| MICHELE ABBATE. La solitudine politica nella quale mi
relega la libertà di voto riconosciuta dal gruppo e dal
partito popolare ai suoi deputati non indebolisce, né rende
timido il convincimento che, come si dice, in scienza e
coscienza ho maturato su questa vicenda. Un convincimento che
si radica su un'analisi semplice ed insieme rigorosa degli
aspetti per così dire tecnico-giuridici del caso, le cui
innegabili suggestioni, che nascono - ben si intende - da una
realtà processuale effettiva, rischiano di provocare
ingannevoli sovrapposizioni di ambiti logico-giuridici
diversi, condizionando di conseguenza valutazioni e
giudizi.
Da ciò nasce forte l'esigenza, credo comune a tutta
l'Assemblea, di dare indicazioni di chiarezza al paese, nel
senso che in quest'aula non saranno pronunziate assoluzioni o
condanne dell'imputato, che lo status del parlamentare e
la sua elevatezza costituzionale non pongono in discussione il
principio della parità legale e che la verifica cui siamo
chiamati assolve alla sola finalità, pur essa di straordinaria
importanza, di concedere o negare l'autorizzazione all'arresto
di uno di noi.
Se sapremo fare questo, se sapremo cioè fare chiarezza,
non vi è pericolo, quale possa essere l'esito del voto, che la
classe politica veda compromessa la sua difficile centralità
democratica, legandosi invece il rischio di delegittimazione,
da taluni pure paventato, solo a quello che potrebbe definirsi
un, a mio avviso modesto, pavido e consapevole sviamento dei
peculiari fini dell'atto politico e cioè una sostanziale
abdicazione del Parlamento ai suoi doveri.
Perché voto "no" all'arresto di Previti? Il tempo
concessomi non mi consente
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diffuse spiegazioni, cui pur sento di essere tenuto; devo
però dire anzitutto che tra le opzioni culturali possibili di
lettura degli atti - opzioni intese quali strumenti
logico-giuridici di ricerca delle ragioni del contemperamento
dei due valori costituzionali in campo: la tutela della
completezza del plenum e la necessità dell'accertamento
giudiziario - ho scelto quella del cosiddetto giusto processo.
La tesi della preordinata volontà di nuocere da parte del
giudice, dell'imboscata persecutoria e mistificante del
giudice, che addirittura dovrebbe far ricorso alla
falsificazione dell'accusa quale situazione ostativa alla
concessione dell'autorizzazione richiesta si affida ad una
patologia estremizzante, indicativa di comportamenti latu
sensu eversivi piuttosto che alla verifica della
legittimità e perciò della necessità dell'arresto.
Assai inquietante appare poi a mio avviso anche la tesi
dell'opportunità politica delle scelte del Parlamento, specie
se esse dovessero condurre all'ingiusta o comunque non
processualmente indispensabile privazione della libertà
personale di un rappresentante del popolo. Il criterio del
giusto processo, invece, in quanto teso al riscontro di
eventuali anomalie processuali o di eccessi logici nella
lettura e nell'interpretazione delle circostanze di fatto e
delle norme sostanziali e processuali, mi sembra ragionevole
ed equilibrato, filtrato - come deve essere - attraverso un
irrinunciabile e sereno esame del merito, cui peraltro si è
fatto ricorso anche nelle altre fattispecie già sottoposte in
passato all'esame di questo Parlamento. Comprendo i rischi ed
anche le difficoltà di siffatto approccio al problema, ma non
mi riesce di immaginare strumenti diversi che riescano a dare
effettivi contenuti e valori al provvedimento autorizzatorio
che l'articolo 68 della Costituzione affida in questa materia
al Parlamento.
Ora, se questo è il corretto criterio di valutazione, e
per me lo è, come non riconoscere - ed entro nel merito - la
mancanza di indizi gravi di colpevolezza, quali ipotizzati
nell'articolo 273, cioè un'indicazione altamente, se non
addirittura univocamente, prognostica della colpevolezza del
giudicabile in ordine all'accusa ipotizzata al capo A)
della contestazione? Ciò a parte la disarmante genericità:
chi furono i giudici corrotti, quali e quanti furono gli atti
giudiziari rimasti sviati dalle loro finalità ontologiche ed
istituzionali, come e quando si sostanziò l'attività
corruttiva rispetto alla quale è venuto meno - si noti, non è
rimasto soltanto privo di riscontri - il nodo cruciale
dell'ipotesi accusatoria, cioè l'esistenza di un conto
corrente con provvista illimitata costituito presso l'Efibanca
dal quale Previti avrebbe attinto...
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