| VITTORIO SGARBI. No, voglio dire ... Va bene.
Il tema in esame, onorevoli colleghi, è particolarmente
suggestivo, perché contrappone dei dati di fatto in modo
talmente palmare che sorprende che una persona sensibile com'è
l'onorevole Parrelli ponga una questione preliminare del tutto
marginale come quella del modo di vestire che sarebbe indicato
in un contratto, per il quale io dovrei fornire adeguato
vestire moderno di mia proprietà, quindi quello che porto
tutti i giorni. Questa indicazione contrattuale vorrebbe
significare che ciò che io dico è recitato per l'abito che
porto, cioè questo. Ovvero quello che è stato imposto ieri al
Senato, in maniera precettiva, di portare la cravatta,
dovrebbe imporre a chi parla come senatore un pensiero diverso
da quello che egli avrebbe senza cravatta. Viceversa, il
senatore pensa, punto e basta. E pensa o privatamente o
politicamente. Ecco perché trovo veramente umiliante questa
considerazione che attribuisce al mezzo un peso superiore al
pensiero. E' ciò che uno pensa che viene moltiplicato,
amplificato dal mezzo televisivo, e ciò che uno pensa è la
dignità del suo pensiero, individuale e politico. Questa
considerazione è tale per la quale io non posso neppure
immaginare che qualcuno ritenga che un qualsiasi luogo del
mondo per un uomo o della politica o, anche, del teatro sia
più forte della sua stessa personalità spirituale; talché
chiunque sa che, pur recitando, nel corso degli anni, e
formandoci, il premio Nobel Dario Fo ha fatto politica, perché
il suo pensiero era prevalente rispetto alle vicende
specifiche della condizione nella quale egli veniva anche a
recitare. Ma non recitava altro che il suo stesso pensiero.
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