| UMBERTO RANIERI, Sottosegretario di Stato per gli
affari esteri. Come è stato sottolineato dal ministro degli
esteri Dini nel corso del suo intervento alla Commissione
esteri della Camera del dicembre scorso, l'Italia, in
particolare dopo l'attacco militare anglo-statunitense del
16-19 dicembre 1998, si è adoperata attivamente, sia nei
contatti bilaterali tra le parti sia nel contesto dell'Unione
europea, per ricondurre la questione irachena nell'ambito
dell'iniziativa diplomatica, della ricerca del negoziato.
Non c'è difatti dubbio che occorra continuare a mantenere
intatta la pressione della comunità internazionale nei
confronti del regime iracheno.
Il possibile possesso da parte del regime di Saddam
Hussein di letali armi di distruzione di massa costituisce,
infatti, una grave minaccia per gli equilibri della regione
medio-orientale e per la sicurezza della stessa, nonché di
altre aree. E'
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indispensabile, quindi, che la comunità internazionale e le
Nazioni Unite esercitino la dovuta pressione e mantengano il
controllo sulla situazione. In tale direzione è necessario
proseguire il lavoro per sviluppare adeguate iniziative.
Le indubbie responsabilità dell'Iraq non attenuano,
tuttavia, le preoccupazioni del Governo italiano, e non solo
di quest'ultimo, che è alquanto scettico circa la funzionalità
dell'uso della forza per risolvere la questione irachena. Non
intende, pertanto, restare indifferente di fronte alle
sofferenze della popolazione civile di quel paese, dopo otto
anni di sanzioni, e alle ripercussioni che una nuova
drammatizzazione della crisi determinerebbe sui rapporti tra
l'Occidente ed il mondo arabo, nonché alle conseguenze
negative che essa potrebbe avere sullo stesso processo di pace
in Medio-Oriente.
Il Governo italiano è convinto che la crisi debba essere
al più presto riportata nell'alveo negoziale, in primo luogo
nel contesto delle Nazioni Unite, intraprendendo tutte quelle
azioni politiche volte a far comprendere all'Iraq che l'unico
modo per uscire dall'isolamento che si è autoimposto, nel
quale di fatto si è "cacciato" con i suoi inaccettabili
comportamenti, nonché per porre le basi al fine di togliere le
sanzioni internazionali, è la collaborazione piena con la
comunità internazionale nell'azione intesa a fugare ogni
dubbio sul suo potenziale militare. Ciò significa consentire
che tutte le ispezioni da parte di rappresentanti delle
Nazioni Unite possano appurare l'esistenza o meno di depositi
di armi di distruzione di massa.
In tale contesto, la recente decisione del Consiglio di
sicurezza di istituire tre gruppi di lavoro - disarmo,
questioni umanitarie e prigionieri kuwaitiani - incaricati di
esaminare la complessa situazione, proponendo misure volte ad
una sua positiva evoluzione, rappresenta un passo nella giusta
direzione, anche se le critiche mosse a tale piano di azione
da parte irachena ci dimostrano che la strada è ancora lunga e
difficile.
Nel contempo, appare necessario rafforzare il meccanismo
di assistenza umanitaria a favore del popolo iracheno, che
paga il prezzo più elevato alla politica del regime, anche
attraverso l'individuazione di nuove iniziative
internazionali.
In tale contesto l'Italia si è fatta promotrice, in seno
all'Unione europea, di un'azione di sensibilizzazione al
riguardo, che ha portato alla decisione assunta dai ministri
degli esteri dell'Unione europea, in occasione del Consiglio
affari generali del 22 gennaio, di aumentare il livello di
aiuti comunitari alla popolazione civile irachena, anche se,
come è noto, sono le stesse autorità di Bagdad che fino ad ora
si sono opposte ad una ripresa degli aiuti umanitari,
impedendo la visita nel paese di esperti europei del
settore.
In sostanza, il senso dell'iniziativa italiana è volto, da
un lato, a mantenere le necessarie pressioni sulle autorità
irachene, affinché sia scongiurato il rischio che esse
accumulino armi di distruzione di massa, dall'altro ad
incanalare la crisi nell'ambito delle Nazioni Unite, affinché
in quella sede possa essere trovata una soluzione a questa
vicenda drammatica le cui vittime, senza dubbio, sono le
popolazioni civili dell'Iraq.
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