| FILIPPO MANCUSO. Signor Presidente, la mia perplessità
nasce da ciò, che talvolta il collega Sgarbi,
nell'imprevedibilità che lo caratterizza, ci pone davanti ad
argomenti che potrebbero non essere inclusi o addirittura
contraddetti dal nostro anteriore pensiero.
Da ciò nasce l'esigenza di ascoltarlo prima per tener
conto - giacché non ci consultiamo mai - di questa
extravagazione della sua mente. Però, se posso conclusivamente
obiettare, nel nostro dramma dialettico di componenti della
Giunta siamo suddivisi in due schieramenti, entrambi fondati
su considerazioni in astratto accettabilissime, che attengono
al modo di concepire l'ambito dell'immunità parlamentare, come
lei l'ha chiamata, tanto per intenderci, o quella che
residua.
Ciò nel senso che un gruppo di noi ritiene preminente e
normalmente decisivo lo status, abilitando quest'ultimo
l'esplicazione del pensiero nella maniera più vasta; gli
altri, a noi contrapposti, pensano che ciò debba avere un
limite almeno sotto due profili, uno del titolo che abilita o
che si aggiunge per la manifestazione del pensiero (in questo
caso un titolo, dicono loro, contrattuale, che mal si
concilierebbe con la funzione parlamentare), il secondo della
natura anche oggettivamente e non soggettivamente vilipendiosa
del pensiero.
Questo ci distingue. A me, dunque, avendo sentito dalle
parole di Parrelli l'insistenza in questo loro concetto, che
da essi ci separa, spetta di ribadire all'opposto che siamo
guidati - e lo presupponiamo in ogni momento ed in ogni
occasione - dal principio che, salvo eccezioni da provarsi
caso per caso, la legittimazione nasce dallo status e
non è rilevante, né è abilitante per il potere parlamentare
distinguere concettualmente o addirittura penalisticamente
nelle espressioni attraverso le quali si palesa la libertà di
pensiero.
Se poi Sgarbi mi smentirà anche in punto di diritto, non
so che cosa farci.
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