| UMBERTO RANIERI, Sottosegretario di Stato per gli
affari esteri. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con
l'accoglimento anche da parte dell'Eritrea, alla fine dello
scorso mese, delle proposte dell'organizzazione per l'unità
africana che l'Etiopia aveva già accettato nel novembre
scorso, dovrebbe essersi aperta una nuova fase in vista
dell'auspicata soluzione del conflitto tra i due paesi pur
persistendo ostacoli alla concreta attuazione delle proposte e
pur in presenza di una ripresa di ostilità su tanti punti del
fronte.
Per favorire tale soluzione l'Italia è stata in costante
contatto con le parti, con il segretario generale
dell'organizzazione per l'unità africana, con gli Stati Uniti
e nell'ambito della PESC con i partner europei. Nel giugno
scorso, insieme agli americani, l'Italia aveva favorito una
moratoria degli attacchi aerei ed aveva anche contribuito ad
una tregua di fatto durata fino allo scorso febbraio. Subito
dopo la comunicazione del presidente eritreo al consiglio di
sicurezza delle Nazioni unite relativa all'accettazione del
piano di pace dell'organizzazione panafricana il Governo ha
rivolto un appello per l'immediata cessazione di tutti i
combattimenti e per l'attuazione delle proposte stesse che
prevedono il ripristino, sul terreno, della situazione
anteriore al 6 maggio 1998 allorché iniziarono le ostilità, il
ridispiegamento delle forze e la smilitarizzazione lungo tutto
il confine con il controllo e la presenza militare
internazionale e poi la delimitazione e la demarcazione del
confine stesso dal Sudan a Gibuti sulla base dei trattati
italo-etiopici dell'inizio del secolo.
L'attesa comunicazione eritrea caldeggiata dalla missione
favorita dall'Italia della troika europea e
precedentemente nell'incontro svoltosi a Roma a fine gennaio
tra il ministro Dini e il presidente eritreo è intervenuta a
fine febbraio dopo la ripresa del conflitto da parte etiopica
dell'area contestata di Badme e quindi dopo il ripristino,
purtroppo avvenuto con la forza, dello status quo ante
in quella zona. Questo recupero era posto da Addis Abeba
come condizione per l'attuazione degli altri elementi
contenuti nella proposta dell'organizzazione panafricana. Ora
l'Etiopia, che sostiene di agire soltanto per riparare gli
effetti dell'aggressione subita, chiede il ritiro delle forze
eritree anche dalle altre zone da queste occupate dopo il 6
maggio, sostenendo che fino a quando ciò non sarà avvenuto e
fino a quando da parte di Asmara non ci sarà accettazione
delle proposte è da intendersi soltanto il comportamento
dell'Etiopia un espediente tattico per guadagnare tempo.
Nei contatti che abbiamo avuto con le due capitali e con
tutti coloro che possono, insieme a noi, dare un contributo,
abbiamo cercato di favorire l'avvio quanto prima della fase
attuativa del piano dell'organizzazione per l'unità africana e
l'assunzione di impegni precisi sulla cessazione del
conflitto, anche individuando e rendendo credibili garanzie
tali da indurre le parti a rinunciare all'illusione di poter
risolvere il contenzioso con la forza. Un embargo delle
forniture di materiale d'armamento sta intanto per essere
adottato dall'Unione europea che già applica il codice di
condotta di carattere generale riguardante i paesi in
guerra.
E' essenziale ora l'aspetto delle garanzie, considerata la
profonda sfiducia sviluppatasi tra i gruppi dirigenti tra i
due paesi un tempo stretti alleati e ora impegnati in un
conflitto assurdo per affermare da posizioni di forza
interessi economici, politici e di sicurezza con effetti
destabilizzanti e
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disastrosi per l'intera regione. Occorre convincere le parti
che la guerra non potrà comunque avere vincitori totali, che i
danni saranno comunque incalcolabili e che la comunità
internazionale sosterrà quanto occorre per consentire ai
contendenti di realizzare in condizioni di sicurezza il
disimpegno militare che è loro richiesto. In tale ambito, sarà
importante il ruolo della forza di monitoraggio africana
prevista dalle proposte dell'Organizzazione per l'unità
africana, cui dovrà andare un forte sostegno esterno.
Un aspetto cruciale dell'intera vicenda riguarda il
dispiegamento di tale forza lungo tutta l'area di confine da
smilitarizzare. Fino a quando non vi sarà la garanzia che tale
dispiegamento possa avere luogo in tempi ragionevoli, la
totale sfiducia reciproca sembra indurre le due parti a
ritenere di potersi garantire soltanto attraverso il proprio
rafforzamento sul terreno e quindi tramite la prosecuzione
delle ostilità. La costituzione e la dislocazione di una forza
africana richiede naturalmente un impegno adeguato della
comunità internazionale. Sulla base delle necessarie decisioni
del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, occorrerà
provvedere al trasporto delle truppe dei paesi africani che
saranno individuati, al loro finanziamento, al loro appoggio
logistico e organizzativo. Si tratterà di uno sforzo
importante, cui l'Italia intende contribuire, considerato che
altri contesti o proposte negoziali non sono da cercare al di
fuori dell'Organizzazione per l'unità africana sostenuta dalle
Nazioni Unite. E' questo il contributo concreto da predisporre
in questa fase, assieme a quello collegato del sostegno alle
attività di delimitazione del confine, per favorire
l'attuazione del piano di pace e la soluzione del conflitto.
Il nostro paese è impegnato in questa direzione.
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