| VALERIO CALZOLAIO, Sottosegretario di Stato per
l'ambiente. Signor Presidente, onorevoli colleghi,
l'onorevole Siniscalchi chiede di sapere quali siano gli
interventi da adottare riguardo la possibile correlazione tra
l'esposizione ai campi elettromagnetici generati dalle antenne
radio base per la telefonia cellulare e dagli impianti e
ripetitori delle emittenti radiofoniche e radiotelevisive, e
l'insorgenza di gravi rischi per la salute dei residenti nelle
loro vicinanze.
L'onorevole Siniscalchi fa riferimento alla installazione
a Napoli di ripetitori per cellulari, prospettando tuttavia
interrogativi sempre più frequenti e diffusi in tutto il
paese.
La diffusione di tecnologie ha provocato una crescita
significativa della densità delle radiazioni elettromagnetiche
non ionizzanti nell'ambiente terrestre, in tutta la gamma
delle frequenze: dalle radiofrequenze, telecomunicazioni,
utilizzo delle microonde, schermi di visualizzazione, ai campi
elettrici e magnetici degli elettrodotti.
La normativa attualmente in vigore in Italia regolamenta
solo parzialmente e in modo inadeguato la materia. Con la
legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale (legge n.
833 del 1978), all'articolo 4, al fine di rendere uniformi le
condizioni di salute sul territorio nazionale viene stabilito
che con legge dello Stato devono essere dettate norme dirette
ad assicurare condizioni e garanzie di salute uniformi per
tutto il territorio nazionale in materia di tutela della
popolazione e dell'ambiente.
Lo stesso articolo 4 stabilisce che con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del
Ministero della sanità, sentito il Consiglio sanitario
nazionale, sono fissati e periodicamente sottoposti a
revisione i limiti massimi di accettabilità delle
concentrazioni e i limiti massimi di esposizione relativi ad
inquinamenti di natura chimica, fisica e biologica e - questo
è il punto - delle emissioni sonore negli ambienti di lavoro,
abitativi e nell'ambiente esterno.
Successivamente con la legge istitutiva del Ministero
dell'ambiente (la legge n. 349 del 1986), all'articolo 2,
viene stabilito che le competenze individuate dalla citata
norma del 1978 sono trasferite al Ministero dell'ambiente, il
quale di concerto con il Ministero della sanità propone al
Presidente del Consiglio dei ministri la fissazione dei limiti
massimi di accettabilità delle concentrazioni e dei limiti
massimi di esposizione relativi ad inquinanti di natura
chimica, fisica e
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biologica e delle emissioni sonore relativamente all'ambiente
esterno ed abitativo.
Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del
23 aprile 1992, emanato ai sensi della citata norma del 1986,
prende effettivamente in considerazione soltanto le
esposizioni delle popolazioni ai campi elettrico e magnetico
prodotti dalla trasmissione di energia elettrica alla
frequenza industriale. Tale decreto fissa all'articolo 5 anche
la distanza di rispetto degli edifici a permanenze
continuative rispetto agli elettrodotti andando ad innovare un
decreto ministeriale dei lavori pubblici del gennaio 1991.
Questo quadro normativo vigente è dunque parziale e poco
aggiornato, tanto più che, negli anni recenti, la dimensione
del problema è enormemente cresciuta.
I campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici sono una
componente invisibile nel nostro ambiente quotidiano, un
fattore silenzioso di cui però sempre meno solitamente ci
accorgiamo. Le preoccupazioni dei cittadini sono comprensibili
(penso, per fare un esempio vicino e recentissimo, alla
vertenza dei genitori e dei bambini della scuola Leopardi di
Roma, peraltro uguale alle decine e decine di altre vertenze
in moltissimi luoghi, praticamente in tutte le regioni
italiane) dal momento che essi vedono moltiplicarsi le
installazioni di linee elettriche, stazioni di trasformazione,
ripetitori radiotelevisivi, impianti di telefonia cellulare
per vari bisogni di produzione e comunicazione.
Dunque come propone l'onorevole Siniscalchi, bisogna ora
intervenire con chiarezza per informare e prevenire,
ispirandosi al principio della cautela.
Vi sono due esigenze. La prima, inserire correttamente nel
territorio nazionale tutti gli impianti tecnologici da cui
derivano radiazioni elettromagnetiche; la seconda, conciliare
gli aspetti di carattere economico-sociale connessi allo
sviluppo delle strutture produttive di un moderno paese
industrializzato con la necessità di salvaguardia della salute
dei cittadini, del paesaggio e dell'ambiente.
L'incerto quadro normativo, la crescita esponenziale del
fenomeno, le citate esigenze hanno indotto il Ministero
dell'ambiente, di concerto con il Ministero della sanità, ad
attivarsi innanzitutto per il principio fondamentale sancito
dalla Costituzione all'articolo 32: il dovere della tutela
della salute come fondamentale diritto dell'individuo.
Sei mesi fa i due ministeri citati, nell'ambito delle
competenze previste, hanno firmato un decreto che istituisce
un gruppo di lavoro sulla tutela dall'inquinamento
elettromagnetico, con il compito di predisporre un testo
normativo organico per la tutela dell'ambiente e della salute
dall'inquinamento elettromagnetico in ambienti abitativi ed
esterni. Del gruppo di lavoro, coordinato e presieduto dai
sottosegretari, fanno parte esperti del Ministero
dell'ambiente, del Ministero della sanità, del Ministero per
le comunicazioni e del Ministero dell'industria. Sono inoltre
rappresentati l'Agenzia nazionale per la protezione
dell'ambiente, l'ANPA, l'Istituto superiore di sanità,
l'Istituto superiore per la prevenzione e sicurezza sul
lavoro.
Il decreto, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale
dell'8 agosto, stabiliva il termine di due mesi dalla data di
insediamento del gruppo, che è effettivamente avvenuta il 1^
ottobre, per la definizione di questa bozza di disegno di
legge-quadro sull'inquinamento elettromagnetico per le alte e
per le basse frequenze.
Il gruppo di lavoro ha concluso la prima parte dei propri
lavori, quelli rivolti alla stesura della bozza di disegno di
legge, già il 29 ottobre, vale a dire con un mese di anticipo
rispetto ai tempi previsti nel decreto istitutivo.
La bozza di provvedimento governativo che abbiamo prodotto
vuole promuovere una normativa per quanto possibile organica,
facendo riferimento anche alle regioni, alcune delle quali -
Abruzzo, Lazio, Piemonte, Puglia e Veneto - hanno già
legiferato in materia, e alla ricerca scientifica, perché gli
studi in materia sono recenti, non univoci e non
definitivi.
Si possono regolamentare tutte le possibili sorgenti in un
arco di frequenza tra 0 hertz e 300 gigahertz ed
individuare i criteri validi per definire valori-limite e
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obiettivi di qualità comprensivi delle valutazioni sul breve
e sul lungo periodo ed improntati al principio della massima
cautela, tali quindi da garantire la tutela dell'ambiente, dei
valori paesaggistici, della salute e l'incolumità della
popolazione.
Il gruppo di lavoro, a fine ottobre, ha consegnato ai
ministri la proposta di disegno di legge, subito inoltrata
alla Presidenza del Consiglio per il successivo iter nel
Consiglio dei ministri. Sono trascorsi quasi tre mesi e la
proposta purtroppo non è ancora stata calendarizzata
nell'ordine del giorno del Consiglio dei ministri.
Nel frattempo è continuato un confronto e sono emerse
contrarietà da parte di soggetti direttamente coinvolti, in
parte ingiustificate, in parte esagerate e comunque
istituzionalmente discutibili. Ricordo che il Parlamento si è
pronunciato chiaramente con una risoluzione dell'VIII
Commissione ambiente del 17 gennaio 1995 e sono comunque
depositate, sempre in Parlamento, altre proposte; inoltre
l'iter approvativo consentirà l'audizione di tutte le forze
interessate e l'acquisizione ulteriore di ricerche e studi.
A tale proposito, peraltro, il Ministero dell'ambiente
insieme all'ANPA, su richiesta della provincia di Bergamo, ha
deciso di promuovere una indagine epidemiologica volta a
verificare l'esistenza di una possibile correlazione tra
l'esposizione ai campi elettrici magnetici ed elettromagnetici
e l'insorgenza di neoplasie. Tale attività rappresenta per il
Ministero dell'ambiente una sorta di progetto pilota da
riproporre in altre situazioni analoghe.
Ancora a metà settembre il Ministero dell'ambiente ha
promosso un'altra iniziativa nei confronti dell'ENEL per una
verifica della volontà politica di pervenire ad un protocollo
di intesa tra Governo ed ENEL in materia di prevenzione
dall'inquinamento derivante dai campi elettromagnetici. Ho
scritto più volte al presidente dell'ENEL e un positivo
incontro preliminare si è svolto il 17 settembre 1997, anche
valorizzando analoghi protocolli sperimentali in altri
paesi.
La risposta all'interrogazione dovrebbe chiudersi qui, ma
non sarebbe completa se non aggiungessi, sia pur
sinteticamente, l'approccio e gli obiettivi di un possibile
intervento statale, innanzitutto normativo.
Poiché nel settore della protezione dei campi
elettromagnetici non ionizzanti si riscontra talvolta un uso
improprio dei termini interazione, effetto biologico ed
effetto sanitario (danno), è utile chiarire alcuni punti
fondamentali. Quando un organismo interagisce con un campo
elettromagnetico, il suo equilibrio viene perturbato, ma ciò
non si traduce automaticamente in un effetto biologico
apprezzabile e in un effetto sanitario. Si può parlare di
effetto biologico solo in presenza di variazioni morfologiche
o funzionali a carico di strutture di livello superiore, dal
punto di vista organizzativo, a quello molecolare. I rischi
sanitari da analizzare ai fini della protezione comprendono
sia quelli da esposizione di natura acuta, deterministica, per
i quali è possibile individuare valori di soglia, sia i
possibili effetti a lungo termine, in particolare la
cancerogenesi (citata nell'interrogazione), la cui gestione
deve realizzarsi con modalità diverse da quelle della
definizione di limiti di esposizione.
Volendo formulare una normativa in materia di campi
elettromagnetici, ci si trova di fatto a dover effettuare una
scelta, adottando un sistema di valutazione del rischio
finalizzato a trattare le situazioni nelle quali il nesso
causale tra esposizione e malattia non sia stato stabilito con
certezza. Alla base di questo sistema di valutazione vi è
l'istanza di prestare attenzione a risultati anche parziali,
accettandone il margine di incertezza e privilegiando la
riproducibilità del dato sulla comprensione dei meccanismi
biologici soggiacenti. In un approccio di questo tipo si
persegue l'obiettivo di superare le situazioni nelle quali
l'incertezza viene negata da chi voglia comunque agire ed
amplificata da chi abbia interesse a dilazionare un'azione.
L'adozione di questo tipo di approccio comporta, inoltre,
l'abbandono del limite di esposizione inteso come limite
sanitario
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a favore dell'adozione di obiettivi di qualità, da
raggiungere in un certo arco di tempo in modo differenziato
per diversi scenari di esposizione.
In una comunità nella quale si sospetti un danno alla
salute a causa di determinate esposizioni ambientali, il
rapporto di fiducia con i tecnici potrà rompersi se
l'incertezza sarà invocata per giustificare la mancanza di
azioni a carattere preventivo. In campo ambientale infatti
sono le regole, e non l'eccezione, le situazioni nelle quali i
dati scientifici sono insufficienti per sostenere una
conclusione definitiva, e nonostante questo una decisione va
presa.
In altri campi abbiamo visto quanti "danni" (ambientali e
sanitari, ma anche finanziari e culturali) provoca minimizzare
e rinviare.
Penso al tabacco e all'effetto serra.
All'inizio si fronteggiano sempre due posizioni
"politiche", che si richiamano alle divisioni e alle
parzialità scientifiche (ovvie e benemerite), e due diversi
principi, entrambi non isolabili, pena il "fondamentalismo":
il principio della certezza "scientifica", bandiera dei
"liberisti" (dato il costo di eventuali interventi di
salvaguardia, senza la certezza assoluta di un danno in atto,
non ha senso prendere qualsiasi provvedimento) e quello della
"precauzione", bandiera degli "interventisti" (pur mancando la
certezza scientifica di danno nel lungo periodo, è opportuno
muoversi per prevenire i possibili effetti).
Una normativa serve oggi perché può contemperare questi
principi, regolando in modo diverso rischi a breve e a lungo
termine e incentivando la ricerca scientifica pubblica e
trasparente.
I limiti di esposizione dovranno essere stabiliti in modo
da assicurare la protezione dagli effetti acuti oggi
pienamente accertati, quali la stimolazione di muscoli e nervi
periferici, le scosse e le ustioni derivanti dal contatto con
conduttori e l'aumento della temperatura dei tessuti dovuto
all'assorbimento di energia. Per quanto riguarda la protezione
da possibili effetti a lungo termine, non raggiungibile
attraverso l'adozione di limiti di esposizione, va
differenziato il caso delle frequenze estremamente basse (50
hertz) da quello di radiofrequenze microonde, essendo
molto diversa l'evidenza scientifica soggiacente.
Sulla base di questo approccio, cautelativo, possono
essere comunque delineate strategie di abbattimento delle
esposizioni che comportino costi accettabili dalla
collettività, con particolare riguardo agli spazi destinati
all'infanzia e alle strutture sanitarie, anche per mezzo della
ricerca e l'applicazione di nuove tecnologie.
Il dato normativo, quindi, non può che rispecchiare
coerentemente l'attuale quadro scientifico in tutta la sua
problematicità, da considerarsi come il presupposto di fatto e
di diritto che rende possibile aggiornamenti, modifiche ed
integrazioni nel futuro.
Onorevoli colleghi, onorevole Siniscalchi, da quanto ho
detto credo emerga in modo chiaro ed ufficiale quanto ritenga
opportuno e urgente adottare i corretti interventi sollecitati
nell'interrogazione.
Senza cedere ad inutili allarmismi, senza ipotizzare
soluzioni certe per situazioni incerte, senza logiche
punitive, ambiente e sviluppo possono essere compatibili e non
contrastanti, "sin-cronici" e non "dia-cronici" (quando
vengono fatti divergere, ci sono costi enormi per riparare i
danni economico-sociali e limitare i danni
sanitari-ecologici).
Ho cercato di motivare perché è indispensabile "normare"
la tutela dall'inquinamento elettromagnetico e perché sarebbe
utile anche una proposta governativa, avendo maturato
definitivamente queste convinzioni proprio negli ultimi sei
mesi, da quando il ministro mi ha delegato la materia.
La scorsa settimana, come sottosegretari dei tre ministeri
da lei interrogati oggi, abbiamo scritto al Presidente del
Consiglio per sollecitare il varo del disegno di legge
governativo.
E comunque - come probabilmente saprà - la Commissione
ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera ha deciso
di calendarizzare le proposte di
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legge in materia nella settimana dal 9 al 13 febbraio. Il
Ministero dell'ambiente darà il proprio contributo per un
esame spedito e rigoroso della legge, che considero una delle
più importanti in materia della XIII legislatura e
l'innovazione normativa di settore più rilevante oggi in campo
ambientale.
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