| FRANCO MARINI. Signor Presidente, colleghi, vorrei
svolgere tre considerazioni sull'intervento dell'onorevole
Berlusconi, rispetto al quale, volendo essere animato - spero
di riuscirci - da uno spirito costruttivo, pur essendo
preoccupato da questa fase che viviamo per le riforme, debbo
sottolineare una discrasia tra il tono e l'enfasi
drammatizzata delle posizioni che ha espresso e, nella
sostanza, i contenuti della proposta, che io credo di aver
compreso nelle sue parole.
La prima riflessione riguarda le procedure. Io appartengo
a coloro i quali sono convinti che in materie come queste,
nell'ambito delle nostre responsabilità, le questioni di
procedura e responsabilità dei modi siano profondamente
connaturate al senso ed ai contenuti della politica.
Egli ha invocato più volte lo spirito costituente.
Non da ora, ma fin dall'inizio dei nostri lavori nella
bicamerale (si è trattato di otto mesi di confronto seguiti,
anche con una certa attenzione, dall'opinione pubblica
italiana, da contrasti di "spezzoni" della cultura
costituzionalista, ma seguiti), lo spirito costituente al
quale ho cercato - come molti colleghi - di ispirarmi era
quello della capacità di ascoltare e qualche volta di
comprendere le ragioni degli interlocutori.
Certo, con contenuti che siano rapportati al rilievo delle
questioni che affrontiamo. Ma lo spirito è quello. Ed io ho
sempre sottolineato - ovviamente non da solo - che all'interno
della Commissione, dove non sono mancati momenti di sincera
drammatizzazione dei rapporti, perché contrasti ve ne erano,
si è sempre salvaguardato lo spirito costruttivo che, a mio
avviso, veniva da una cosa sola: dalla coerenza degli impegni
assunti nella campagna elettorale del 1996. Questo era uno dei
punti che avrebbe dovuto caratterizzare
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questa legislatura, per tante ragioni che non serve ripetere,
perché le conosciamo.
Molti, e non soltanto da una parte, hanno esercitato la
loro intelligenza nel capire le cose, anche per porsi, con
discussioni animate non sempre comprese all'interno delle
singole forze politiche, le ragioni degli altri o un pezzo
delle ragioni degli altri che nei fatti fosse conciliabile con
le radicate, profonde convinzioni delle forze che
rappresentiamo. Arrivammo al voto comune su una formula che,
secondo me, ha retto alla critica distruttiva che pure vi è
stata all'esterno ma nella quale, probabilmente, nessuno
poteva ritrovare tutte le convinzioni espresse dal movimento
di appartenenza. Non ce n'era una. Anche noi. Questo è stato
lo spirito costituente che ci ha portato a licenziare, dopo
quindici o sedici anni, una proposta che è approdata qui alla
Camera.
Perché ho parlato di un contrasto, di uno stridore tra i
toni e ciò che io ho capito della conclusione? Perché si
abbandona quell'elementare principio che da solo può portare
allo sbocco positivo di questi nostri lavori, che nel paese
sono guardati con più attenzione di quanto ritengono alcuni di
noi. Se si abbandona quell'attitudine, non c'è un'altra
strada. Non può esserci, sarebbe un'altra cosa. Questo è lo
spirito costituente. Vogliamo abbandonarlo, visto che, fatta
salva la posizione di rifondazione che votò contro, votammo a
favore? I cittadini lo devono sapere che votammo faticosamente
a favore, prima sulle singole questioni poi, alla fine, in
Commissione. Abbiamo portato questo testo, ma ci dicemmo anche
- sono abituato a ragionare solo in base alle cose ufficiali -
che lo spazio per migliorare questo lavoro in Parlamento non
poteva essere cancellato, perché farlo sarebbe stato
scorretto. E questo spazio c'è stato per le discussioni svolte
in aula finora. Fu un impegno tra di noi con quello spirito
che ci animava. Perché lasciarlo oggi? Quali sono queste
ragioni di merito - ecco la seconda considerazione - che poco
fa ho ascoltato in quest'aula?
Sul federalismo dobbiamo ancora discutere, ma è emersa una
formula di dialettica, nel paese, di decentramento, di poteri
veri, di cambiamento dell'assetto dello Stato che possiamo
difendere e che qui in aula, con il voto comune di diverse
parti politiche, abbiamo anche migliorato.
Sulla giustizia sappiamo che vi sono problemi aperti. Per
quanto riguarda il mio gruppo - e chi vi parla in particolare
- non abbiamo mai trascurato il rilievo di questo problema:
fissare i principi innanzitutto di garanzia per il cittadino.
Abbiamo dimostrato, con posizioni anche sofferte tra noi, che
non è che sottovalutiamo questo aspetto nelle varie tappe
dell'esame in aula. Si stava discutendo con molta serietà, per
cui credo che dobbiamo sdrammatizzare questo problema dalla
carica degli altri problemi che vi sono, che sono contingenti
ed importanti. Forse, possiamo arrivarci.
Sulla sussidiarietà, per rispetto vostro mi fermo qui,
perché quando ne sento parlare da alcune posizioni resto un
po' sbalordito. Certe volte è la scoperta di una parola che fa
enfatizzare posizioni che nulla hanno a che fare con i
principi dai quali questo valore è partito, onorevole
Buttiglione (Applausi dei deputati dei gruppi dei popolari
e democratici-l'Ulivo e dei democratici di
sinistra-l'Ulivo).
Onorevole Buttiglione, mi rivolgo a lei per la frase che
ha pronunciato: non c'è la sussidiarietà. Nella Costituzione
precedente non c'era questo principio riguardante i rapporti
tra società e Stato; la questione è stata posta da noi,
insieme con altri, e debbo dire che anche chi, per la propria
storia o cultura, lo sentiva meno, ha capito cos'è il
principio di sussidiarietà. E' una rottura tra società e
Stato? E' lo spazio ad un liberismo economico sociale e
sfrenato? Vede, onorevole Buttiglione, nella storia di queste
cose - che io e lei dovremmo conoscere - è vero che nel corso
del novecento tutte le volte che quell'insegnamento è
intervenuto ha raccomandato, dinanzi agli Stati pervasivi
dell'Europa, che lo Stato si ritraesse valorizzando le
posizioni della società e della persona; questo è vero, ma noi
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abbiamo trovato una soluzione di raccordo tra questa esigenza
e quella di uno Stato che deve guardare all'interesse
generale. La nascita della parola e dell'impostazione però si
colloca alla fine dell'ottocento, in un documento
straordinario, all'interno di una enciclica; accanto alla
rivendicazione della libertà della società vi è, in quella
condizione storica, l'invocazione allo Stato liberale italiano
di intervenire con un minimo di giustizia e di legislazione
sociale: in una condizione storica diversa si esprimevano
parole diverse.
Al di là della forza della società e del rispetto
dell'iniziativa della persona, vi è sempre l'equilibrio che
quell'insegnamento non ha mai abbandonato, a differenza di lei
che, nelle parole dette qui e altrove, sembra imboccare una
via che porta ad un liberismo sfrenato che quella concezione
non ha mai accettato (Applausi dei deputati dei gruppi dei
popolari e democratici-l'Ulivo e dei democratici di
sinistra-l'Ulivo).
Per quanto riguarda la forma di Governo, nella Commissione
bicamerale si sono registrati contrasti veri e valutazioni
differenti; si potevano trovare soluzioni diverse, lo so, ma è
stato esercitato un atto di responsabilità, da parte di tutti,
per individuare una soluzione. Non abbiamo votato il
presidenzialismo alla francese; abbiamo deciso, e c'è ragione
di farlo nelle attuali condizioni storiche dell'Italia, di
eleggere per via diretta, con il voto dei cittadini, il
Presidente della Repubblica.
Esistono parecchie ragioni per dire che ciò è giustificato
- lo dice anche chi non era partito da queste posizioni -
considerate le condizioni storiche attuali, ma il Governo
restava di espressione parlamentare, della sua maggioranza.
Quindi, un equilibrio veniva raggiunto e dunque non c'è
bicefalismo o commistione di responsabilità in questa
impostazione.
Poiché questa non era la nostra posizione di partenza,
dico che qui si è esercitata la nostra capacità di
sintetizzare le ragioni e il rispetto del Parlamento con le
sue divisioni e le sue posizioni diversificate in materia.
Votammo, dopo lunghissime discussioni, e rispettammo il voto
della lega che fu determinante per quel voto. Non dicemmo di
non tenerne conto; no, ne tenemmo conto, perché questi erano i
rapporti presenti in Commissione...
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