Banche dati professionali (ex 3270)
Testi integrali degli Atti Parlamentari della XIII Legislatura

Documento


390905
SMC0383-0008
Bollettino Giunte e Commissioni n. 383 del 29 luglio 1998 - edizione definitiva - (SMC13-383)
(suddiviso in 178 Unità Documento)
Unità Documento n.8 (che inizia a pag.8 dello stampato)
                 ...COMMISSIONI RIUNITE
       V (Bilancio, tesoro e programmazione economica)
                        e VI (Finanze)
 
 
...INDAGINE CONOSCITIVA
...INDAGINE CONOSCITIVA. LAVCOMM
...INDAGINE CONOSCITIVA.
PROPOSTA DI DOCUMENTO CONCLUSIVO
Mercoledì 29 luglio 1998. - Presidenza del Presidente della VI Commissione Giorgio BENVENUTO.
ZZSMC ZZRES ZZSMC290798 ZZSMC980729 ZZSMC000798 ZZSMC000098 ZZSMC383 ZZ13 ZZD ZZTX ZZCR ZZC5 ZZC6 ZZNO ZZXX
  1.  Premessa.
     Le Commissioni riunite V Bilancio e VI Finanze hanno
  deliberato, il 25 settembre 1996, lo svolgimento di
  un'indagine conoscitiva sul sistema creditizio nel
  Mezzogiorno.  L'indagine era finalizzata all'acquisizione di
  elementi informativi utili allo scopo di approfondire le
  problematiche di seguito indicate:
       a)  verifica della funzionalità dell'attuale
  assetto dell'intermediazione finanziaria e creditizia rispetto
  alle esigenze dello sviluppo economico del Mezzogiorno, con
  particolare riferimento ai rilevanti differenziali dei tassi
  di interesse praticati e al diverso livello qualitativo dei
  servizi finanziari offerti al Sud rispetto al resto del
  Paese;
       b)  monitoraggio dello stato di avanzamento del
  processo di riorganizzazione del sistema bancario del
  Mezzogiorno, sia con riferimento alle iniziative adottate in
  tema di privatizzazioni che per quanto concerne la valutazione
  degli effetti delle fusioni e delle acquisizioni già
  realizzate o in via di realizzazione;
       c)  valutazione del livello di efficienza e
  produttività delle banche meridionali, tenendo conto
  dell'elevato livello dei crediti in sofferenza, anche al fine
  di evitare il ricorso a nuovi interventi pubblici di
  salvataggio analoghi a quelli già adottati in passato.  A
  questo proposito, nel programma dell'indagine si segnalava
  l'esigenza di scongiurare il ripetersi di situazioni di crisi
  quali quella del Banco di Napoli, emersa in termini
  particolarmente acuti proprio nei mesi immediatamente
  precedenti la data di deliberazione dell'indagine.
     Infine, veniva prospettata la necessità di valutare il
  ruolo e le prospettive degli ex istituti specializzati nel
  credito a medio termine e dei mediocrediti regionali alla luce
  del superamento del principio della specializzazione derivante
  dal testo unico bancario.  Contestualmente, il programma
  indicava l'opportunità di procedere ad un approfondimento
  circa il ruolo che una banca d'affari meridionale potrebbe
  svolgete per quanto concerne l'adozione di iniziative volte a
  sostenere finanziariamente lo sviluppo economico del
  Mezzogiorno.
     Il programma che le Commissioni avevano definito,
  indiscutibilmente assai ambizioso, toccava una serie di
  problematiche di varia natura.  L'ampiezza dei compiti che le
  Commissioni si erano assegnati traeva origine dalla
  consapevolezza della complessità delle questioni che si
  intendevano affrontare, e dalla necessità di procedere ad una
  ricognizione dei vari aspetti indicati che fosse
  sufficientemente articolata, tale da permettere la
  ricostruzione di un quadro conoscitivo pressoché completo,
  avvalendosi delle esperienze degli operatori del settore e
  degli organismi rappresentativi dei soggetti interessati, in
  qualità di clienti, alle attività svolte dal sistema bancario.
  Lo svolgimento dell'indagine avrebbe, infatti, imposto sia
  l'acquisizione di dati e informazioni di carattere generale
  sulle condizioni economiche del Mezzogiorno e sulle esigenze
  del sistema produttivo di quell'area del Paese, che
  l'approfondimento di alcuni aspetti
 
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  concernenti specificamente il comparto creditizio.  La
  indiscutibile ampiezza delle tematiche oggetto dell'indagine
  implicava l'effettuazione di un numero notevole di audizioni.
  A questo proposito, il programma dell'indagine prevedeva che
  venissero sentiti sia i rappresentanti di alcune regioni
  meridionali, sia i rappresentanti delle maggiori banche
  meridionali, oltre che degli istituti di credito speciale.  Si
  prevedevano, inoltre, le audizioni di rappresentanti delle
  banche nazionali con una significativa presenza nel
  Mezzogiorno, di organismi rappresentativi dell'associazionismo
  nel settore, delle autorità di vigilanza e di rappresentanti
  degli imprenditori dei vari settori produttivi, oltre che dei
  sindacati dei lavoratori.
     Lo svolgimento dell'indagine ha comportato un
  considerevole impegno da parte delle Commissioni riunite;
  sotto questo profilo, si può esprimere piena soddisfazione per
  l'intenso lavoro effettuato, che potrà risultare estremamente
  utile anche in vista di ulteriori iniziative di carattere
  legislativo.  Ciò deriva anche dal metodo che è stato adottato,
  che ha privilegiato un approccio estremamente concreto,
  evitando di affrontare le varie questioni emerse sotto un
  profilo meramente teorico.  In altri termini, è stato
  scongiurato il rischio di svolgere il confronto con i diversi
  interlocutori intervenuti sulla base di posizioni già
  ampiamente note e di riprodurre tesi, in materia di sviluppo
  economico nel Mezzogiorno, ormai superate.  I vari soggetti
  incontrati dalle Commissioni sono stati infatti sollecitati a
  riferire sulle loro esperienze concrete e a esprimere giudizi
  e valutazioni anche su aspetti specifici.  Ciò ha consentito la
  raccolta di un quadro esauriente di informazioni, spesso
  corredate da utili elementi di valutazione.  A questo ultimo
  proposito, va segnalato che i diversi soggetti hanno proposto
  interpretazioni e fornito materiali di documentazione che per
  molti aspetti risultano discordanti.  Ciò, peraltro, si deve
  intendere come un elemento positivo, tale da far emergere una
  dialettica estremamente stimolante, in quanto la varietà delle
  posizioni e dei giudizi espressi conferma l'attualità del tema
  trattato e il forte interesse che esso suscita in larghi
  settori della società.  Tuttavia, non si può fare a meno di
  sottolineare che l'acquisizione di elementi informativi e di
  analisi non sempre coincidenti, e qualche volta
  contraddittori, ha richiesto uno sforzo aggiuntivo, in primo
  luogo di elaborazione e di verifica dei dati a disposizione, e
  in secondo luogo di individuazione in un'ottica propositiva e
  non meramente riepilogativa delle questioni trattate, di
  possibili rimedi e iniziative da promuovere.  Ciò vale, in
  particolare, per quegli aspetti dell'indagine che attengono al
  ruolo svolto nel recente passato dalle banche meridionali per
  quanto concerne il finanziamento delle attività produttive e,
  più in generale, al rapporto tra banche e sistema economico
  del Sud.  In proposito, come si vedrà più diffusamente nel
  paragrafo successivo, l'indagine ha fatto emergere
  interpretazioni controverse, che evidenziano la notevole
  complessità delle questioni oggetto di approfondimento, il che
  induce a procedere con la necessaria cautela, evitando
  l'errore di esprimere giudizi affrettati per tentare, invece,
  di mettere in luce le diverse variabili che, interagendo,
  hanno contribuito a determinare l'attuale condizione del
  sistema creditizio del Mezzogiorno.
  2.  Cenni sulla situazione economica del Mezzogiorno e sul
  ruolo del sistema creditizio.
     Per quanto concerne gli elementi che sono stati acquisiti
  in ordine alla situazione economica del Mezzogiorno, si può
  rilevare che tutti i soggetti che sono intervenuti hanno
  manifestato forti preoccupazioni, confermando l'impressione di
  una netta prevalenza, negli ultimi anni, degli aspetti
  problematici rispetto a quelli positivi, mentre sono state
  espresse valutazioni differenziate circa le prospettive
  future.
     Ormai da circa un quinquennio perdura nel Mezzogiorno una
  sostanziale
 
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  stagnazione economica, essendosi registrato, nell'arco
  temporale considerato, una crescita del PIL complessivamente
  pari all'1,8 per cento, a fronte dell'8,5 per cento registrato
  nel Centro-Nord.  Ciò si è tradotto in una riduzione della
  quota del PIL nazionale attribuibile al Mezzogiorno, passata
  da poco più del 25 per cento nel 1991 a circa il 24 per cento
  nello scorso anno, nonché ad una contrazione del rapporto del
  PIL per abitante rispetto a quello medio del Centro-Nord.  In
  altri termini, dall'inizio del decennio in corso, si è
  determinato un impoverimento, in termini relativi, del
  Mezzogiorno rispetto al resto del Paese, particolarmente
  accentuato nelle regioni più densamente popolate (Campania e
  Sicilia).
     Per quanto concerne le previsioni relative ai prossimi
  anni, va segnalato che, a fronte di alcune stime che
  prospettano il perdurare di una congiuntura scarsamente
  dinamica, per cui in particolare l'aumento del PIL
  continuerebbe a mantenere tassi nettamente inferiori a quelli
  del Centro-Nord, non sono mancati interventi che hanno
  manifestato un misurato ottimismo ed espresso aspettative
  moderatamente favorevoli nei confronti delle nuove occasioni
  di sviluppo che l'utilizzo di strumenti recentemente adottati
  potranno offrire.  A quest'ultimo proposito, in particolare, i
  rappresentanti del Banco di Napoli hanno sottolineato che,
  nell'ambito delle iniziative da promuovere ai fini del
  rilancio delle politiche di sviluppo del Mezzogiorno, notevole
  importanza possono assumere, oltre ad un più puntuale utilizzo
  delle risorse relative ai fondi strutturali europei, proprio
  gli strumenti di programmazione negoziata che, tra le altre
  cose, offrirebbero agli istituti di credito la possibilità di
  svolgere "un ruolo di banche del territorio e quindi di
  fungere anche da motori dello sviluppo dell'area in cui
  operano".  Analoghe considerazioni sono state svolte dai
  rappresentanti del Monte dei Paschi, i quali hanno segnalato
  che, già a partire dal 1997, si è rafforzato il ruolo della
  banca nel "veicolare verso il sistema produttivo i
  finanziamenti dell'UE con particolare riferimento ai patti
  territoriali".
     In termini sostanzialmente positivi circa le prospettive
  dell'economia meridionale si è espresso anche il Ministro del
  Tesoro, che ha affermato che, dai dati a disposizione del suo
  dicastero, risulterebbe che l'attività imprenditoriale nel
  Mezzogiorno vivrebbe una fase di rilancio, e che si
  registrerebbe un risveglio di iniziative.  Inoltre, da parte di
  alcuni dei soggetti che sono stati ascoltati dalle Commissioni
  è stata espressa la convinzione che il processo di
  unificazione monetaria a livello europeo potrebbe, se
  opportunamente assecondato, rappresentare un elemento di
  stimolo per l'economia meridionale, soprattutto per quanto
  concerne la disponibilità di più consistenti risorse
  finanziarie e la riduzione dei costi del credito.  E' stato
  infatti sottolineato il fatto che una più accentuata
  concorrenza nella offerta di servizi finanziari e bancari e la
  prevedibile conferma della tendenza in corso alla riduzione
  dei tassi, per allinearsi con i livelli praticati in alcuni
  paesi europei, dovrebbe favorire l'accesso al credito a
  condizioni più vantaggiose.
     Per quanto riguarda il ruolo che il settore creditizio
  svolge nell'ambito del sistema economico meridionale, va
  rilevato che i dati forniti nel corso delle audizioni
  confermano un forte ampliamento del divario tra il Mezzogiorno
  e il resto del paese, sia per quanto concerne l'entità dei
  finanziamenti erogati sia per quanto riguarda la qualità dei
  servizi resi dalle banche.  A questo riguardo, appare anzi
  tutto opportuno ricordare che, pur essendo aumentato in misura
  rilevante, già a partire dagli anni '80, il numero degli
  sportelli bancari, al Sud si registrano ancora dati molto
  inferiori a quelli del resto del paese quanto alla
  disponibilità di servizi bancari.  Può risultare utile, in
  proposito, effettuare un raffronto delle situazioni del Sud e
  del Nord-ovest: ad una sostanziale parità di popolazione
  residente, infatti, fa riscontro una differenza rilevantissima
  quanto al numero di sportelli bancari, che nel Nord-Ovest
  risulta
 
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  più che doppio.  Più in dettaglio, da alcuni dati elaborati
  dal Monte dei Paschi risulterebbe che, al 30 giugno 1997, il
  57,5 per cento degli sportelli era dislocato al Nord, il 19,7
  per cento al Centro, il 14,8 per cento al Sud e l'8 per cento
  nelle isole.  Ovviamente, questi dati non devono essere
  interpretati nel senso che si auspica, a condizioni economiche
  invariate, un massiccio incremento degli sportelli nel
  Mezzogiorno; i dati relativi alla produttività media per
  sportello, in rapporto al volume delle raccolta e degli
  impieghi, sembrano evidenziare, infatti, che non vi sarebbe
  spazio per ulteriori ampliamenti della rete.  Alla fine del
  1996, al Sud la raccolta media per abitante ammontava a circa
  10 milioni, mentre quella per sportello ammontava a circa 39
  milioni; nello stesso anno, i dati medi nazionali si
  collocavano rispettivamente a circa 18 e 38 milioni.  Dal
  confronto sembra emergere, più che la necessità di un
  allineamento del Mezzogiorno quanto alla consistenza della
  presenza bancaria, la impossibilità di rappresentare in
  termini di causa ed effetto il rapporto tra debolezza del
  sistema bancario e ritardo dello sviluppo economico nel Sud,
  per cui quest'ultimo assumerebbe le caratteristiche di
  variabile dipendente.  In sostanza, il numero più basso di
  sportelli esistenti al Sud si può considerare come il dato che
  probabilmente meglio di ogni altro riesce a rappresentare allo
  stesso tempo sia il livello più arretrato dei servizi bancari
  e, conseguentemente, del settore finanziario del Mezzogiorno
  sia, più in generale, il ritardo che contraddistingue l'intera
  economia meridionale.
     Sempre con riferimento ai profili quantitativi, si può
  segnalare che la quota di credito complessivamente destinata
  al Mezzogiorno si è costantemente ridotta, nel corso
  dell'ultimo quinquennio, sia pure in misura contenuta.
  Particolarmente vistosa risulta la contrazione, espressa in
  termini relativi, del credito erogato a favore di imprese
  operanti nel settore delle costruzioni, che tuttora riveste
  una importanza fondamentale ed un ruolo trainante
  nell'economia meridionale, molto più che nel resto del Paese.
  Nell'interpretazione di coloro i quali propendono per una
  lettura critica dei dati a disposizione, ciò appare
  particolarmente significativo dello stato complessivamente
  negativo in cui versa l'economia meridionale, e della
  impossibilità di indicare prospettive favorevoli per il
  prossimo futuro, in assenza di svolte radicali.  La perdurante
  contrazione dell'attività del settore delle costruzioni,
  attribuibile anche al venir meno del flusso di consistenti
  risorse connesse al finanziamento di opere pubbliche, e la
  crisi del settore primario, anch'esso più importante
  nell'economia meridionale che nel resto del paese,
  dimostrerebbero la carenza di occasioni utili alla
  realizzazione di una politica del credito che volesse
  contribuire al sostegno produttivo del Sud.  A titolo di
  esempio, si può rilevare che i rappresentanti della CARIPLO
  hanno denunciato "l'obiettiva difficoltà... ad individuare
  opportunità di finanziamento di solide iniziative
  imprenditoriali".  Se ne potrebbe dedurre che nel Mezzogiorno,
  più che un problema di credito insufficiente e comunque troppo
  costoso, vi sarebbe un ambiente poco propizio a favorire una
  politica delle banche più attiva.  In altri termini, non si
  potrebbe addebitare alle banche meridionali, di cui pure non
  si intendono negare le carenze, uno stato di arretratezza, la
  quale dipenderebbe in primo luogo dall'assenza di iniziative
  imprenditoriali da finanziare.  A conferma di questa
  interpretazione, nel corso dell'indagine, più volte è stato
  richiamato il dato costituito dall'insufficiente livello di
  forme spontanee di associazionismo a sostegno dell'impresa,
  quali in primo luogo i consorzi di garanzia collettiva fidi.
  Si deve tuttavia ricordare che diversi soggetti, in
  particolare le organizzazioni rappresentative del commercio e
  dell'artigianato, hanno rilevato che la debolezza dei CONFIDI
  nelle regioni meridionali andrebbe attribuita ad un complesso
  di cause, quali la sottocapitalizzazione delle imprese e i
  comportamenti del sistema bancario, e non ad una presunta
  carenza di spirito di iniziativa.  Le medesime organizzazioni
  hanno
 
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  inoltre segnalato che le imprese meridionali intenderebbero
  promuovere la costituzione di CONFIDI ove ne avessero la
  possibilità, in considerazione del positivo contributo che
  tali consorzi potrebbero fornire ai fini dell'accesso al
  credito, in presenza di richieste di garanzie patrimoniali da
  parte del sistema bancario che le singole imprese non sono in
  grado di soddisfare.  Da parte di questi settori si lamenta,
  inoltre, la crescente riluttanza delle banche nel concedere
  finanziamenti alle imprese di piccole dimensioni quali sono
  nella quasi totalità quelle artigiane e commerciali,
  soprattutto al Sud.
     In linea generale, dall'indagine è emerso che le imprese
  produttive operanti al Sud registrano un rapporto tra debiti
  finanziari e fatturato più elevato che nel resto del paese;
  tale dato si può ricondurre anche al fatto che, in passato, la
  disponibilità di tassi di interesse agevolati, in forza delle
  politiche di sostegno a carico della finanza pubblica,
  induceva le imprese meridionali a ricorrere all'indebitamento.
  A ciò si devono tuttavia aggiungere altri elementi di
  carattere "strutturale", quali la minore capacità di
  autofinanziamento, derivante dalla insufficiente redditività,
  e la scarsa propensione a ricorrere al mercato dei capitali,
  derivante sia dalla notevole diffusione della cosiddetta
  economia "sommersa", per cui l'andamento delle singole imprese
  non risulta facilmente verificabile, sia dalla carenza di una
  struttura di intermediazione mobiliare adeguata a promuovere
  forme più evolute di finanziamento.
     In effetti, i dati particolarmente allarmanti costituiti
  dal rapporto tra le sofferenze e gli impieghi sembrano
  confermare che l'economia meridionale offrirebbe più limitate
  occasioni di crescita alla attività creditizia.  Va peraltro
  rilevato che, nel complesso del Paese, i prestiti in
  sofferenza hanno subito una limitata riduzione nel corso del
  1997; a fine anno, infatti, essi ammontavano a 120 mila
  miliardi, pari al 9,4 per cento degli impieghi complessivi, a
  fronte del 10,1 per cento dell'anno precedente.  Se tuttavia a
  questi dati si aggiungono i prestiti ceduti dal Banco di
  Napoli alla SGA spa e quelli rimasti in capo alla Sicilcassa
  in liquidazione, si registra un andamento sostanzialmente
  stabile.  In particolare, nel Mezzogiorno il rapporto
  sofferenze/impieghi complessivi si colloca al 21,8 per cento
  ovvero, se si computano anche quelli trasferiti alla società
  SGA e quelli di Sicilcassa, al 25,2 per cento.
     Per quanto riguarda l'individuazione delle cause alle
  quali attribuire il persistente divario dei tassi attivi
  praticati nelle varie aree del Paese, occorre ricordare che i
  soggetti intervenuti hanno prospettato diverse
  interpretazioni.  In particolare, i rappresentanti degli
  operatori commerciali e dell'artigianato hanno sostenuto la
  tesi per cui i tassi più alti richiesti soprattutto alle
  piccole imprese operanti nel Mezzogiorno non sarebbero in
  realtà attribuibili al costo di approvvigionamento delle
  banche, visto che in queste regioni il costo del denaro
  raccolto sarebbe addirittura più basso rispetto al resto del
  Paese.  D'altra parte, le peggiori condizioni praticate delle
  banche nei confronti della clientela meridionale, traducendosi
  in un aggravio degli oneri di produzione, aumenterebbe i
  rischi di insolvenza delle imprese del Sud.  In sostanza, i
  rappresentanti di questi settori lamentano, oltre che una
  sostanziale esiguità del complesso delle risorse finanziarie a
  loro disposizione (in particolare, all'artigianato del
  Mezzogiorno andrebbe circa il 17 per cento dell'ammontare
  complessivo dei finanziamenti destinati a tale settore, a
  fronte di un numero di imprese artigiane operanti in
  quell'area del Paese che ammonterebbe al 26 per cento del
  totale), un trattamento discriminatorio da parte delle banche.
  Nella valutazione ditali soggetti, il differenziale più
  elevato tra tassi attivi e passivi nel Mezzogiorno sarebbe
  quindi riconducibile essenzialmente alla inefficienza del
  sistema bancario, che trasferirebbe sulle imprese, in
  particolare su quelle piccole e medie, più deboli nel rapporto
  contrattuale con le aziende di credito i maggiori oneri
  derivanti dalle condizioni di operatività insufficienti.  In
  effetti, nel corso dell'indagine sono stati
 
                              Pag. 13
 
  forniti significativi contributi a sostegno di questa tesi;
  al riguardo, sembra opportuno segnalare in primo luogo la
  ricerca elaborata dalla Banca commerciale, basata su alcuni
  indicatori di bilancio di un campione di banche meridionali
  raffrontato ad un campione di banche dell'intero paese.
     In particolare, per quanto concerne gli indicatori di
  produttività, dalla ricerca, curata sulla base di dati
  aggiornati al 30 giugno 1997, risultavano i seguenti
  dati:
  Redditività e produttività del sistema bancario nel
                         Mezzogiorno.
  Confronti basati su dati di bilancio al 30 giugno 1997,
                   espressi su base annua.
                      ...  (omissis) ...
     In sostanza, per il campione individuato, il valore
  aggiunto  pro capite  risulterebbe più basso al Sud del 24
  per cento; analogamente, la produttività  pro capite  in
  termini di impieghi è inferiore a quella media nazionale nella
  misura del 18 per cento.  Al riguardo, ai fini di una corretta
  valutazione dei dati da ultimo richiamati, si dovrebbe
  considerare anche il fatto che, in presenza di una clientela
  "potenzialmente" più rischiosa, le pratiche per la concessione
  di crediti richiedano al Sud un aggravio di lavoro al
  personale delle banche.  A quest'ultimo proposito, si può
  tuttavia ricordare che, in particolare i rappresentanti della
  Confcommercio hanno lamentato l'eccessiva durata dei tempi di
  istruttoria per l'erogazione di finanziamenti, che non si
  concilierebbero con le esigenze di operatività delle imprese
  interessate.  D'altra parte, la più elevata rischiosità dei
  crediti erogati, e soprattutto il fatto che anche la
  produttività espressa in termini di depositi risulterebbe più
  bassa nella misura del 13 per cento, rafforzano l'impressione
  che, in linea generale, l'organizzazione delle banche al Sud
  sconta una minore efficienza.  A conferma dei fondamento di
  questa impressione si può citare proprio l'esperienza della
  Banca commerciale nel Mezzogiorno; infatti, l'adozione di
  standard  organizzativi omogenei e di una stessa "cultura
  aziendale" nelle diverse filiali della banca sul territorio
  nazionale avrebbe consentito di ottenere al Sud una
 
                              Pag. 14
 
  produttività, per quanto riguarda la raccolta, addirittura
  leggermente superiore a quella del Centro-Nord, mentre i dati
  relativi al risparmio gestito evidenziano, per il Mezzogiorno,
  un risultato soltanto leggermente inferiore a quello delle
  filiali del resto del paese.  Infine, quanto alla produttività
  espressa in impieghi  pro capite,  il dato inferiore che
  si registrerebbe al Sud viene attribuito ad una domanda locale
  piuttosto modesta; peraltro, l'adozione di una accorta
  politica in materia di valutazione del merito di credito ha
  consentito alla Banca commerciale di contenere le sofferenze
  entro limiti nettamente inferiori ai valori medi delle banche
  meridionali.  In altri termini, l'esperienza della Banca
  commerciale, che ha preferito aprire propri sportelli
  piuttosto che perseguire una politica di acquisti di banche
  locali, ha permesso di ottenere anche al Sud risultati
  soddisfacenti.
     Secondo una diversa interpretazione, sostenuta tra gli
  altri dai sindacati CGIL, CISL e UIL, ferme restando le
  indiscutibili inefficienze che contraddistinguerebbero il
  sistema creditizio nel Mezzogiorno, e che deriverebbero in
  primo luogo da una gestione fortemente condizionata da logiche
  non riconducibili a quelle proprie di impresa, prevarrebbero
  tuttavia, nel cattivo andamento delle banche meridionali, gli
  effetti della più generale situazione di crisi dell'economia
  del Sud.  In altri termini, anche ipotizzando di generalizzare
  l'esperienza di quelle banche che si siano distinte per una
  gestione particolarmente oculata, privilegiando
  nell'erogazione dei crediti la clientela più affidabile, non
  si eviterebbe il problema di una complessiva carenza di
  finanziamenti a favore dell'economia meridionale.  In sostanza,
  la causa prima della crisi del sistema creditizio meridionale
  andrebbe attribuita alla fragilità dell'economia del
  Mezzogiorno, cosicché si dovrebbe intervenire prioritariamente
  in modo da favorire la creazione di un ambiente economico più
  omogeneo con quello del resto del Paese, piuttosto che
  privilegiare gli interventi diretti a incoraggiare e sostenere
  le banche meridionali.  Anche dai rappresentanti della Banca
  commerciale sono state fornite alcune elaborazioni dalle quali
  risulterebbe che il grado di rischiosità delle imprese del Sud
  "pur riducendosi, in parallelo con quanto avviene per le
  imprese del Centro-nord, continua a generare una probabilità
  di insolvenza più che doppia rispetto a quella delle imprese
  del Centro-nord".  Ne consegue, a giudizio della Banca
  commerciale, che "il divario sfavorevole nei tassi di
  interesse... è quasi obbligato, tanto più se si considera che,
  in caso di insolvenza, le procedure di recupero crediti sono
  al Sud più lunghe e quindi più costose e con minore
  probabilità di successo".  Quello delle procedure esecutive
  costituisce, in effetti, uno degli argomenti che con maggiore
  insistenza sono stati riproposti nel corso delle audizioni.  A
  titolo di esempio, si ricorda che i rappresentanti della
  CARIPLO hanno indicato nelle difficoltà e nelle farraginosità
  che caratterizzano le procedure di recupero dei crediti una
  delle cause più importanti della costante crescita delle
  sofferenze al Sud.  In particolare, veniva segnalato il caso,
  non infrequente, di controversie presso organi giurisdizionali
  del Mezzogiorno che si trascinano per oltre dieci anni e il
  cui esito appare comunque incerto; in termini analoghi si sono
  espressi anche i rappresentanti del Banco di Napoli.  A questo
  proposito, merita segnalare che il Parlamento sta esaminando
  un provvedimento del Governo diretto ad introdurre rimedi atti
  a superare i tempi eccessivamente lunghi e le difficoltà che
  attualmente caratterizzano il processo di esecuzione, in primo
  luogo mediante la previsione della possibilità di delegare ai
  notai le operazioni inerenti la vendita con incanto di beni
  immobili e di beni mobili registrati.
     Dai rappresentanti delle aziende bancarie del Mezzogiorno
  sono state proposte, in genere, interpretazioni più
  articolate, che tentavano di individuare diverse cause
  concomitanti della situazione di crisi delle banche
  meridionali, la prima delle quali sicuramente attribuibile
  alla crisi complessiva dell'economia del Mezzogiorno,
 
                              Pag. 15
 
  aggravatasi a seguito del superamento delle politiche di
  intervento straordinario che, pur non avendo prodotti i
  risultati sperati, avevano comunque assicurato un flusso di
  risorse in grado di sostenere imprese che altrimenti avrebbero
  cessato la propria attività.  E' stato altresì sottolineato che
  un elemento che ha contribuito in misura certamente non
  irrilevante alla persistenza del divario territoriale tra
  Mezzogiorno e Centro-nord anche per quanto concerne l'entità
  dei crediti erogati alle imprese, è costituito dalla
  diffusione nel Mezzogiorno di fenomeni di criminalità
  organizzata e dall'economia sommersa.  Tutto ciò si tradurrebbe
  in una più elevata rischiosità della clientela meridionale e
  in un aggravio dei costi a carico delle banche locali, a cui
  si accompagnano, almeno per quelle la cui attività è
  territorialmente circoscritta, più limitate prospettive di
  crescita e sviluppo a causa delle ridotte dimensioni
  economiche della clientela.  A questo riguardo, merita
  segnalare che i dati forniti nel corso dell'indagine
  conoscitiva dall'ACRI evidenziano il fatto che le maggiori
  banche meridionali, quali in primo luogo il Banco di Napoli,
  il Banco di Sicilia e la Banca Carime, di più recente
  costituzione, si caratterizzano per una forte concentrazione
  della loro attività nelle aree di riferimento.  In particolare,
  il Banco di Napoli possiede circa il 30 per cento degli
  sportelli in Campania e l'80 per cento al Sud, la Banca Carime
  concentra in Calabria il 34 per cento dei suoi sportelli,
  mentre il Banco di Sicilia, insieme alla Sicilcassa, ha il 33
  per cento degli sportelli nell'isola.  Addirittura, nel caso
  del Banco di Sardegna, il 55 per cento degli sportelli si
  trovano nella stessa regione.  Può essere utile, al riguardo,
  ricordare che le altre banche nazionali di grandi dimensioni
  registrano livelli di concentrazione territoriale dei propri
  sportelli molto più bassi: a titolo di esempio, il Sanpaolo di
  Torino ne possiede in Piemonte soltanto il 16 per cento e la
  Cariplo in Lombardia l'11 per cento.
     Più in generale, dai dati forniti nel corso dell'audizione
  dai rappresentanti del Banco di Napoli, emerge che, mentre nel
  Centro-nord hanno sede 8 banche nazionali e 14 interregionali,
  al Sud ha sede una sola banca nazionale ed una interregionale.
  Va peraltro rilevato che, se è vero che non è infrequente il
  caso di banche di piccole dimensioni che operano
  essenzialmente a livello locale e che si avvalgono del
  rapporto consolidato con una clientela "affezionata" per
  conseguire apprezzabili risultati in termini di redditività,
  l'esperienza di quasi tutte le banche meridionali è del tutto
  differente, operando esse in aree economicamente arretrate.
     Resta il fatto che, pur in presenza di una tendenza
  generale alla riduzione dei tassi, dai dati acquisiti nel
  corso dell'indagine e dalle ulteriori informazioni fornite
  dalle più recenti ricerche, viene confermata la persistenza di
  un differenziale dei tassi praticati al Sud rispetto a quelli
  del resto del paese.  A questo proposito, risulta opportuno
  evidenziare i seguenti dati:
       a)  nell'arco di un decennio, dal 1987 al 1997, la
  media dei tassi attivi in tutta Italia è passata dal 14,14 per
  cento al 9,57 per cento; nello stesso periodo, ai Centro-nord
  i medesimi tassi sono passati dal 13,84 per cento al 9,35 per
  cento, mentre al Sud si è passati dal 15,67 per cento
  all'11,42 per cento.  Ciò ha determinato, pur in presenza di un
  complessivo ridimensionamento dei tassi, un allargamento della
  differenza tra le due aree del paese, passata dall'1,83 per
  cento al 2,07 per cento.  Questi dati sembrano confermare che
  vi è un margine non interamente sopprimibile di distanza nelle
  condizioni di esercizio dell'attività creditizia al Sud, anche
  se non appaiono sufficienti a chiarire in che misura esso
  debba essere attribuito alla maggiore "rischiosità" della
  clientela meridionale ovvero alla responsabilità delle banche
  che operano in quest'area del paese, che scaricherebbero i
  maggiori costi derivanti dal proprio più basso livello di
  efficienza sulla clientela.  Le esperienze della Cariplo, cui
  si fa riferimento nel paragrafo successivo, e della Banca
  commerciale, sotto questo profilo, non aiutano a pervenire
  all'individuazione
 
                              Pag. 16
 
  di un'unica causa.  D'altra parte, è innegabile che le banche
  che operano al Sud registrano un livello delle sofferenze
  assai più elevato delle altre;
       b)  per quanto concerne i tassi passivi, dal 1987
  al 1997, la media italiana è passata dal 7,60 per cento al
  4,49 per cento ; al Centro-Nord, in particolare, si è passati
  dal 7,63 al 4,51 per cento, mentre al Sud si è passati dal
  7,38 al 4,40 per cento.  Da questi dati esce confermata
  l'affermazione di coloro i quali, in particolare i
  rappresentanti delle piccole imprese commerciali e artigiane,
  lamentano una discriminazione nella remunerazione, sia pure
  contenuta, ai danni dei risparmiatori meridionali.  Peraltro,
  almeno su questo fronte, il divario sfavorevole al Sud si è
  ridotto;
       c)  particolarmente significativi appaiono i dati
  relativi ai differenziali tra tassi attivi e passivi: nel
  corso del decennio considerato, infatti, in Italia si è
  passati dal 6,54 per cento al 5,08 per cento; mentre al
  Centro-Nord la medesima differenza è passata dal 6,21 per
  cento al 4,84 per cento, al Sud lo scarto è passato dall'8,29
  al 7,02 per cento.  La persistenza di consistenti margini di
  intermediazione al Sud potrebbe leggersi, pertanto, come uno
  degli elementi che hanno concorso a disincentivare le banche
  meridionali dall'assunzione di iniziative dirette alla
  promozione e alla offerta di nuovi servizi, quali in primo
  luogo la gestione di risparmi.
  3.  Il sistema creditizio italiano e quello meridionale.
     La crisi del sistema bancario nel Mezzogiorno ha assunto
  dimensioni particolarmente allarmanti proprio a partire dei
  primi anni '90, quando si è imposta all'attenzione
  dell'opinione pubblica, oltre che degli operatori del settore
  e degli ambienti politici, la tematica del più generale
  riassetto del settore creditizio, che evidenziava un grave
  ritardo rispetto a quelli di altri paesi europei.  A questo
  proposito, si può ricordare che, ancora all'inizio
  dell'attuale decennio, quasi tutte le maggiori banche erano
  pubbliche, e che la proprietà pubblica si traduceva molto
  spesso nell'adozione di logiche gestionali caratterizzate da
  una scarsa efficienza, cui si aggiungevano i limiti costituiti
  dalla inadeguata patrimonializzazione e dalle dimensioni
  contenute, nonché dai vincoli derivanti dal regime della
  specializzazione.  Per quanto riguarda in particolare i
  condizionamenti esercitati in passato sulle banche pubbliche,
  merita segnalare quanto affermato dai rappresentanti del Banco
  di Napoli e della Sicilcassa nell'audizione svoltasi il 9
  settembre del 1997.  Più precisamente, in quella circostanza fu
  sottolineato il peso esercitato sulla gestione delle aziende
  citate "dal contesto ambientale, da interferenze" e
  dall'influenza di vari gruppi di pressione, rilevando che si
  trattava di fattori talmente incisivi da favorire la
  diffusione, nel personale, "di una cultura che privilegiava la
  ricerca del referente esterno", al punto che neppure
  l'adozione della forma giuridica di Spa, a seguito
  dell'approvazione della legge n. 218 del 1990 (cosiddetta
  legge Amato) riuscì a rappresentare un elemento di
  discontinuità.
     In particolare, per quanto concerne il livello di
  efficienza, si può rilevare che fino agli anni più recenti non
  si erano ottenuti significativi risultati sotto il profilo del
  contenimento dei costi operativi e dell'aumento della
  produttività, tali da recuperare lo scarto esistente rispetto
  ad altri paesi europei.  Gli stessi investimenti realizzati per
  l'utilizzo di tecnologie più avanzate non hanno impedito che
  proseguisse la tendenza alla costante crescita numerica dei
  dipendenti, quando negli stessi anni in altri paesi si
  registrava un andamento di segno opposto.  Soltanto
  recentemente le banche hanno dedicato maggiore attenzione alle
  possibilità di riduzione degli oneri operativi che l'impiego
  della tecnologia informatica offre, avendo dovuto stanziare
  risorse particolarmente consistenti per il potenziamento
 
                              Pag. 17
 
  e l'ammodernamento della strumentazione a disposizione, anche
  in vista dell'adozione dell'euro.
     Da questo punto di vista1 è da rilevare l'enfasi con la
  quale il tema della evoluzione tecnologica è stato affrontato
  dai rappresentanti del Banco di Napoli e del Banco di Sardegna
  nell'ambito delle strategie finalizzate al rilancio delle
  rispettive aziende.  Per queste banche, lo sviluppo della
  cosiddetta "banca elettronica" e, più in generale, della
  qualità dei servizi resi alla clientela mediante l'intenso
  utilizzo delle dotazioni informatiche assumerebbe carattere
  prioritario, non soltanto per recuperare più elevati livelli
  di efficienza, con riferimento all'impiego di altri fattori
  produttivi, ma anche per corrispondere più puntualmente alle
  esigenze dei diversi segmenti dell'utenza bancaria.
     D'altra parte, nonostante il fatto che proprio nel corso
  dell'ultimo biennio sono stati compiuti notevoli sforzi,
  attualmente i bilanci delle banche italiane dimostrano
  chiaramente le difficoltà che rallentano il conseguimento
  dell'obiettivo di una significativa contrazione dei costi
  operativi, sebbene quelli relativi al personale in particolare
  abbiano subito una significativa inversione di tendenza nel
  senso di una contrazione.  In questa direzione si muovono anche
  le intese raggiunte recentemente in sede di rinnovo
  contrattuale, in base alle quali nel prossimo triennio
  l'incidenza dei costi del personale sul margine di
  intermediazione dovrebbe ridursi del 4 per cento circa.
     Quanto al problema della insufficiente
  patrimonializzazione, merita ricordare che esso si è posto in
  termini particolarmente allarmanti a causa dell'aumento della
  rischiosità della clientela e del conseguente incremento delle
  sofferenze.  A ciò deve aggiungersi la crescente difficoltà
  dell'azionista pubblico di far fronte agli oneri connessi alla
  ricapitalizzazione delle banche di sua proprietà.
     Relativamente alle limitate dimensioni delle banche
  italiane, si può segnalare che soltanto recentemente, a
  seguito di alcune fusioni e operazioni di accorpamento, sembra
  essersi avviata la tendenza alla costituzione di aziende di
  credito di maggiore consistenza.  La crescita dimensionale
  delle banche italiane è da alcuni ritenuta essenziale ai fin
  dell'acquisizione di una massa critica adeguata per consentire
  loro di competere con la concorrenza internazionale e di
  avvalersi di significative economie di scala, in modo da
  rendere meno onerosa la gestione dei rischi.
     Nel corso dell'indagine, a questo proposito, sono stati
  forniti dati estremamente interessanti: in particolare, con
  riferimento alla dimensione patrimoniale, appare significativo
  il fatto che tra le 25 principali banche mondiali, alla fine
  del 1996, non figuravano banche italiane, mentre vi sono
  incluse ben 3 banche inglesi e 3 francesi, nonché 2 olandesi,
  2 svizzere ed una tedesca.  Addirittura, tra le prime 200
  banche del mondo ne figurano soltanto 9 italiane.  Per quanto
  concerne poi le banche meridionali, é stato sottolineato che
  tra le prime 50 banche italiane ne rientrano soltanto 4 che
  hanno la propria sede nel Mezzogiorno, precisamente Banco di
  Napoli, Banco di Sicilia, Banco di Sardegna e Carime.  A questo
  proposito, occorre tuttavia evidenziare che nel corso degli
  anni più recenti si è consolidato nel Sud il processo di
  concentrazione, per cui il numero delle banche aventi sede
  legale in quest'area del paese è diminuito sia in valore
  assoluto sia in percentuale sul totale delle banche operanti.
  Va rilevato che tale processo si è realizzato, come si
  preciserà di seguito, più che per una scelta delle banche
  locali, a seguito di iniziative assunte da aziende del
  Centro-Nord che hanno incorporato o acquisito il controllo di
  istituti meridionali, spesso in presenza di situazioni di
  crisi.
     Relativamente al principio della specializzazione, che si
  fondava sulla netta distinzione fra le banche operanti "a
  breve", impegnate nell'esercizio del credito commerciale e gli
  istituti di credito speciale, che concedevano prestiti a medio
  e lungo termine, destinato al finanziamento degli
  investimenti, si può ricordare che la coincidenza cronologica
  fra mutui
 
                              Pag. 18
 
  erogati e raccolta era considerata dalla legge bancaria del
  1936 come la condizione essenziale per evitare l'insorgere di
  crisi di liquidità delle banche.  Nel corso degli anni,
  tuttavia, è emerso sempre più chiaramente il fatto che la
  previsione di una distinzione così netta, lungi dall'essere un
  elemento di garanzia, costituiva un vincolo che limitava
  fortemente le possibilità di sviluppo delle banche, sia in
  termini quantitativi, vale a dire di incremento delle risorse
  intermediate, che sotto il profilo della diversificazione dei
  servizi prestati e delle attività svolte.
     Il principio della specializzazione è stato
  definitivamente abbandonato con l'entrata in vigore del testo
  unico bancario, approvato con il decreto del Presidente della
  repubblica n. 385 del 1993.  In termini estremamente sintetici,
  si può rilevare che la novità più significativa introdotta con
  il testo unico consiste, appunto, nella previsione della
  facoltà delle banche di esercitare, oltre all'attività di
  raccolta del risparmio e a quella della dell'esercizio del
  credito, "ogni altra attività finanziaria, secondo la
  disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o
  strumentali" si permette alle banche di raccogliere risparmio
  senza limiti di importo e di durata; analogamente, si
  stabilisce la possibilità delle stesse di erogare il credito
  senza limiti di durata o di destinazione.
     Si è in tal modo provveduto, almeno sul piano normativo, a
  porre le banche nella condizione di operare come intermediari
  "globali", nell'auspicio che esse vogliano avvalersi
  dell'occasione offerta dal legislatore per diversificare la
  loro attività.  E' infatti largamente condivisa la convinzione
  secondo la quale i servizi bancari tradizionali assumeranno
  nei prossimi anni un ruolo decrescente, mentre dovrebbe
  acquisire un rilievo maggiore la gestione del risparmio.  Nella
  stessa direzione dovrebbero operare anche gli effetti
  dell'unificazione monetaria europea, in quanto l'atteso
  allineamento dei tassi di interesse dei paesi membri nel caso
  dell'Italia comporterebbe una loro consistente riduzione.  Ne
  consegue che il margine di intermediazione dell'attività
  creditizia ordinaria risulterebbe fortemente compresso, cosa
  che dovrebbe indurre le banche ad adottare iniziative
  innovative nel campo dell'offerta di servizi finanziari.  La
  tendenza alla riduzione del margine di intermediazione va
  quindi considerata come un dato strutturale e sostanzialmente
  irreversibile, salvo l'insorgenza di fenomeni di grave
  instabilità nei mercati finanziari, al momento
  imprevedibili.
     D'altra parte, i dati relativi ai bilanci delle aziende
  bancarie già dimostrano chiaramente che soltanto le
  commissioni relative alle gestioni patrimoniali sono in grado
  di assicurare margini apprezzabili di profitto e significativi
  incrementi dei ricavi; ciò, tuttavia, riguarda soprattutto le
  banche che più si sono impegnate per quanto concerne la
  offerta di nuovi servizi finanziari, e che sono collocate
  prevalentemente nel Centro-Nord.  In quest'area del paese,
  infatti, si registra una costante intensificazione del
  processo di diversificazione del portafoglio finanziario delle
  famiglie, che si traduce, in particolare, nello sviluppo dei
  fondi di investimento e delle gestioni patrimoniali.  Nella
  stessa area si evidenzia una maggiore attenzione da parte
  delle banche, o almeno di quelle più intraprendenti, nei
  confronti di alcune esigenze del sistema produttivo, mediante
  l'offerta di servizi di consulenza alle imprese anche ai fini
  della quotazione nei mercati regolamentati.
     Le banche meridionali si muovono, invece, entro uno
  scenario meno dinamico, in cui, complessivamente, il livello
  della cultura finanziaria è più arretrato, come testimonia
  anche la preferenza accordata dalle famiglie meridionali verso
  le forme più tradizionali di investimenti.
     L'audizione dell'ACRI, a questo proposito, ha consentito
  alle Commissioni di acquisire utili elementi informativi; in
  particolare, è stato sottolineato il fatto che i conti
  economici delle Casse meridionali manifestano una dipendenza
  assai forte dal margine di interesse (74,9 per cento del
  margine di intermediazione contro il
 
                              Pag. 19
 
  67,1 per cento del sistema bancario nel suo complesso) che
  dimostra una netta prevalenza dell'attività ordinaria.
     I rappresentanti del Banco di Napoli, a questo proposito,
  hanno indicato, tra gli obiettivi cui dovrebbero ispirarsi le
  iniziative da adottare per il definitivo risanamento
  dell'istituto, "anche la affermazione dei nuovi strumenti
  finanziari e di una nuova cultura di impresa".  A tal fine si
  faceva riferimento esplicito al  merchant banking,  alle
  attività di consulenza alle imprese e al  project
  financing  per quanto concerne il rapporto con il sistema
  delle imprese, e alla offerta di prodotti differenziati -
  fondi di investimento, prodotti assicurativi, gestione
  personalizzata del risparmio - per quanto riguarda il rapporto
  con la famiglia.
     Il momento decisivo, ai fini dell'avvio del processo di
  ristrutturazione del sistema bancario italiano, si deve
  tuttavia far coincidere con l'approvazione della legge n. 218
  del 1990 (la cosiddetta legge Amato), i cui obiettivi
  principali erano costituiti dall'adozione del modello
  societario da parte delle banche pubbliche e dalla crescita
  dimensionale delle aziende di credito.
     La modifica della forma giuridica mediante l'adozione del
  modello della società per azioni era originata, in primo
  luogo, dal fatto che, essendo preclusa l'acquisizione di
  capitali di rischio, il rafforzamento patrimoniale delle
  banche pubbliche imponeva a carico della finanza pubblica
  consistenti oneri ai quali, per le ristrettezze di bilancio,
  non era possibile far fronte.
     Inoltre, nelle intenzioni del legislatore, la forma
  societaria avrebbe assicurato alle aziende bancarie una
  maggiore snellezza operativa, offrendo contemporaneamente
  maggiori garanzie di trasparenza anche ai fin del controllo
  sulla gestione delle aziende stesse, in considerazione della
  normativa civilistica sui doveri e le responsabilità degli
  organi societari.
     Infine, non va dimenticato il contributo fornito alla
  modernizzazione del sistema dalla eliminazione delle barriere
  e delle limitazioni all'entrata nel mercato di nuove banche e
  alla apertura di nuovi sportelli, derivante anche dagli
  orientamenti delle autorità comunitarie, che ha determinato un
  rafforzamento della concorrenza, offrendo, in particolare alle
  banche più grandi che hanno adottato politiche di espansione,
  nuove prospettive di crescita sulla base di precise strategie
  di localizzazione.  Nel Mezzogiorno, ciò si è tradotto in una
  più consistente presenza di banche aventi sede in altre aree
  geografiche, realizzata prevalentemente mediante ricorso ad
  operazioni di incorporazione ovvero di acquisizioni di
  partecipazioni, spesso di controllo, di banche locali.  Merita
  comunque segnalare che il 64 per cento circa dei nuovi
  sportelli aperti nel Mezzogiorno nel periodo compreso tra il
  1990 e il 1996 va attribuito a banche di altre aree del paese.
  Le banche del Nord che si sono dimostrate più attive sul
  mercato meridionale hanno infatti potuto avvalersi delle
  maggiori disponibilità di mezzi, stante il fatto che, come si
  è già visto, le aziende di credito meridionali continuano a
  soffrire di una più bassa patrimonializzazione Il Ministro del
  Tesoro, nel corso della sua audizione, ha segnalato in
  particolare il contributo fornito dalle banche popolari, il
  cui ingresso nella compagine azionaria di alcuni istituti di
  credito del Mezzogiorno si tradurrebbe in un duplice vantaggio
  in primo luogo, in quanto l'apporto di risorse finanziarie
  assicurerebbe un rafforzamento patrimoniale degli istituti che
  se ne avvarrebbero, e in secondo luogo per le caratteristiche
  tipiche delle banche popolari, che rappresenterebbero "le
  istituzioni maggiormente in grado di adattarsi allo sviluppo
  della piccola e media impresa", che costituirebbe un obiettivo
  prioritario per il Mezzogiorno.  D'altra parte, soltanto
  recentemente si è avviato un processo di parziale
  privatizzazione delle banche meridionali, stante il fatto che
  proprio il loro andamento economico, e in particolare la
  scarsa redditività, non ne favorisce le prospettive di
  collocamento sul mercato.  Significativa, a questo proposito,
  appare la vicenda del Banco di Napoli, il cui collocamento è
  avvenuto
 
                              Pag. 20
 
  mediante un'asta che, come ha ricordato nel corso
  dell'indagine il Ministro del tesoro, "ha visto ben scarsa
  partecipazione".  Peraltro, una volta realizzata la prima fase
  del progetto di risanamento del Banco di Napoli, a proposito
  della quale sia il Ministro del tesoro sia i responsabili
  dell'istituto hanno fornito dettagliate informazioni, mediante
  l'acquisizione del suo controllo da parte della BNL e
  dell'INA, più incerte appaiono le prospettive per quanto
  concerne il futuro della banca.  Il Ministro del tesoro, in
  particolare, al riguardo ha affermato che l'obiettivo finale
  del processo di risanamento è "la creazione di un grande
  gruppo bancario e assicurativo", a tal fine auspicando che
  possa proseguire il progetto di fusione con la BNL.
     Fra i casi di acquisizione di banche meridionali da parte
  di istituti di credito del Centro-nord, particolarmente
  significativa appare l'esperienza della CARIPLO che, dopo aver
  acquisito, a partire dal 1987, una partecipazione in Carical,
  allo scopo di "tamponare una situazione di emergenza che si
  era determinata in quella azienda e che l'aveva portata al
  commissariamento" e, successivamente, il controllo della
  medesima banca insieme a quello di Caripuglia e Cassa di
  risparmio Salernitana, ha predisposto un progetto di fusione,
  tradottosi nella costituzione di Carime, gruppo di notevoli
  dimensioni nell'ambito del sistema creditizio del Mezzogiorno.
  Al riguardo, nel corso dell'audizione dei rappresentanti della
  CARIPLO, sono stati forniti dati puntuali per quanto concerne
  il considerevole livello delle sofferenze delle banche citate
  e l'alta incidenza del costo del personale, peraltro spesso
  insufficientemente qualificato.  Inoltre, anche alla luce
  dell'esperienza maturata, i responsabili della banca hanno
  espresso valutazioni preoccupate circa le prospettive di
  risanamento del sistema bancario meridionale, stante
  l'insoddisfacente andamento economico delle regioni del Sud, e
  il dato strutturale costituito dal sovradimensionamento dei
  costi operativi, in primo luogo attribuibile all'eccedenza di
  personale.  In effetti, l'esperienza della CARIPLO sembra
  confermare l'impressione per cui le difficoltà delle banche
  meridionali non si possono ricondurre esclusivamente a carenze
  gestionali e ed inefficienze operative; infatti, l'adozione di
  diversi criteri imprenditoriali e il ricorso a capacità
  manageriali più qualificate non hanno impedito il riprodursi
  di forti squilibri di bilancio e di consistenti sofferenze.
     Il testo unico bancario e la cosiddetta legge Amato, cui
  si è fatto riferimento in precedenza, hanno quindi segnato un
  considerevole progresso della normativa in materia creditizia,
  favorendo un processo di riorganizzazione e di
  ristrutturazione del sistema bancario italiano che, non senza
  incertezze e difficoltà, si può valutare in termini positivi.
  Cionostante, è opinione largamente condivisa quella per cui il
  sistema bancario italiano nel suo complesso deve ancora
  compiere notevoli sforzi per allinearsi a quelli dei maggiori
  concorrenti europei e per raggiungere assetti che si
  dimostrino in grado di fronteggiare la competizione
  internazionale in materia di servizi finanziari.  In
  particolare, i dati relativi alla redditività e alle
  sofferenze delle banche italiane evidenziano, accanto ad
  alcuni elementi certamente incoraggianti, in quanto indicativi
  di una fase caratterizzata da una accentuato dinamismo,
  elementi critici, che confermano la persistenza di condizioni
  di fragilità.  Ciò vale, in particolare, per il sistema
  creditizio del Mezzogiorno che, pur avendo compiuto
  significativi progressi sul piano del risanamento gestionale e
  del contenimento dei costi operativi, continua a denunciare
  notevoli debolezze e difficoltà che si aggiungono ai problemi
  che affliggono il comparto nel suo complesso.
     Appare comunque significativo del ritardo che
  contraddistingue tutto il sistema creditizio italiano, salvo
  alcune eccezioni, il fatto che, in generale, le banche
  italiane continuano a soffrire di un basso livello di
  redditività; rispetto alla media di altri paesi europei, lo
  scarto è particolarmente vistoso: a fronte di  Retum on
  equity  delle banche italiane che si colloca al di sotto
 
                              Pag. 21
 
  dell'1 per cento, il livello delle banche francesi è infatti
  pari a circa il 5 per cento, e quello delle banche tedesche
  all'8 per cento.  Se a ciò si aggiunge che, in considerazione
  dell'andamento decrescente dei tassi di interesse,
  attribuibile in parte all'avvio del processo di risanamento
  finanziario e al contenimento del tasso di inflazione, in
  parte alla progressiva armonizzazione con le tendenze degli
  altri paesi membri dell'Unione monetaria, cui si è accennato
  in precedenza, si registra una costante contrazione del
  margine di intermediazione, appare evidente che un consistente
  recupero di redditività, almeno per quanto concerne le
  attività bancarie tradizionali, risulta estremamente
  difficile.  Le banche italiane si vedono quindi obbligate ad
  adottare misure fortemente innovative, in primo luogo per
  ridimensionare i costi operativi e per recuperare adeguati
  livelli di efficienza, e in secondo luogo per orientarsi verso
  attività più avanzate, in grado di assicurare più elevati
  margini di redditività, quali in primo luogo quelle
  consistenti nella gestione del risparmio.  L'accentuazione
  della concorrenza nei mercati finanziari, prima di tutto
  nell'ambito dell'Unione europea, e in prospettiva anche su
  scala mondiale, travolge infatti tutte le difese che, sino a
  qualche anno fa, hanno consentito alle banche italiane di
  scaricare il costo della propria inefficiente organizzazione
  sulla clientela imponendo tassi di interesse elevati.
  4.  Gli interventi a sostegno delle situazioni di
  crisi.
     Dai dati acquisiti nel corso dell'indagine risulta
  chiaramente che le aziende di credito meridionali, oltre a
  soffrire, spesso in termini più accentuati, dei problemi
  comuni a tutto il sistema bancario nazionale, sono gravate da
  problemi specifici, che si traducono in primo luogo nella più
  bassa redditività.  Sulla base di alcune elaborazioni fornite
  dai rappresentanti del Banco di Napoli emerge il fatto che,
  fra il 1993 e il 1996, il numero di banche meridionali che
  hanno chiuso l'esercizio in perdita ha oscillato tra le 6 del
  1993 e le 30 del 1994; 12 banche hanno addirittura registrato
  risultati negativi per più di un anno.
     La pressoché generale condizione di fragilità in cui versa
  larga parte del sistema bancario del Mezzogiorno ha assunto,
  negli scorsi anni, aspetti particolarmente accentuati nel caso
  di alcuni istituti di credito, per i quali, stante la gravità
  dei problemi emersi e i rischi di rischi sistemici che talune
  situazioni presentavano, si è ritenuto necessario riscorrere
  ad interventi di risanamento e sostegno di carattere
  "straordinario".  La storia dell'ultimo ventennio registra, in
  effetti, un discreto numero di salvataggi di banche in crisi,
  che hanno comportato oneri non irrilevanti a carico della
  finanza pubblica.  L'indagine, a questo proposito, ha
  consentito alle Commissioni di ripercorrere le esperienze più
  significative e di acquisire elementi utili per elaborarne una
  lettura critica e per valutare quali diversi strumenti si
  possano adottare nel caso in cui si riproponessero situazioni
  critiche della gravità di quelle verificatesi in passato.
     Va peraltro considerato che gli interventi a sostegno
  delle banche in crisi, in primo luogo di quelle meridionali,
  consistevano per lo più nella erogazione di risorse
  finalizzate alla loro ricapitalizzazione.  In questo senso, si
  può segnalare che, già a partire dello scorso decennio, non
  sono mancati i tentativi di accompagnare allo stanziamento di
  consistenti risorse a favore di banche in difficoltà,
  l'adozione, da parte dei competenti organi amministrativi e
  gestionali, di misure dirette al risanamento delle banche
  interessate.  A titolo di esempio, si può ricordare che, con la
  legge n. 23 del 1981, se, per un verso, si disponeva
  l'effettuazione di conferimenti al capitale e al fondo di
  dotazione del Banco di Napoli, del Banco di Sicilia e del
  Banco di Sardegna, per l'altro si prospettava la modifica
  degli statuti ditali banche sulla base delle seguenti linee
  direttive:
 
                              Pag. 22
 
       1) rendere la gestione più aderente ai criteri di
  mercato;
       2) assicurare una maggiore efficienza nell'allocazione
  del risparmio, mediante una struttura organizzativa che
  garantisse il rispetto di criteri tecnici nella valutazione
  degli elementi del rischio, nonché nella verifica dei
  risultati conseguiti;
       3) assicurare una più razionale distribuzione dei
  poteri, distinguendo gli organi di indirizzo generale, di
  sorveglianza e di gestione.
     La ricostruzione della storia recente in materia di
  salvataggi bancari non può non prendere le mosse dalla vicenda
  delta Banca Privata italiana che condusse, nel settembre del
  1974, alla adozione del cosiddetto "decreto Sindona", che
  consentiva alta Banca d'Italia di concedere un prestito
  agevolato, al tasso dell'1 per cento, per il ripianamento
  delle perdite.  Successivamente, il decreto Sindona ha trovato
  applicazione con riferimento alla Banca Fabbrocini, al Banco
  Ambrosiano, alla Banca Molisana e al Banco di Girgenti.  Più
  recentemente, vi si è fatto ricorso a favore del Banco di
  Napoli, in forza delle disposizioni adottate con diversi
  provvedimenti di urgenza, a partire dal decreto-legge n. 163,
  emanato nel marzo del 1996.  L'audizione dei rappresentanti del
  medesimo Banco ha evidenziato la gravità della situazione
  determinatasi nel periodo immediatamente precedente alla data
  di adozione del citato decreto-legge, che si traduceva in una
  ulteriore riduzione della già scarsissima capacità reddituale
  per il deteriorarsi della qualità dei fidi concessi, e che
  comportava "un incremento abnorme degli incagli, delle
  sofferenze, delle rettifiche su crediti".
     A seguito di ripetute reiterazioni, il decreto-legge n.
  497 è stato convertito dalla legge n. 588 del 1996: il
  complesso delle misure ivi previste a favore del Banco di
  Napoli è costituito, oltre che dall'attivazione del citato
  decreto Sindona, da un impegno diretto del Tesoro per la
  ricapitalizzazione della banca per 2 mila miliardi.  Occorre
  rilevare che, per la prima volta nella storia finanziaria
  dell'Italia unita, l'intervento dello Stato era esplicitamente
  condizionato alla realizzazione di una celere privatizzazione
  del Banco, da attuarsi, e questo è ancora più rimarchevole,
  attraverso una procedura d'asta.  Merita inoltre ricordare che,
  di recente, la Commissione europea ha chiuso la propria
  istruttoria sulla vicenda, escludendo che siano state violate
  le disposizioni comunitarie in materia di aiuti di Stato
  tesivi della concorrenza.
     Le diverse misure di sostegno poste in essere erano
  correlate alla prospettiva di un risanamento aziendale e
  all'avvio della privatizzazione della banca.  Coerentemente
  agli obiettivi indicati, sono stati adottati alcuni
  interventi, volti in primo luogo alla riduzione del costo del
  lavoro; successivamente, il controllo del Banco è stato
  acquisito, come si è già ricordato, da INA e BNL.  Inoltre, si
  è proceduto alla volontaria liquidazione dell'ISVEIMER e sono
  stati ceduti alla Società per la gestione di attività-SGA Spa,
  crediti di incerto realizzo, per un valore di 12 mila
  miliardi.  Si è poi razionalizzata la rete operativa,
  attraverso la cessione di 50 sportelli.  I diversi interventi
  cui si è fatto riferimento hanno, in effetti, consentito al
  Banco di Napoli di conseguire consistenti recuperi di
  produttività e di efficienza gestionale.  In particolare, nel
  corso dell'audizione dei responsabili del Banco è stato
  sottolineato il fatto che "la gestione strategica delle
  risorse umane" si è posta come uno degli strumenti primari per
  affrontare la competizione e che in questo contesto ha assunto
  "particolare rilievo il costo del lavoro, in quanto il
  contenimento della sua dinamica, insieme ad un impiego più
  efficiente, si configura come un vincolo imprescindibile per
  l'equilibrio economico delle aziende di credito e per la loro
  produttività".
     Per quanto concerne le altre più importanti banche
  meridionali, si può rilevare che il Banco di Sardegna presenta
  una situazione parzialmente differente; infatti, tale banca ha
  tradizionalmente conseguito buoni risultati in termini di
 
                              Pag. 23
 
  redditività, pur soffrendo di alcuni elementi di debolezza,
  fra i quali sono stati in particolare evidenziati i
  seguenti:
       a)  inadeguata diffusione della rete, al di fuori
  della Sardegna;
       b)  eccessiva dipendenza del Banco dall'andamento
  dell'economia sarda;
       c)  insufficiente livello di proventi di attività
  di gestione del risparmio rispetto alle attività più
  tradizionali;
       d)  notevole incidenza dei costi operativi sul
  margine di intermediazione;
       e)  struttura organizzativa e informatica da
  migliorare.
     Si può peraltro segnalare che, proprio recentemente, il
  Banco è stato investito da una forte conflittualità tra la
  fondazione che detiene il controllo dell'azienda bancaria e
  gli organi amministrativi di quest'ultima, in ordine alle
  prospettive di privatizzazione della banca.  La vicenda sembra
  riproporre l'esigenza di affrontare con la dovuta attenzione
  le problematiche connesse al ruolo delle fondazioni, nella
  prospettiva, già indicata dalla cosiddetta direttiva Dini,
  adottata nel novembre del 1994, e rimasta sostanzialmente
  inapplicata, ma tuttavia confermata nel disegno di legge
  attualmente all'esame del Parlamento, di una loro fuoriuscita
  dal settore creditizio.
     Quanto alla Sicilcassa, nel corso dell'audizione dei suoi
  rappresentanti è stato posto l'accento sul livello, definito
  addirittura esorbitante, dei costi del personale, derivanti in
  primo luogo dalla previsione di un regime previdenziale
  fortemente privilegiato.  La messa in liquidazione di
  Sicilcassa, con il contestuale trasferimento in blocco di
  attività e passività al Banco di Sicilia, a sua volta
  ricapitalizzato con l'intervento di Mediocredito centrale, è
  stata valutata positivamente dal Ministro del tesoro, in
  quanto l'insieme delle misure richiamate avrebbe "realizzato
  una razionalizzazione e un potenziamento del sistema
  creditizio nella prospettiva di servire meglio e con nuovi
  strumenti la clientela siciliana".  Peraltro, lo stesso
  Ministro ha prospettato l'opportunità di un ingresso nel
  capitale del Banco di un istituto di assicurazione, in modo da
  conseguire l'obiettivo di una integrazione tra attività
  bancaria e attività assicurativa, allo scopo di consentire al
  Banco la possibilità di ampliare la gamma dei servizi da
  offrire alla clientela.
     In linea generale, si può rilevare che l'adozione di
  interventi diretti al sostegno finanziano e al salvataggio di
  istituti di credito non è infrequente anche in altri paesi;
  nel corso dell'indagine, in particolare, si è fatto
  riferimento all'esperienza degli Stati Uniti, dove sono state
  spese ingenti risorse al fine di scongiurare un possibile
  "effetto domino", che avrebbe allargato progressivamente le
  dimensioni di crisi, che inizialmente riguardavano singoli
  istituti di credito, fino a mettere in discussione la
  stabilità dell'intero sistema.
     Per quanto riguarda specificamente il nostro Paese, va
  tuttavia sottolineato che la prosecuzione del processo di
  risanamento e di ristrutturazione del settore bancario, sulla
  base dei provvedimenti cui si è già fatto riferimento e delle
  ulteriori misure che sono attualmente in discussione al
  Parlamento, dovrebbe scongiurare il rischio di nuovi clamorosi
  episodi di crisi, tali da richiedere il ricorso ad interventi
  di carattere straordinario, adottati sulla base di una logica
  emergenziale.  In altri termini, l'impegno del legislatore deve
  essere quello di individuare le misure di portata generale,
  che non si riferiscano, quindi, a situazioni specifiche di
  singole banche, idonee a promuovere l'evoluzione del sistema
  bancario del nostro paese in modo da porlo in condizioni di
  competere con la concorrenza straniera e ad affrontare le
  eventuali situazioni di crisi di singoli intermediari, in una
  logica che alteri nella minore misura possibile i normali
  meccanismi di mercato.
  5.  Conclusioni.
     Dal complesso delle informazioni e delle valutazioni che
  sono state acquisite
 
                              Pag. 24
 
  nel corso dell'indagine, alle quali si è fatto riferimento
  nei paragrafi precedenti, emerge un quadro estremamente
  complesso della situazione del sistema creditizio nel
  Mezzogiorno, che, come si è già affermato, non agevola la
  definizione di considerazioni conclusive.  In particolare, non
  sembra possibile individuare una specifica causa alla quale
  attribuire la condizione di crisi pressoché generalizzata in
  cui versa il sistema bancario meridionale.  Se, infatti, per un
  verso appare indiscutibile il ritardo che contraddistingue
  quasi tutte le banche meridionali per quanto concerne il
  livello di efficienza, per l'altro non si può negare che esse
  si trovano ad operare all'interno di un sistema economico
  contrassegnato da gravi difficoltà, e in alcuni casi da una
  situazione di vero e proprio degrado.  In altri termini, se
  appare corretto denunciare le carenze, ripetutamente
  sottolineate nel corso dell'indagine da tanti operatori
  economici, per quanto concerne la qualità dei servizi resi
  dalle banche meridionali e il ritardo con il quale i
  responsabili ditali banche hanno provveduto ad avviare il
  processo di risanamento di tali aziende, non si può, tuttavia,
  fare a meno di considerare che il contesto generale in cui
  agiscono, rispettivamente, le banche del Centro-Nord e quelle
  del Mezzogiorno, è assai differente.  Ciò vuol dire che, in
  assenza di una consistente ripresa produttiva del Sud, di
  portata tale da ridurre significativamente lo scarto esistente
  fra il Mezzogiorno e il resto del paese, difficilmente le
  banche meridionali potranno avvalersi di adeguate occasioni di
  sviluppo.  In altri termini, se non possono essere trascurate
  le responsabilità dei soggetti che hanno gestito negli scorsi
  anni alcune delle banche meridionali, in particolare quelle
  per le quali si sono prodotte situazioni di vero e proprio
  dissesto, si deve considerare anche il fatto che una più
  limitata disponibilità di risparmio, e più ridotte possibilità
  di investimento, così come la notevole diffusione di fenomeni
  criminali, incidono inevitabilmente sull'attività delle banche
  riducendone le prospettive reddituali.
     Come ha affermato il Ministro del Tesoro nell'audizione
  conclusiva dell'indagine, "presupposto dello sviluppo del
  sistema produttivo meridionale è la presenza di un sistema
  creditizio e finanziario in grado di promuovere e accompagnare
  il processo di crescita".  Occorre pertanto proseguire in
  direzione del risanamento dei gruppi bancari e della
  modernizzazione del sistema creditizio e finanziario.
     In linea generale, si può infatti affermare che l'indagine
  ha confermato la necessità di rafforzare la capacità del
  nostro sistema finanziario di rispondere alle sollecitazioni
  del mercato, soprattutto nella prospettiva della
  globalizzazione e della unificazione monetaria europea.  Ciò
  presuppone che siano perseguiti gli obiettivi della
  liberalizzazione del mercato del credito, della
  ristrutturazione e della concentrazione del sistema bancario,
  e della privatizzazione degli assetti proprietari, oltre che
  dello sviluppo di strumenti alternativi al prestito bancario.
  Queste esigenze, comuni a tutto il sistema bancario del Paese,
  sono particolarmente urgenti nel Mezzogiorno.  Occorre, quindi,
  proseguire sulla strada già indicata dalla cosiddetta
  direttiva Dini e confermata dal provvedimento governativo
  attualmente all'esame del Parlamento, in materia di
  dismissione delle partecipazioni bancarie possedute dalle
  fondazioni.
     I processi di concentrazione e di razionalizzazione in
  corso non possono infatti, considerarsi conclusi; ciò vale
  soprattutto per quanto concerne la modifica degli assetti
  proprietari.  Occorre considerare, al riguardo, che, nei casi
  più recenti di crisi di banche meridionali, si è fatto ricorso
  all'intervento di banche di proprietà del Tesoro (BNL e
  Mediocredito Centrale) ovvero, per quanto concerne CARIPLO, di
  una banca il cui azionista di maggioranza relativa sarà ancora
  per molto tempo una fondazione.  A ciò deve inoltre aggiungersi
  il fatto che il Banco di Sardegna, essendo stato bocciato il
  progetto di aumento del capitale mediante il ricorso al
  mercato, resta interamente controllato dalla fondazione.
 
                              Pag. 25
 
     Relativamente alla riorganizzazione del sistema creditizio
  meridionale, occorre considerare il rischio che alcune delle
  iniziative attualmente allo studio, volte alla
  riorganizzazione del sistema creditizio mediante operazioni di
  concentrazione e di accorpamento di diverse aziende per la
  costituzione di gruppi di notevoli dimensioni, possano
  tradursi nella definitiva scomparsa di "teste finanziarie
  pensanti" nel Mezzogiorno.  Non può inoltre essere sottaciuto
  il rischio che i nuovi gruppi creditizi, guidati da banche
  aventi sede legale in altre aree del Paese, si limitino alla
  gestione del risparmio meridionale e siano relativamente
  indifferenti alla localizzazione degli impieghi, tanto più che
  già attualmente le banche meridionali si connotano per il
  fatto che soltanto il 70 per cento circa del risparmio
  raccolto viene impiegato per l'erogazione di credito a favore
  di imprese dell'area, mentre nel resto del Paese tale rapporto
  ammonta al 110 per cento.  Appare quindi opportuno richiamare
  le competenti autorità perché, nell'attuale fase transitoria,
  caratterizzata dalla presenza di una partecipazione pubblica
  ancora consistente negli assetti proprietari di alcune banche,
  le operazioni dirette alla creazione di istituti di credito di
  maggiori dimensioni non conducano alla delocalizzazione di
  tutte le direzioni generali delle banche meridionali verso il
  Centro-Nord.  In una prospettiva più ampia, occorrerà valutare
  se non sia opportuno prevedere anche il trasferimento al Sud
  di centri direzionali dei soggetti finanziari di proprietà
  pubblica quali, a titolo di esempio, Mediocredito centrale
  ovvero ITAINVEST.
     Il conseguimento di elevati livelli di efficienza richiede
  che si adottino misure efficaci per quanto concerne:
       a)  la riqualificazione professionale del personale
  dipendente, ferma restando la necessità di proseguire la
  politica di contenimento dei costi operativi e, in
  particolare, del costo del lavoro.  La quantità di risorse
  nazionali e comunitarie destinate alla formazione
  professionale è in continua crescita; occorre quindi favorire
  l'afflusso di parte di queste risorse verso un settore, quello
  dell'intermediazione finanziaria, nel quale, come si è
  verificato, i problemi di adeguatezza del capitale umano sono
  ingenti;
       b)  la adozione di tecnologie informatiche
  avanzate, essenziali per differenziare l'offerta e per
  rispondere adeguatamente ai diversi segmenti di clientela;
       c)  il miglioramento dei sistemi di verifica del
  merito del credito, per evitare sia una generale
  discriminazione delle imprese meridionali, sia il ripetersi
  delle troppo insolvenze registratesi in passato;
       d)  l'adozione di procedure operative fortemente
  innovative, che consentano di differenziare l'offerta mediante
  l'utilizzo di nuovi strumenti finanziari e forme di
  investimento più avanzate, in grado di assicurare più
  consistenti margini di ricavi.
     Contemporaneamente, si deve verificare quali iniziative si
  possano adottare per fronteggiare il problema costituito dalla
  indiscutibile maggiore "rischiosità" della clientela
  meridionale.  In sostanza, se si assume che tale rischiosità
  costituisce un dato strutturale dell'economia meridionale, va
  considerata la possibilità che si generi un circolo vizioso,
  innescato dal fatto che il maggiore rischio del credito si
  traduce in maggiori tassi di interesse, che a loro volta
  determinano più consistenti oneri finanziari per le imprese, e
  quindi maggiore rischiosità del credito.  Ciò pone il problema
  di valutare se non si debba provvedere all'individuazione di
  strumenti idonei a consentire il consolidamento dei debiti
  delle imprese meridionali in termini meno onerosi per le
  imprese stesse.  Va ricordato che, in effetti, uno strumento di
  questo tipo già esiste nel nostro ordinamento, in particolare
  in base alle disposizioni all'articolo 2 del decreto-legge n.
  244 del 1995, convertito dalla legge n. 341 del 1995, che
  prevedevano la possibilità di concedere un contributo in conto
  interessi, con parziale garanzia a carico della finanza
  pubblica.  Tale strumento, giudicato positivamente dalle
  competenti
 
                              Pag. 26
 
  autorità monetarie, non è stato tuttavia adeguatamente
  utilizzato.  Si ritiene, quindi, che il Governo debba valutare
  l'opportunità di provvedere ad un suo rifinanziamento, nonché
  ad una revisione dei relativi meccanismi operativi per
  renderli più agili.  Di analogo contenuto è l'ipotesi,
  recentemente prospettata, di provvedere alla istituzione di un
  fondo di garanzia volto ad agevolare lo smobilizzo dei crediti
  in sofferenza e allo stesso tempo, ad incentivare l'ingresso
  delle banche nel capitale delle piccole e medie imprese
  meridionali in situazioni di illiquidità reversibile e con
  gestione industriale positiva.
     L'elevato peso delle sofferenze e delle partite incagliate
  costituisce un vincolo forte al recupero di efficienza delle
  banche e alla loro capacità di svolgere una funzione
  propulsiva ai fini dello sviluppo dell'economia meridionale.
  La gestione e la riduzione dell'ingente  stock  di crediti
  in sofferenza accumulato dalle banche del Mezzogiorno vanno
  quindi affrontate al fine di prospettare soluzioni realistiche
  ed ancorate a logiche di mercato.  Preliminarmente, occorre
  ribadire la necessità di provvedere ad una modifica della
  normativa vigente in materia di procedure esecutive, al fine
  di ridurre in misura consistente i tempi di recupero dei
  crediti concessi a soggetti dimostratisi insolventi.
     La situazione attuale, infatti, per un verso incentiva i
  debitori a dichiararsi insolventi e, per l'altro, determina
  per le banche un aggravio delle spese relative al recupero dei
  crediti, traducendosi in ritardati e incerti incassi del
  valore delle garanzie collaterali.  Il provvedimento
  attualmente in discussione in Parlamento intende porre rimedio
  a questa situazione; è quindi auspicabile che esso sia
  rapidamente approvato.
     Alla medesima finalità corrisponde anche l'esigenza di
  adottare misure dirette a promuovere la costituzione e il
  rafforzamento dei CONFIDI, presenti in misura insufficiente
  nel Mezzogiorno.  Infatti, lo svolgimento dell'attività di
  prestazioni di garanzie collettive si traduce in un indubbio
  vantaggio per le imprese che se ne avvalgono, stante la
  riduzione del costo del credito che ciò comporta.  A questo
  proposito, si segnala la necessità di procedere
  tempestivamente all'approvazione del provvedimento attualmente
  all'esame del Parlamento, che contiene alcune limitate ma
  potenzialmente assai significative agevolazioni a favore dei
  confidi.
     Analogamente, merita pieno apprezzamento l'iniziativa del
  Governo di predisporre un disegno di legge in materia di
  cartolarizzazione dei crediti.  Pur avendo il provvedimento una
  portata generale, non riferendosi esclusivamente ai crediti
  delle banche meridionali, appare tuttavia evidente
  l'importanza che esso può assumere, anche alla luce di alcuni
  recenti esperienze di cessioni di crediti, quali in
  particolare quelle relative al Banco di Napoli e ad ISVEIMER.
  La previsione di alcune disposizioni a favore della cessione
  di crediti e della loro trasformazione in titoli negoziabili
  nei mercati regolamentati offre oltretutto un ulteriore
  vantaggio, consistente nell'ampliamento degli strumenti
  finanziari a disposizione dei risparmiatori, e nella
  incentivazione di nuove forme di intermediazione mobiliare, di
  cui in particolare il Mezzogiorno ha bisogno, in
  considerazione della più arretrata cultura finanziaria che lo
  contraddistingue.  D'altra parte, l'adozione di un
  provvedimento in materia di cartolarizzazione permette al
  nostro Paese di dotarsi di un mercato e di operatori
  nazionali, visto che operazioni di questo tipo sono già state
  effettuate in passato avvalendosi tuttavia di intermediari
  stranieri.
     Inoltre, si segnala l'opportunità di valutare il ricorso a
  misure dirette a incentivare l'intervento a favore delle
  piccole e medie imprese mediante la partecipazione al capitale
  dello stesse di intermediari specializzati, in particolare di
  fondi di investimento.  Si tratterebbe, in sostanza, di
  individuare modalità nuove di sostegno alle piccole e medie
  imprese che, come è emerso dall'indagine, soffrono più delle
  altre della difficoltà di accedere al credito bancario,
  soprattutto nel Mezzogiorno.
     Infine, l'indagine ha evidenziato l'esigenza di espandere
  l'offerta di servizi e di
 
                              Pag. 27
 
  strumenti diversi dal prestito bancario, stante la prevalenza
  che tuttora si registra nelle attività delle banche italiane,
  e soprattutto di quelle meridionali, dei prestiti a scapito
  dei servizi di più alta redditività e degli strumenti di
  corporate finance.  Per sviluppare il mercato dei
  capitali in termini analoghi a quelli di altri Paesi europei,
  e per dotare il Mezzogiorno di un complesso di strumenti
  finanziari innovativi e competitivi, che contribuiscano ad una
  più efficiente allocazione delle risorse, occorre in primo
  luogo che le stesse banche rafforzino la loro capacità di
  offrire servizi finanziari diversi dal prestito.
  Contemporaneamente, appare necessario che le banche di
  investimento ed altri intermediari sviluppino le attività di
  project financing,  in modo da favorire il rafforzamento
  strutturale delle imprese e l'adeguamento delle infrastrutture
  a disposizione del territorio.  A questo scopo, sembra
  indispensabile provvedere, più che allo stanziamento di
  risorse finanziarie, alla definizione di un contesto
  istituzionale adeguato.  In proposito, si segnala la funzione
  positiva che può essere svolta in particolare dai fondi chiusi
  mentre, per quanto concerne i servizi di  merchant bank,
  piuttosto che ipotizzare la creazione di organismi nuovi,
  ferma restando la necessità di consentire al mercato di
  assumere le iniziative che si riterranno opportune, occorre
  utilizzare in maniera efficace le risorse già disponibili.
  Anche in questo caso, va ribadito che, comunque, l'obiettivo
  prioritario è quello di favorire la nascita di iniziative
  imprenditoriali in grado di accedere al credito ordinario.
                                   Natale D'AMICO  (relatore
                                     per la VI Commissione)
                                Salvatore CHERCHI  (relatore
                                      per la V Commissione)
 
DATA=980729 FASCID=SMC13-383 TIPOSTA=SMC LEGISL=13 NCOMM=0506 SEDE=XX NSTA=0383 TOTPAG=0223 TOTDOC=0178 NDOC=0008 TIPDOC=P DOCTIT=0007 COMM=CR D FTX PAGINIZ=0008 RIGINIZ=006 PAGFIN=0027 RIGFIN=033 UPAG=NO PAGEIN=8 PAGEFIN=27 SORTRES=9807293 SORTDDL= FASCIDC=13SMC 00383 SORTNAV=59807290 00383 b00000 ZZSMC383 NDOC0008 TIPDOCP DOCTIT0007 NDOC0007



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