| FABIO MUSSI. Sì, il potere più terribile è quello di cui
stiamo discutendo: disporre della libertà delle persone, e si
esercita nella forma più dolorosa nel caso della custodia
cautelare, che precede e non segue il giudizio.
I dati - 23 mila cittadini in attesa di giudizio - ci
dicono che non è qui la particolare anomalia italiana: siamo
nella media dei paesi dove vige lo Stato di
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diritto. L'anomalia, piuttosto, è nella durata dei processi:
la giustizia per i più non arriva mai o tarda moltissimo.
Privare della libertà personale non spetta al Parlamento,
che esercita un altro potere, quello di fare la legge. Se la
legge attuale - norme sostanziali e procedure - non va bene,
abbiamo il potere di riformarla. Esercitiamolo, senza
condizionamenti.
E' evidente che sulla esasperante lentezza
dell'amministrazione della giustizia dobbiamo intervenire ma,
cari colleghi, sulla custodia cautelare siamo già intervenuti
con una riforma dell'articolo 274 del codice. Credo che
nessuno proponga l'abolizione dell'istituto: andrebbe troppo
clamorosamente contro il diritto di chi ha subito una
violenza, una prepotenza, un'ingiustizia grave e contro
l'interesse della società ad impedire che l'imputato reiteri
il reato, fugga, inquini le prove.
Ma se si ritiene comunque di dover intervenire ancora, di
limitare ulteriormente la possibilità di ricorrere
all'arresto, noi siamo pronti a discuterne in quest'aula. Non
si può scoprire il problema ogni volta che in ballo ci sono i
potenti. Di più: ciò che sarebbe insostenibile di fronte
all'opinione pubblica, quella più avvertita e prudente, non
solo quella che ama le maniere spicce, è lo speciale
salvacondotto per i parlamentari, la possibilità di sottrarsi
- essi e solo essi - al rischio tremendo di perdere la libertà
personale.
Intervenendo sul caso Cito nella seduta del 14 gennaio,
l'onorevole Mancuso ha ricordato: "Il nostro ordinamento e
quello internazionale civile conosce posizioni in cui alla
situazione individuale della persona viene cumulata la
situazione del munus, dovere pubblico". Giustissimo!
Munus significa dovere e dono. In nessuna parte del
mondo c'è un dovere talmente alto che possa ricevere il dono
della salvezza totale di fronte alla legge; alla fine "la
legge è uguale per tutti" resta il principio superiore che non
ammette deroghe.
E' giusto che alcuni, in particolare i parlamentari,
godano, come dice l'onorevole Mancuso, di doppia tutela: essi
rappresentano il popolo ed è un'esigenza tanto più forte in
Italia. Il nostro paese ha conosciuto il dispotismo, in tutta
la sua storia moderna è stato percorso da tendenze illiberali,
non ha mai visto i poteri dello Stato assestarsi
democraticamente in condizione evoluta di equilibrio, di
neutralità, di bilanciamento, di reciproca autonomia.
Prudenza, anzi enorme prudenza, come ha detto il
Presidente della Camera; l'enorme prudenza fu
costituzionalizzata nella Costituzione del 1948, quando
all'articolo 68 si previdero le garanzie del parlamentare,
compresa l'autorizzazione a procedere: norma grazie alla quale
nemmeno i processi si potevano celebrare senza autorizzazione,
norma di cui si è lungamente abusato, ragione non ultima
dell'ondata antiparlamentare che in anni recenti si è alzata e
si è ingrossata nel pase. Lo avvertì questo Parlamento, tanto
è vero che nell'ottobre 1993 fu riformato l'articolo 68: non
c'è più l'autorizzazione a procedere, i processi comunque si
fanno; è bene ribadirlo chiaramente anche ai cittadini, ai
quali in questa occasione viene fatto credere il contrario.
Ma vogliamo abrogare di fatto, sempre e comunque, la norma
costituzionale che è restata e che contempla, previo voto
dell'Assemblea, la possibilità dell'arresto del parlamentare?
In nessun altro paese questa possibilità è esclusa in radice,
e credo giustamente. C'è l'argomento forte del plenum,
dell'integrità della rappresentanza, certamente alto, ma non
il valore supremo; la Costituzione lo tutela, tuttavia in
maniera non assoluta, ed infatti l'arresto può sempre essere
effettuato in flagranza di reato, per esempio, o autorizzato
su espressa richiesta del magistrato. La Costituzione ritiene
molto semplicemente che esistano superiori ragioni di
giustizia che possono intaccarlo. Del resto, la bicamerale con
voto unanime ha deliberato di riproporre intatto alle Camere
il testo attuale dell'articolo 68: chi vuole si assuma la
responsabilità di proporre l'abrogazione della norma, non
chieda di aggirarla.
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Il divario tra Costituzione formale e materiale non può
essere ancora tollerato in futuro. C'è una sola posizione
politicamente e culturalmente giusta, e io non ho dubbi: è
quella garantista; essa però è molto impegnativa, comporta
l'obbligo stringente di una condotta rigorosa. Garantismo non
è il punto di vista sempre favorevole agli imputati, comunque
avverso ai giudici; questo ne è piuttosto il volto sfigurato,
la grottesca caricatura. Garantismo è il principio di legalità
che si afferma integralmente, la filosofia del rispetto della
norma sostanziale della procedura, e l'impegno costante volto
ad umanizzare la giustizia, a renderla rapida ed efficace, a
rafforzare la parità tra accusa e difesa, la terzietà del
magistrato giudicante. Esattamente così questo gruppo
parlamentare si è condotto in questa legislatura, con misura,
equilibrio, prudenza e rigore, dai voti sui giudizi di
insindacabilità alla riforma dell'articolo 513, per
intenderci.
Chi vi parla - consentite questo ricordo -, nella tempesta
del 1992, in piena Tangentopoli, quando in quest'aula (l'ha
ricordato il collega Diliberto) sventolavano manette e cappi e
i giovani del movimento sociale, incitati dai più anziani
parlamentari, circondavano in catena umana Montecitorio e il
plauso verso i magistrati si faceva corale ed entusiasta, è
stato tra coloro che certamente hanno apprezzato l'opera dei
magistrati, il loro svelare la verità di una corruzione
diffusa, di una decadenza delle classi dirigenti italiane, di
una crisi della democrazia, di quella degenerazione nel
rapporto tra partiti e Stato chiamata questione morale da un
uomo che aveva occhi per vedere, Enrico Berlinguer. Chi vi
parla è stato tra coloro - pochissimi, allora - che hanno
espresso pubblicamente anche i loro dubbi, però, verso le
facili carcerazioni, le sistematiche violazioni del segreto
istruttorio, il "tintinnar di manette" e che tentò - senza
successo - di sostenere già allora interventi correttivi, come
la proposta sulla custodia cautelare dell'onorevole Correnti.
Tanto più oggi non penso che i magistrati siano i migliori, i
nuovi ottimati, i salvatori della patria, la nuova stirpe
degli dei, ma ciò obbliga ad un più alto senso della
giustizia, ad un attaccamento estremo alla concretezza delle
cose e dei fatti. Non possiamo e non dobbiamo - di questo sono
sicuro, tanto più dopo l'intervento dell'onorevole Comino -
alimentare la guerra tra politica e giustizia, tra politici e
magistrati: sarebbe la rovina.
Infine, una parola sul caso su cui dobbiamo esprimerci. La
ricchezza non è un reato, qualche volta è la misura del
valore, della qualità di un uomo. Qualche volta. Confesso però
di essermi un po' perso nel labirinto di miliardi disegnato
dal GIP, e non dai pubblici ministeri di Milano, nell'atto di
richiesta di arresto dell'onorevole Previti. Un po' incredulo
di fronte a 21 miliardi di parcelle, anzi di pagamenti per
collaborazione continuativa, anzi di mandato a pagare persone
terze, secondo le successive versioni dell'imputato, mandato
non confermato da mandatari e di cui non vi è traccia
documentaria, un foglio, un appunto, due righe. Sorpreso di
fronte a fiumi di danaro trattato nella nostra era tecnologica
in contanti. Scettico di fronte al fatto che si possano
ricevere 1.800 milioni e dimenticarli. Ma qui non facciamo i
processi.
Le carte del giudice (questo mi pare in coscienza e questo
mi basta) non sono inconsistenti; gli elementi testimoniali,
probatori, indiziari non sono deboli. Non vedo ragioni fondate
per immaginare intenzioni malevole, volontà di persecuzione
politica. Condivido le valutazioni dei relatori di minoranza,
onorevoli Bonito e Meloni, ed è questo esattamente il punto
che dobbiamo valutare.
Non so se il relatore per la maggioranza, onorevole
Carrara, si sia reso conto della gravità delle cose che ha
detto e scritto. Ho controllato con altri colleghi le parti
conformi. Lei, onorevole Carrara, ha copiato testualmente il
testo della memoria difensiva di Previti. Due terzi,
settecento righe su 1.100, della sua relazione sono identici a
quella memoria difensiva (Applausi dei deputati dei gruppi
della sinistra democratica-l'Ulivo, di rifondazione
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comunista-progressisti e misto-verdi-l'Ulivo e di deputati
dei gruppi dei popolari e democratici-l'Ulivo e di
rinnovamento italiano)! Questa è una vergogna!
La richiesta arrivata alla Camera è del GIP, come è noto,
ma il documento della maggioranza della Giunta è un atto di
accusa totale alla procura di Milano. Vi sarebbe, si dice,
l'intenzione di arrecare un danno di immagine, oltre che
politico ed economico, agli esponenti di forza Italia. Non
basta. Non va trascurato peraltro, nel portare avanti il
provvedimento cautelare, scrive ancora l'onorevole Carrara,
l'inserimento ad opera dei pubblici ministeri di prospettive
economiche di carattere privato nel procedimento in corso, con
l'instaurazione di numerosi giudizi civili con richieste
miliardarie per risarcimento danni. Che cos'è questa? La
notitia criminis? La denuncia pubblica? Criminali sono i
giudici, dunque?
Se si vota la relazione, si sottoscrivono anche questi
apprezzamenti e il Parlamento verrebbe posto in una posizione
insostenibile.
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