| PIERO MELOGRANI. Signor Presidente, colleghi, ogni
qualvolta la nostra Camera prende in esame le autorizzazioni
in materia penale previste dall''articolo 68 della
Costituzione accade che l'opinione pubblica, o almeno gran
parte di essa, si turbi per il fatto che i deputati non siano
trattati come tutti gli altri cittadini ma detengano alcune
prerogative o privilegi.
I turbamenti dell'opinione pubblica sono stati così forti
da indurre il Parlamento nel 1993 a modificare l'articolo 68
della Costituzione per restringerne la portata.
Io stesso, entrando a far parte di questa Assemblea nel
maggio del 1996, mi chiesi se fosse equo che possedessi, alla
pari degli altri miei colleghi, tale protezione giuridica.
Sono quindi andato a guardarne la storia per trovarne le
ragioni e vi esporrò qui le cinque conclusioni alle quali sono
giunto.
L'origine delle prerogative, innanzitutto, si trova nella
origine stessa dei parlamenti e dunque del Parlamento inglese,
il quale addirittura sei secoli fa ottenne che fosse
solennemente riconosciuta ai deputati la libertà di parola e
che il re non potesse ingerirsi nelle attività parlamentari.
Da allora in poi, in tutti gli Stati aperti alla democrazia, i
membri dei parlamenti sono stati protetti da norme
speciali.
La prima conclusione è dunque la seguente: benché le
prerogative parlamentari esistano da secoli, la pubblica
opinione può ancora rifiutarle se il rapporto tra la politica
e la società si incrina e dunque se i politici non sanno
comunicare e giustificare di fronte alla nazione le ragioni
profonde del loro status giuridico speciale.
La seconda conclusione è che i deputati hanno cominciato a
disporre di speciali prerogative secoli or sono perché il loro
compito è, o almeno dovrebbe essere, quello di essere liberi
di criticare il potere, di attaccare i potenti quando
commettono spropositi, di porsi in urto con chi detiene le
chiavi delle prigioni o intimorisce i cittadini facendo udire
il tintinnio delle manette. Si può ben capire come, fin dal
1789, la camera elettiva dei rivoluzionari francesi sancisse
l'inviolabilità della persona di ciascun deputato. Inviolabile
fino ad allora era stato il sovrano; la nazione, rivendicando
per se stessa la sovranità, ne trasferiva i privilegi anche ai
suoi rappresentanti.
Chi conosce la storia sa molto bene, tuttavia, che,
nonostante le prerogative, la situazione francese degenerò e
che la testa fu tagliata sia al re sia ai deputati, perfino a
Danton e a Robespierre. All'epoca del terrore, il 13 novembre
1793, il deputato Barère si spinse fino al punto di negare che
i deputati suoi colleghi avessero diritto di esporre le loro
ragioni a difesa. Questo diritto, secondo Barère, avrebbe
violato i sacri principi dell'eguaglianza, dato che gli altri
cittadini non possedevano più, neppure essi, la potestà di
difendersi.
L'esperienza rivoluzionaria francese ci conduce alla
nostra terza conclusione, vale a dire alla constatazione del
fatto che le assemblee parlamentari, lungi dal proteggere
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sempre e comunque i propri membri dagli abusi della
giustizia, possono tutto al contrario porsi al servizio di
quegli abusi. Il fenomeno è molto più diffuso di quanto non si
creda. Nella nostra stessa Italia accadde una settantina di
anni or sono che 120 deputati, tutti ovviamente
dell'opposizione, fossero puniti dai loro colleghi con la
perdita del mandato parlamentare e quindi con la perdita delle
relative prerogative previste dagli articoli 45 e 46 dello
Statuto albertino.
L'articolo 68 della Costituzione, nella prima versione
voluta dai costituenti, ampliava le prerogative già previste
dallo Statuto albertino e in ogni caso assicurava ai deputati
una protezione più vasta di quella fornita oggi dopo le
modifiche apportate nel 1993.
L'autorizzazione a procedere, infatti, era prevista per
tutti i reati senza specificare che essa dovesse riguardare le
sole opinioni o i soli voti espressi nell'esercizio delle
funzioni parlamentari, com'è oggi. La protezione più estesa,
vale a dire quella accordata ai deputati anche nei
procedimenti penali relativi ad imputazioni non politiche,
mirava a bloccare ogni atto dell'autorità giudiziaria e di
polizia che potesse comunque ispirarsi a motivazioni politiche
o che potesse comunque determinare conseguenze politiche più
gravi della mancata punibilità dell'imputato.
Quanto appena detto si giustifica con quella che possiamo
definire la nostra quarta conclusione, vale a dire che ai
deputati viene riconosciuto un trattamento speciale per il
semplice fatto che, a causa della loro funzione
rappresentativa, sono molto più esposti ad eventuali abusi di
quanto possa accadere ai cittadini qualunque.
Taluno potrebbe obiettare a questo punto come non sia
corretto insistere sugli eventuali abusi della giustizia
poiché quest'ultima, per definizione, dovrebbe collocarsi al
di sopra di ogni sospetto. Sappiamo invece che purtroppo, in
Italia, è in atto una gravissima crisi del sistema
giudiziario, denunciata anche dai suoi maggiori esponenti;
sappiamo altresì che tale crisi è parallela alle profonde
difficoltà della società politica in fase di passaggio tra la
prima e la seconda Repubblica. Il complesso rapporto tra
magistrati e politici assume connotazioni addirittura
drammatiche, con un indebolimento generale della classe
politica di cui la modifica apportata all'articolo 68 della
Costituzione rappresenta soltanto una delle manifestazioni.
Dunque la quinta, ed ultima, conclusione alla quale arriviamo
è che, soprattutto in un momento come questo, la classe
politica dovrebbe garantire il suo ruolo interrompendo ogni
interferenza la quale possa, sia pur minimamente, indurre in
sospetto.
Nel caso dell'onorevole Cesare Previti, oltre tutto, non è
minimamente posta in discussione la facoltà di processarlo e,
se del caso, di condannarlo ma soltanto quella di sottoporlo a
carcerazione preventiva. Le considerazioni fin qui svolte mi
inducono pertanto a votare e a suggerire di votare contro
questa carcerazione (Applausi dei deputati dei gruppi di
forza Italia e di alleanza nazionale).
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