| MARIO BORGHEZIO. Tale attività è assolutamente
ricollegabile a quella svolta all'interno del Parlamento, che
è coperta dalla garanzia costituzionale, essendo avvenuta nel
quadro di un comizio pubblico da parte di un parlamentare per
ragioni esclusivamente ed eminentemente politiche. Non mi pare
possa essere considerato elemento costitutivo di reato la
veemenza o la passionalità delle espressioni usate, anche se
molto forti, come quelle riportate nella relazione. Ciò sia
perché esse sono in grande evidenza frutto di quella forte
passione politica e dell'indiscutibile tensione morale e
politica che caratterizzano - com'è riconosciuto da tutti - la
personalità dell'onorevole Bossi, sia anche perché veemenza e
passionalità espressive si ricollegano alla migliore
tradizione dell'oratoria politica dei tempi moderni.
E' invece necessario - secondo noi - porre in rilievo il
fatto che il parlamentare ha esercitato il suo diritto-dovere
di critica e pertanto che il suo comportamento debba essere
ritenuto senza dubbio coperto dalla tutela della funzione
parlamentare che si estende - come tutti sappiamo - alle
proiezioni esterne dell'esercizio del mandato elettivo, avendo
efficacia anche in ordine all'attività politica svolta fuori
dalle sedi strettamente parlamentari.
Non vi è dubbio, in sostanza, che nell'incandescente
temperie politica che ha caratterizzato il momento storico in
cui il fatto imputato all'onorevole Bossi sarebbe avvenuto -
siamo nell'agosto del 1995 - le frasi contestate sono, con
palmare evidenza, connesse funzionalmente all'attività
politico-parlamentare dell'onorevole Bossi, anche in ragione
del fatto che, data l'assoluta segretezza del voto politico,
risulta evidente che nel caso di specie si tratta di una
minaccia e di un reato impossibili, poiché negli intendimenti
dell'onorevole Bossi non era allora, come non è adesso,
realizzabile un comportamento persecutorio nei confronti delle
persone a seconda della loro scelta segreta di voto.
Siamo, più semplicemente, di fronte ad una fattispecie di
normale invettiva politica
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e pertanto la tutela costituzionale prevista non può essere
illanguidita od esclusa solo per il grado, anche molto forte,
di passionalità che l'ha caratterizzata.
A parte tale considerazione, di carattere assorbente e
risolutivo, i reati contestati all'onorevole Bossi paiono
insussistenti, difettandone ogni estremo sia sotto il profilo
materiale che sotto il profilo morale. L'accusa concernente la
ricostituzione del partito fascista e l'istigazione a
delinquere appare ridicola, grottesca, vista la personalità,
gli ideali, l'estrazione e le battaglie che caratterizzano la
vita e l'impegno politico dell'onorevole Bossi e del suo
movimento, che ha avuto semmai proprio il merito di
incanalare, entro confini leciti, una protesta ed un malessere
potenzialmente eversivi. Si tratta di un movimento che,
nonostante accuse infamanti e tendenziose, ha sempre aborrito
l'uso della violenza, affidandosi invece al metodo democratico
che si incentra sul libero consenso dei cittadini, raccolto
intorno a quegli ideali rispettosi dei principi fondamentali
di libertà, primo fra i quali la libertà di parola e di
espressione.
Va detto che le frasi contestate dal GIP del tribunale di
Bergamo vanno calate nel contesto politico del comizio
elettorale in cui sarebbero state pronunciate e, con tutta
evidenza, nel più ampio quadro del ragionamento che in quella
sede stava svolgendo il parlamentare. Pertanto appare assurdo,
ingiusto, illogico e del tutto ingiustificato estrapolare una
frase dal contesto in cui è stata pronunciata, per farle poi
assumere significati non voluti. Siamo di fronte al caso di
scuola di cui ci parlava Voltaire quando affermava: "Datemi
poche righe scritte da un imputato ed io sarò in grado di
farlo impiccare per qualunque reato" (Commenti di deputati
del gruppo di rifondazione comunista-progressisti).
Affinché possano ricorrere i reati in esame, è necessaria
la sussistenza di alcuni elementi paradigmatici che, nel caso
di specie, a nostro avviso, difettano in maniera assoluta. Per
quanto riguarda il reato di ricostituzione del partito
fascista, il suo fondamento ideologico si riferisce al metodo
di lotta attuato sia dall'agente sia dal movimento politico da
lui rappresentato, in quanto praticato o come praticato nel
corso degli anni e culminato con fatti eversivi della
democrazia e con l'annullamento di ogni libertà politica. Per
integrare la fattispecie penale de quo deve quindi
trattarsi di azioni che si estrinsechino in una vera e propria
attività concreta di riorganizzazione del partito fascista,
con il ricorso alla violenza contro avversari politici e che
implichi il pericolo della sua ricostituzione, caratterizzata
dagli stessi metodi e dagli stessi scopi.
In definitiva, l'azione dovrebbe essere diretta con fatti
concreti, adeguati allo scopo, a costituire un partito o
movimento politico che abbia la stessa ideologia del partito
fascista, come storicamente si è realizzato, con le sue
caratteristiche e con i suoi metodi. E' evidente che tutto ciò
non può dirsi realizzato dalle poche frasi attribuite
all'onorevole Bossi, né dal partito politico che egli
rappresenta, i quali aborriscono l'uso della violenza e si
affidano al metodo democratico, che si incentra sul libero
consenso dei cittadini.
Mi pare questo un caso di specie di fumus
persecutionis. Nella seduta di oggi si è parlato a lungo
sui fondamenti, sul concetto, sul contenuto, sui requisiti,
sull'impalpabilità del fumus persecutionis ed ora
attribuire, sulla base di poche frasi, alla personalità
dell'onorevole Bossi, a tutti nota, un reato di questo genere
manifesta sicuramente la volontà persecutoria dei magistrati
nei confronti dello stesso onorevole Umberto Bossi.
Infatti, la stessa azione che si dice posta in essere da
Bossi non è altro che l'espressione della libera
manifestazione di pensiero, resa certamente aspra nella
tensione politica del momento, ma che mai può essere
considerata un tipo di condotta prevista dall'articolo 1 della
legge n. 645 del 1952.
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