| FILIPPO MANCUSO. Signor Presidente, signori deputati, agli
effetti dell'esplicazione del potere della norma novellata del
capoverso dell'articolo 68 della Costituzione il Parlamento
non è sovraordinato al giudice, né sottordinato e neppure
equiordinato; si tratta di un potere fondato sulla
Costituzione, il quale non implica né una rivalutazione
giudiziale incidentale del materiale del processo né un
processo al processo medesimo. Questo potere è niente altro
che l'esplicazione di qualcosa che non si riferisce al
procedimento cui si collega e tuttavia con quello ha la
medesimezza della materia, cioè gli atti processuali che sono
dal giudice formati ed elaborati e poi definiti, e dal
Parlamento, nel caso di vicende come questa, incidentalmente
ma autonomamente valutati per fini tutt'affatto diversi. Se la
disposizione è questa - e lo è letteralmente e concettualmente
- non bisogna far altro che stabilire quali siano, posta la
diversità dell'ambito delle potestà, gli strumenti dei quali
deve e non può non avvalersi il Parlamento nel giudicare se vi
siano o meno ragioni di tutela della posizione del
parlamentare. Gli atti appartengono al giudice per le sue
finalità, appartengono al Parlamento restando i medesimi per
le finalità del Parlamento.
Talvolta accade che le espressioni descrittive possano
superare e compromettere le ragioni stesse di un ragionamento
e di una soluzione; tale è il caso del cosiddetto fumus
persecutionis, espressione tralaticia e ormai in definitiva
inutile, quando non siano preventivamente stabilite quali
situazioni possano rientrare nel cosiddetto fumus
persecutionis e quali invece altre situazioni ancora
innominate possano produrre gli effetti medesimi.
E' conosciuto nella dottrina giuridica quel fenomeno per
il quale l'atto giuridico, in questo caso il processo, che
tale resta nell'ambito del medesimo, divenga invece un fatto
giuridico, che prescinde cioè dalla sua - per così dire -
anima intenzionale e resta un fatto storico, naturale o
dipendente dall'uomo. A questo punto si colloca - se mi è
consentito, signor Presidente - l'esigenza di definire quali
siano le qualificazioni dei poteri nell'ambito di questo
giudizio del Parlamento; se il giudice esamina e conclude
sull'atto del processo noi dobbiamo esaminare e concludere sul
fatto di quel processo, senza vulnerare affatto, senza
intrigarci affatto di quell'attività che il giudice consuma
insindacabilmente e nell'ambito delle proprie gerarchie
decisionali. Ecco perché fumus persecutionis indica il
caso limite, e quindi non tutti i casi in cui debba scattare
la tutela del parlamentare. Quando si riconosca, sempre per
caso limite (che nella mia lunga militanza in quell'ambito non
ho mai incontrato), un'intenzionale o politica ovvero
personale persecuzione, là certo, ictu oculi, scatta il
fumus persecutionis e quindi scatta l'evidente ragione
di applicarne le conseguenze. Ma siccome la valutazione del
Parlamento non è quella di sanzionare il giudice né di rendere
inefficaci gli atti da lui eventualmente posti in essere
malintenzionatamente, resta pur sempre la possibilità che
l'effetto medesimo della persecuzione propriamente detta venga
raggiunto attraverso una sequela di errori. Ed è proprio in
questo caso, quando l'effetto negativo venga raggiunto non
dall'intenzione malevola ma dalla sequela o da un singolo
grave errore, che la figura del parlamentare si attenua,
scompare e viene esaltata invece quella della funzione
parlamentare.
Se la situazione pregiudizievole è l'effetto di una serie
di errori avvertibili e doverosamente reperibili dal
Parlamento, è questo che diventa l'autore, per così dire,
della lesione e lo strumento occasionale,
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cioè il singolo parlamentare, in un certo modo passa in
seconda linea. Trascuro quindi questo effetto, questo bisogno
equivoco di far dipendere tutto dal fumus persecutionis.
Qui sono invece presenti situazioni le quali ne hanno prodotto
l'effetto identico, cioè che il parlamentare è stato
pregiudicato dalla serie di errori che nella relazione sono
stati messi bene in evidenza. E il metterli in evidenza non
rappresenta una piaggeria verso la difesa, che li ha elencati
semplicemente.
Una volta che questo accade, una volta che noi
riconosciamo (perché è onestamente impossibile non farlo) che
errori nella conduzione processuale vi sono stati, sotto
infiniti aspetti (almeno cinque e tutti decisivi; non torno a
ripeterli), come è possibile ritornare sulla solfa del
fumus persecutionis? Noi non crediamo alla voce della
tempesta che giunge da fuori né pensiamo di reagire alle
indelicatezze che il Parlamento riceve chiamandolo ora
mafioso, ora massone, ora in altro modo. Noi siamo uomini
indipendenti e moralmente provveduti anche contro
l'aggressione, contro questo tipo di disinganni.
Ma se al giovane, signor Presidente, è consentito cedere
alle baudeleriane intermittenze del cuore e lasciarsi
trascinare anche nell'errore nel palpito di queste
intermittenze, all'uomo maturo, quando la medesima
intermittenza colpisce il suo giudizio, la sua sensibilità di
uomo o di operatore pubblico, non è consentita, quando v'è la
possibilità dell'errore irreparabile, altra via che quella
della prudenza, della riflessività, della cautela. Imboccare
una strada la quale finisce col consegnarci al rischio di
percorrerla con il pentimento nell'animo e nella mente non è
proprio dell'uomo maturo (Applausi dei deputati dei gruppi
di forza Italia e di alleanza nazionale).
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