| VITTORIO SGARBI. Allora, io le stesse cose che ho detto in
televisione, in un teatro più ampio, in una piazza più larga,
le ho dette qui in aula e proprio in questa vicenda mi trovo
con due contraddizioni che volevo sottoporre agli amici
colleghi.
La prima, aver io detto che era ingiusta e sbagliata
un'inchiesta su alcuni dei principali artisti italiani, oggi
mentovati come stilisti, che sono quelli che hanno dato
all'Italia e al nome dell'Italia la dignità più
rappresentativa nel mondo, che sono Versace - diventato oggi
martire, dopo la vicenda tragica che l'ha riguardato, ma
eternamente riferimento dei valori civili, culturali ed
estetici dell'Italia artistica contemporanea -, Krizia,
Armani, Ferrè, alcuni dei quali presi, in un delirio mistico,
dal desiderio di poter andare a confessarsi da Di Pietro per
il senso di colpa di reati non compiuti. Non perché io l'abbia
detto per primo, indicando in quel processo un processo
sbagliato, ma perché un tribunale, con sentenza definitiva, ha
stabilito che il reato non c'era, che Armani, Krizia, Ferrè,
Versace erano innocenti. Io l'ho detto ed oggi io dovrei
pagare per aver detto quello che un tribunale ha riconosciuto.
Il paradosso primo è che io, in momenti in cui non si poteva
parlare, individuavo atti politici sbagliati contro una
struttura identificata come un potere della "Milano da bere"
da parte di un moralismo della magistratura; oggi, gli
indagati e i processati sono prosciolti: rimango processato
io. Cioè io rimango appeso alla verità che ho detto e che i
tribunali hanno confermato. Come può questo intervento essere
definito dall'onorevole Parrelli "spettacolo" o "cosa
recitata", quando era l'avanguardia di un processo verificato
nei tribunali, era il coraggio di dire ciò che poi si è
puntualmente verificato?
Quindi, il tema contestuale è il seguente: l'avere io
detto che i vari Davigo,
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Colombo ed altri non dovevano fare un processo che era
sbagliato, così come in altri casi - in molti casi - si è
verificato, con la piena assoluzione e la sconfessione
dell'impianto accusatorio! Altro che recite, onorevole
Parrelli! L'avesse detto lei allora che quei processi erano
sbagliati! Ma ella allora tacque!
Per questo punto io ho, non dico indignazione, ma
perplessità e turbamento a ritenere che il mio vestito fosse
più "forte" di quelle idee che i fatti hanno confermato.
Questo è il primo punto.
Il secondo punto, che è ancora più scandaloso, è il
seguente: passeggiava - lo voglio indicare agli amici colleghi
- qui nel Transatlantico l'antico nostro collega, già sindaco
di Reggio Calabria, Piero Battaglia, che con altri imputati
arrestati, come Quattrone, fece tredici mesi di carcere perché
un pentito aveva indicato la loro correità in vicende
vagamente associazionistiche sul piano della
'ndrangheta; anzi, vennero indicati come i possibili
correi o mandanti dell'omicidio Ligato. Si fece tredici mesi
di carcere per un pentito che ha detto una cosa che è stata
puntualmente verificata falsa! Qui passeggiava Piero Battaglia
ed io fui l'unico in quest'aula - molto tempo prima che
numerosi di loro vi fossero - ad indicare quel metodo del
pentito preso e utilizzato come se fosse la "verità rivelata"
per arrestare il politico che avesse una posizione non grata o
politicamente perdente in quella fase politica.
Faccio questa contrapposizione perché la parte che
riguarda questa querela non è un'invenzione del "recitante" in
cravatta Vittorio Sgarbi. Ecco il documento che oggi volevo
sottoporre all'attenzione dei miei colleghi: si tratta di una
pubblicazione dell'editore Leonardo che è la prima
testimonianza del primo pentito, Angelo Epaminonda, detto il
"tebano", che viene pubblicata a stampa - ed io di quella sono
portavoce; e in televisione di quello parlo -, nella quale si
vede, con comportamenti assolutamente inauditi rispetto ai
metodi di cui si parla adesso per la questione Quattrone e
Battaglia, che ciò che un pentito dice per un politico
(argomento intrinsecamente politico) porta al carcere per
tredici mesi; ciò che si dice di un magistrato, porta il
dottor Davigo... Vedete, colleghi, era forse meglio se
Parrelli avesse guardato di più la televisione, perché si
parla di Davigo sul piano politico come di colui che voleva
ribaltare l'Italia come un calzino da sei anni; la televisione
sarebbe stata forse utile per un'informazione - come dire - di
cronaca anche all'onorevole Parrelli che vive in un mondo
sublime, in un'Arcadia in cui la televisione non c'è! Dicevo,
allora, che Davigo, che era pronto ad incriminare Krizia,
Ferrè, Armani e Versace innocenti, ha chiesto il
proscioglimento e l'ha ottenuto dal GIP Cometti, nonostante le
dichiarazioni pubblicate dal primo pentito Epaminonda con
questo inequivocabile tenore e senza che mai il pentito - come
nel caso di Quattrone e Battaglia - smentisse ciò che aveva
detto.
Vi leggo il testo: "Passai la notte insonne; all'alba mi
tornò in mente un discorso che Otello Onofri mi aveva fatto
alla vigilia dell'apertura della bisca: 'se dovessi avere dei
problemi, ricordati che a Voghera c'è un giudice che ti puoi
comprare con i soldi'". Non è cosa "recitata" leggere un
documento a stampa che mette in evidenza la contraddizione
giuridica per cui si manda in carcere per la parola di un
pentito il deputato sindaco Battaglia.
Ascoltate cosa avviene con il giudice Simi de Burgis:
"Ricordavo vagamente anche il nome: Burgo, Burgi o qualcosa
del genere. 'E se fosse stato proprio de Burgis?' Chiamai
subito Milano: è lui, mi confermò Otello. Fissammo un
appuntamento per quello stesso pomeriggio: 'aspettami qui,
disse, quando arrivammo davanti alla porta della sua
abitazione, non vorrei che si insospettisse vedendoci in
delegazione'. Quando uscì era raggiante: 'E' fatta, mi ha
promesso che non avrai più alcun fastidio; cosa dovrò dargli
in cambio?' 5 milioni al mese! 'Così tanti, obiettai?' sapevo
di dover pagare una tangente, ma quella è una rapina. "Io te
l'ho detto", concluse Onofri, "adesso fa tu". Decisi di
dormirci sopra. L'indomani,
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mentre stavo per cedere, trovai un'altra strada:
l'intermediario fu Luciano Baschiera, un amico comune che
telefonò a de Burgis invitandolo a praticarmi uno sconto. La
richiesta fu accolta. Poche ore dopo bussai alla porta di de
Burgis. "Questo è un omaggio per la sua signora", esordii",
dice il pentito "tebano" che pubblica questo testo, dandogli
un pacchettino infiocchettato, nel quale avevo sistemato 10
milioni, tondi tondi. "Non doveva disturbarsi", si schermì lui
con tono mondano. E il dialogo finì lì. "'Come lei sa, ho
aperto una bisca e vorrei evitare rogne'. De Burgis mi lasciò
esporre la situazione senza interrompermi, poi fece un paio di
obiezioni: 'Niente droga né sparatorie'. 'Ha la mia parola',
l'assicurai. Poi aggiunsi: 'Se proprio dovessimo essere
costretti a mettere mano alle armi, lo faremmo lontano da qui,
e comunque fuori dalla circoscrizione sua'. La promessa bastò
a rasserenarlo e non ne parlammo più. Il successivo versamento
fu di 3 milioni, un altro "regalino" per la moglie, ma i
giudici di Brescia che poi si occuparono della vicenda
prosciolsero de Burgis da ogni accusa, dicendo che io ero un
calunniatore".
Questo è il testo, caro onorevole Parrelli.
Ma a proposito di questi documenti - questo potrebbe
essere, come dire, invenzione fantastica - vi è una larga
documentazione parlamentare, con un'interrogazione
dell'onorevole Broglia, pubblicata agli atti, a cui risponde
il ministro di grazia e giustizia, prendendo atto delle
contraddizioni e dell'archiviazione posta in essere da Davigo
e dal GIP Cometti, attraverso una valutazione di quanto io ho
letto, detto da Epaminonda, fatta qui in aula.
Allora, è certo che io recito, porto la cravatta, ho la
giacca, ma è certo anche che la stessa materia per la quale la
Giunta propone che io venga processato è entrata in questo
Parlamento attraverso un'interrogazione parlamentare che
riporta, esattamente, ciò che io ho letto del testo del
"tebano", del pentito Epaminonda, e prevede una risposta del
ministro di grazia e giustizia, che prende atto di questa
contraddizione e accoglie una serie di osservazioni. Ecco
quanto dice il ministro: "Il giudice, dottor Romeo Simi de
Burgis, accusa i giudici, che si sono trovati, alla metà degli
anni ottanta, in una situazione alquanto particolare, perché
Piercamillo Davigo andò a cena da de Burgis, il quale gli
chiese", a Davìgo o Dàvigo, "se il pentito Epaminonda avesse
parlato di lui, una volta che Davigo", questo è detto negli
atti parlamentari, "disse che mondanamente gli aveva
confermato", pensate l'incredibile situazione, "che il pentito
aveva parlato. Ma dicendo niente di particolarmente
preoccupante, de Burgis si rasserenò. E poi fu prosciolto in
istruttoria".
Ora, immaginate un quadro analogo con giudici, giudici
indagatori che si incontrano a pranzo, parlano insieme,
discutono una causa che è nelle mani di Davìgo. Il Davìgo o
Dàvigo archivia quella causa che riguarda un giudice sul quale
ha parlato un pentito. Ma allora, Carnevale Prinzivalli, tutti
i casi che in Sicilia, sugli stessi elementi, hanno
rappresentato ragione di condanna e di grave indignazione
morale, verrebbero a cadere tutti! La medesima indignazione
morale io ho richiesto, non come uomo di spettacolo in
televisione, per osservare la contraddizione tra un Davìgo che
insieme ai suoi compagni vuol processare Krizia, Armani, Ferrè
per reati inesistenti, e di fronte ad un pentito che dice
cose, che io non voglio dir vere, ma particolarmente eloquenti
su un magistrato tanto importante, decide di archiviare!
Ecco, mi sembra che nulla conti la questione esterna, il
fatto che addirittura io vengo ritenuto responsabile di aver
mandato in una copertina della trasmissione un'immagine che
non era mia, firmata da altri, firmata da un artista, nella
quale io alluderei alla collusione di due magistrati
attraverso una caricatura; collusione era quella evidente di
un magistrato che va a pranzo con un suo collega, gli racconta
una parte della causa che in quel momento è in discussione e
poi archivia davanti all'evidenza di una
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testimonianza, non ritirata, di un importante pentito, come
Angelo Epaminonda. Si dice che questa materia non è politica,
che non è contestuale la situazione di cui stiamo parlando; in
quei tempi in cui si procedeva agli arresti (13 mesi per
l'onorevole Battaglia), poteva accadere che una questione
identica riguardante un giudice portasse all'archiviazione per
mano di quegli uomini che io da sempre indico a Milano come
titolari di un diritto usurpato, cioè di azioni giudiziarie di
cui la causa Krizia, Armani, Ferré, Versace è conferma. Perché
continuare su quella causa, che poi è finita con
l'assoluzione, e invece nulla fare su quest'altra, che pure
poteva finire con l'assoluzione?
Ecco allora la questione di due pesi e due misure: tutela
che i magistrati danno a se stessi e alla loro categoria e non
danno, viceversa, a quelli che sono sul fronte opposto della
politica; tutela che essi non danno a magistrati che vedono di
parte politica avversa e che danno invece a quelli che (altri
documenti che qui allego), come de Burgis, dichiarano "Di
Pietro, un magistrato eroe". Parla Simi de Burgis che dice sul
Corriere della Sera: "giudicherò il Palazzo grazie a
lui".
Allora, quel magistrato che un pentito incrimina è
talmente ossequiente, talmente adorante verso il referente
essenziale e principale di quella magistratura, che è Di
Pietro, referente che induceva Krizia, Armani, Ferré quasi
alla catarsi mistica della confessione di reati che non
c'erano, che il Davigo, collega di Di Pietro, archivia ciò che
riguarda Simi de Burgis perché de Burgis ha fatto atto di
sottomissione rispetto a quel potere consacrando come un eroe
il collega Di Pietro.
Mi pare che siano plurime collisioni, plurimi contatti che
determinano sospetto, che determinano dubbio, che determinano
un'inquietudine di metodo, che è quella che io, onorevole
Parrelli, ho sottolineato, tutta in contesto politico,
amplificata dalla televisione ma nulla più, come qualunque
discorso che qui venga fatto può essere riprodotto in
televisione e rimane contestualmente quello che è. Nessuna
delle cose che io ho detto è diversa da quella che appare
nell'interrogazione parlamentare dell'onorevole Broglia su
questi stessi argomenti, con questi stessi documenti, per cui
avremo il paradosso che l'intervento di un parlamentare con
un'interrogazione su questo argomento è perfettamente
legittimo e l'aver riprodotto gli stessi materiali, con la
stessa patente contraddizione - perché io porto la cravatta in
televisione - è un'opinione personale che nulla ha a che fare
con la politica.
No, io non credo che sia legittimo punire alcun reato
d'opinione, ma neppure ostacolare quell'attività parlamentare
che diventi pubblica comunicazione di fatti gravi come questo,
secondo lo stesso metodo che la procura di Milano ha adottato
con la larghissima amplificazione delle questioni da essa
affrontate. Ho risposto con le stesse armi, dando pubblicità
ad una contraddizione patente denunciata in questo Parlamento
ed accolta dal ministro di grazia e giustizia.
Caro onorevole Parrelli, cari colleghi, non so quanti non
abbiano seguito, ma il tema è forte: un magistrato incontra un
altro magistrato e archivia una causa che lo riguarda su un
pentito che dichiara di avergli dato 10 milioni in mano come
tangente per non intervenire su una bisca anche in ipotesi di
eventuali crimini su cui il magistrato dice "purché si
svolgano altrove; se lei deve uccidere, vada altrove".
Mi pare materia tanto grave da meritare attenzione da
parte non solo di questo Parlamento ma anche di tribunali che,
con grave omissione, hanno escluso di doversi occupare di
questa vicenda.
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