| FRANCO FRATTINI. Presidente, onorevoli colleghi, sulla
decisione che ci apprestiamo a prendere pesa una serie di
argomentazioni che desidero ancora elencare, nella fiducia che
le ragioni poste a fondamento di ognuno dei nostri interventi
siano ancora motivo per l'Assemblea di sincera e profonda
riflessione. Il dibattito democratico, infatti, non sarebbe
tale se il suo esito fosse in qualche modo predeterminato
dalla logica della forza dei numeri. Le nostre parole
apparirebbero allora vuote e vane, vittime di uno stanco
rituale. Tra le argomentazioni che dobbiamo affrontare
desidero enunciarne da subito una, che alcuni danno per
scontata e che invece va rimossa e specificamente superata.
Ancora si legge e si sente affermare in pubblici confronti che
il Parlamento si appresterebbe a dare risposta oggi a qualche
agguerrita procura circa la possibilità di proseguire o meno
un lavoro di bonifica della politica che risale ai primi mesi
del 1992. Non è così; non è così perché in questi anni si è
fatta assai più restrittiva la legislazione sull'immunità
parlamentare, dall'autorizzazione a procedere
all'autorizzazione all'arresto, assai riducendo così,
opportunamente, l'ambito della doppia tutela che ci è
riconosciuta. Non è così, poi, perché noi non stiamo
assolutamente prendendo una decisione di merito, né intendiamo
sottrarre un membro del Parlamento al giudizio dell'organo
preposto. E' importante che questa constatazione della
sensibile differenza con il passato si faccia consapevolezza
comune e collettiva e che le questioni di giustizia siano
rappresentate con scienza e coscienza alla pubblica opinione.
Dobbiamo, soprattutto noi che siamo legislatori, temere
confusione e manipolazione, che della giustizia sono spesso
consapevoli nemiche.
Consapevolezza tanto più importante soprattutto quando il
Parlamento si appresta a riscrivere la seconda parte della
nostra Carta fondamentale proprio in materia di giustizia,
affermando in maniera solenne la cultura delle garanzie, nel
segno di un riequilibrio tra accusa e difesa. All'insegna di
quale coerenza il nuovo spirito costituente potrebbe infatti
coesistere oggi, a distanza di pochi giorni dalle nuove
deliberazioni, con una decisione in qualche modo figlia delle
emozioni e del calcolo politico? Queste nuove regole intendono
infatti correggere le storture e le forzature che hanno
condotto negli anni la pubblica accusa ad affievolire la
cultura delle garanzie, al punto da sollecitare le più
autorevoli preoccupazioni e prese di posizione politiche ed
istituzionali. Le nuove regole tendono giustamente a
ripristinare il potere di un giudice terzo, indipendente,
anche contro le tentazioni di un giudizio preventivo, fondato
spesso sulla presunzione di colpevolezza,
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pronunciato in tutti i luoghi, dalla televisione alle piazze,
tranne che in quello deputato, l'aula di giustizia.
Riflettiamo allora prima di decidere. Attorno a questo
dibattito ruotano calcoli politici che rischiano di essere
assai più figli delle distorsioni che ci apprestiamo a
correggere che non della cultura liberale che ci apprestiamo
ad affermare; una cultura che impone alla coscienza la più
costosa delle libertà, quella di decidere non secondo il
proprio tornaconto, secondo gusti e ostacoli, ma ponendoci in
una condizione di ignoranza rispetto agli effetti della
decisione, senza considerare quegli aspetti che metterebbero
in difficoltà gli uni e spingerebbero gli altri a sfruttare a
proprio vantaggio le circostanze.
Siamo convinti che in definitiva siamo tenuti a trattarci
tutti come concittadini di un medesimo pianeta giustizia. Ed è
per questo che noi non siamo a fronteggiare il torrente di chi
invoca, anche con sincerità, una giustizia altrimenti tradita.
A costoro dobbiamo dire che la giustizia che si fa da sola, la
giustizia del "veniamo al sodo" è una forma di imbarbarimento
che in politica trasforma l'avversario leale in un nemico. E
neppure fronteggiamo la giusta ribellione contro il privilegio
di qualcuno. La situazione che affrontiamo sia occasione di
educazione civica. Il collega Mancuso ha spiegato in
quest'aula ragioni e situazioni che prevedono una doppia
tutela; oggi lo ha rispiegato assai bene il collega
Melograni.
Qui dobbiamo valutare in modo sereno, secondo coscienza e
diritto: può l'onorevole Previti inquinare le prove
dell'accusa, sottraendole al leale confronto con la difesa,
che - lo diciamo con chiarezza - al tribunale di Milano dovrà
esserci, in un processo senza ritardi né incertezze? Può
l'inquinamento toccare elementi di prova documentale già
raccolti e nelle mani della procura che, su tale base, ha
chiesto il rinvio a giudizio, chiudendo l'istruttoria? E'
fuori dalla logica e dalle norme la considerazione formulata
dal GIP secondo cui la possibile alterazione riguarderebbe non
i documenti, che sono agli atti, ma l'interpretazione dei
rapporti bancari cui gli stessi documenti si riferiscono. Vi
sarebbe allora un pericolo di inquinare le interpretazioni,
cui si deve porre riparo con l'arresto. A chi abbia a cuore la
verità e il rispetto delle regole non può sfuggire che solo
atti e documenti si possono alterare; le interpretazioni si
possono sostenere o confutare e se ciò avviene in un processo
da parte della difesa, essa esercita un suo diritto
fondamentale previsto dalla Costituzione. A parte poi la
considerazione specifica che il giudice tutela la prova e non
il libero apprezzamento che di essa ha formulato la parte
accusatrice!
Infine occorre chiedersi se vi sia oggi l'esigenza di
preservare la prova osservando che la richiesta di arresto è
nota all'onorevole Previti da alcuni mesi, ben prima della
richiesta di rinvio, e che i fatti risalgono al 1986. Noi
riteniamo che la risposta sia negativa, come dovrebbe esserlo
se la richiesta di arresto in tali condizioni riguardasse
chiunque, ogni cittadino, tutti coloro verso cui purtroppo si
è abusato della custodia cautelare. Sarebbe aberrante che
l'uso distorto della carcerazione preventiva in violazione
della legge assumesse il ruolo di parametro di riferimento;
commetteremmo così una doppia ingiustizia.
Signor Presidente, colleghi, noi voteremo quindi "sì" alla
proposta della Giunta di negare l'autorizzazione all'arresto.
La dignità e l'alta funzione del Parlamento sono alla prova;
rivendichiamo il dovere di applicare le regole senza
imperativi politici né diffide strumentali, in nome non
dell'onorevole Previti ma di ciascun cittadino, di quelli che
hanno vissuto o potrebbero vivere il dramma, pur se ignoto ai
media, di un arresto non giustificato dalle regole
dell'ordinamento: la più devastante offesa al caposaldo
costituzionale della libertà della persona! Grazie
(Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di
alleanza nazionale).
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