| MICHELE ABBATE. E' rimasta anche priva di riscontri
positivi, se non addirittura smentita, anche l'altra
circostanza, pur essa strategica nel quadro dell'incolpazione,
quella relativa all'asserita dazione di denaro da Previti a
Squillante nei locali del circolo canottieri Lazio, nel quale
la teste di accusa Ariosto non fu mai vista. Come concordare
poi sul piano delle esigenze cautelari - siamo sempre in tema
di contestazioni di cui al capo A) - con l'ipotesi cui
il GIP, più per dovere di ufficio che per motivato
convincimento, dedica soltanto tre righe del suo imponente
documento giudiziario, ipotesi, peraltro in alcun modo
ancorata a specifiche modalità del fatto, che l'incolpato
possa in concreto, cioè realmente, reiterare azioni criminali
del tipo di quelle in valutazione, se lo schema accusatorio
proposto, cui va rapportata la previsione di reiterazione, è
costruito sulla centralità funzionale di Renato Squillante,
per l'elevato ruolo istituzionale ricoperto, uno Squillante
però ormai, e direi finalmente, posto, vuoi per la sua uscita
dalla magistratura vuoi per altre comprensibili ragioni, fuori
dal gioco, cioè in condizioni di non nuocere?
La residua esigenza del pericolo di inquinamento della
prova, della quale il GIP ha fatto coincidere la durata con la
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chiusura delle indagini preliminari, è ormai fuori tutela,
per così dire, per scadenza del termine, onde la misura in
ordine al capo A) sarebbe estinta, ai sensi
dell'articolo 301 del codice di procedura penale.
La contestazione di cui al capo B) dell'accusa,
quella legata alla vicenda IMI-Rovelli, è costruita su fatti e
circostanze certamente indicativi sia della gravità delle
condotte sia della sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza che, come si sa, costituiscono il presupposto
normativo della misura della custodia cautelare in carcere.
Eppure, anche in ordine a tale ipotesi, la quale, in relazione
al tempo del commesso reato, cioè alla conclusione
dell'accordo corruttivo, non si sottrae ad una revisione
critica perché l'ultimo atto del complesso iter corruttivo,
quello della scomparsa della procura (gennaio 1992), non può
sul piano logico non essere stato successivo all'accordo,
sicché diventa difficilmente sostenibile la punibilità del
Previti quale corruttore in atti giudiziari, visto che la
speciale punizione del corruttore, ai sensi degli articoli
319- ter e 321, è stata introdotta solo con la legge del
febbraio 1992; eppure, dicevo, anche in ordine a questa
ipotesi la prospettata esigenza della potenzialità inquinante
delle prove non sembra sussistere. Come è noto, siffatta
esigenza può essere presa in considerazione solo quando lo
stato di libertà dell'accusato può rappresentare un ostacolo
al corretto evolversi del processo formativo della prova e
della sua conservazione.
E' evidente che tale esigenza va correlata ai capisaldi
dell'accusa, perché è in relazione ad essi che si dispiega
l'attività di indagine, di acquisizione e di conservazione
della prova, con la conseguenza che, se i presupposti
dell'accusa, cioè questi capisaldi, risultano acquisiti in
maniera certa ed insieme protetti dal pericolo
dell'inquinamento, l'esigenza non può sussistere.
Ebbene, i fatti sui quali è fondata l'accusa relativa alla
vicenda IMI-Rovelli sono riassuntivamente indicati alla pagina
126 dell'ordinanza del GIP, il quale (sono parole sue) "ne
attesta l'avvenuta loro storica documentazione". I fatti sono
i seguenti: pagamento di una somma di denaro da parte degli
eredi Rovelli, insanabile contrasto in ordine alla causale
della dazione tra Previti e gli eredi Rovelli, uso del fondo
di Pitara Trust per effettuare il pagamento (sono tutte
circostanze documentate in atti), contatti telefonici, vicenda
negoziale e processuale con rilevanti anomalie, la vicenda del
presidente del tribunale di Roma, del presidente della Corte
di cassazione, e via dicendo. Come si comprende agevolmente,
trattasi di fatti ormai per così dire storicizzati,
cristallizzati cioè...
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