| ANTONIO BORROMETI. Intervengo per rassegnare all'Assemblea
le ragioni che mi hanno convinto per il "no" all'arresto con
vera libertà di coscienza, alla quale il mio gruppo - lo
voglio sottolineare poiché mi sembra un fatto non trascurabile
- ha affidato la decisione in una vicenda così delicata.
Dico subito che non concordo sulla tesi ribadita nella
relazione di minoranza dai colleghi Meloni e Bonito, basate
esclusivamente sul fumus persecutionis che si fa
coincidere con il dolo del magistrato. Questo fumus, per
così dire soggettivo, scatterebbe solo in presenza di una
volontà persecutoria dell'autorità giudiziaria nei riguardi di
un parlamentare, in mancanza della quale l'autorizzazione
dovrebbe essere sempre concessa. Tale assunto è palesemente
erroneo come risulta anche dal fatto che è statisticamente
irrilevante, poiché quasi mai è stata negata l'autorizzazione
per questo motivo. Inoltre, porta alla conseguenza che ad ogni
richiesta di arresto conseguirebbe un procedimento nei
confronti del magistrato richiedente; il che non è mai
accaduto.
Credo invece che, per una corretta decisione, la Camera
debba valutare comparativamente i diversi e contrapposti
interessi costituzionalmente protetti, sui quali viene ad
incidere la misura cautelare nei confronti di un parlamentare:
da una parte quello del processo e di assicurare alla
giustizia il presunto autore di un reato; dall'altra la
libertà personale dell'imputato con la presunzione di
innocenza fino alla condanna definitiva e soprattutto, per ciò
che ci interessa, l'integrità della composizione della Camera
così come voluta dal corpo elettorale. Il rispetto del
plenum non è un fatto esclusivamente numerico, giacché
non si tratta di fare in modo che siano presenti tutti i
deputati, cosa che del resto non accade quasi mai. D'altra
parte, l'articolo 64 della Costituzione non richiede, per la
validità delle deliberazioni dell'Assemblea, la presenza di
tutti i suoi membri. Tale esigenza, invece, si correla alla
sovranità popolare, alla quale direttamente consegue, e
garantisce la corrispondenza della composizione complessiva
del Parlamento con la volontà espressa dall'elettorato, che
verrebbe meno nel caso in cui forzatamente mancasse qualcuno
dei suoi membri.
Mentre nel caso di condanna passata in giudicato il
legislatore costituzionale, nella riforma nel 1993, ha
ritenuto che essa debba prevalere rispetto a qualsiasi altro
interesse e vada eseguita senza bisogno di autorizzazione, nel
caso di richiesta di arresto cautelare l'esecuzione va
raffrontata al valore costituzionale dell'integrità
dell'Assemblea. E per fare ciò vi è un'unica possibilità:
delibare il merito del provvedimento per valutarne la
fondatezza in forza dei criteri e delle condizioni previsti
dal codice, come d'altra parte si è sempre fatto in passato.
L'eventuale infondatezza del provvedimento, non dolosa ma
colposa, non soggettiva ma anche oggettiva e cioè posta in
essere dal giudice che pure agisca con assoluta serenità nei
confronti del parlamentare, concretizza il fumus
persecutionis, che deriva da un'applicazione errata dei
criteri previsti dal codice e quindi determina la prevalenza
del valore collegato alla sovranità parlamentare, cioè
l'integrità della composizione della Camera, rispetto
all'esecuzione di un provvedimento che si ritiene infondato o
comunque privo dei necessari requisiti. Questo è il percorso
che il Parlamento deve seguire in ogni caso di richiesta di
arresto ed anche nella fattispecie in esame, che presenta due
distinte ipotesi di reato, che per questo vanno affrontate
separatamente.
Per la prima è di tutta evidenza la mancanza dei gravi
indizi di colpevolezza
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richiesti dall'articolo 273 del codice di procedura penale
per l'applicazione di qualsiasi misura cautelare personale. La
genericità dell'accusa nei confronti di Previti, per il quale
nel periodo in questione nel capo A) non viene indicato
un solo episodio di corruzione in atti giudiziari, non può
condurre ad altre conclusioni. Ma vi è il fatto, che chiude
definitivamente il discorso sul punto, costituito dallo
spirare del termine delle indagini preliminari, che secondo il
GIP costituisce il limite temporale di applicazione di tale
misura e la stessa, poiché non è stata rinnovata, per
l'articolo 301 del codice di procedura penale, si è
definitivamente estinta. Credo non sia il caso di aggiungere
altro per un capo di imputazione per il quale la misura
cautelare è scaduta e si è, quindi, esaurita.
Discorso diverso va fatto invece per il secondo capo di
imputazione, perché agli atti è disegnato uno scenario di
indubbia, particolare gravità, sia per la pesantezza del
complessivo quadro indiziario che lo supporta, sia per la
portata del fatto in sé.
Non credo alla tesi del complotto ordito da più parti
contro Previti, nella quale - neanche a dirlo - si affacciano
pure i servizi segreti, tesi che considero risibile. Dissento
anche dall'impostazione del relatore per la maggioranza,
perché non enfatizzo l'accanimento contro Previti dei giudici
milanesi, non potendosi trasformare questa vicenda in un
giudizio pro o contro i giudici stessi, i quali comunque hanno
inciso un bubbone, ricostruendo nella vicenda IMI-SIR uno
scenario a dir poco inquietante, con un quadro probatorio
rilevante che certo dovrà essere verificato dal dibattimento.
Dico però che nella sostanza si tratta di fatti, anche
documentalmente ricostruiti, per i quali c'è solo da celebrare
il processo, e che non possono ritenersi sussistenti le
esigenze richieste dal codice per l'arresto: non quella di cui
alla lettera b), esclusa dallo stesso GIP, né quella di
cui alla lettera c), perché non si vede come l'onorevole
Previti, la cui vicenda processuale è ormai nota a tutti,
potrebbe anche soltanto tentare di compiere negli ambienti
giudiziari gli stessi reati che gli vengono addebitati per il
passato.
Quanto alla conservazione della prova, dopo il notevole
lasso di tempo trascorso dall'inizio delle indagini, il
provvedimento non giustifica la singolare possibilità,
adombrata dal giudice, dell'inquinamento interpretativo delle
prove documentali raccolte - ed è proprio questo il punto - e
documentalmente acquisite al processo. In esso è ormai fissato
il movimento dei conti correnti di Previti, così come sono
parimenti consegnati al processo e - lo si diceva bene prima -
storicizzati tutti gli altri elementi che formano il
complessivo quadro indiziario del secondo capo di imputazione,
per il quale non è ipotizzabile (e non viene per la verità
neppure indicata) alcuna possibilità di alterazione, almeno
nella sua concretezza, così come pretende il codice.
Il provvedimento non può neanche giustificarsi con il
fatto che non sono stati individuati tutti i movimenti dei
conti correnti sequestrati per l'astratta ipotesi di un
raccordo tra coimputati, che potrebbe - lo si diceva prima -
interferire su tale individuazione, raccordo che, se del caso,
in oltre due anni di indagine già c'è stato e che, semmai,
proprio ora, in questa fase, sarebbe oltremodo problematico, a
meno che - come anche veniva poc'anzi evidenziato - non ci sia
un retropensiero che sottende il provvedimento, ossia che lo
si vuole utilizzare per indurre Previti a riferire sui fatti
e, quindi, sui movimenti e sui destinatari non individuati dei
suoi conti correnti.
Ciò certamente non può essere avallato dal Parlamento, se
è sincero il plauso da tutti fatto al discorso di fine anno
del Presidente della Repubblica.
Concludo, Presidente. Il provvedimento d'arresto anche per
il secondo capo d'imputazione difetta delle necessarie,
indispensabili condizioni di legge ed è per questa ragione,
giusta le considerazioni prima svolte, che io ritengo non
possa essere autorizzato da questo ramo del Parlamento.
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