| ALFREDO BIONDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi e
colleghe, io non vi
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nascondo una certa emozione e preoccupazione nel prendere la
parola in sede di dichiarazione di voto.
La dichiarazione di voto è un atto di coscienza, che per
me significa consapevolezza, ed anche di volontà: si tratta di
esplicitare come la penso. Non so se il voto sarà palese o
segreto. Ho chiesto di parlare solo perché fosse palese quello
che sento, che provo e che giudico in questa fase (senza però
essere un giudice; non intendo arrogarmi il compito di
giudicare i giudici, un compito che non ci compete né come
singoli né come Assemblea). A noi compete una valutazione
forse più difficile di quella giudiziaria: collegare i diritti
e le prerogative (non i privilegi, come ha detto Bonito) di un
cittadino che è parlamentare con ciò che si deve fare per
tutelarne la libertà e per evitare che il pregiudizio vinca
sul giudizio e che - come ha detto Orlando parlando dei valori
della libertà e dei liberali - la condanna preceda
l'accertamento.
Carnelutti diceva che il processo è già una pena. Io non
riesco nemmeno ad immaginare la pena che deve esservi per un
uomo e per un deputato di fronte alla necessità di difendersi:
è un ruolo molto difficile. D'altra parte, non riesco a capire
come si possa ritenere che il Parlamento ed (in questo caso) i
deputati debbano porsi un problema - come qualcuno ha detto -
di sofferenza nella propria coscienza: quando si obbedisce
alla propria coscienza non si soffre; si riflette e si
esprimono i propri giudizi.
Stimo molto il collega Bonito, tuttavia mi sembra molto
grave dire che gli elementi in causa dal punto di vista
dell'autorità giudiziaria milanese (inquirente e per le
indagini preliminari) siano tranquillizzanti ai fini della
privazione della libertà di un cittadino. Mi riferisco sia al
tempo dei fatti sia alle indagini compiute sia al rapporto fra
tutto ciò e la necessità di privare della libertà il cittadino
per esigenze cautelari: elementi che nel loro insieme
costituiscono qualcosa che fa a pugni con quella eccezionalità
della misura della custodia cautelare che l'articolo 275
prevede come deroga all' habeas corpus, al diritto del
cittadino di essere integro nella sua potenzialità di
cittadino di fronte all'accusa. La privazione della libertà
costituisce un vulnus per chiunque e l'eccezione non può
diventare la regola.
Noi non dobbiamo fare il giudizio al giudizio, ma dobbiamo
collegare la nostra decisione a due valori generali di libertà
e particolari del deputato nel Parlamento.
Ho l'onore di aver presentato nel lontano 1968 la prima
proposta (la proposta numero uno!) per la limitazione
dell'immunità parlamentare, divenuta impunità (come qualcuno
ha ricordato). Sono anche orgoglioso di aver presentato un
decreto-legge nel quale i diritti di libertà del cittadino
erano anteposti ad una visione pregiudiziale e pregiudizievole
del suo status di fronte alle indagini. Non sono di
quelli che obbediscono al "popolo dei fax ": posso
parlare a voce alta perché su questo valore ho assunto le mie
responsabilità istituzionali, oltre che parlamentari. Non
riesco a capacitarmi come si possa immaginare, se non si vuole
offendere la procura di Milano ed il giudice per le indagini
preliminari, che indagini, verifiche, entità di accertamento
come queste debbano ancora subire - starei per dire -
l'affronto e la possibilità (l'unghiata della possibilità
riduttiva del loro valore) rappresentati non dal pericolo di
fuga (che per fortuna non è stato prospettato per l'onorevole
Previti, nonostante che le sue gambe si muovano bene), ma
dalla reiterazione del fatto e dall'inquinamento delle
prove.
Sono contraddizioni molto forti; qualcuno ha affermato che
non si tratta di contraddizioni che attengono al fumus
persecutionis: quante bugie si sono dette in latino! Non si
tratta di fumus persecutionis che non è una voluntas
persecutionis; altrimenti - mi rivolgo a qualcuno che
confonde il dolo con la colpa e non voglio citare l'autore che
tra l'altro spesso si cita da solo - si confonde la causa con
l'effetto. Il fumo viene anche dopo gli incendi e questi
ultimi possono essere dolosi e colposi. Il fumo è una
conseguenza,
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non è una causa, è un effetto, una realtà che sopravviene in
relazione ad una serie di comportamenti descritti dal relatore
Carrara in maniera completa, ma che sono stati richiamati
anche da altri colleghi, che hanno indicato - con una volontà
che in questo caso sì sarebbe stata persecutoria verso i
giudici - non un antagonismo tra il Parlamento e la
magistratura, ma la rivendicazione per il Parlamento del
proprio ruolo di tutela, richiamato autorevolmente da qualcuno
che siede in alto in questa Camera, nel momento in cui ha
ricordato a ciascuno di noi, e credo anche a se stesso, che in
questo caso la cautela è la migliore garanzia.
Come si fa a ritenere che una indeterminatezza
dell'accusa, che un'indicazione di elementi discussi e
discutibili e comunque considerati validi, nonché l'aver
confuso l'indizio - che deve essere grave - con il sospetto
che - esso sì - può essere fumoso, non costituisca di per sé
un'impostazione unilaterale così forte da determinare
l'effetto di persecuzione nel senso di effetto depistante
rispetto alle esigenze di custodia cautelare?
Come si può valutare quanto previsto dall'articolo 274,
novellato nell'agosto del 1995, in modo tale che il
comportamento dell'indagato o dell'imputato, che si avvale di
ciò che la sua difesa gli consente, compreso il silenzio,
debba essere quasi considerato - come fanno i poliziotti di
Scotland Yard - aprioristicamente come accusa contro di
lui?
Come si fa a ritenere tutto ciò ed a dimenticare che nella
richiesta di concessione degli arresti nei confronti
dell'onorevole Previti si pretenderebbe addirittura che
potrebbe esservi un suo comportamento gravemente depistante e
vanificatore della prova acquisita, e poi affermare - sempre
da pare dell'accusa - che ciò possa dipendere solo dal fatto
che lui non si è prestato, o per silenzio o per aver dato
diverse indicazioni, a sottomettersi al gioco che l'accusa
vorrebbe dovesse essere imposto a chiunque si presenti di
fronte a lei?
Come si può ritenere che ciò non costituisca, nella realtà
individuale e complessiva degli elementi indicati, un qualcosa
che, in tale impostazione, Piero Calamandrei definiva "istinto
venatorio", quello di chi accusa e vuole che, a fronte di un
bersaglio, vi sia una preda ferma, che si prostri di fronte al
rischio della cattura, se è con il vischio o con la rete, o
dell'uccisione, se è con il fucile?
Mi chiedo se tali elementi non stimolino chi invoca la
propria coscienza, al di là dei vincoli di parte, ad un esame
alto dei valori dei quali siamo portatori; valori che non ci
appartengono, che ci sono stati conferiti dalla sovranità
popolare, di cui siamo un frammento, di cui portiamo le ansie
e di cui forse non siamo in grado - purtroppo - di
interpretare fino in fondo l'altezza ed il valore della realtà
fiduciaria.
Al parlamentare - concludo, Presidente - non si richiede
di essere il giudice dei giudici. Non si può nemmeno ritenere,
però, che il Parlamento sia frustrato e castrato nella propria
possibilità decisionale su un argomento che attiene
all'integrità dell'Assemblea, alla dignità di uno dei suoi
membri, alla libertà, che deve essere data a ciascuno, di
difendersi davanti al proprio giudice naturale, precostituito
per legge, al giudice giusto, che per noi non è detto non sia
quello di Milano, ma che forse sarebbe più giusto fosse quello
del luogo dove si assume che i reati sarebbero stati
commessi.
Ecco perché dico "sì" alla relazione e "no" alla
carcerazione del cittadino, non del deputato, Previti
(Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di
alleanza nazionale, del CCD e misto-CDU -
Congratulazioni).
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