| SILVIO BERLUSCONI. Signor Presidente, signori deputati,
siamo arrivati ad uno dei nodi centrali del processo
riformatore: la definizione dei poteri del Presidente eletto
direttamente dal popolo e, in particolare, del potere di
scioglimento delle Camere. Ma è anche arrivato il momento di
fare un bilancio complessivo delle riforme.
Quando nell'agosto 1995 parlai per primo in aula della
necessità di una riforma della Costituzione, lo feci a nome di
tutto il Polo delle libertà, perché noi tutti ritenevamo che
quel terreno fosse il più adatto per consolidare le condizioni
del bipolarismo. Si trattava di delineare un quadro comune e
condiviso, entro cui collocare le proprie differenze politiche
e programmatiche; pensavamo, peraltro, che sia la riforma
costituzionale, sia l'ingresso nell'Unione monetaria europea
fossero obiettivi comuni da perseguire unitariamente,
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pur nella chiarezza e nella distinzione delle rispettive
posizioni. Così non è stato!
La maggioranza ha preferito tutelare innanzitutto le sue
ragioni e la linea bipartisan è rimasta soltanto nelle
dichiarazioni formali. In generale è prevalso il tentativo di
condurre il processo riformatore con una mera tecnica di
conciliazione delle posizioni contrapposte, salvando sempre e
comunque quelle della maggioranza ed eludendo sistematicamente
i rischi di una mediazione, alta e nobile, più consona allo
spirito costituente che ci animava.
Anche il calendario dei lavori d'aula è stato piegato a
questa logica: frammentario ed inconcludente nella prima fase,
serrato e a tempi indebitamente contingentati nella seconda.
Ma su questo aspetto torneremo espressamente in altre
occasioni.
Era convincimento comune, avallato dallo stesso presidente
D'Alema, che il testo uscito dalla Commissione bicamerale, mai
votato nella sua interezza, non fosse un testo sacro ed
immodificabile, ma solo una bozza, un punto minimo di intesa,
sul quale l'aula avrebbe dovuto lavorare intensamente per
migliorarlo.
Per parte nostra, fin dal primo momento abbiamo indicato,
e successivamente più volte ribadito con assoluta coerenza, i
punti sui quali erano necessari e indispensabili significativi
passi avanti. Constatiamo oggi con rammarico che praticamente
nessuno dei nostri suggerimenti è stato accolto. In
particolare nutriamo fortissimi dubbi sulla soluzione che si
sta delineando per la forma di governo.
In questi giorni sono stato invitato, bruscamente, ad
esprimere, una buona volta per tutte, le posizioni di forza
Italia sul presidenzialismo e sui poteri del Presidente.
Ritengo, per la verità, di averlo fatto in maniera
inequivocabile in mille ed una occasione nelle sedi più
disparate, ed anche in quest'aula. E non abbiamo mai cambiato
opinione. Abbiamo invece trovato conferme, anche molto
autorevoli, alle nostre preoccupazioni.
Ci sembra senza senso la figura del Presidente della
Repubblica che emerge dal testo sinora approvato; un
Presidente eletto sì dal popolo, ma dotato in realtà di poteri
limitati, deboli e incerti, certo non proporzionati alla fonte
della sua legittimazione. Che senso ha scomodare il popolo
sovrano per eleggere un siffatto Presidente? Chi risolverà gli
eventuali, inevitabili conflitti con il Presidente del
Consiglio designato dal popolo?
Sono i temi sollevati dal Presidente del Senato quando ha
parlato dei pericoli di un presidenzialismo bicefalo. Non è
stata, per noi, una sorpresa, né una scoperta tardiva dovuta
al grido di allarme del Presidente Mancino o ai tanti richiami
di studiosi e costituzionalisti che quel grido hanno
accompagnato e seguito: lo vedemmo subito quel pericolo e non
mancammo di denunciarlo proprio in quest'aula, nel momento
stesso in cui vi faceva ingresso la bozza della bicamerale.
Era il 28 gennaio di quest'anno. Il resoconto stenografico sta
lì a documentare quella denuncia, a ricordare anche agli
immemori la nostra posizione e a testimoniare la nostra
coerenza. Perdonatemi la citazione, ma è necessaria per
dimostrare a tutti che non abbiamo cambiato idea, come
qualcuno insinua. Al contrario, rimaniamo fermi sulla nostra
posizione di sempre, che è destata dalla responsabilità e che
non è viziata da una visione miope e strumentale delle
contingenze della politica, come purtroppo capita ad altri;
una posizione che, tanto meno, è influenzata dai risultati
delle ultime elezioni amministrative.
"L'elezione diretta del Capo dello Stato", dissi
testualmente quel giorno, "rappresenta sicuramente una
conquista e più di ogni altra riforma dà il segno del
cambiamento. Ma la nuova fisionomia costituzionale del
Presidente della Repubblica appare ancora incerta. Non è
chiaro quali siano i suoi poteri, i suoi limiti, le sue
funzioni, sicché potremmo avere una figura costituzionale
legittimata da milioni di voti, e dunque con un grande peso
politico, ma povera di poteri reali. Un Presidente eletto dal
popolo", aggiunsi,
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"deve essere responsabile dell'indirizzo politico del Governo
e deve disporre degli strumenti per attuarlo. Se non si
scioglie questo nodo, che decide degli equilibri
politico-istituzionali, non sarà possibile concludere
positivamente il processo di riforma". Questo dissi quel
giorno e questo ho sempre ripetuto. Perché meravigliarsi,
oggi, della nostra posizione, se nulla è stato fatto per
sciogliere quel nodo? Perché meravigliarsi, dopo che la
maggioranza ha preferito blindare quel testo, che già allora
considerammo improponibile, riducendo e mortificando così lo
spirito costituente ad una finta battaglia sugli emendamenti?
Chi oggi ci accusa di irresponsabilità o di incoerenza
dovrebbe riflettere sulla propria sordità e sull'ostinata
chiusura alle nostre proposte: forse un po' di autocritica non
guasterebbe.
Ma anche su altre due questioni decisive sono emerse
finora soluzioni dimezzate o quanto meno elusive. Ci riferiamo
al federalismo, che rischia di rimanere depotenziato
dall'assenza di un'avanzata proposta sulla ripartizione delle
entrate fiscali. Ci riferiamo anche alla giustizia, dove
abbiamo constatato un'assoluta sordità ed un muro di dinieghi
all'ampliamento dei diritti fondamentali di garanzia del
cittadino. Si tratta di questioni di principio, come la
separazione delle carriere e la terzietà effettiva del
giudice, che, mentre hanno antica cittadinanza in Europa, qui
rischiano di retrocedere anche rispetto alla Costituzione
vigente.
Noi vogliamo concludere questo processo riformatore, anche
perché non dimentichiamo che fummo proprio noi ad avviarlo, ma
non vogliamo concluderlo con un esito paradossale e, in un
certo senso, beffardo. Non vogliamo trovarci di fronte a
pseudo-riforme che peggiorino l'esistente e producano un
assetto istituzionale incoerente e pericoloso. Non vogliamo
bloccare il cammino delle riforme istituzionali, vogliamo, se
è ancora possibile, portarlo a buon fine. Vogliamo però delle
riforme vere, capaci di cambiare il nostro assetto
costituzionale per ammodernarlo. Vogliamo delle riforme di cui
essere orgogliosi e non delle riforme di cui doverci scusare
con gli italiani, non delle mezze riforme, fatte solo al fine
di dire che, in fondo, qualcosa abbiamo fatto (Applausi dei
deputati del gruppo di forza Italia e di deputati del gruppo
di alleanza nazionale), indipendentemente dal merito di ciò
che ci si chiede di votare. Ma non possiamo, ad un tempo,
vederci considerare parte contraente necessaria per la
riforma, in quanto forza centrale del sistema politico
italiano, ed essere poi costretti ad una battaglia contro i
mulini a vento, votando noi da soli, inutilmente, i nostri
emendamenti. Dobbiamo constatare che complicati giochi tattici
e di potere stanno riducendo la grande riforma istituzionale
ad una occasione di ordinaria contesa politica e le fanno
perdere quel fine alto, nobile e generale che invece dovrebbe
avere.
In una situazione di questo tipo, abbiamo deciso di
bloccare la deriva verso le sabbie mobili di un compromesso di
basso livello che rinunci a quel disegno organico e unitario,
forte di una propria coerenza interna indispensabile per una
riforma costituzionale e che si affidi invece ad una
composizione improvvisata e occasionale di norme e di istituti
che oltre tutto fanno paventare per il futuro il rischio di
una pericolosa conflittualità istituzionale. Per arrestare
questo degrado, che è funzionale soltanto agli interessi di
chi vuole attraversare la fase costituente senza correre
rischi nella gestione del potere che ha occupato, ribadiamo
ancora una volta i punti chiari, netti e irrinunciabili che
potrebbero rappresentare - almeno ce lo auguriamo - una
sintesi accettabile delle differenze non strumentali emerse
nel dibattito parlamentare.
Ricordiamoli questi punti. Primo: un federalismo politico
autentico, accompagnato da un avanzato federalismo fiscale,
che consenta una corretta attribuzione delle risorse. Secondo:
una forte affermazione della libertà di iniziativa in campo
economico e sociale, sostenuta da un'effettiva limitazione del
potere dello Stato e delle istituzioni pubbliche, mediante la
rigorosa applicazione del principio di sussidiarietà; vale la
pena di ricordare, a
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questo proposito, l'emendamento dell'onorevole Guarino, del
partito popolare, bocciato però dalla sua stessa maggioranza.
Terzo: un sistema di garanzia dei diritti di tutti i cittadini
in linea con l'Europa, attraverso la trasposizione nella
nostra Costituzione dei principi contenuti nelle convenzioni
di Strasburgo, con modalità di funzionamento degli organi
giudiziari coerenti con quelle degli altri paesi europei.
Siamo infatti convinti che l'integrazione economica e politica
non potrà avere successo in assenza di una convergenza anche
fra gli ordinamenti giuridici. Quarto: il presidenzialismo. Su
questo punto fondamentale, che è il cuore della riforma, noi
teniamo ferma la posizione che ho prima illustrato e che è la
nostra posizione di sempre. Se, come sembra, la forza delle
decisioni già prese ci costringesse a votare questo
presidenzialismo inconsistente, contraddittorio e pericoloso,
non esiteremmo a dire "no" (Applausi dei deputati del
gruppo di forza Italia).
Un "no" decisivo, che coinvolgerebbe, anche per la valenza
delle altre osservazioni, l'intero progetto di riforma che è
sotto i nostri occhi. Noi non sappiamo se, allo stato attuale
delle cose, ci sia ancora in Parlamento una larga, coerente
maggioranza riformatrice e, nel caso ci fosse, se essa sia in
grado di porre rimedio ai gravi errori finora compiuti.
Nonostante tutto, noi ce lo auguriamo: ci auguriamo che tutti
i gruppi, quelli di maggioranza come quelli di opposizione,
sappiano e vogliano riflettere (Vivi, prolungati applausi
dei deputati dei gruppi di forza Italia, per l'UDR-CDU/CDR e
misto-CCD - Molte congratulazioni).
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