| MARINACCI e VOLONTE'. - Al Presidente del Consiglio dei
ministri e ai Ministri degli affari esteri e della difesa. -
Per sapere - premesso che:
il cittadino albanese Arian Bedini è rimasto ucciso a
Valona nel corso di una sparatoria con una banda di estorsori,
mentre difendeva la fabbrica del cognato, l'imprenditore
Francesco Luciani;
il cittadino italiano, a seguito delle minacce ricevute,
aveva richiesto l'aiuto del nostro contingente militare, il
quale interveniva prelevandolo dalla fabbrica e disponendo il
suo immediato rimpatrio, soluzione
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questa inizialmente rifiutata dal nostro imprenditore, in
quanto ciò avrebbe rappresentato il cedimento al ricatto,
l'aumento delle possibilità di esporre la fabbrica al
saccheggio e la conseguente disoccupazione delle
maestranze;
l'atto criminale appare inscrivibile, così come quello
accaduto la notte successiva all'azienda Vlora confezioni
dell'imprenditore Vittorio Giannetta, nel clima di insicurezza
per le persone ed i beni alimentato dall'attività di bande
armate che, sfuggendo a qualsiasi controllo, non esitano a
condurre vere e proprie azioni belliche con l'impiego di armi
da guerra;
sinora l'attaccamento al lavoro e all'impresa da parte
dei soli dipendenti e di loro congiunti, con il sacrificio
estremo della vita, sono valsi armi alla mano a preservare gli
impianti dal furto e dal saccheggio, proteggendo così la
speranza in una futura ripresa delle attività e di riscatto
materiale e morale da una situazione di caos in cui pochi
disonesti hanno precipitato la zona di Valona -:
se non ritengano grave la situazione esistente
nell'estremo sud dell'Albania, alla luce delle possibilità di
giungere ad un ristabilimento delle condizioni minime di
legalità in cui la preservazione delle strutture produttive
rappresenta condizione essenziale e determinante come insegna
anche la nostra storia con la difesa delle fabbriche attuata
durante la Resistenza;
quali siano i motivi in base ai quali il contingente
multinazionale, nonostante la richiesta di soccorso, non abbia
ritenuto di intervenire per tutelare la vita dei cittadini
albanesi asserragliati nella fabbrica sottoposta al fuoco
delle armi, minando in tal modo la stessa credibilità
dell'intervento umanitario deciso dal Governo;
se non ritengano, nel caso di non sufficientemente
chiara interpretazione delle regole di ingaggio, di impartire
in modo esaustivo al comandante della forza di intervento una
specifica direttiva che indichi come la protezione di persone
da gravi atti criminosi, così come prescritto, posti in essere
da bande di criminali contro cittadini albanesi, rientri a
pieno titolo in tale ipotesi;
se, infine, condividano l'opinione degli interroganti
secondo cui tale episodio possa costituire un increscioso
precedente nei confronti delle speranze riposte dalla
popolazione albanese nell'intervento internazionale affinché
siano ristabilite condizioni minime di sicurezza,
incentivando, all'opposto, sia la detenzione di armi da parte
della popolazione, principale causa dell'insicurezza
esistente, sia la ricerca di una via scampo all'estero, in
primo luogo nel nostro Paese, ipotesi questa che sta trovando
conferma nella nuova ondata di profughi arrivati in questi
giorni nei nostri porti.
(3-01042)
(30 aprile 1997).
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