| ANNA MARIA SERAFINI, Relatore per la II Commissione.
Le Commissioni, nella formulazione del comma 4, hanno scelto
una linea che si poggia su due convincimenti e qualche dubbio.
Il primo convincimento è che, su una materia così delicata,
che ha implicazioni etiche, morali, sociali e psicologiche, il
legislatore deve evitare di tradurre astrattamente i principi
in norme. In tal senso il legislatore non deve imporre né
impedire qualcosa a nessun cittadino, a nessuna cittadina. Il
secondo convincimento è che, specialmente su tale materia, il
legislatore può solo cercare di armonizzare o comunque di non
far confliggere i diritti di più soggetti e di assecondare il
processo di sviluppo della personalità.
Un'autentica cultura della persona è legata, in modo
inscindibile, sia alla libertà, sia alla responsabilità. Ci
sembra che il comma 4 risponda a questa premessa. L'accesso
alle informazioni è ritenuto un diritto che attiene alla sfera
dell'identità personale - come tale è garantito - e in tal
senso è assoluto, ma non illimitato. Il limite - è questo che
non ci convince del subemendamento Fei 0.3.25.1 - è dato dalla
presenza di altri diritti, sia quelli dei genitori naturali,
dei fratelli e sorelle minori, sia verso se stessi. Limiti e
procedure garantiste vanno pensati insieme.
Il comma 4 cerca di non ledere l'interesse, se esso si
manifesta, di ogni persona di costruire il proprio passato,
non solo fino al punto a cui arriva la sua memoria mentale, ma
anche oltre, alla propria storia familiare e quindi,
inevitabilmente, anche alle proprie origini genetiche. Cerca
di conservare la possibilità di anonimato del parto,
rafforzandola con garanzie efficaci; garantisce la
riservatezza della vita privata di ciascuno dei genitori
d'origine (riservatezza che, come osservato dalla Commissione
affari costituzionali, è importantissima perché disciplinata
dalla legge n. 675 del 1996, che
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riguarda dati personali, alla lettera c) dell'articolo
1 e alla lettera a) dell'articolo 20); cerca di evitare
interferenze con la situazione affettiva della famiglia
adottiva e con il processo educativo, evitando anche soltanto
potenziali conflitti o turbamenti.
Il comma 4 garantisce un diritto, ma dobbiamo chiederci a
chi e come (è qui la distinzione con il subemendamento
presentato dai colleghi Fei e altri): solo ai genitori
adottivi che esercitano la patria potestà e solo all'adottato
e all'adottata maggiori d'età. Come? Attraverso
un'autorizzazione del tribunale, che viene concessa ai
genitori adottivi in presenza di gravi e comprovati motivi.
Gli adottati maggiori d'età possono sempre accedere alla
conoscenza delle proprie origini tramite l'autorizzazione del
tribunale, a meno che non debbano essere tutelati altri
diritti, quali la tutela dei fratelli o sorelle minori e il
diritto all'anonimato dei genitori naturali, se rivendicati
dagli stessi e qualora ci si trovi di fronte a comprovati
motivi o a qualcosa di grave che possa turbare l'equilibrio
psicoaffettivo dell'adottato.
Il comma 4 rappresenta un punto di equilibrio non solo
rispetto alle varie posizioni...
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