| IGNAZIO LA RUSSA. ...la richiesta di arresto di un
deputato è stata basata su altre argomentazioni. Non dobbiamo
tra l'altro dimenticare che il fumus persecutionis, che
nasce soprattutto da una prassi parlamentare nemmeno tanto
dottrinaria, ha comunque avuto applicazione nei confronti
delle richieste di autorizzazione a procedere che fino al 1983
necessariamente si accompagnavano anche alla richiesta di
arresto. Accanto alla richiesta di autorizzazione a procedere,
contestualmente giungeva alla Camera, ove si trattasse di casi
in cui il mandato di cattura fosse obbligatorio o comunque
qualora la magistratura lo ritenesse necessario, la richiesta
di poter procedere nel procedimento penale anche con
l'arresto. Il fumus persecutionis ha avuto larghissima
applicazione in ragione della parte che ci è oggi sottratta
dalla riforma del 1983, cioè in relazione alla necessità che
il Parlamento concedesse l'autorizzazione affinché l'azione
penale potesse proseguire. Per quanto attiene al resto,
esaminando i casi ad uno ad uno, ci accorgiamo - come dicevo
prima - che tale criterio non è praticamente mai stato
utilizzato. Al contrario, le ragioni che hanno indotto la
Camera a respingere quasi in tutti i casi (indicherò in quali
non è stato così) la richiesta della magistratura hanno
trovato quasi sempre il loro fondamento nell'esigenza di
salvaguardare l'integrità numerica della Camera stessa. In
altri casi (per esempio, in uno in cui era relatore
l'onorevole Cicciomessere) si è ritenuto tollerabile un
sacrificio dell'interesse di giustizia (interesse,
naturalmente, a che il provvedimento venisse autorizzato),
sempre a tutela di quello della Camera di non veder venir meno
la propria integrità, quanto meno - questa è una tesi accolta
dalla Camera circa quindici volte - finché non si fosse
celebrato il giudizio di primo grado e non ne fosse conseguita
una condanna.
Intendo cioè sostenere che la contrapposizione (che un po'
è riecheggiata anche nell'ultimo intervento) che vede da un
lato il Parlamento e dall'altro la magistratura, un risultato
che suona come sconfitta per l'uno o per l'altro, o come
delegittimazione della magistratura o del Parlamento, non ha
mai trovato accoglimento in quest'aula. I soli casi in cui
l'autorizzazione a procedere è stata accolta avevano di
particolare (questo è un dato fondamentale che sottopongo alla
vostra attenzione) la gravità e l'eccezionalità dei reati
contestati al parlamentare: si è sempre trattato di reati che
avessero la violenza come motivo di fondo. All'onorevole
Moranino, che
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pure fu graziato, venivano contestati reati che attenevano
sicuramente alla violenza (non voglio ricordarli);
all'onorevole Saccucci, il quale apparteneva alla parte
politica esattamente opposta, venivano contestati i reati di
omicidio e di tentato omicidio. Quelli contestati
all'onorevole Negri erano reati che attenevano al terrorismo;
l'onorevole Abbatangelo, poi risultato peraltro innocente,
veniva accusato di un reato che atteneva addirittura ad una
strage. Questi che ho richiamato sono stati gli unici casi in
cui la Camera ha ritenuto di far prevalere l'interesse di
giustizia - a che cioè il provvedimento del magistrato potesse
avere corso - sull'altro interesse, ugualmente
costituzionalmente protetto, che è quello del mantenimento del
proprio plenum.
Quindi, Presidente, grido forte contro questo tentativo di
porre il voto di ciascuno di noi in alternativa all'azione dei
magistrati; si può rispettarla e si può essere tranquillamente
fiduciosi che i magistrati facciano la loro opera, si può
pensare che essi l'abbiano svolta al meglio e
contemporaneamente, come è avvenuto 46 volte su 50, tranne in
casi gravissimi, negare l'autorizzazione all'arresto. E' fonte
di confusione - o peggio, volontà di strumentalizzazione -
sostenere che il nostro operato debba essere in
contrapposizione a qualcuno.
Dobbiamo allora valutare in questa sede - credo che il mio
tempo si avvii a conclusione - se gli elementi che i
magistrati ci hanno rassegnato al termine o quasi al termine
del loro lavoro (per un capo di imputazione addirittura alla
conclusione), che io non considero (come la mia parte politica
non ha mai considerato) complotto, portino all'attenzione
della Camera la sussistenza dei requisiti previsti
dall'articolo 274, se ci indichino indizi ed elementi di
colpevolezza tali da giustificare assolutamente l'arresto.
Questo dobbiamo valutare e contrapporlo all'esigenza che,
salvo casi eccezionali, questa Camera deve poter decidere con
il numero complessivo che gli elettori hanno stabilito in
ossequio alle leggi della Repubblica.
Ritengo, pur rispettando il lavoro del pool di
Milano - e non è nuova da parte mia un'indicazione di questo
genere -, che nel caso specifico non ci siano stati forniti né
indizi né elementi di colpevolezza così evidenti, schiaccianti
e chiari - si potrebbe sostenere il contrario, ma non voglio
farlo - da far venir meno quell'esigenza di mantenimento del
plenum e, ancor di più, ritengo che non sussistano gli
elementi indicati nell'articolo 274, soprattutto con
riferimento specifico al pericolo di inquinamento delle prove,
atteso peraltro che per un capo di imputazione ciò è
materialmente impossibile e per l'altro i mesi ancora utili
alla magistratura per concludere le indagini sono due, tre o
pochi di più.
Senza bisogno di andare ad affrontare (potrei farlo, ma
non ne ho il tempo) quanto è alla base di questo processo, e
cioè l'analisi dell'attendibilità di un testimone - sulla
quale potrei raccontarvi molte, moltissime cose -, credo
tranquillamente di poter dire che il caso dell'onorevole
Previti è esattamente uguale a quello degli altri cinquanta
parlamentari - semmai, è molto meno grave - per i quali questo
Parlamento ha rifiutato di concedere l'autorizzazione
all'arresto richiesta dalla magistratura, mentre è assai
dissimile dai casi di Moranino, di Toni Negri e di Saccucci
per i quali, in via del tutto eccezionale, il Parlamento
dovette concedere tale autorizzazione (Applausi dei
deputati dei gruppi di alleanza nazionale, di forza Italia e
misto-CDU).
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