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Testi integrali degli Atti Parlamentari della XIII Legislatura

Documento


382395
STA0375-0030
Somm. e Sten. d'Aula n. 375 del 18 giugno 1998 (STA13-375)
(suddiviso in 396 Unità Documento)
Unità Documento n.30 (che inizia a pag.5 dello stampato)
(il TITOLO si trova nell'Unità Documento n.6)
DISCUSSIONE RELAZIONE: DOC. IV - ter, nn. 25A; 27A; 47A. ...(Dichiarazioni di voto - Doc. IV-ter n. 25/A) LAVASS
...DISCUSSIONE RELAZIONE: DOC. IV - ter, nn. 25A; 27A; 47A. ...(Dichiarazioni di voto - Doc. IV-ter n. 25/A)
VITTORIO SGARBI.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
ZZSTA ZZRES ZZSTA180698 ZZSTA980618 ZZSTA000698 ZZSTA000098 ZZSTA375 ZZ13 ZZDI ZZLL
    VITTORIO SGARBI.  Allora, io le stesse cose che ho detto in
  televisione, in un teatro più ampio, in una piazza più larga,
  le ho dette qui in aula e proprio in questa vicenda mi trovo
  con due contraddizioni che volevo sottoporre agli amici
  colleghi.
     La prima, aver io detto che era ingiusta e sbagliata
  un'inchiesta su alcuni dei principali artisti italiani, oggi
  mentovati come stilisti, che sono quelli che hanno dato
  all'Italia e al nome dell'Italia la dignità più
  rappresentativa nel mondo, che sono Versace - diventato oggi
  martire, dopo la vicenda tragica che l'ha riguardato, ma
  eternamente riferimento dei valori civili, culturali ed
  estetici dell'Italia artistica contemporanea -, Krizia,
  Armani, Ferrè, alcuni dei quali presi, in un delirio mistico,
  dal desiderio di poter andare a confessarsi da Di Pietro per
  il senso di colpa di reati non compiuti.  Non perché io l'abbia
  detto per primo, indicando in quel processo un processo
  sbagliato, ma perché un tribunale, con sentenza definitiva, ha
  stabilito che il reato non c'era, che Armani, Krizia, Ferrè,
  Versace erano innocenti.  Io l'ho detto ed oggi io dovrei
  pagare per aver detto quello che un tribunale ha riconosciuto.
  Il paradosso primo è che io, in momenti in cui non si poteva
  parlare, individuavo atti politici sbagliati contro una
  struttura identificata come un potere della "Milano da bere"
  da parte di un moralismo della magistratura; oggi, gli
  indagati e i processati sono prosciolti: rimango processato
  io.  Cioè io rimango appeso alla verità che ho detto e che i
  tribunali hanno confermato.  Come può questo intervento essere
  definito dall'onorevole Parrelli "spettacolo" o "cosa
  recitata", quando era l'avanguardia di un processo verificato
  nei tribunali, era il coraggio di dire ciò che poi si è
  puntualmente verificato?
     Quindi, il tema contestuale è il seguente: l'avere io
  detto che i vari Davigo,
 
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  Colombo ed altri non dovevano fare un processo che era
  sbagliato, così come in altri casi - in molti casi - si è
  verificato, con la piena assoluzione e la sconfessione
  dell'impianto accusatorio!  Altro che recite, onorevole
  Parrelli!  L'avesse detto lei allora che quei processi erano
  sbagliati!  Ma ella allora tacque!
     Per questo punto io ho, non dico indignazione, ma
  perplessità e turbamento a ritenere che il mio vestito fosse
  più "forte" di quelle idee che i fatti hanno confermato.
  Questo è il primo punto.
     Il secondo punto, che è ancora più scandaloso, è il
  seguente: passeggiava - lo voglio indicare agli amici colleghi
  - qui nel Transatlantico l'antico nostro collega, già sindaco
  di Reggio Calabria, Piero Battaglia, che con altri imputati
  arrestati, come Quattrone, fece tredici mesi di carcere perché
  un pentito aveva indicato la loro correità in vicende
  vagamente associazionistiche sul piano della
  'ndrangheta;  anzi, vennero indicati come i possibili
  correi o mandanti dell'omicidio Ligato.  Si fece tredici mesi
  di carcere per un pentito che ha detto una cosa che è stata
  puntualmente verificata falsa!  Qui passeggiava Piero Battaglia
  ed io fui l'unico in quest'aula - molto tempo prima che
  numerosi di loro vi fossero - ad indicare quel metodo del
  pentito preso e utilizzato come se fosse la "verità rivelata"
  per arrestare il politico che avesse una posizione non grata o
  politicamente perdente in quella fase politica.
     Faccio questa contrapposizione perché la parte che
  riguarda questa querela non è un'invenzione del "recitante" in
  cravatta Vittorio Sgarbi.  Ecco il documento che oggi volevo
  sottoporre all'attenzione dei miei colleghi: si tratta di una
  pubblicazione dell'editore Leonardo che è la prima
  testimonianza del primo pentito, Angelo Epaminonda, detto il
  "tebano", che viene pubblicata a stampa - ed io di quella sono
  portavoce; e in televisione di quello parlo -, nella quale si
  vede, con comportamenti assolutamente inauditi rispetto ai
  metodi di cui si parla adesso per la questione Quattrone e
  Battaglia, che ciò che un pentito dice per un politico
  (argomento intrinsecamente politico) porta al carcere per
  tredici mesi; ciò che si dice di un magistrato, porta il
  dottor Davigo...  Vedete, colleghi, era forse meglio se
  Parrelli avesse guardato di più la televisione, perché si
  parla di Davigo sul piano politico come di colui che voleva
  ribaltare l'Italia come un calzino da sei anni; la televisione
  sarebbe stata forse utile per un'informazione - come dire - di
  cronaca anche all'onorevole Parrelli che vive in un mondo
  sublime, in un'Arcadia in cui la televisione non c'è!  Dicevo,
  allora, che Davigo, che era pronto ad incriminare Krizia,
  Ferrè, Armani e Versace innocenti, ha chiesto il
  proscioglimento e l'ha ottenuto dal GIP Cometti, nonostante le
  dichiarazioni pubblicate dal primo pentito Epaminonda con
  questo inequivocabile tenore e senza che mai il pentito - come
  nel caso di Quattrone e Battaglia - smentisse ciò che aveva
  detto.
     Vi leggo il testo: "Passai la notte insonne; all'alba mi
  tornò in mente un discorso che Otello Onofri mi aveva fatto
  alla vigilia dell'apertura della bisca: 'se dovessi avere dei
  problemi, ricordati che a Voghera c'è un giudice che ti puoi
  comprare con i soldi'".  Non è cosa "recitata" leggere un
  documento a stampa che mette in evidenza la contraddizione
  giuridica per cui si manda in carcere per la parola di un
  pentito il deputato sindaco Battaglia.
     Ascoltate cosa avviene con il giudice Simi de Burgis:
  "Ricordavo vagamente anche il nome:  Burgo, Burgi o qualcosa
  del genere. 'E se fosse stato proprio de Burgis?' Chiamai
  subito Milano: è lui, mi confermò Otello.  Fissammo un
  appuntamento per quello stesso pomeriggio: 'aspettami qui,
  disse, quando arrivammo davanti alla porta della sua
  abitazione, non vorrei che si insospettisse vedendoci in
  delegazione'.  Quando uscì era raggiante: 'E' fatta, mi ha
  promesso che non avrai più alcun fastidio; cosa dovrò dargli
  in cambio?' 5 milioni al mese! 'Così tanti, obiettai?' sapevo
  di dover pagare una tangente, ma quella è una rapina. "Io te
  l'ho detto", concluse Onofri, "adesso fa tu".  Decisi di
  dormirci sopra.  L'indomani,
 
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  mentre stavo per cedere, trovai un'altra strada:
  l'intermediario fu Luciano Baschiera, un amico comune che
  telefonò a de Burgis invitandolo a praticarmi uno sconto.  La
  richiesta fu accolta.  Poche ore dopo bussai alla porta di de
  Burgis. "Questo è un omaggio per la sua signora", esordii",
  dice il pentito "tebano" che pubblica questo testo, dandogli
  un pacchettino infiocchettato, nel quale avevo sistemato 10
  milioni, tondi tondi. "Non doveva disturbarsi", si schermì lui
  con tono mondano.  E il dialogo finì lì. "'Come lei sa, ho
  aperto una bisca e vorrei evitare rogne'.  De Burgis mi lasciò
  esporre la situazione senza interrompermi, poi fece un paio di
  obiezioni: 'Niente droga né sparatorie'. 'Ha la mia parola',
  l'assicurai.  Poi aggiunsi: 'Se proprio dovessimo essere
  costretti a mettere mano alle armi, lo faremmo lontano da qui,
  e comunque fuori dalla circoscrizione sua'.  La promessa bastò
  a rasserenarlo e non ne parlammo più.  Il successivo versamento
  fu di 3 milioni, un altro "regalino" per la moglie, ma i
  giudici di Brescia che poi si occuparono della vicenda
  prosciolsero de Burgis da ogni accusa, dicendo che io ero un
  calunniatore".
     Questo è il testo, caro onorevole Parrelli.
     Ma a proposito di questi documenti - questo potrebbe
  essere, come dire, invenzione fantastica - vi è una larga
  documentazione parlamentare, con un'interrogazione
  dell'onorevole Broglia, pubblicata agli atti, a cui risponde
  il ministro di grazia e giustizia, prendendo atto delle
  contraddizioni e dell'archiviazione posta in essere da Davigo
  e dal GIP Cometti, attraverso una valutazione di quanto io ho
  letto, detto da Epaminonda, fatta qui in aula.
     Allora, è certo che io recito, porto la cravatta, ho la
  giacca, ma è certo anche che la stessa materia per la quale la
  Giunta propone che io venga processato è entrata in questo
  Parlamento attraverso un'interrogazione parlamentare che
  riporta, esattamente, ciò che io ho letto del testo del
  "tebano", del pentito Epaminonda, e prevede una risposta del
  ministro di grazia e giustizia, che prende atto di questa
  contraddizione e accoglie una serie di osservazioni.  Ecco
  quanto dice il ministro: "Il giudice, dottor Romeo Simi de
  Burgis, accusa i giudici, che si sono trovati, alla metà degli
  anni ottanta, in una situazione alquanto particolare, perché
  Piercamillo Davigo andò a cena da de Burgis, il quale gli
  chiese", a Davìgo o Dàvigo, "se il pentito Epaminonda avesse
  parlato di lui, una volta che Davigo", questo è detto negli
  atti parlamentari, "disse che mondanamente gli aveva
  confermato", pensate l'incredibile situazione, "che il pentito
  aveva parlato.  Ma dicendo niente di particolarmente
  preoccupante, de Burgis si rasserenò.  E poi fu prosciolto in
  istruttoria".
     Ora, immaginate un quadro analogo con giudici, giudici
  indagatori che si incontrano a pranzo, parlano insieme,
  discutono una causa che è nelle mani di Davìgo.  Il Davìgo o
  Dàvigo archivia quella causa che riguarda un giudice sul quale
  ha parlato un pentito.  Ma allora, Carnevale Prinzivalli, tutti
  i casi che in Sicilia, sugli stessi elementi, hanno
  rappresentato ragione di condanna e di grave indignazione
  morale, verrebbero a cadere tutti!  La medesima indignazione
  morale io ho richiesto, non come uomo di spettacolo in
  televisione, per osservare la contraddizione tra un Davìgo che
  insieme ai suoi compagni vuol processare Krizia, Armani, Ferrè
  per reati inesistenti, e di fronte ad un pentito che dice
  cose, che io non voglio dir vere, ma particolarmente eloquenti
  su un magistrato tanto importante, decide di archiviare!
     Ecco, mi sembra che nulla conti la questione esterna, il
  fatto che addirittura io vengo ritenuto responsabile di aver
  mandato in una copertina della trasmissione un'immagine che
  non era mia, firmata da altri, firmata da un artista, nella
  quale io alluderei alla collusione di due magistrati
  attraverso una caricatura; collusione era quella evidente di
  un magistrato che va a pranzo con un suo collega, gli racconta
  una parte della causa che in quel momento è in discussione e
  poi archivia davanti all'evidenza di una
 
                               Pag. 8
 
  testimonianza, non ritirata, di un importante pentito, come
  Angelo Epaminonda.  Si dice che questa materia non è politica,
  che non è contestuale la situazione di cui stiamo parlando; in
  quei tempi in cui si procedeva agli arresti (13 mesi per
  l'onorevole Battaglia), poteva accadere che una questione
  identica riguardante un giudice portasse all'archiviazione per
  mano di quegli uomini che io da sempre indico a Milano come
  titolari di un diritto usurpato, cioè di azioni giudiziarie di
  cui la causa Krizia, Armani, Ferré, Versace è conferma.  Perché
  continuare su quella causa, che poi è finita con
  l'assoluzione, e invece nulla fare su quest'altra, che pure
  poteva finire con l'assoluzione?
     Ecco allora la questione di due pesi e due misure: tutela
  che i magistrati danno a se stessi e alla loro categoria e non
  danno, viceversa, a quelli che sono sul fronte opposto della
  politica; tutela che essi non danno a magistrati che vedono di
  parte politica avversa e che danno invece a quelli che (altri
  documenti che qui allego), come de Burgis, dichiarano "Di
  Pietro, un magistrato eroe".  Parla Simi de Burgis che dice sul
  Corriere della Sera:  "giudicherò il Palazzo grazie a
  lui".
     Allora, quel magistrato che un pentito incrimina è
  talmente ossequiente, talmente adorante verso il referente
  essenziale e principale di quella magistratura, che è Di
  Pietro, referente che induceva Krizia, Armani, Ferré quasi
  alla catarsi mistica della confessione di reati che non
  c'erano, che il Davigo, collega di Di Pietro, archivia ciò che
  riguarda Simi de Burgis perché de Burgis ha fatto atto di
  sottomissione rispetto a quel potere consacrando come un eroe
  il collega Di Pietro.
     Mi pare che siano plurime collisioni, plurimi contatti che
  determinano sospetto, che determinano dubbio, che determinano
  un'inquietudine di metodo, che è quella che io, onorevole
  Parrelli, ho sottolineato, tutta in contesto politico,
  amplificata dalla televisione ma nulla più, come qualunque
  discorso che qui venga fatto può essere riprodotto in
  televisione e rimane contestualmente quello che è.  Nessuna
  delle cose che io ho detto è diversa da quella che appare
  nell'interrogazione parlamentare dell'onorevole Broglia su
  questi stessi argomenti, con questi stessi documenti, per cui
  avremo il paradosso che l'intervento di un parlamentare con
  un'interrogazione su questo argomento è perfettamente
  legittimo e l'aver riprodotto gli stessi materiali, con la
  stessa patente contraddizione - perché io porto la cravatta in
  televisione - è un'opinione personale che nulla ha a che fare
  con la politica.
     No, io non credo che sia legittimo punire alcun reato
  d'opinione, ma neppure ostacolare quell'attività parlamentare
  che diventi pubblica comunicazione di fatti gravi come questo,
  secondo lo stesso metodo che la procura di Milano ha adottato
  con la larghissima amplificazione delle questioni da essa
  affrontate.  Ho risposto con le stesse armi, dando pubblicità
  ad una contraddizione patente denunciata in questo Parlamento
  ed accolta dal ministro di grazia e giustizia.
     Caro onorevole Parrelli, cari colleghi, non so quanti non
  abbiano seguito, ma il tema è forte: un magistrato incontra un
  altro magistrato e archivia una causa che lo riguarda su un
  pentito che dichiara di avergli dato 10 milioni in mano come
  tangente per non intervenire su una bisca anche in ipotesi di
  eventuali crimini su cui il magistrato dice "purché si
  svolgano altrove; se lei deve uccidere, vada altrove".
     Mi pare materia tanto grave da meritare attenzione da
  parte non solo di questo Parlamento ma anche di tribunali che,
  con grave omissione, hanno escluso di doversi occupare di
  questa vicenda.
 
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