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Testi integrali degli Atti Parlamentari della XIII Legislatura

Documento


377690
STA0361-0467
Somm. e Sten. d'Aula n. 361 del 27 maggio 1998 (STA13-361)
(suddiviso in 540 Unità Documento)
Unità Documento n.467 (che inizia a pag.103 dello stampato)
(il TITOLO si trova nell'Unità Documento n.465)
SEGUITO DISCUSSIONE: C3931. ...(Ripresa esame articolato - articolo 70 - A.C. 3931) LAVASS
...SEGUITO DISCUSSIONE: C3931. ...(Ripresa esame articolato - articolo 70 - A.C. 3931)
SILVIO BERLUSCONI.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE (ore 17,10)
ZZSTA ZZRES ZZSTA270598 ZZSTA980527 ZZSTA000598 ZZSTA000098 ZZSTA361 ZZ13 ZZDI ZZLL
    SILVIO BERLUSCONI.  Signor Presidente, signori deputati,
  siamo arrivati ad uno dei nodi centrali del processo
  riformatore: la definizione dei poteri del Presidente eletto
  direttamente dal popolo e, in particolare, del potere di
  scioglimento delle Camere.  Ma è anche arrivato il momento di
  fare un bilancio complessivo delle riforme.
     Quando nell'agosto 1995 parlai per primo in aula della
  necessità di una riforma della Costituzione, lo feci a nome di
  tutto il Polo delle libertà, perché noi tutti ritenevamo che
  quel terreno fosse il più adatto per consolidare le condizioni
  del bipolarismo.  Si trattava di delineare un quadro comune e
  condiviso, entro cui collocare le proprie differenze politiche
  e programmatiche; pensavamo, peraltro, che sia la riforma
  costituzionale, sia l'ingresso nell'Unione monetaria europea
  fossero obiettivi comuni da perseguire unitariamente,
 
                              Pag. 104
 
  pur nella chiarezza e nella distinzione delle rispettive
  posizioni.  Così non è stato!
     La maggioranza ha preferito tutelare innanzitutto le sue
  ragioni e la linea  bipartisan  è rimasta soltanto nelle
  dichiarazioni formali.  In generale è prevalso il tentativo di
  condurre il processo riformatore con una mera tecnica di
  conciliazione delle posizioni contrapposte, salvando sempre e
  comunque quelle della maggioranza ed eludendo sistematicamente
  i rischi di una mediazione, alta e nobile, più consona allo
  spirito costituente che ci animava.
     Anche il calendario dei lavori d'aula è stato piegato a
  questa logica: frammentario ed inconcludente nella prima fase,
  serrato e a tempi indebitamente contingentati nella seconda.
  Ma su questo aspetto torneremo espressamente in altre
  occasioni.
     Era convincimento comune, avallato dallo stesso presidente
  D'Alema, che il testo uscito dalla Commissione bicamerale, mai
  votato nella sua interezza, non fosse un testo sacro ed
  immodificabile, ma solo una bozza, un punto minimo di intesa,
  sul quale l'aula avrebbe dovuto lavorare intensamente per
  migliorarlo.
     Per parte nostra, fin dal primo momento abbiamo indicato,
  e successivamente più volte ribadito con assoluta coerenza, i
  punti sui quali erano necessari e indispensabili significativi
  passi avanti.  Constatiamo oggi con rammarico che praticamente
  nessuno dei nostri suggerimenti è stato accolto.  In
  particolare nutriamo fortissimi dubbi sulla soluzione che si
  sta delineando per la forma di governo.
     In questi giorni sono stato invitato, bruscamente, ad
  esprimere, una buona volta per tutte, le posizioni di forza
  Italia sul presidenzialismo e sui poteri del Presidente.
  Ritengo, per la verità, di averlo fatto in maniera
  inequivocabile in mille ed una occasione nelle sedi più
  disparate, ed anche in quest'aula.  E non abbiamo mai cambiato
  opinione.  Abbiamo invece trovato conferme, anche molto
  autorevoli, alle nostre preoccupazioni.
     Ci sembra senza senso la figura del Presidente della
  Repubblica che emerge dal testo sinora approvato; un
  Presidente eletto sì dal popolo, ma dotato in realtà di poteri
  limitati, deboli e incerti, certo non proporzionati alla fonte
  della sua legittimazione.  Che senso ha scomodare il popolo
  sovrano per eleggere un siffatto Presidente?  Chi risolverà gli
  eventuali, inevitabili conflitti con il Presidente del
  Consiglio designato dal popolo?
     Sono i temi sollevati dal Presidente del Senato quando ha
  parlato dei pericoli di un presidenzialismo bicefalo.  Non è
  stata, per noi, una sorpresa, né una scoperta tardiva dovuta
  al grido di allarme del Presidente Mancino o ai tanti richiami
  di studiosi e costituzionalisti che quel grido hanno
  accompagnato e seguito: lo vedemmo subito quel pericolo e non
  mancammo di denunciarlo proprio in quest'aula, nel momento
  stesso in cui vi faceva ingresso la bozza della bicamerale.
  Era il 28 gennaio di quest'anno.  Il resoconto stenografico sta
  lì a documentare quella denuncia, a ricordare anche agli
  immemori la nostra posizione e a testimoniare la nostra
  coerenza.  Perdonatemi la citazione, ma è necessaria per
  dimostrare a tutti che non abbiamo cambiato idea, come
  qualcuno insinua.  Al contrario, rimaniamo fermi sulla nostra
  posizione di sempre, che è destata dalla responsabilità e che
  non è viziata da una visione miope e strumentale delle
  contingenze della politica, come purtroppo capita ad altri;
  una posizione che, tanto meno, è influenzata dai risultati
  delle ultime elezioni amministrative.
     "L'elezione diretta del Capo dello Stato", dissi
  testualmente quel giorno, "rappresenta sicuramente una
  conquista e più di ogni altra riforma dà il segno del
  cambiamento.  Ma la nuova fisionomia costituzionale del
  Presidente della Repubblica appare ancora incerta.  Non è
  chiaro quali siano i suoi poteri, i suoi limiti, le sue
  funzioni, sicché potremmo avere una figura costituzionale
  legittimata da milioni di voti, e dunque con un grande peso
  politico, ma povera di poteri reali.  Un Presidente eletto dal
  popolo", aggiunsi,
 
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  "deve essere responsabile dell'indirizzo politico del Governo
  e deve disporre degli strumenti per attuarlo.  Se non si
  scioglie questo nodo, che decide degli equilibri
  politico-istituzionali, non sarà possibile concludere
  positivamente il processo di riforma".  Questo dissi quel
  giorno e questo ho sempre ripetuto.  Perché meravigliarsi,
  oggi, della nostra posizione, se nulla è stato fatto per
  sciogliere quel nodo?  Perché meravigliarsi, dopo che la
  maggioranza ha preferito blindare quel testo, che già allora
  considerammo improponibile, riducendo e mortificando così lo
  spirito costituente ad una finta battaglia sugli emendamenti?
  Chi oggi ci accusa di irresponsabilità o di incoerenza
  dovrebbe riflettere sulla propria sordità e sull'ostinata
  chiusura alle nostre proposte: forse un po' di autocritica non
  guasterebbe.
     Ma anche su altre due questioni decisive sono emerse
  finora soluzioni dimezzate o quanto meno elusive.  Ci riferiamo
  al federalismo, che rischia di rimanere depotenziato
  dall'assenza di un'avanzata proposta sulla ripartizione delle
  entrate fiscali.  Ci riferiamo anche alla giustizia, dove
  abbiamo constatato un'assoluta sordità ed un muro di dinieghi
  all'ampliamento dei diritti fondamentali di garanzia del
  cittadino.  Si tratta di questioni di principio, come la
  separazione delle carriere e la terzietà effettiva del
  giudice, che, mentre hanno antica cittadinanza in Europa, qui
  rischiano di retrocedere anche rispetto alla Costituzione
  vigente.
     Noi vogliamo concludere questo processo riformatore, anche
  perché non dimentichiamo che fummo proprio noi ad avviarlo, ma
  non vogliamo concluderlo con un esito paradossale e, in un
  certo senso, beffardo.  Non vogliamo trovarci di fronte a
  pseudo-riforme che peggiorino l'esistente e producano un
  assetto istituzionale incoerente e pericoloso.  Non vogliamo
  bloccare il cammino delle riforme istituzionali, vogliamo, se
  è ancora possibile, portarlo a buon fine.  Vogliamo però delle
  riforme vere, capaci di cambiare il nostro assetto
  costituzionale per ammodernarlo.  Vogliamo delle riforme di cui
  essere orgogliosi e non delle riforme di cui doverci scusare
  con gli italiani, non delle mezze riforme, fatte solo al fine
  di dire che, in fondo, qualcosa abbiamo fatto  (Applausi dei
  deputati del gruppo di forza Italia e di deputati del gruppo
  di alleanza nazionale),  indipendentemente dal merito di ciò
  che ci si chiede di votare.  Ma non possiamo, ad un tempo,
  vederci considerare parte contraente necessaria per la
  riforma, in quanto forza centrale del sistema politico
  italiano, ed essere poi costretti ad una battaglia contro i
  mulini a vento, votando noi da soli, inutilmente, i nostri
  emendamenti.  Dobbiamo constatare che complicati giochi tattici
  e di potere stanno riducendo la grande riforma istituzionale
  ad una occasione di ordinaria contesa politica e le fanno
  perdere quel fine alto, nobile e generale che invece dovrebbe
  avere.
     In una situazione di questo tipo, abbiamo deciso di
  bloccare la deriva verso le sabbie mobili di un compromesso di
  basso livello che rinunci a quel disegno organico e unitario,
  forte di una propria coerenza interna indispensabile per una
  riforma costituzionale e che si affidi invece ad una
  composizione improvvisata e occasionale di norme e di istituti
  che oltre tutto fanno paventare per il futuro il rischio di
  una pericolosa conflittualità istituzionale.  Per arrestare
  questo degrado, che è funzionale soltanto agli interessi di
  chi vuole attraversare la fase costituente senza correre
  rischi nella gestione del potere che ha occupato, ribadiamo
  ancora una volta i punti chiari, netti e irrinunciabili che
  potrebbero rappresentare - almeno ce lo auguriamo - una
  sintesi accettabile delle differenze non strumentali emerse
  nel dibattito parlamentare.
     Ricordiamoli questi punti.  Primo: un federalismo politico
  autentico, accompagnato da un avanzato federalismo fiscale,
  che consenta una corretta attribuzione delle risorse.  Secondo:
  una forte affermazione della libertà di iniziativa in campo
  economico e sociale, sostenuta da un'effettiva limitazione del
  potere dello Stato e delle istituzioni pubbliche, mediante la
  rigorosa applicazione del principio di sussidiarietà; vale la
  pena di ricordare, a
 
                              Pag. 106
 
  questo proposito, l'emendamento dell'onorevole Guarino, del
  partito popolare, bocciato però dalla sua stessa maggioranza.
  Terzo: un sistema di garanzia dei diritti di tutti i cittadini
  in linea con l'Europa, attraverso la trasposizione nella
  nostra Costituzione dei principi contenuti nelle convenzioni
  di Strasburgo, con modalità di funzionamento degli organi
  giudiziari coerenti con quelle degli altri paesi europei.
  Siamo infatti convinti che l'integrazione economica e politica
  non potrà avere successo in assenza di una convergenza anche
  fra gli ordinamenti giuridici.  Quarto: il presidenzialismo.  Su
  questo punto fondamentale, che è il cuore della riforma, noi
  teniamo ferma la posizione che ho prima illustrato e che è la
  nostra posizione di sempre.  Se, come sembra, la forza delle
  decisioni già prese ci costringesse a votare questo
  presidenzialismo inconsistente, contraddittorio e pericoloso,
  non esiteremmo a dire "no"  (Applausi dei deputati del
  gruppo di forza Italia).
     Un "no" decisivo, che coinvolgerebbe, anche per la valenza
  delle altre osservazioni, l'intero progetto di riforma che è
  sotto i nostri occhi.  Noi non sappiamo se, allo stato attuale
  delle cose, ci sia ancora in Parlamento una larga, coerente
  maggioranza riformatrice e, nel caso ci fosse, se essa sia in
  grado di porre rimedio ai gravi errori finora compiuti.
  Nonostante tutto, noi ce lo auguriamo: ci auguriamo che tutti
  i gruppi, quelli di maggioranza come quelli di opposizione,
  sappiano e vogliano riflettere  (Vivi, prolungati applausi
  dei deputati dei gruppi di forza Italia, per l'UDR-CDU/CDR e
  misto-CCD - Molte congratulazioni).
 
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