| 1. Premessa.
Le Commissioni riunite V Bilancio e VI Finanze hanno
deliberato, il 25 settembre 1996, lo svolgimento di
un'indagine conoscitiva sul sistema creditizio nel
Mezzogiorno. L'indagine era finalizzata all'acquisizione di
elementi informativi utili allo scopo di approfondire le
problematiche di seguito indicate:
a) verifica della funzionalità dell'attuale
assetto dell'intermediazione finanziaria e creditizia rispetto
alle esigenze dello sviluppo economico del Mezzogiorno, con
particolare riferimento ai rilevanti differenziali dei tassi
di interesse praticati e al diverso livello qualitativo dei
servizi finanziari offerti al Sud rispetto al resto del
Paese;
b) monitoraggio dello stato di avanzamento del
processo di riorganizzazione del sistema bancario del
Mezzogiorno, sia con riferimento alle iniziative adottate in
tema di privatizzazioni che per quanto concerne la valutazione
degli effetti delle fusioni e delle acquisizioni già
realizzate o in via di realizzazione;
c) valutazione del livello di efficienza e
produttività delle banche meridionali, tenendo conto
dell'elevato livello dei crediti in sofferenza, anche al fine
di evitare il ricorso a nuovi interventi pubblici di
salvataggio analoghi a quelli già adottati in passato. A
questo proposito, nel programma dell'indagine si segnalava
l'esigenza di scongiurare il ripetersi di situazioni di crisi
quali quella del Banco di Napoli, emersa in termini
particolarmente acuti proprio nei mesi immediatamente
precedenti la data di deliberazione dell'indagine.
Infine, veniva prospettata la necessità di valutare il
ruolo e le prospettive degli ex istituti specializzati nel
credito a medio termine e dei mediocrediti regionali alla luce
del superamento del principio della specializzazione derivante
dal testo unico bancario. Contestualmente, il programma
indicava l'opportunità di procedere ad un approfondimento
circa il ruolo che una banca d'affari meridionale potrebbe
svolgete per quanto concerne l'adozione di iniziative volte a
sostenere finanziariamente lo sviluppo economico del
Mezzogiorno.
Il programma che le Commissioni avevano definito,
indiscutibilmente assai ambizioso, toccava una serie di
problematiche di varia natura. L'ampiezza dei compiti che le
Commissioni si erano assegnati traeva origine dalla
consapevolezza della complessità delle questioni che si
intendevano affrontare, e dalla necessità di procedere ad una
ricognizione dei vari aspetti indicati che fosse
sufficientemente articolata, tale da permettere la
ricostruzione di un quadro conoscitivo pressoché completo,
avvalendosi delle esperienze degli operatori del settore e
degli organismi rappresentativi dei soggetti interessati, in
qualità di clienti, alle attività svolte dal sistema bancario.
Lo svolgimento dell'indagine avrebbe, infatti, imposto sia
l'acquisizione di dati e informazioni di carattere generale
sulle condizioni economiche del Mezzogiorno e sulle esigenze
del sistema produttivo di quell'area del Paese, che
l'approfondimento di alcuni aspetti
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concernenti specificamente il comparto creditizio. La
indiscutibile ampiezza delle tematiche oggetto dell'indagine
implicava l'effettuazione di un numero notevole di audizioni.
A questo proposito, il programma dell'indagine prevedeva che
venissero sentiti sia i rappresentanti di alcune regioni
meridionali, sia i rappresentanti delle maggiori banche
meridionali, oltre che degli istituti di credito speciale. Si
prevedevano, inoltre, le audizioni di rappresentanti delle
banche nazionali con una significativa presenza nel
Mezzogiorno, di organismi rappresentativi dell'associazionismo
nel settore, delle autorità di vigilanza e di rappresentanti
degli imprenditori dei vari settori produttivi, oltre che dei
sindacati dei lavoratori.
Lo svolgimento dell'indagine ha comportato un
considerevole impegno da parte delle Commissioni riunite;
sotto questo profilo, si può esprimere piena soddisfazione per
l'intenso lavoro effettuato, che potrà risultare estremamente
utile anche in vista di ulteriori iniziative di carattere
legislativo. Ciò deriva anche dal metodo che è stato adottato,
che ha privilegiato un approccio estremamente concreto,
evitando di affrontare le varie questioni emerse sotto un
profilo meramente teorico. In altri termini, è stato
scongiurato il rischio di svolgere il confronto con i diversi
interlocutori intervenuti sulla base di posizioni già
ampiamente note e di riprodurre tesi, in materia di sviluppo
economico nel Mezzogiorno, ormai superate. I vari soggetti
incontrati dalle Commissioni sono stati infatti sollecitati a
riferire sulle loro esperienze concrete e a esprimere giudizi
e valutazioni anche su aspetti specifici. Ciò ha consentito la
raccolta di un quadro esauriente di informazioni, spesso
corredate da utili elementi di valutazione. A questo ultimo
proposito, va segnalato che i diversi soggetti hanno proposto
interpretazioni e fornito materiali di documentazione che per
molti aspetti risultano discordanti. Ciò, peraltro, si deve
intendere come un elemento positivo, tale da far emergere una
dialettica estremamente stimolante, in quanto la varietà delle
posizioni e dei giudizi espressi conferma l'attualità del tema
trattato e il forte interesse che esso suscita in larghi
settori della società. Tuttavia, non si può fare a meno di
sottolineare che l'acquisizione di elementi informativi e di
analisi non sempre coincidenti, e qualche volta
contraddittori, ha richiesto uno sforzo aggiuntivo, in primo
luogo di elaborazione e di verifica dei dati a disposizione, e
in secondo luogo di individuazione in un'ottica propositiva e
non meramente riepilogativa delle questioni trattate, di
possibili rimedi e iniziative da promuovere. Ciò vale, in
particolare, per quegli aspetti dell'indagine che attengono al
ruolo svolto nel recente passato dalle banche meridionali per
quanto concerne il finanziamento delle attività produttive e,
più in generale, al rapporto tra banche e sistema economico
del Sud. In proposito, come si vedrà più diffusamente nel
paragrafo successivo, l'indagine ha fatto emergere
interpretazioni controverse, che evidenziano la notevole
complessità delle questioni oggetto di approfondimento, il che
induce a procedere con la necessaria cautela, evitando
l'errore di esprimere giudizi affrettati per tentare, invece,
di mettere in luce le diverse variabili che, interagendo,
hanno contribuito a determinare l'attuale condizione del
sistema creditizio del Mezzogiorno.
2. Cenni sulla situazione economica del Mezzogiorno e sul
ruolo del sistema creditizio.
Per quanto concerne gli elementi che sono stati acquisiti
in ordine alla situazione economica del Mezzogiorno, si può
rilevare che tutti i soggetti che sono intervenuti hanno
manifestato forti preoccupazioni, confermando l'impressione di
una netta prevalenza, negli ultimi anni, degli aspetti
problematici rispetto a quelli positivi, mentre sono state
espresse valutazioni differenziate circa le prospettive
future.
Ormai da circa un quinquennio perdura nel Mezzogiorno una
sostanziale
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stagnazione economica, essendosi registrato, nell'arco
temporale considerato, una crescita del PIL complessivamente
pari all'1,8 per cento, a fronte dell'8,5 per cento registrato
nel Centro-Nord. Ciò si è tradotto in una riduzione della
quota del PIL nazionale attribuibile al Mezzogiorno, passata
da poco più del 25 per cento nel 1991 a circa il 24 per cento
nello scorso anno, nonché ad una contrazione del rapporto del
PIL per abitante rispetto a quello medio del Centro-Nord. In
altri termini, dall'inizio del decennio in corso, si è
determinato un impoverimento, in termini relativi, del
Mezzogiorno rispetto al resto del Paese, particolarmente
accentuato nelle regioni più densamente popolate (Campania e
Sicilia).
Per quanto concerne le previsioni relative ai prossimi
anni, va segnalato che, a fronte di alcune stime che
prospettano il perdurare di una congiuntura scarsamente
dinamica, per cui in particolare l'aumento del PIL
continuerebbe a mantenere tassi nettamente inferiori a quelli
del Centro-Nord, non sono mancati interventi che hanno
manifestato un misurato ottimismo ed espresso aspettative
moderatamente favorevoli nei confronti delle nuove occasioni
di sviluppo che l'utilizzo di strumenti recentemente adottati
potranno offrire. A quest'ultimo proposito, in particolare, i
rappresentanti del Banco di Napoli hanno sottolineato che,
nell'ambito delle iniziative da promuovere ai fini del
rilancio delle politiche di sviluppo del Mezzogiorno, notevole
importanza possono assumere, oltre ad un più puntuale utilizzo
delle risorse relative ai fondi strutturali europei, proprio
gli strumenti di programmazione negoziata che, tra le altre
cose, offrirebbero agli istituti di credito la possibilità di
svolgere "un ruolo di banche del territorio e quindi di
fungere anche da motori dello sviluppo dell'area in cui
operano". Analoghe considerazioni sono state svolte dai
rappresentanti del Monte dei Paschi, i quali hanno segnalato
che, già a partire dal 1997, si è rafforzato il ruolo della
banca nel "veicolare verso il sistema produttivo i
finanziamenti dell'UE con particolare riferimento ai patti
territoriali".
In termini sostanzialmente positivi circa le prospettive
dell'economia meridionale si è espresso anche il Ministro del
Tesoro, che ha affermato che, dai dati a disposizione del suo
dicastero, risulterebbe che l'attività imprenditoriale nel
Mezzogiorno vivrebbe una fase di rilancio, e che si
registrerebbe un risveglio di iniziative. Inoltre, da parte di
alcuni dei soggetti che sono stati ascoltati dalle Commissioni
è stata espressa la convinzione che il processo di
unificazione monetaria a livello europeo potrebbe, se
opportunamente assecondato, rappresentare un elemento di
stimolo per l'economia meridionale, soprattutto per quanto
concerne la disponibilità di più consistenti risorse
finanziarie e la riduzione dei costi del credito. E' stato
infatti sottolineato il fatto che una più accentuata
concorrenza nella offerta di servizi finanziari e bancari e la
prevedibile conferma della tendenza in corso alla riduzione
dei tassi, per allinearsi con i livelli praticati in alcuni
paesi europei, dovrebbe favorire l'accesso al credito a
condizioni più vantaggiose.
Per quanto riguarda il ruolo che il settore creditizio
svolge nell'ambito del sistema economico meridionale, va
rilevato che i dati forniti nel corso delle audizioni
confermano un forte ampliamento del divario tra il Mezzogiorno
e il resto del paese, sia per quanto concerne l'entità dei
finanziamenti erogati sia per quanto riguarda la qualità dei
servizi resi dalle banche. A questo riguardo, appare anzi
tutto opportuno ricordare che, pur essendo aumentato in misura
rilevante, già a partire dagli anni '80, il numero degli
sportelli bancari, al Sud si registrano ancora dati molto
inferiori a quelli del resto del paese quanto alla
disponibilità di servizi bancari. Può risultare utile, in
proposito, effettuare un raffronto delle situazioni del Sud e
del Nord-ovest: ad una sostanziale parità di popolazione
residente, infatti, fa riscontro una differenza rilevantissima
quanto al numero di sportelli bancari, che nel Nord-Ovest
risulta
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più che doppio. Più in dettaglio, da alcuni dati elaborati
dal Monte dei Paschi risulterebbe che, al 30 giugno 1997, il
57,5 per cento degli sportelli era dislocato al Nord, il 19,7
per cento al Centro, il 14,8 per cento al Sud e l'8 per cento
nelle isole. Ovviamente, questi dati non devono essere
interpretati nel senso che si auspica, a condizioni economiche
invariate, un massiccio incremento degli sportelli nel
Mezzogiorno; i dati relativi alla produttività media per
sportello, in rapporto al volume delle raccolta e degli
impieghi, sembrano evidenziare, infatti, che non vi sarebbe
spazio per ulteriori ampliamenti della rete. Alla fine del
1996, al Sud la raccolta media per abitante ammontava a circa
10 milioni, mentre quella per sportello ammontava a circa 39
milioni; nello stesso anno, i dati medi nazionali si
collocavano rispettivamente a circa 18 e 38 milioni. Dal
confronto sembra emergere, più che la necessità di un
allineamento del Mezzogiorno quanto alla consistenza della
presenza bancaria, la impossibilità di rappresentare in
termini di causa ed effetto il rapporto tra debolezza del
sistema bancario e ritardo dello sviluppo economico nel Sud,
per cui quest'ultimo assumerebbe le caratteristiche di
variabile dipendente. In sostanza, il numero più basso di
sportelli esistenti al Sud si può considerare come il dato che
probabilmente meglio di ogni altro riesce a rappresentare allo
stesso tempo sia il livello più arretrato dei servizi bancari
e, conseguentemente, del settore finanziario del Mezzogiorno
sia, più in generale, il ritardo che contraddistingue l'intera
economia meridionale.
Sempre con riferimento ai profili quantitativi, si può
segnalare che la quota di credito complessivamente destinata
al Mezzogiorno si è costantemente ridotta, nel corso
dell'ultimo quinquennio, sia pure in misura contenuta.
Particolarmente vistosa risulta la contrazione, espressa in
termini relativi, del credito erogato a favore di imprese
operanti nel settore delle costruzioni, che tuttora riveste
una importanza fondamentale ed un ruolo trainante
nell'economia meridionale, molto più che nel resto del Paese.
Nell'interpretazione di coloro i quali propendono per una
lettura critica dei dati a disposizione, ciò appare
particolarmente significativo dello stato complessivamente
negativo in cui versa l'economia meridionale, e della
impossibilità di indicare prospettive favorevoli per il
prossimo futuro, in assenza di svolte radicali. La perdurante
contrazione dell'attività del settore delle costruzioni,
attribuibile anche al venir meno del flusso di consistenti
risorse connesse al finanziamento di opere pubbliche, e la
crisi del settore primario, anch'esso più importante
nell'economia meridionale che nel resto del paese,
dimostrerebbero la carenza di occasioni utili alla
realizzazione di una politica del credito che volesse
contribuire al sostegno produttivo del Sud. A titolo di
esempio, si può rilevare che i rappresentanti della CARIPLO
hanno denunciato "l'obiettiva difficoltà... ad individuare
opportunità di finanziamento di solide iniziative
imprenditoriali". Se ne potrebbe dedurre che nel Mezzogiorno,
più che un problema di credito insufficiente e comunque troppo
costoso, vi sarebbe un ambiente poco propizio a favorire una
politica delle banche più attiva. In altri termini, non si
potrebbe addebitare alle banche meridionali, di cui pure non
si intendono negare le carenze, uno stato di arretratezza, la
quale dipenderebbe in primo luogo dall'assenza di iniziative
imprenditoriali da finanziare. A conferma di questa
interpretazione, nel corso dell'indagine, più volte è stato
richiamato il dato costituito dall'insufficiente livello di
forme spontanee di associazionismo a sostegno dell'impresa,
quali in primo luogo i consorzi di garanzia collettiva fidi.
Si deve tuttavia ricordare che diversi soggetti, in
particolare le organizzazioni rappresentative del commercio e
dell'artigianato, hanno rilevato che la debolezza dei CONFIDI
nelle regioni meridionali andrebbe attribuita ad un complesso
di cause, quali la sottocapitalizzazione delle imprese e i
comportamenti del sistema bancario, e non ad una presunta
carenza di spirito di iniziativa. Le medesime organizzazioni
hanno
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inoltre segnalato che le imprese meridionali intenderebbero
promuovere la costituzione di CONFIDI ove ne avessero la
possibilità, in considerazione del positivo contributo che
tali consorzi potrebbero fornire ai fini dell'accesso al
credito, in presenza di richieste di garanzie patrimoniali da
parte del sistema bancario che le singole imprese non sono in
grado di soddisfare. Da parte di questi settori si lamenta,
inoltre, la crescente riluttanza delle banche nel concedere
finanziamenti alle imprese di piccole dimensioni quali sono
nella quasi totalità quelle artigiane e commerciali,
soprattutto al Sud.
In linea generale, dall'indagine è emerso che le imprese
produttive operanti al Sud registrano un rapporto tra debiti
finanziari e fatturato più elevato che nel resto del paese;
tale dato si può ricondurre anche al fatto che, in passato, la
disponibilità di tassi di interesse agevolati, in forza delle
politiche di sostegno a carico della finanza pubblica,
induceva le imprese meridionali a ricorrere all'indebitamento.
A ciò si devono tuttavia aggiungere altri elementi di
carattere "strutturale", quali la minore capacità di
autofinanziamento, derivante dalla insufficiente redditività,
e la scarsa propensione a ricorrere al mercato dei capitali,
derivante sia dalla notevole diffusione della cosiddetta
economia "sommersa", per cui l'andamento delle singole imprese
non risulta facilmente verificabile, sia dalla carenza di una
struttura di intermediazione mobiliare adeguata a promuovere
forme più evolute di finanziamento.
In effetti, i dati particolarmente allarmanti costituiti
dal rapporto tra le sofferenze e gli impieghi sembrano
confermare che l'economia meridionale offrirebbe più limitate
occasioni di crescita alla attività creditizia. Va peraltro
rilevato che, nel complesso del Paese, i prestiti in
sofferenza hanno subito una limitata riduzione nel corso del
1997; a fine anno, infatti, essi ammontavano a 120 mila
miliardi, pari al 9,4 per cento degli impieghi complessivi, a
fronte del 10,1 per cento dell'anno precedente. Se tuttavia a
questi dati si aggiungono i prestiti ceduti dal Banco di
Napoli alla SGA spa e quelli rimasti in capo alla Sicilcassa
in liquidazione, si registra un andamento sostanzialmente
stabile. In particolare, nel Mezzogiorno il rapporto
sofferenze/impieghi complessivi si colloca al 21,8 per cento
ovvero, se si computano anche quelli trasferiti alla società
SGA e quelli di Sicilcassa, al 25,2 per cento.
Per quanto riguarda l'individuazione delle cause alle
quali attribuire il persistente divario dei tassi attivi
praticati nelle varie aree del Paese, occorre ricordare che i
soggetti intervenuti hanno prospettato diverse
interpretazioni. In particolare, i rappresentanti degli
operatori commerciali e dell'artigianato hanno sostenuto la
tesi per cui i tassi più alti richiesti soprattutto alle
piccole imprese operanti nel Mezzogiorno non sarebbero in
realtà attribuibili al costo di approvvigionamento delle
banche, visto che in queste regioni il costo del denaro
raccolto sarebbe addirittura più basso rispetto al resto del
Paese. D'altra parte, le peggiori condizioni praticate delle
banche nei confronti della clientela meridionale, traducendosi
in un aggravio degli oneri di produzione, aumenterebbe i
rischi di insolvenza delle imprese del Sud. In sostanza, i
rappresentanti di questi settori lamentano, oltre che una
sostanziale esiguità del complesso delle risorse finanziarie a
loro disposizione (in particolare, all'artigianato del
Mezzogiorno andrebbe circa il 17 per cento dell'ammontare
complessivo dei finanziamenti destinati a tale settore, a
fronte di un numero di imprese artigiane operanti in
quell'area del Paese che ammonterebbe al 26 per cento del
totale), un trattamento discriminatorio da parte delle banche.
Nella valutazione ditali soggetti, il differenziale più
elevato tra tassi attivi e passivi nel Mezzogiorno sarebbe
quindi riconducibile essenzialmente alla inefficienza del
sistema bancario, che trasferirebbe sulle imprese, in
particolare su quelle piccole e medie, più deboli nel rapporto
contrattuale con le aziende di credito i maggiori oneri
derivanti dalle condizioni di operatività insufficienti. In
effetti, nel corso dell'indagine sono stati
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forniti significativi contributi a sostegno di questa tesi;
al riguardo, sembra opportuno segnalare in primo luogo la
ricerca elaborata dalla Banca commerciale, basata su alcuni
indicatori di bilancio di un campione di banche meridionali
raffrontato ad un campione di banche dell'intero paese.
In particolare, per quanto concerne gli indicatori di
produttività, dalla ricerca, curata sulla base di dati
aggiornati al 30 giugno 1997, risultavano i seguenti
dati:
Redditività e produttività del sistema bancario nel
Mezzogiorno.
Confronti basati su dati di bilancio al 30 giugno 1997,
espressi su base annua.
... (omissis) ...
In sostanza, per il campione individuato, il valore
aggiunto pro capite risulterebbe più basso al Sud del 24
per cento; analogamente, la produttività pro capite in
termini di impieghi è inferiore a quella media nazionale nella
misura del 18 per cento. Al riguardo, ai fini di una corretta
valutazione dei dati da ultimo richiamati, si dovrebbe
considerare anche il fatto che, in presenza di una clientela
"potenzialmente" più rischiosa, le pratiche per la concessione
di crediti richiedano al Sud un aggravio di lavoro al
personale delle banche. A quest'ultimo proposito, si può
tuttavia ricordare che, in particolare i rappresentanti della
Confcommercio hanno lamentato l'eccessiva durata dei tempi di
istruttoria per l'erogazione di finanziamenti, che non si
concilierebbero con le esigenze di operatività delle imprese
interessate. D'altra parte, la più elevata rischiosità dei
crediti erogati, e soprattutto il fatto che anche la
produttività espressa in termini di depositi risulterebbe più
bassa nella misura del 13 per cento, rafforzano l'impressione
che, in linea generale, l'organizzazione delle banche al Sud
sconta una minore efficienza. A conferma dei fondamento di
questa impressione si può citare proprio l'esperienza della
Banca commerciale nel Mezzogiorno; infatti, l'adozione di
standard organizzativi omogenei e di una stessa "cultura
aziendale" nelle diverse filiali della banca sul territorio
nazionale avrebbe consentito di ottenere al Sud una
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produttività, per quanto riguarda la raccolta, addirittura
leggermente superiore a quella del Centro-Nord, mentre i dati
relativi al risparmio gestito evidenziano, per il Mezzogiorno,
un risultato soltanto leggermente inferiore a quello delle
filiali del resto del paese. Infine, quanto alla produttività
espressa in impieghi pro capite, il dato inferiore che
si registrerebbe al Sud viene attribuito ad una domanda locale
piuttosto modesta; peraltro, l'adozione di una accorta
politica in materia di valutazione del merito di credito ha
consentito alla Banca commerciale di contenere le sofferenze
entro limiti nettamente inferiori ai valori medi delle banche
meridionali. In altri termini, l'esperienza della Banca
commerciale, che ha preferito aprire propri sportelli
piuttosto che perseguire una politica di acquisti di banche
locali, ha permesso di ottenere anche al Sud risultati
soddisfacenti.
Secondo una diversa interpretazione, sostenuta tra gli
altri dai sindacati CGIL, CISL e UIL, ferme restando le
indiscutibili inefficienze che contraddistinguerebbero il
sistema creditizio nel Mezzogiorno, e che deriverebbero in
primo luogo da una gestione fortemente condizionata da logiche
non riconducibili a quelle proprie di impresa, prevarrebbero
tuttavia, nel cattivo andamento delle banche meridionali, gli
effetti della più generale situazione di crisi dell'economia
del Sud. In altri termini, anche ipotizzando di generalizzare
l'esperienza di quelle banche che si siano distinte per una
gestione particolarmente oculata, privilegiando
nell'erogazione dei crediti la clientela più affidabile, non
si eviterebbe il problema di una complessiva carenza di
finanziamenti a favore dell'economia meridionale. In sostanza,
la causa prima della crisi del sistema creditizio meridionale
andrebbe attribuita alla fragilità dell'economia del
Mezzogiorno, cosicché si dovrebbe intervenire prioritariamente
in modo da favorire la creazione di un ambiente economico più
omogeneo con quello del resto del Paese, piuttosto che
privilegiare gli interventi diretti a incoraggiare e sostenere
le banche meridionali. Anche dai rappresentanti della Banca
commerciale sono state fornite alcune elaborazioni dalle quali
risulterebbe che il grado di rischiosità delle imprese del Sud
"pur riducendosi, in parallelo con quanto avviene per le
imprese del Centro-nord, continua a generare una probabilità
di insolvenza più che doppia rispetto a quella delle imprese
del Centro-nord". Ne consegue, a giudizio della Banca
commerciale, che "il divario sfavorevole nei tassi di
interesse... è quasi obbligato, tanto più se si considera che,
in caso di insolvenza, le procedure di recupero crediti sono
al Sud più lunghe e quindi più costose e con minore
probabilità di successo". Quello delle procedure esecutive
costituisce, in effetti, uno degli argomenti che con maggiore
insistenza sono stati riproposti nel corso delle audizioni. A
titolo di esempio, si ricorda che i rappresentanti della
CARIPLO hanno indicato nelle difficoltà e nelle farraginosità
che caratterizzano le procedure di recupero dei crediti una
delle cause più importanti della costante crescita delle
sofferenze al Sud. In particolare, veniva segnalato il caso,
non infrequente, di controversie presso organi giurisdizionali
del Mezzogiorno che si trascinano per oltre dieci anni e il
cui esito appare comunque incerto; in termini analoghi si sono
espressi anche i rappresentanti del Banco di Napoli. A questo
proposito, merita segnalare che il Parlamento sta esaminando
un provvedimento del Governo diretto ad introdurre rimedi atti
a superare i tempi eccessivamente lunghi e le difficoltà che
attualmente caratterizzano il processo di esecuzione, in primo
luogo mediante la previsione della possibilità di delegare ai
notai le operazioni inerenti la vendita con incanto di beni
immobili e di beni mobili registrati.
Dai rappresentanti delle aziende bancarie del Mezzogiorno
sono state proposte, in genere, interpretazioni più
articolate, che tentavano di individuare diverse cause
concomitanti della situazione di crisi delle banche
meridionali, la prima delle quali sicuramente attribuibile
alla crisi complessiva dell'economia del Mezzogiorno,
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aggravatasi a seguito del superamento delle politiche di
intervento straordinario che, pur non avendo prodotti i
risultati sperati, avevano comunque assicurato un flusso di
risorse in grado di sostenere imprese che altrimenti avrebbero
cessato la propria attività. E' stato altresì sottolineato che
un elemento che ha contribuito in misura certamente non
irrilevante alla persistenza del divario territoriale tra
Mezzogiorno e Centro-nord anche per quanto concerne l'entità
dei crediti erogati alle imprese, è costituito dalla
diffusione nel Mezzogiorno di fenomeni di criminalità
organizzata e dall'economia sommersa. Tutto ciò si tradurrebbe
in una più elevata rischiosità della clientela meridionale e
in un aggravio dei costi a carico delle banche locali, a cui
si accompagnano, almeno per quelle la cui attività è
territorialmente circoscritta, più limitate prospettive di
crescita e sviluppo a causa delle ridotte dimensioni
economiche della clientela. A questo riguardo, merita
segnalare che i dati forniti nel corso dell'indagine
conoscitiva dall'ACRI evidenziano il fatto che le maggiori
banche meridionali, quali in primo luogo il Banco di Napoli,
il Banco di Sicilia e la Banca Carime, di più recente
costituzione, si caratterizzano per una forte concentrazione
della loro attività nelle aree di riferimento. In particolare,
il Banco di Napoli possiede circa il 30 per cento degli
sportelli in Campania e l'80 per cento al Sud, la Banca Carime
concentra in Calabria il 34 per cento dei suoi sportelli,
mentre il Banco di Sicilia, insieme alla Sicilcassa, ha il 33
per cento degli sportelli nell'isola. Addirittura, nel caso
del Banco di Sardegna, il 55 per cento degli sportelli si
trovano nella stessa regione. Può essere utile, al riguardo,
ricordare che le altre banche nazionali di grandi dimensioni
registrano livelli di concentrazione territoriale dei propri
sportelli molto più bassi: a titolo di esempio, il Sanpaolo di
Torino ne possiede in Piemonte soltanto il 16 per cento e la
Cariplo in Lombardia l'11 per cento.
Più in generale, dai dati forniti nel corso dell'audizione
dai rappresentanti del Banco di Napoli, emerge che, mentre nel
Centro-nord hanno sede 8 banche nazionali e 14 interregionali,
al Sud ha sede una sola banca nazionale ed una interregionale.
Va peraltro rilevato che, se è vero che non è infrequente il
caso di banche di piccole dimensioni che operano
essenzialmente a livello locale e che si avvalgono del
rapporto consolidato con una clientela "affezionata" per
conseguire apprezzabili risultati in termini di redditività,
l'esperienza di quasi tutte le banche meridionali è del tutto
differente, operando esse in aree economicamente arretrate.
Resta il fatto che, pur in presenza di una tendenza
generale alla riduzione dei tassi, dai dati acquisiti nel
corso dell'indagine e dalle ulteriori informazioni fornite
dalle più recenti ricerche, viene confermata la persistenza di
un differenziale dei tassi praticati al Sud rispetto a quelli
del resto del paese. A questo proposito, risulta opportuno
evidenziare i seguenti dati:
a) nell'arco di un decennio, dal 1987 al 1997, la
media dei tassi attivi in tutta Italia è passata dal 14,14 per
cento al 9,57 per cento; nello stesso periodo, ai Centro-nord
i medesimi tassi sono passati dal 13,84 per cento al 9,35 per
cento, mentre al Sud si è passati dal 15,67 per cento
all'11,42 per cento. Ciò ha determinato, pur in presenza di un
complessivo ridimensionamento dei tassi, un allargamento della
differenza tra le due aree del paese, passata dall'1,83 per
cento al 2,07 per cento. Questi dati sembrano confermare che
vi è un margine non interamente sopprimibile di distanza nelle
condizioni di esercizio dell'attività creditizia al Sud, anche
se non appaiono sufficienti a chiarire in che misura esso
debba essere attribuito alla maggiore "rischiosità" della
clientela meridionale ovvero alla responsabilità delle banche
che operano in quest'area del paese, che scaricherebbero i
maggiori costi derivanti dal proprio più basso livello di
efficienza sulla clientela. Le esperienze della Cariplo, cui
si fa riferimento nel paragrafo successivo, e della Banca
commerciale, sotto questo profilo, non aiutano a pervenire
all'individuazione
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di un'unica causa. D'altra parte, è innegabile che le banche
che operano al Sud registrano un livello delle sofferenze
assai più elevato delle altre;
b) per quanto concerne i tassi passivi, dal 1987
al 1997, la media italiana è passata dal 7,60 per cento al
4,49 per cento ; al Centro-Nord, in particolare, si è passati
dal 7,63 al 4,51 per cento, mentre al Sud si è passati dal
7,38 al 4,40 per cento. Da questi dati esce confermata
l'affermazione di coloro i quali, in particolare i
rappresentanti delle piccole imprese commerciali e artigiane,
lamentano una discriminazione nella remunerazione, sia pure
contenuta, ai danni dei risparmiatori meridionali. Peraltro,
almeno su questo fronte, il divario sfavorevole al Sud si è
ridotto;
c) particolarmente significativi appaiono i dati
relativi ai differenziali tra tassi attivi e passivi: nel
corso del decennio considerato, infatti, in Italia si è
passati dal 6,54 per cento al 5,08 per cento; mentre al
Centro-Nord la medesima differenza è passata dal 6,21 per
cento al 4,84 per cento, al Sud lo scarto è passato dall'8,29
al 7,02 per cento. La persistenza di consistenti margini di
intermediazione al Sud potrebbe leggersi, pertanto, come uno
degli elementi che hanno concorso a disincentivare le banche
meridionali dall'assunzione di iniziative dirette alla
promozione e alla offerta di nuovi servizi, quali in primo
luogo la gestione di risparmi.
3. Il sistema creditizio italiano e quello meridionale.
La crisi del sistema bancario nel Mezzogiorno ha assunto
dimensioni particolarmente allarmanti proprio a partire dei
primi anni '90, quando si è imposta all'attenzione
dell'opinione pubblica, oltre che degli operatori del settore
e degli ambienti politici, la tematica del più generale
riassetto del settore creditizio, che evidenziava un grave
ritardo rispetto a quelli di altri paesi europei. A questo
proposito, si può ricordare che, ancora all'inizio
dell'attuale decennio, quasi tutte le maggiori banche erano
pubbliche, e che la proprietà pubblica si traduceva molto
spesso nell'adozione di logiche gestionali caratterizzate da
una scarsa efficienza, cui si aggiungevano i limiti costituiti
dalla inadeguata patrimonializzazione e dalle dimensioni
contenute, nonché dai vincoli derivanti dal regime della
specializzazione. Per quanto riguarda in particolare i
condizionamenti esercitati in passato sulle banche pubbliche,
merita segnalare quanto affermato dai rappresentanti del Banco
di Napoli e della Sicilcassa nell'audizione svoltasi il 9
settembre del 1997. Più precisamente, in quella circostanza fu
sottolineato il peso esercitato sulla gestione delle aziende
citate "dal contesto ambientale, da interferenze" e
dall'influenza di vari gruppi di pressione, rilevando che si
trattava di fattori talmente incisivi da favorire la
diffusione, nel personale, "di una cultura che privilegiava la
ricerca del referente esterno", al punto che neppure
l'adozione della forma giuridica di Spa, a seguito
dell'approvazione della legge n. 218 del 1990 (cosiddetta
legge Amato) riuscì a rappresentare un elemento di
discontinuità.
In particolare, per quanto concerne il livello di
efficienza, si può rilevare che fino agli anni più recenti non
si erano ottenuti significativi risultati sotto il profilo del
contenimento dei costi operativi e dell'aumento della
produttività, tali da recuperare lo scarto esistente rispetto
ad altri paesi europei. Gli stessi investimenti realizzati per
l'utilizzo di tecnologie più avanzate non hanno impedito che
proseguisse la tendenza alla costante crescita numerica dei
dipendenti, quando negli stessi anni in altri paesi si
registrava un andamento di segno opposto. Soltanto
recentemente le banche hanno dedicato maggiore attenzione alle
possibilità di riduzione degli oneri operativi che l'impiego
della tecnologia informatica offre, avendo dovuto stanziare
risorse particolarmente consistenti per il potenziamento
Pag. 17
e l'ammodernamento della strumentazione a disposizione, anche
in vista dell'adozione dell'euro.
Da questo punto di vista1 è da rilevare l'enfasi con la
quale il tema della evoluzione tecnologica è stato affrontato
dai rappresentanti del Banco di Napoli e del Banco di Sardegna
nell'ambito delle strategie finalizzate al rilancio delle
rispettive aziende. Per queste banche, lo sviluppo della
cosiddetta "banca elettronica" e, più in generale, della
qualità dei servizi resi alla clientela mediante l'intenso
utilizzo delle dotazioni informatiche assumerebbe carattere
prioritario, non soltanto per recuperare più elevati livelli
di efficienza, con riferimento all'impiego di altri fattori
produttivi, ma anche per corrispondere più puntualmente alle
esigenze dei diversi segmenti dell'utenza bancaria.
D'altra parte, nonostante il fatto che proprio nel corso
dell'ultimo biennio sono stati compiuti notevoli sforzi,
attualmente i bilanci delle banche italiane dimostrano
chiaramente le difficoltà che rallentano il conseguimento
dell'obiettivo di una significativa contrazione dei costi
operativi, sebbene quelli relativi al personale in particolare
abbiano subito una significativa inversione di tendenza nel
senso di una contrazione. In questa direzione si muovono anche
le intese raggiunte recentemente in sede di rinnovo
contrattuale, in base alle quali nel prossimo triennio
l'incidenza dei costi del personale sul margine di
intermediazione dovrebbe ridursi del 4 per cento circa.
Quanto al problema della insufficiente
patrimonializzazione, merita ricordare che esso si è posto in
termini particolarmente allarmanti a causa dell'aumento della
rischiosità della clientela e del conseguente incremento delle
sofferenze. A ciò deve aggiungersi la crescente difficoltà
dell'azionista pubblico di far fronte agli oneri connessi alla
ricapitalizzazione delle banche di sua proprietà.
Relativamente alle limitate dimensioni delle banche
italiane, si può segnalare che soltanto recentemente, a
seguito di alcune fusioni e operazioni di accorpamento, sembra
essersi avviata la tendenza alla costituzione di aziende di
credito di maggiore consistenza. La crescita dimensionale
delle banche italiane è da alcuni ritenuta essenziale ai fin
dell'acquisizione di una massa critica adeguata per consentire
loro di competere con la concorrenza internazionale e di
avvalersi di significative economie di scala, in modo da
rendere meno onerosa la gestione dei rischi.
Nel corso dell'indagine, a questo proposito, sono stati
forniti dati estremamente interessanti: in particolare, con
riferimento alla dimensione patrimoniale, appare significativo
il fatto che tra le 25 principali banche mondiali, alla fine
del 1996, non figuravano banche italiane, mentre vi sono
incluse ben 3 banche inglesi e 3 francesi, nonché 2 olandesi,
2 svizzere ed una tedesca. Addirittura, tra le prime 200
banche del mondo ne figurano soltanto 9 italiane. Per quanto
concerne poi le banche meridionali, é stato sottolineato che
tra le prime 50 banche italiane ne rientrano soltanto 4 che
hanno la propria sede nel Mezzogiorno, precisamente Banco di
Napoli, Banco di Sicilia, Banco di Sardegna e Carime. A questo
proposito, occorre tuttavia evidenziare che nel corso degli
anni più recenti si è consolidato nel Sud il processo di
concentrazione, per cui il numero delle banche aventi sede
legale in quest'area del paese è diminuito sia in valore
assoluto sia in percentuale sul totale delle banche operanti.
Va rilevato che tale processo si è realizzato, come si
preciserà di seguito, più che per una scelta delle banche
locali, a seguito di iniziative assunte da aziende del
Centro-Nord che hanno incorporato o acquisito il controllo di
istituti meridionali, spesso in presenza di situazioni di
crisi.
Relativamente al principio della specializzazione, che si
fondava sulla netta distinzione fra le banche operanti "a
breve", impegnate nell'esercizio del credito commerciale e gli
istituti di credito speciale, che concedevano prestiti a medio
e lungo termine, destinato al finanziamento degli
investimenti, si può ricordare che la coincidenza cronologica
fra mutui
Pag. 18
erogati e raccolta era considerata dalla legge bancaria del
1936 come la condizione essenziale per evitare l'insorgere di
crisi di liquidità delle banche. Nel corso degli anni,
tuttavia, è emerso sempre più chiaramente il fatto che la
previsione di una distinzione così netta, lungi dall'essere un
elemento di garanzia, costituiva un vincolo che limitava
fortemente le possibilità di sviluppo delle banche, sia in
termini quantitativi, vale a dire di incremento delle risorse
intermediate, che sotto il profilo della diversificazione dei
servizi prestati e delle attività svolte.
Il principio della specializzazione è stato
definitivamente abbandonato con l'entrata in vigore del testo
unico bancario, approvato con il decreto del Presidente della
repubblica n. 385 del 1993. In termini estremamente sintetici,
si può rilevare che la novità più significativa introdotta con
il testo unico consiste, appunto, nella previsione della
facoltà delle banche di esercitare, oltre all'attività di
raccolta del risparmio e a quella della dell'esercizio del
credito, "ogni altra attività finanziaria, secondo la
disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o
strumentali" si permette alle banche di raccogliere risparmio
senza limiti di importo e di durata; analogamente, si
stabilisce la possibilità delle stesse di erogare il credito
senza limiti di durata o di destinazione.
Si è in tal modo provveduto, almeno sul piano normativo, a
porre le banche nella condizione di operare come intermediari
"globali", nell'auspicio che esse vogliano avvalersi
dell'occasione offerta dal legislatore per diversificare la
loro attività. E' infatti largamente condivisa la convinzione
secondo la quale i servizi bancari tradizionali assumeranno
nei prossimi anni un ruolo decrescente, mentre dovrebbe
acquisire un rilievo maggiore la gestione del risparmio. Nella
stessa direzione dovrebbero operare anche gli effetti
dell'unificazione monetaria europea, in quanto l'atteso
allineamento dei tassi di interesse dei paesi membri nel caso
dell'Italia comporterebbe una loro consistente riduzione. Ne
consegue che il margine di intermediazione dell'attività
creditizia ordinaria risulterebbe fortemente compresso, cosa
che dovrebbe indurre le banche ad adottare iniziative
innovative nel campo dell'offerta di servizi finanziari. La
tendenza alla riduzione del margine di intermediazione va
quindi considerata come un dato strutturale e sostanzialmente
irreversibile, salvo l'insorgenza di fenomeni di grave
instabilità nei mercati finanziari, al momento
imprevedibili.
D'altra parte, i dati relativi ai bilanci delle aziende
bancarie già dimostrano chiaramente che soltanto le
commissioni relative alle gestioni patrimoniali sono in grado
di assicurare margini apprezzabili di profitto e significativi
incrementi dei ricavi; ciò, tuttavia, riguarda soprattutto le
banche che più si sono impegnate per quanto concerne la
offerta di nuovi servizi finanziari, e che sono collocate
prevalentemente nel Centro-Nord. In quest'area del paese,
infatti, si registra una costante intensificazione del
processo di diversificazione del portafoglio finanziario delle
famiglie, che si traduce, in particolare, nello sviluppo dei
fondi di investimento e delle gestioni patrimoniali. Nella
stessa area si evidenzia una maggiore attenzione da parte
delle banche, o almeno di quelle più intraprendenti, nei
confronti di alcune esigenze del sistema produttivo, mediante
l'offerta di servizi di consulenza alle imprese anche ai fini
della quotazione nei mercati regolamentati.
Le banche meridionali si muovono, invece, entro uno
scenario meno dinamico, in cui, complessivamente, il livello
della cultura finanziaria è più arretrato, come testimonia
anche la preferenza accordata dalle famiglie meridionali verso
le forme più tradizionali di investimenti.
L'audizione dell'ACRI, a questo proposito, ha consentito
alle Commissioni di acquisire utili elementi informativi; in
particolare, è stato sottolineato il fatto che i conti
economici delle Casse meridionali manifestano una dipendenza
assai forte dal margine di interesse (74,9 per cento del
margine di intermediazione contro il
Pag. 19
67,1 per cento del sistema bancario nel suo complesso) che
dimostra una netta prevalenza dell'attività ordinaria.
I rappresentanti del Banco di Napoli, a questo proposito,
hanno indicato, tra gli obiettivi cui dovrebbero ispirarsi le
iniziative da adottare per il definitivo risanamento
dell'istituto, "anche la affermazione dei nuovi strumenti
finanziari e di una nuova cultura di impresa". A tal fine si
faceva riferimento esplicito al merchant banking, alle
attività di consulenza alle imprese e al project
financing per quanto concerne il rapporto con il sistema
delle imprese, e alla offerta di prodotti differenziati -
fondi di investimento, prodotti assicurativi, gestione
personalizzata del risparmio - per quanto riguarda il rapporto
con la famiglia.
Il momento decisivo, ai fini dell'avvio del processo di
ristrutturazione del sistema bancario italiano, si deve
tuttavia far coincidere con l'approvazione della legge n. 218
del 1990 (la cosiddetta legge Amato), i cui obiettivi
principali erano costituiti dall'adozione del modello
societario da parte delle banche pubbliche e dalla crescita
dimensionale delle aziende di credito.
La modifica della forma giuridica mediante l'adozione del
modello della società per azioni era originata, in primo
luogo, dal fatto che, essendo preclusa l'acquisizione di
capitali di rischio, il rafforzamento patrimoniale delle
banche pubbliche imponeva a carico della finanza pubblica
consistenti oneri ai quali, per le ristrettezze di bilancio,
non era possibile far fronte.
Inoltre, nelle intenzioni del legislatore, la forma
societaria avrebbe assicurato alle aziende bancarie una
maggiore snellezza operativa, offrendo contemporaneamente
maggiori garanzie di trasparenza anche ai fin del controllo
sulla gestione delle aziende stesse, in considerazione della
normativa civilistica sui doveri e le responsabilità degli
organi societari.
Infine, non va dimenticato il contributo fornito alla
modernizzazione del sistema dalla eliminazione delle barriere
e delle limitazioni all'entrata nel mercato di nuove banche e
alla apertura di nuovi sportelli, derivante anche dagli
orientamenti delle autorità comunitarie, che ha determinato un
rafforzamento della concorrenza, offrendo, in particolare alle
banche più grandi che hanno adottato politiche di espansione,
nuove prospettive di crescita sulla base di precise strategie
di localizzazione. Nel Mezzogiorno, ciò si è tradotto in una
più consistente presenza di banche aventi sede in altre aree
geografiche, realizzata prevalentemente mediante ricorso ad
operazioni di incorporazione ovvero di acquisizioni di
partecipazioni, spesso di controllo, di banche locali. Merita
comunque segnalare che il 64 per cento circa dei nuovi
sportelli aperti nel Mezzogiorno nel periodo compreso tra il
1990 e il 1996 va attribuito a banche di altre aree del paese.
Le banche del Nord che si sono dimostrate più attive sul
mercato meridionale hanno infatti potuto avvalersi delle
maggiori disponibilità di mezzi, stante il fatto che, come si
è già visto, le aziende di credito meridionali continuano a
soffrire di una più bassa patrimonializzazione Il Ministro del
Tesoro, nel corso della sua audizione, ha segnalato in
particolare il contributo fornito dalle banche popolari, il
cui ingresso nella compagine azionaria di alcuni istituti di
credito del Mezzogiorno si tradurrebbe in un duplice vantaggio
in primo luogo, in quanto l'apporto di risorse finanziarie
assicurerebbe un rafforzamento patrimoniale degli istituti che
se ne avvarrebbero, e in secondo luogo per le caratteristiche
tipiche delle banche popolari, che rappresenterebbero "le
istituzioni maggiormente in grado di adattarsi allo sviluppo
della piccola e media impresa", che costituirebbe un obiettivo
prioritario per il Mezzogiorno. D'altra parte, soltanto
recentemente si è avviato un processo di parziale
privatizzazione delle banche meridionali, stante il fatto che
proprio il loro andamento economico, e in particolare la
scarsa redditività, non ne favorisce le prospettive di
collocamento sul mercato. Significativa, a questo proposito,
appare la vicenda del Banco di Napoli, il cui collocamento è
avvenuto
Pag. 20
mediante un'asta che, come ha ricordato nel corso
dell'indagine il Ministro del tesoro, "ha visto ben scarsa
partecipazione". Peraltro, una volta realizzata la prima fase
del progetto di risanamento del Banco di Napoli, a proposito
della quale sia il Ministro del tesoro sia i responsabili
dell'istituto hanno fornito dettagliate informazioni, mediante
l'acquisizione del suo controllo da parte della BNL e
dell'INA, più incerte appaiono le prospettive per quanto
concerne il futuro della banca. Il Ministro del tesoro, in
particolare, al riguardo ha affermato che l'obiettivo finale
del processo di risanamento è "la creazione di un grande
gruppo bancario e assicurativo", a tal fine auspicando che
possa proseguire il progetto di fusione con la BNL.
Fra i casi di acquisizione di banche meridionali da parte
di istituti di credito del Centro-nord, particolarmente
significativa appare l'esperienza della CARIPLO che, dopo aver
acquisito, a partire dal 1987, una partecipazione in Carical,
allo scopo di "tamponare una situazione di emergenza che si
era determinata in quella azienda e che l'aveva portata al
commissariamento" e, successivamente, il controllo della
medesima banca insieme a quello di Caripuglia e Cassa di
risparmio Salernitana, ha predisposto un progetto di fusione,
tradottosi nella costituzione di Carime, gruppo di notevoli
dimensioni nell'ambito del sistema creditizio del Mezzogiorno.
Al riguardo, nel corso dell'audizione dei rappresentanti della
CARIPLO, sono stati forniti dati puntuali per quanto concerne
il considerevole livello delle sofferenze delle banche citate
e l'alta incidenza del costo del personale, peraltro spesso
insufficientemente qualificato. Inoltre, anche alla luce
dell'esperienza maturata, i responsabili della banca hanno
espresso valutazioni preoccupate circa le prospettive di
risanamento del sistema bancario meridionale, stante
l'insoddisfacente andamento economico delle regioni del Sud, e
il dato strutturale costituito dal sovradimensionamento dei
costi operativi, in primo luogo attribuibile all'eccedenza di
personale. In effetti, l'esperienza della CARIPLO sembra
confermare l'impressione per cui le difficoltà delle banche
meridionali non si possono ricondurre esclusivamente a carenze
gestionali e ed inefficienze operative; infatti, l'adozione di
diversi criteri imprenditoriali e il ricorso a capacità
manageriali più qualificate non hanno impedito il riprodursi
di forti squilibri di bilancio e di consistenti sofferenze.
Il testo unico bancario e la cosiddetta legge Amato, cui
si è fatto riferimento in precedenza, hanno quindi segnato un
considerevole progresso della normativa in materia creditizia,
favorendo un processo di riorganizzazione e di
ristrutturazione del sistema bancario italiano che, non senza
incertezze e difficoltà, si può valutare in termini positivi.
Cionostante, è opinione largamente condivisa quella per cui il
sistema bancario italiano nel suo complesso deve ancora
compiere notevoli sforzi per allinearsi a quelli dei maggiori
concorrenti europei e per raggiungere assetti che si
dimostrino in grado di fronteggiare la competizione
internazionale in materia di servizi finanziari. In
particolare, i dati relativi alla redditività e alle
sofferenze delle banche italiane evidenziano, accanto ad
alcuni elementi certamente incoraggianti, in quanto indicativi
di una fase caratterizzata da una accentuato dinamismo,
elementi critici, che confermano la persistenza di condizioni
di fragilità. Ciò vale, in particolare, per il sistema
creditizio del Mezzogiorno che, pur avendo compiuto
significativi progressi sul piano del risanamento gestionale e
del contenimento dei costi operativi, continua a denunciare
notevoli debolezze e difficoltà che si aggiungono ai problemi
che affliggono il comparto nel suo complesso.
Appare comunque significativo del ritardo che
contraddistingue tutto il sistema creditizio italiano, salvo
alcune eccezioni, il fatto che, in generale, le banche
italiane continuano a soffrire di un basso livello di
redditività; rispetto alla media di altri paesi europei, lo
scarto è particolarmente vistoso: a fronte di Retum on
equity delle banche italiane che si colloca al di sotto
Pag. 21
dell'1 per cento, il livello delle banche francesi è infatti
pari a circa il 5 per cento, e quello delle banche tedesche
all'8 per cento. Se a ciò si aggiunge che, in considerazione
dell'andamento decrescente dei tassi di interesse,
attribuibile in parte all'avvio del processo di risanamento
finanziario e al contenimento del tasso di inflazione, in
parte alla progressiva armonizzazione con le tendenze degli
altri paesi membri dell'Unione monetaria, cui si è accennato
in precedenza, si registra una costante contrazione del
margine di intermediazione, appare evidente che un consistente
recupero di redditività, almeno per quanto concerne le
attività bancarie tradizionali, risulta estremamente
difficile. Le banche italiane si vedono quindi obbligate ad
adottare misure fortemente innovative, in primo luogo per
ridimensionare i costi operativi e per recuperare adeguati
livelli di efficienza, e in secondo luogo per orientarsi verso
attività più avanzate, in grado di assicurare più elevati
margini di redditività, quali in primo luogo quelle
consistenti nella gestione del risparmio. L'accentuazione
della concorrenza nei mercati finanziari, prima di tutto
nell'ambito dell'Unione europea, e in prospettiva anche su
scala mondiale, travolge infatti tutte le difese che, sino a
qualche anno fa, hanno consentito alle banche italiane di
scaricare il costo della propria inefficiente organizzazione
sulla clientela imponendo tassi di interesse elevati.
4. Gli interventi a sostegno delle situazioni di
crisi.
Dai dati acquisiti nel corso dell'indagine risulta
chiaramente che le aziende di credito meridionali, oltre a
soffrire, spesso in termini più accentuati, dei problemi
comuni a tutto il sistema bancario nazionale, sono gravate da
problemi specifici, che si traducono in primo luogo nella più
bassa redditività. Sulla base di alcune elaborazioni fornite
dai rappresentanti del Banco di Napoli emerge il fatto che,
fra il 1993 e il 1996, il numero di banche meridionali che
hanno chiuso l'esercizio in perdita ha oscillato tra le 6 del
1993 e le 30 del 1994; 12 banche hanno addirittura registrato
risultati negativi per più di un anno.
La pressoché generale condizione di fragilità in cui versa
larga parte del sistema bancario del Mezzogiorno ha assunto,
negli scorsi anni, aspetti particolarmente accentuati nel caso
di alcuni istituti di credito, per i quali, stante la gravità
dei problemi emersi e i rischi di rischi sistemici che talune
situazioni presentavano, si è ritenuto necessario riscorrere
ad interventi di risanamento e sostegno di carattere
"straordinario". La storia dell'ultimo ventennio registra, in
effetti, un discreto numero di salvataggi di banche in crisi,
che hanno comportato oneri non irrilevanti a carico della
finanza pubblica. L'indagine, a questo proposito, ha
consentito alle Commissioni di ripercorrere le esperienze più
significative e di acquisire elementi utili per elaborarne una
lettura critica e per valutare quali diversi strumenti si
possano adottare nel caso in cui si riproponessero situazioni
critiche della gravità di quelle verificatesi in passato.
Va peraltro considerato che gli interventi a sostegno
delle banche in crisi, in primo luogo di quelle meridionali,
consistevano per lo più nella erogazione di risorse
finalizzate alla loro ricapitalizzazione. In questo senso, si
può segnalare che, già a partire dello scorso decennio, non
sono mancati i tentativi di accompagnare allo stanziamento di
consistenti risorse a favore di banche in difficoltà,
l'adozione, da parte dei competenti organi amministrativi e
gestionali, di misure dirette al risanamento delle banche
interessate. A titolo di esempio, si può ricordare che, con la
legge n. 23 del 1981, se, per un verso, si disponeva
l'effettuazione di conferimenti al capitale e al fondo di
dotazione del Banco di Napoli, del Banco di Sicilia e del
Banco di Sardegna, per l'altro si prospettava la modifica
degli statuti ditali banche sulla base delle seguenti linee
direttive:
Pag. 22
1) rendere la gestione più aderente ai criteri di
mercato;
2) assicurare una maggiore efficienza nell'allocazione
del risparmio, mediante una struttura organizzativa che
garantisse il rispetto di criteri tecnici nella valutazione
degli elementi del rischio, nonché nella verifica dei
risultati conseguiti;
3) assicurare una più razionale distribuzione dei
poteri, distinguendo gli organi di indirizzo generale, di
sorveglianza e di gestione.
La ricostruzione della storia recente in materia di
salvataggi bancari non può non prendere le mosse dalla vicenda
delta Banca Privata italiana che condusse, nel settembre del
1974, alla adozione del cosiddetto "decreto Sindona", che
consentiva alta Banca d'Italia di concedere un prestito
agevolato, al tasso dell'1 per cento, per il ripianamento
delle perdite. Successivamente, il decreto Sindona ha trovato
applicazione con riferimento alla Banca Fabbrocini, al Banco
Ambrosiano, alla Banca Molisana e al Banco di Girgenti. Più
recentemente, vi si è fatto ricorso a favore del Banco di
Napoli, in forza delle disposizioni adottate con diversi
provvedimenti di urgenza, a partire dal decreto-legge n. 163,
emanato nel marzo del 1996. L'audizione dei rappresentanti del
medesimo Banco ha evidenziato la gravità della situazione
determinatasi nel periodo immediatamente precedente alla data
di adozione del citato decreto-legge, che si traduceva in una
ulteriore riduzione della già scarsissima capacità reddituale
per il deteriorarsi della qualità dei fidi concessi, e che
comportava "un incremento abnorme degli incagli, delle
sofferenze, delle rettifiche su crediti".
A seguito di ripetute reiterazioni, il decreto-legge n.
497 è stato convertito dalla legge n. 588 del 1996: il
complesso delle misure ivi previste a favore del Banco di
Napoli è costituito, oltre che dall'attivazione del citato
decreto Sindona, da un impegno diretto del Tesoro per la
ricapitalizzazione della banca per 2 mila miliardi. Occorre
rilevare che, per la prima volta nella storia finanziaria
dell'Italia unita, l'intervento dello Stato era esplicitamente
condizionato alla realizzazione di una celere privatizzazione
del Banco, da attuarsi, e questo è ancora più rimarchevole,
attraverso una procedura d'asta. Merita inoltre ricordare che,
di recente, la Commissione europea ha chiuso la propria
istruttoria sulla vicenda, escludendo che siano state violate
le disposizioni comunitarie in materia di aiuti di Stato
tesivi della concorrenza.
Le diverse misure di sostegno poste in essere erano
correlate alla prospettiva di un risanamento aziendale e
all'avvio della privatizzazione della banca. Coerentemente
agli obiettivi indicati, sono stati adottati alcuni
interventi, volti in primo luogo alla riduzione del costo del
lavoro; successivamente, il controllo del Banco è stato
acquisito, come si è già ricordato, da INA e BNL. Inoltre, si
è proceduto alla volontaria liquidazione dell'ISVEIMER e sono
stati ceduti alla Società per la gestione di attività-SGA Spa,
crediti di incerto realizzo, per un valore di 12 mila
miliardi. Si è poi razionalizzata la rete operativa,
attraverso la cessione di 50 sportelli. I diversi interventi
cui si è fatto riferimento hanno, in effetti, consentito al
Banco di Napoli di conseguire consistenti recuperi di
produttività e di efficienza gestionale. In particolare, nel
corso dell'audizione dei responsabili del Banco è stato
sottolineato il fatto che "la gestione strategica delle
risorse umane" si è posta come uno degli strumenti primari per
affrontare la competizione e che in questo contesto ha assunto
"particolare rilievo il costo del lavoro, in quanto il
contenimento della sua dinamica, insieme ad un impiego più
efficiente, si configura come un vincolo imprescindibile per
l'equilibrio economico delle aziende di credito e per la loro
produttività".
Per quanto concerne le altre più importanti banche
meridionali, si può rilevare che il Banco di Sardegna presenta
una situazione parzialmente differente; infatti, tale banca ha
tradizionalmente conseguito buoni risultati in termini di
Pag. 23
redditività, pur soffrendo di alcuni elementi di debolezza,
fra i quali sono stati in particolare evidenziati i
seguenti:
a) inadeguata diffusione della rete, al di fuori
della Sardegna;
b) eccessiva dipendenza del Banco dall'andamento
dell'economia sarda;
c) insufficiente livello di proventi di attività
di gestione del risparmio rispetto alle attività più
tradizionali;
d) notevole incidenza dei costi operativi sul
margine di intermediazione;
e) struttura organizzativa e informatica da
migliorare.
Si può peraltro segnalare che, proprio recentemente, il
Banco è stato investito da una forte conflittualità tra la
fondazione che detiene il controllo dell'azienda bancaria e
gli organi amministrativi di quest'ultima, in ordine alle
prospettive di privatizzazione della banca. La vicenda sembra
riproporre l'esigenza di affrontare con la dovuta attenzione
le problematiche connesse al ruolo delle fondazioni, nella
prospettiva, già indicata dalla cosiddetta direttiva Dini,
adottata nel novembre del 1994, e rimasta sostanzialmente
inapplicata, ma tuttavia confermata nel disegno di legge
attualmente all'esame del Parlamento, di una loro fuoriuscita
dal settore creditizio.
Quanto alla Sicilcassa, nel corso dell'audizione dei suoi
rappresentanti è stato posto l'accento sul livello, definito
addirittura esorbitante, dei costi del personale, derivanti in
primo luogo dalla previsione di un regime previdenziale
fortemente privilegiato. La messa in liquidazione di
Sicilcassa, con il contestuale trasferimento in blocco di
attività e passività al Banco di Sicilia, a sua volta
ricapitalizzato con l'intervento di Mediocredito centrale, è
stata valutata positivamente dal Ministro del tesoro, in
quanto l'insieme delle misure richiamate avrebbe "realizzato
una razionalizzazione e un potenziamento del sistema
creditizio nella prospettiva di servire meglio e con nuovi
strumenti la clientela siciliana". Peraltro, lo stesso
Ministro ha prospettato l'opportunità di un ingresso nel
capitale del Banco di un istituto di assicurazione, in modo da
conseguire l'obiettivo di una integrazione tra attività
bancaria e attività assicurativa, allo scopo di consentire al
Banco la possibilità di ampliare la gamma dei servizi da
offrire alla clientela.
In linea generale, si può rilevare che l'adozione di
interventi diretti al sostegno finanziano e al salvataggio di
istituti di credito non è infrequente anche in altri paesi;
nel corso dell'indagine, in particolare, si è fatto
riferimento all'esperienza degli Stati Uniti, dove sono state
spese ingenti risorse al fine di scongiurare un possibile
"effetto domino", che avrebbe allargato progressivamente le
dimensioni di crisi, che inizialmente riguardavano singoli
istituti di credito, fino a mettere in discussione la
stabilità dell'intero sistema.
Per quanto riguarda specificamente il nostro Paese, va
tuttavia sottolineato che la prosecuzione del processo di
risanamento e di ristrutturazione del settore bancario, sulla
base dei provvedimenti cui si è già fatto riferimento e delle
ulteriori misure che sono attualmente in discussione al
Parlamento, dovrebbe scongiurare il rischio di nuovi clamorosi
episodi di crisi, tali da richiedere il ricorso ad interventi
di carattere straordinario, adottati sulla base di una logica
emergenziale. In altri termini, l'impegno del legislatore deve
essere quello di individuare le misure di portata generale,
che non si riferiscano, quindi, a situazioni specifiche di
singole banche, idonee a promuovere l'evoluzione del sistema
bancario del nostro paese in modo da porlo in condizioni di
competere con la concorrenza straniera e ad affrontare le
eventuali situazioni di crisi di singoli intermediari, in una
logica che alteri nella minore misura possibile i normali
meccanismi di mercato.
5. Conclusioni.
Dal complesso delle informazioni e delle valutazioni che
sono state acquisite
Pag. 24
nel corso dell'indagine, alle quali si è fatto riferimento
nei paragrafi precedenti, emerge un quadro estremamente
complesso della situazione del sistema creditizio nel
Mezzogiorno, che, come si è già affermato, non agevola la
definizione di considerazioni conclusive. In particolare, non
sembra possibile individuare una specifica causa alla quale
attribuire la condizione di crisi pressoché generalizzata in
cui versa il sistema bancario meridionale. Se, infatti, per un
verso appare indiscutibile il ritardo che contraddistingue
quasi tutte le banche meridionali per quanto concerne il
livello di efficienza, per l'altro non si può negare che esse
si trovano ad operare all'interno di un sistema economico
contrassegnato da gravi difficoltà, e in alcuni casi da una
situazione di vero e proprio degrado. In altri termini, se
appare corretto denunciare le carenze, ripetutamente
sottolineate nel corso dell'indagine da tanti operatori
economici, per quanto concerne la qualità dei servizi resi
dalle banche meridionali e il ritardo con il quale i
responsabili ditali banche hanno provveduto ad avviare il
processo di risanamento di tali aziende, non si può, tuttavia,
fare a meno di considerare che il contesto generale in cui
agiscono, rispettivamente, le banche del Centro-Nord e quelle
del Mezzogiorno, è assai differente. Ciò vuol dire che, in
assenza di una consistente ripresa produttiva del Sud, di
portata tale da ridurre significativamente lo scarto esistente
fra il Mezzogiorno e il resto del paese, difficilmente le
banche meridionali potranno avvalersi di adeguate occasioni di
sviluppo. In altri termini, se non possono essere trascurate
le responsabilità dei soggetti che hanno gestito negli scorsi
anni alcune delle banche meridionali, in particolare quelle
per le quali si sono prodotte situazioni di vero e proprio
dissesto, si deve considerare anche il fatto che una più
limitata disponibilità di risparmio, e più ridotte possibilità
di investimento, così come la notevole diffusione di fenomeni
criminali, incidono inevitabilmente sull'attività delle banche
riducendone le prospettive reddituali.
Come ha affermato il Ministro del Tesoro nell'audizione
conclusiva dell'indagine, "presupposto dello sviluppo del
sistema produttivo meridionale è la presenza di un sistema
creditizio e finanziario in grado di promuovere e accompagnare
il processo di crescita". Occorre pertanto proseguire in
direzione del risanamento dei gruppi bancari e della
modernizzazione del sistema creditizio e finanziario.
In linea generale, si può infatti affermare che l'indagine
ha confermato la necessità di rafforzare la capacità del
nostro sistema finanziario di rispondere alle sollecitazioni
del mercato, soprattutto nella prospettiva della
globalizzazione e della unificazione monetaria europea. Ciò
presuppone che siano perseguiti gli obiettivi della
liberalizzazione del mercato del credito, della
ristrutturazione e della concentrazione del sistema bancario,
e della privatizzazione degli assetti proprietari, oltre che
dello sviluppo di strumenti alternativi al prestito bancario.
Queste esigenze, comuni a tutto il sistema bancario del Paese,
sono particolarmente urgenti nel Mezzogiorno. Occorre, quindi,
proseguire sulla strada già indicata dalla cosiddetta
direttiva Dini e confermata dal provvedimento governativo
attualmente all'esame del Parlamento, in materia di
dismissione delle partecipazioni bancarie possedute dalle
fondazioni.
I processi di concentrazione e di razionalizzazione in
corso non possono infatti, considerarsi conclusi; ciò vale
soprattutto per quanto concerne la modifica degli assetti
proprietari. Occorre considerare, al riguardo, che, nei casi
più recenti di crisi di banche meridionali, si è fatto ricorso
all'intervento di banche di proprietà del Tesoro (BNL e
Mediocredito Centrale) ovvero, per quanto concerne CARIPLO, di
una banca il cui azionista di maggioranza relativa sarà ancora
per molto tempo una fondazione. A ciò deve inoltre aggiungersi
il fatto che il Banco di Sardegna, essendo stato bocciato il
progetto di aumento del capitale mediante il ricorso al
mercato, resta interamente controllato dalla fondazione.
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Relativamente alla riorganizzazione del sistema creditizio
meridionale, occorre considerare il rischio che alcune delle
iniziative attualmente allo studio, volte alla
riorganizzazione del sistema creditizio mediante operazioni di
concentrazione e di accorpamento di diverse aziende per la
costituzione di gruppi di notevoli dimensioni, possano
tradursi nella definitiva scomparsa di "teste finanziarie
pensanti" nel Mezzogiorno. Non può inoltre essere sottaciuto
il rischio che i nuovi gruppi creditizi, guidati da banche
aventi sede legale in altre aree del Paese, si limitino alla
gestione del risparmio meridionale e siano relativamente
indifferenti alla localizzazione degli impieghi, tanto più che
già attualmente le banche meridionali si connotano per il
fatto che soltanto il 70 per cento circa del risparmio
raccolto viene impiegato per l'erogazione di credito a favore
di imprese dell'area, mentre nel resto del Paese tale rapporto
ammonta al 110 per cento. Appare quindi opportuno richiamare
le competenti autorità perché, nell'attuale fase transitoria,
caratterizzata dalla presenza di una partecipazione pubblica
ancora consistente negli assetti proprietari di alcune banche,
le operazioni dirette alla creazione di istituti di credito di
maggiori dimensioni non conducano alla delocalizzazione di
tutte le direzioni generali delle banche meridionali verso il
Centro-Nord. In una prospettiva più ampia, occorrerà valutare
se non sia opportuno prevedere anche il trasferimento al Sud
di centri direzionali dei soggetti finanziari di proprietà
pubblica quali, a titolo di esempio, Mediocredito centrale
ovvero ITAINVEST.
Il conseguimento di elevati livelli di efficienza richiede
che si adottino misure efficaci per quanto concerne:
a) la riqualificazione professionale del personale
dipendente, ferma restando la necessità di proseguire la
politica di contenimento dei costi operativi e, in
particolare, del costo del lavoro. La quantità di risorse
nazionali e comunitarie destinate alla formazione
professionale è in continua crescita; occorre quindi favorire
l'afflusso di parte di queste risorse verso un settore, quello
dell'intermediazione finanziaria, nel quale, come si è
verificato, i problemi di adeguatezza del capitale umano sono
ingenti;
b) la adozione di tecnologie informatiche
avanzate, essenziali per differenziare l'offerta e per
rispondere adeguatamente ai diversi segmenti di clientela;
c) il miglioramento dei sistemi di verifica del
merito del credito, per evitare sia una generale
discriminazione delle imprese meridionali, sia il ripetersi
delle troppo insolvenze registratesi in passato;
d) l'adozione di procedure operative fortemente
innovative, che consentano di differenziare l'offerta mediante
l'utilizzo di nuovi strumenti finanziari e forme di
investimento più avanzate, in grado di assicurare più
consistenti margini di ricavi.
Contemporaneamente, si deve verificare quali iniziative si
possano adottare per fronteggiare il problema costituito dalla
indiscutibile maggiore "rischiosità" della clientela
meridionale. In sostanza, se si assume che tale rischiosità
costituisce un dato strutturale dell'economia meridionale, va
considerata la possibilità che si generi un circolo vizioso,
innescato dal fatto che il maggiore rischio del credito si
traduce in maggiori tassi di interesse, che a loro volta
determinano più consistenti oneri finanziari per le imprese, e
quindi maggiore rischiosità del credito. Ciò pone il problema
di valutare se non si debba provvedere all'individuazione di
strumenti idonei a consentire il consolidamento dei debiti
delle imprese meridionali in termini meno onerosi per le
imprese stesse. Va ricordato che, in effetti, uno strumento di
questo tipo già esiste nel nostro ordinamento, in particolare
in base alle disposizioni all'articolo 2 del decreto-legge n.
244 del 1995, convertito dalla legge n. 341 del 1995, che
prevedevano la possibilità di concedere un contributo in conto
interessi, con parziale garanzia a carico della finanza
pubblica. Tale strumento, giudicato positivamente dalle
competenti
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autorità monetarie, non è stato tuttavia adeguatamente
utilizzato. Si ritiene, quindi, che il Governo debba valutare
l'opportunità di provvedere ad un suo rifinanziamento, nonché
ad una revisione dei relativi meccanismi operativi per
renderli più agili. Di analogo contenuto è l'ipotesi,
recentemente prospettata, di provvedere alla istituzione di un
fondo di garanzia volto ad agevolare lo smobilizzo dei crediti
in sofferenza e allo stesso tempo, ad incentivare l'ingresso
delle banche nel capitale delle piccole e medie imprese
meridionali in situazioni di illiquidità reversibile e con
gestione industriale positiva.
L'elevato peso delle sofferenze e delle partite incagliate
costituisce un vincolo forte al recupero di efficienza delle
banche e alla loro capacità di svolgere una funzione
propulsiva ai fini dello sviluppo dell'economia meridionale.
La gestione e la riduzione dell'ingente stock di crediti
in sofferenza accumulato dalle banche del Mezzogiorno vanno
quindi affrontate al fine di prospettare soluzioni realistiche
ed ancorate a logiche di mercato. Preliminarmente, occorre
ribadire la necessità di provvedere ad una modifica della
normativa vigente in materia di procedure esecutive, al fine
di ridurre in misura consistente i tempi di recupero dei
crediti concessi a soggetti dimostratisi insolventi.
La situazione attuale, infatti, per un verso incentiva i
debitori a dichiararsi insolventi e, per l'altro, determina
per le banche un aggravio delle spese relative al recupero dei
crediti, traducendosi in ritardati e incerti incassi del
valore delle garanzie collaterali. Il provvedimento
attualmente in discussione in Parlamento intende porre rimedio
a questa situazione; è quindi auspicabile che esso sia
rapidamente approvato.
Alla medesima finalità corrisponde anche l'esigenza di
adottare misure dirette a promuovere la costituzione e il
rafforzamento dei CONFIDI, presenti in misura insufficiente
nel Mezzogiorno. Infatti, lo svolgimento dell'attività di
prestazioni di garanzie collettive si traduce in un indubbio
vantaggio per le imprese che se ne avvalgono, stante la
riduzione del costo del credito che ciò comporta. A questo
proposito, si segnala la necessità di procedere
tempestivamente all'approvazione del provvedimento attualmente
all'esame del Parlamento, che contiene alcune limitate ma
potenzialmente assai significative agevolazioni a favore dei
confidi.
Analogamente, merita pieno apprezzamento l'iniziativa del
Governo di predisporre un disegno di legge in materia di
cartolarizzazione dei crediti. Pur avendo il provvedimento una
portata generale, non riferendosi esclusivamente ai crediti
delle banche meridionali, appare tuttavia evidente
l'importanza che esso può assumere, anche alla luce di alcuni
recenti esperienze di cessioni di crediti, quali in
particolare quelle relative al Banco di Napoli e ad ISVEIMER.
La previsione di alcune disposizioni a favore della cessione
di crediti e della loro trasformazione in titoli negoziabili
nei mercati regolamentati offre oltretutto un ulteriore
vantaggio, consistente nell'ampliamento degli strumenti
finanziari a disposizione dei risparmiatori, e nella
incentivazione di nuove forme di intermediazione mobiliare, di
cui in particolare il Mezzogiorno ha bisogno, in
considerazione della più arretrata cultura finanziaria che lo
contraddistingue. D'altra parte, l'adozione di un
provvedimento in materia di cartolarizzazione permette al
nostro Paese di dotarsi di un mercato e di operatori
nazionali, visto che operazioni di questo tipo sono già state
effettuate in passato avvalendosi tuttavia di intermediari
stranieri.
Inoltre, si segnala l'opportunità di valutare il ricorso a
misure dirette a incentivare l'intervento a favore delle
piccole e medie imprese mediante la partecipazione al capitale
dello stesse di intermediari specializzati, in particolare di
fondi di investimento. Si tratterebbe, in sostanza, di
individuare modalità nuove di sostegno alle piccole e medie
imprese che, come è emerso dall'indagine, soffrono più delle
altre della difficoltà di accedere al credito bancario,
soprattutto nel Mezzogiorno.
Infine, l'indagine ha evidenziato l'esigenza di espandere
l'offerta di servizi e di
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strumenti diversi dal prestito bancario, stante la prevalenza
che tuttora si registra nelle attività delle banche italiane,
e soprattutto di quelle meridionali, dei prestiti a scapito
dei servizi di più alta redditività e degli strumenti di
corporate finance. Per sviluppare il mercato dei
capitali in termini analoghi a quelli di altri Paesi europei,
e per dotare il Mezzogiorno di un complesso di strumenti
finanziari innovativi e competitivi, che contribuiscano ad una
più efficiente allocazione delle risorse, occorre in primo
luogo che le stesse banche rafforzino la loro capacità di
offrire servizi finanziari diversi dal prestito.
Contemporaneamente, appare necessario che le banche di
investimento ed altri intermediari sviluppino le attività di
project financing, in modo da favorire il rafforzamento
strutturale delle imprese e l'adeguamento delle infrastrutture
a disposizione del territorio. A questo scopo, sembra
indispensabile provvedere, più che allo stanziamento di
risorse finanziarie, alla definizione di un contesto
istituzionale adeguato. In proposito, si segnala la funzione
positiva che può essere svolta in particolare dai fondi chiusi
mentre, per quanto concerne i servizi di merchant bank,
piuttosto che ipotizzare la creazione di organismi nuovi,
ferma restando la necessità di consentire al mercato di
assumere le iniziative che si riterranno opportune, occorre
utilizzare in maniera efficace le risorse già disponibili.
Anche in questo caso, va ribadito che, comunque, l'obiettivo
prioritario è quello di favorire la nascita di iniziative
imprenditoriali in grado di accedere al credito ordinario.
Natale D'AMICO (relatore
per la VI Commissione)
Salvatore CHERCHI (relatore
per la V Commissione)
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