 9 marzo, alle 11,30, la nave riparte dalla Sicilia con
destinazione Durazzo. Il giorno seguente, il 10 marzo, viene
avvistata nelle acque di Pentimele nei pressi di Reggio
Calabria e qui c'è la sorpresa: le autorità marittime,
infatti, effettuano nuovamente tutti i controlli, senza
trovare però nel carico alcuna traccia di radioattività. Che
cosa è successo in quei cinque giorni? E' plausibile pensare
che la Korabi abbia scaricato nel mare della Calabria il
suo carico potenzialmente così pericoloso? Purtroppo sì.
Il susseguirsi di inchieste giudiziarie nel corso degli
ultimi dieci anni rivela che l'episodio della Korabi
Durres non è che un singolo episodio di una triste
"telenovela" di traffici illegali di rifiuti tossici e
radioattivi e di armi, organizzata da faccendieri senza
scrupoli con la collaborazione interessata della criminalità
internazionale.
Sempre in Calabria, ad esempio, qualche anno prima,
precisamente nel dicembre 1990, la nave Rosso richiede
assistenza perché si trova in difficoltà al largo di Vibo
Valentia. Arenatasi a Capo Suvero viene ispezionata dalla
capitaneria di porto. A bordo della nave, precipitosamente
abbandonata dall'equipaggio, vengono trovati documenti
definiti sospetti e che inducono la capitaneria a chiamare i
vigili del fuoco per controllare la radioattività del carico.
I documenti ritrovati a bordo, infatti, richiamano, in qualche
modo, il trasporto di scorie radioattive, indicando i siti
esatti di presunti autoaffondamenti di altre navi nel
Mediterraneo, che sono oggetto di indagini in corso,
soprattutto ad opera della magistratura di Reggio Calabria.
Le operazioni di recupero della Rosso durano due
mesi, poi la nave viene rottamata in gran fretta. Una parte
del carico, misteriosamente definita "materiale putrescente"
dalle autorità, finisce nelle discariche calabresi.
La nave Rosso, tra l'altro, era già stata, con il
nome di Jolly Rosso e insieme a Karin B, a
Zanoobia, a Koko e a Jolly Rubino, una delle
famigerate navi dei veleni, navi che nell'estate del 1988
vennero illecitamente inviate, cariche di migliaia di
tonnellate di rifiuti nocivi da smaltire in paesi asiatici ed
africani, come il Libano e la Nuova Guinea, da spregiudicati
faccendieri italiani. Fu proprio in quella circostanza che
emerse la percezione che l'Italia era al centro di attività
illegali e di giri d'affari colossali nel settore dei rifiuti,
come ha denunziato in questi anni in modo assai circostanziato
e coraggioso Legambiente.
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I tanti affondamenti sospetti - circa 40 negli ultimi
dieci anni - hanno evidenziato come lo smaltimento dei rifiuti
tossici avvenga talvolta mediante l'affondamento di navi
cosiddette "a perdere", cariche di scorie radioattive, nel
Mediterraneo. Si pensi agli affondamenti delle motonavi
maltesi Anni ed Euroriver, a quello emblematico
per la quantità di illegalità commesse dagli armatori della
Rigel e ancora a quello della Marco Polo, della
Koraline e della Four Star, che hanno fatto
rilevare concentrazioni di torio 234 nel mare circostante di
dieci volte superiore alla media.
A questo fenomeno, secondo una denunzia dei Lloyd's di
Londra, si accompagnerebbero anche una serie di truffe alle
principali compagnie assicurative, perpetrate con la
riscossione dei premi assicurativi relativi ai sinistri
marittimi in questione. E, come dice la Commissione
parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle
attività illecite ad esso connesse, "appare allo stato anche
verosimile una relazione tra il traffico dei rifiuti
radioattivi e il fenomeno del commercio di alcune tecnologie
militari avanzate, tecnologie che, per la loro configurazione,
potrebbero essere utili al duplice scopo militare e di
inabissamento di rifiuti radioattivi", come nel caso dei
siluri detti "penetratori".
E non è tutto. Secondo la ricostruzione fornita da alcune
indagini, prima di essere usate come "tombe" per i rifiuti
nucleari, alcune di queste navi sono servite al trasporto di
altri rifiuti tossici e radioattivi in paesi del terzo mondo,
che li smaltivano illegalmente in cambio di armi. Singolare, a
questo proposito, è rilevare come uno dei siti per lo
smaltimento di rifiuti nocivi in cambio di armi sia stato
individuato in Somalia, nei pressi di Bosaso, proprio
nell'area in cui la giornalista televisiva Ilaria Alpi
svolgeva un'inchiesta su di un presunto traffico di armi tra
l'Italia e la Somalia prima di essere assassinata insieme al
cameraman Hrovatin. La Commissione d'inchiesta sulla
cooperazione con i paesi in ritardo di sviluppo nella passata
legislatura ha acquisito elementi importanti su tale delitto,
che proprio in questi giorni è tornato alla ribalta (se ne sta
occupando la commissione Gallo).
Per avere un quadro appena completo occorre far luce
ancora sul ruolo che in molti degli episodi citati hanno avuto
alcune società che operano sul piano internazionale nel campo
dello smaltimento dei rifiuti nucleari: nei documenti
sequestrati ad alcune di queste società infatti sono state
trovate mappe relative al Mediterraneo, con segnalati i siti
maggiormente adatti allo smaltimento dei rifiuti radioattivi,
tra i quali alcuni corrispondono alle coordinate di effettivi
inabissamenti delle navi "a perdere" cui ho accennato. Così
pure bisognerà non sottovalutare la pesante ingerenza
esercitata dalle "ecomafie" sullo smaltimento dei rifiuti
tossici e nocivi in generale, le quali stanno trasformando
un'operazione di sicurezza sanitaria ed ambientale in un
business illegale e molto pericoloso per la salute
dell'uomo.
Emblematico è il caso dei due pescatori calabresi che
casualmente hanno recuperato una scoria radioattiva incappata
nelle loro reti durante una battuta di pesca, i quali si sono
ammalati di leucemia mieloide.
Quanto finora detto, che rappresenta solo una breve ed
incompleta descrizione dei colossali affari della "Ecomafia
Spa", ci induce a chiedere con forza nuovamente al Governo di
fare massima chiarezza sull'accaduto, adottando provvedimenti
a livello nazionale ed internazionale per contrastare il
business del riciclaggio illegale, ed intanto l'adozione
di iniziative che consentano una rapida bonifica dei
pericolosissimi relitti che giacciono sul fondo del nostro
mare.
Tre anni fa l'allora sottosegretario di Stato per la
difesa Silvestri dichiarò nella Commissione competente la
nostra impreparazione al riguardo, dicendo che non eravamo
attrezzati per questa complessa opera di recupero, che
richiede attrezzature altamente sofisticate e navi adatte allo
scopo. Sono state superate queste difficoltà? Siamo riusciti a
dotarci di tutto
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il necessario per quest'opera di bonifica così urgente ed
importante? Cosa stiamo facendo per controllare meglio le
nostre coste, che si sviluppano per migliaia di chilometri?
Solo nella mia regione, la Calabria, ce ne sono 800
chilometri. Si tratta - è vero - di un lavoro estremamente
difficile ma del tutto necessario. E' stata messa in atto una
strategia di coordinamento a livello internazionale?
Una maggiore e più intensa cooperazione sul piano almeno
europeo è indispensabile ed urgente per bloccare in maniera
particolare i traffici di scorie radioattive, che negli anni
scorsi provenivano soprattutto dai paesi dell'ex Unione
Sovietica e si sviluppavano attraverso la ex Jugoslavia e
l'Albania, avendo come destinazione alcune regioni italiane,
tra cui la Calabria.
La mafia ha assunto in maniera stabile il controllo del
traffico dei rifiuti tossici e nocivi ed è diventato
economicamente conveniente in carenza delle normative vigenti.
Se si riesce a smaltire senza rispettare le varie prescrizioni
sulle discariche controllate, il margine di utile è altissimo
per chi smaltisce. E' chiaro che non si può smaltire in zone
dove vi è un controllo del territorio elevato, una presenza di
popolazione diffusa, un insediamento diffuso (la pianura
padana, le grandi città e così via), per cui la criminalità va
alla ricerca di siti poco esposti e in località già sotto il
controllo della delinquenza organizzata. Perciò le aree più a
rischio sono le zone a forte insediamento mafioso, in località
già tradizionalmente sotto il controllo della delinquenza (le
cave e le grotte, ad esempio). Questo traffico colpisce aree
che non hanno una grande presenza abitativa, quindi quelle di
pregio ambientale, tra cui il parco naturale dell'Aspromonte,
che rischia di divenire in tal modo luogo di utilizzo
permanente di sostanze tanto pericolose.
La valorizzazione del parco dell'Aspromonte diventa quindi
un obiettivo prioritario, perché esso non può più essere
abbandonato alle cosche. Si deve invece innescare un processo
che veda le stesse popolazioni interessate alla tutela del
territorio, quindi attive in una azione di contrasto alla
mafia e ai suoi loschi traffici.
Occorre ribadire con forza che intorno alla tutela
dell'ambiente si può costruire in Calabria e in tante altre
regioni una politica di sviluppo che parta dalle grandi
risorse esistenti e che sia capace di creare il vuoto intorno
alle associazioni criminali. E' evidente che anche il mare
calabrese, per lo stesso motivo cui facevo prima riferimento,
proprio perché privo di consistenti traffici commerciali e di
un sistema portuale diffuso che anche in inverno garantisca un
controllo continuo, diventa la tomba ideale di navi che
trasportano veleni. La grande estensione delle coste calabresi
e la molteplicità di impegni delle scarse capitanerie di porto
escludono che si possa fare riferimento solo a queste
strutture per il controllo del mare. Infatti, d'estate il
pattugliamento avviene anche con gli elicotteri e i mezzi
navali delle tre armi. C'è da chiedersi, allora, se non sia il
caso di verificare l'opportunità di un controllo attraverso la
rete satellitare e se, in un prossimo futuro, si possa pensare
ad un sistema di questo genere.
E' necessario inoltre un rafforzamento delle capitanerie
di porto ed un coordinamento non solo nei mesi estivi di tutte
le forze di polizia per assicurare un controllo più efficace
delle coste e del traffico marittimo in generale. Occorre
altresì un rafforzamento ed una specializzazione delle
strutture di indagine sul settore specifico del traffico dei
rifiuti tossici e nocivi, che richiede competenze specifiche e
di alta professionalità. Devo ricordare che un ottimo lavoro
viene già svolto dal NOE, il nucleo operativo ecologico dei
carabinieri. Da una relazione del colonnello Raggetti abbiamo
appreso che solo nel 1997 sono stati accertati circa 30 mila
reati di natura ambientale. L'Arma dei carabinieri, quindi,
sta svolgendo un ottimo lavoro e di questo gliene siamo
grati.
Torno a ribadire che un confronto con altre esperienze
internazionali è utile ed
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urgente al fine di procedere alla rimozione delle situazioni
di pericolo già individuate, in una logica di maggiore
cooperazione internazionale, anche perché, soprattutto lungo
le coste, sono molti i paesi interessati. Lo stesso discorso
vale per il controllo del mare, che però va inquadrato in una
logica di tutela dell'intero bacino del Mediterraneo. Da qui
la necessità di una maggiore cooperazione, soprattutto con i
paesi che si affacciano sulle sponde del Mediterraneo.
Concludo ricordando che presso il Ministero dell'ambiente
esiste una commissione al cui lavoro il sottosegretario
Calzolaio ha dato un grande impulso e che ha predisposto
proposte di inserimento nel nostro codice penale di reati di
natura ambientale. Credo che tale commissione abbia concluso i
suoi lavori e che i relativi risultati siano stati inviati al
Ministero di grazia e giustizia. E' auspicabile un rapido iter
di approvazione di questi provvedimenti; sono certo che il
sottosegretario Calzolaio si adopererà con il suo solito
appassionato impegno affinché misure così urgenti ed
importanti siano varate al più presto.
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