| MASSIMO D'ALEMA, Presidente della Commissione
parlamentare per le riforme costituzionali. ...e ritenere
che un compromesso, che fu considerato alto e nobile per
ragioni che non mi interessa neppure indagare, venga
considerato in questo momento pericoloso e impercorribile.
Vorrei altresì aggiungere che non è soltanto legittimo, ma
anche doveroso lavorare per migliorare il testo. Da questo
punto di vista, si è sviluppato sin qui un libero confronto
parlamentare nell'aula come nella Commissione; anche in questo
caso vorrei precisare solo per memoria che non è vero che
abbiamo respinto il federalismo fiscale: abbiamo deciso di
affrontare la questione dopo l'esame della parte sul
Parlamento, anche perché si è deciso di mutare questa parte
accogliendo una delle proposte fondamentali, o che almeno lo
era quando è stata presentata
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(ma quelle accolte non sono più considerate fondamentali?).
Si è deciso cioè di inserire nell'impianto costituzionale un
Senato federale, che dovrà rappresentare un punto di garanzia
del federalismo e legare alle funzioni di questa Assemblea il
fondamentale articolo sul federalismo fiscale. Non è vero che
la maggioranza sia stata arroccata e sorda ad ogni esigenza di
tipo garantistico in materia di giustizia: davvero non voglio
citare l'enorme letteratura esistente a favore o contro le
nuove norme che intendiamo proporre. In particolare, sul
cruciale articolo 120, quale maggioranza? La maggioranza è
stata quella contraria al mio punto di vista, quando si è
introdotta in Costituzione la modificazione della composizione
del CSM a favore dei membri di nomina politica e, nello stesso
tempo, la previsione delle due sezioni del Consiglio
superiore. Votai contro quella norma: quale chiusura della
maggioranza? La maggioranza comunque era un'altra, perché in
Commissione si sono via via formate maggioranze costituenti,
mai ha operato un vincolo di maggioranza di Governo! Sono
fatti noti e - ha detto bene l'onorevole Fini - avremo modo e
tempo di farli presenti alla pubblica opinione.
Ora siamo ad una stretta. E' evidente a tutti quanti
vivono la vita politica e parlamentare che il modo in cui
l'onorevole Berlusconi ha posto i problemi è precisamente
volto ad una rottura, non ad un miglioramento del testo. E'
evidente a tutti che, quando un leader politico di
questo peso dice "o si fa così o niente", pone grandi forze
politiche in una condizione nella quale diventa pressoché
impossibile lavorare a nuove intese, che verrebbero
inevitabilmente ad assumere il carattere di cedimenti, di
sconfitte. E' quindi abbastanza chiaro che l'intenzione con
cui si è promosso questo dibattito è quella di introdurre un
cuneo, un varco, una frattura che a mio avviso non può che
essere foriera (come è apparso evidente: d'altro canto,
l'onorevole Fini non ha fatto altro che ricordare i fatti) di
una più grave lacerazione.
E' chiaro che, se sul tema costituzionale delle regole
viene meno il filo di un compromesso, vi sarà uno scontro
disordinato, un conflitto di tipo referendario, la ricerca di
maggioranze trasversali: la questione, cioè, sarà risolta
attraverso il conflitto, non attraverso l'intesa. Io non so
chi potrà prevalere in questo conflitto; evidentemente
ciascuno guarderà i propri interessi, ma è evidente che il
conflitto - è apparso chiaro nel dibattito - ha una
potenzialità disgregante non soltanto nel rapporto necessario
tra i due poli nella definizione delle regole, ma anche nella
configurazione stessa degli schieramenti politici che in
questo momento impersonano quel fragile sistema di alternanza
che si è venuto costruendo nel nostro paese: fragile, incerto,
ma che tuttavia io considero comunque un grande passo avanti
rispetto ad una democrazia bloccata che è naufragata nella
palude di Tangentopoli.
E' allora evidente che qui siamo di fronte ad una scelta
la cui portata politica è enorme e va molto al di là - mi sia
consentito dirlo - degli emendamenti che vengono colti come
pretesto, la cui portata mi sembra infinitamente minore, tanto
che quasi si avverte un certo pudore nel parlarne. Comunque la
si pensi, infatti, sul fatto che il potere di scioglimento
attribuito al Presidente della Repubblica debba intervenire di
fronte ad una crisi parlamentare oppure liberamente, dopo
ventiquattro mesi dalle elezioni, sinceramente, che si affermi
che da questo passi il discrimine tra una riforma vera ed una
finta fa sorridere ed è rivelatore del fatto che siamo di
fronte ad un pretesto per porre, legittimamente, una questione
politica. Sinceramente, infatti, è questione molto opinabile,
talmente opinabile che ritengo per certo che vi siano
parlamentari del centro-sinistra che considerano giusto
consentire questo al Presidente della Repubblica.
Personalmente, io penso che sia pericolosa una mora di
ventiquattro mesi: ve lo immaginate un Parlamento che non è in
grado di esprimere un Governo ed un Presidente che non può
scioglierlo?
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Credo, tutto sommato, che sia difficile pensare ad un
Presidente che scioglie il Parlamento non in presenza di una
crisi politica e parlamentare, per quanto la Costituzione
glielo consenta. Credo, insomma, che siamo di fronte ad una
materia estremamente opinabile: ma, sinceramente, che lì stia
la soglia tra il bene ed il male, tra il bianco ed il nero,
tra la vera e la finta riforma, è cosa che si potrà sostenere,
forse, in un comizio elettorale, ma difficilmente alla luce di
un esame oggettivo della materia che stiamo esaminando.
In me prevale la preoccupazione che un Presidente che ha
un potere di scioglimento non vincolato possa farlo valere non
per sciogliere il Parlamento, ma per esercitare un potere di
Governo in modo occulto, un condizionamento sul Governo.
Credo che, se la preoccupazione vera è quella di evitare i
conflitti istituzionali, noi rischiamo di innescarne uno
latente e permanente, cioè che un Presidente della Repubblica
possa dire ad un Governo che funziona: bada che, se tu non
prendi questo provvedimento, vi sciolgo. Credo che questo non
sia sano in un sistema istituzionale che abbiamo disegnato,
ritengo, in modo efficace ed innovativo.
Non voglio riprendere le argomentazioni del relatore, che
ha ampiamente dimostrato come modelli di semipresidenzialismo
temperato costituiscano oggi una parte fondamentale delle
nuove elaborazioni costituzionali. Credo che il Presidente
eletto dai cittadini abbia una grande funzione ed un grande
potere: non soltanto la funzione di rinsaldare il rapporto tra
le istituzioni ed il paese, ma anche il potere fondamentale
che gli viene attribuito di vigilare sul fatto che la volontà
popolare non sia tradita, di nominare il Capo del Governo
sulla base dei risultati elettorali e non sulla base delle
alchimie parlamentari, di essere quindi vigile guardiano di un
nuovo sistema politico. E' una funzione alta ed importante.
Oltre a ciò, stavamo e stiamo discutendo; come abbiamo
discusso esaminando gli emendamenti. Quando ci si chiese se
fosse possibile che il Capo dello Stato, di fronte ad un
Governo che per timore di attivare il potere di scioglimento
non facesse funzionare la sua maggioranza, non potesse
chiedere al Presidente del Consiglio di recarsi di fronte alle
Camere, lo si mise, con uno degli emendamenti introdotti a
novembre. Lo stesso avvenne quando, ancora prima, si disse:
bisogna consentire ad un Presidente della Repubblica, nel
momento in cui viene eletto, qualora quella votazione metta in
evidenza una clamorosa difformità tra orientamenti popolari e
composizione del Parlamento, di sciogliere il Parlamento. E
voi sapete quanto questa scelta fu delicata e difficile,
perché comportò, e tuttora comporta, uno strappo, un diverso
modo di vedere tra i democratici di sinistra ed il partito
popolare, che ancora si oppone a tale previsione, la quale
tuttavia ha trovato posto nel testo costituzionale che è al
nostro esame.
Questi sono i fatti, ed è persino umiliante doverli
ricordare, perché dovrebbero essere a tutti noti. Non sono
contrario ad una pausa di riflessione, ma certamente una cosa
è la riflessione ed altra cosa è pensare che una parte larga,
forse maggioritaria, non lo so (lo sapremo quando si voterà),
del Parlamento possa piegarsi ad un ultimatum.
Vorrei però dire una cosa: questo progetto di riforma è
arrivato in Parlamento per la volontà determinante
dell'onorevole Berlusconi, perché egli ha lavorato attivamente
per raggiungere questo compromesso, scartandone altri
possibili, e perché il suo voto favorevole ha fatto sì che la
proposta arrivasse qui; altrimenti non vi sarebbe mai
arrivata.
Comprendo con quanta amarezza l'onorevole Fini dica: io la
penso così ma certo, di fronte alla posizione di forza Italia,
nessuno può pensare che noi ci possiamo sottrarre ad una
responsabilità bipolare. E' una posizione politica che non
condivido ma che rispetto; però vorrei essere chiaro da questo
punto di vista: noi qui operiamo di fronte al popolo italiano,
questa proposta di riforma è arrivata nel libero Parlamento
attraverso un voto, ne uscirà in piedi, o abbattuta,
attraverso un
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voto (Applausi dei deputati dei gruppi democratici di
sinistra-l'Ulivo, dei popolari e democratici-l'Ulivo, di
rinnovamento italiano, misto-verdi-l'Ulivo e misto-socialisti
democratici italiani), perché la democrazia comporta una
chiara assunzione di responsabilità e penso che tutti noi
ragioniamo in modo molto aperto, disponibile e cerchiamo di
capire le ragioni, di valutare ciascuno con la propria testa.
Ma pensare che ci si ritiri di fronte ad un ultimatum,
questo no; diciamo pure che si tratta di qualcosa che non può
essere chiesta a forze politiche che non hanno questa
abitudine, questa vocazione.
Una voce dai banchi dei deputati del gruppo di forza
Italia: Nessuno l'ha chiesto!
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