| ANTONIO BORROMETI, Relatore. Con riferimento alla
seconda ipotesi di reato, il capo di imputazione riferito a
tutti i deputati indagati, così recita: "perché, in concorso
morale e materiale tra di loro e con altre persone non
identificate, rafforzando ciascuno di essi il proposito
criminoso degli altri e creando le condizioni materiali per la
commissione del reato, oltraggiavano gli operanti della
Polizia di Stato, nel corso della perquisizione di cui al capo
A), inveendo contro di loro con le espressioni: "fascisti",
"mafiosi", "Pinochet", con l'aggravante di aver recato le
offese alla presenza di più persone".
Nel procedimento in questione è già intervenuta sentenza
di primo grado, pronunciata dalla pretura di Milano, che ha
condannato il deputato Bossi alla pena di
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sette mesi di reclusione e i deputati Martinelli, Caparini,
Maroni, Calderoli e Borghezio alla pena di otto mesi di
reclusione ciascuno, con il beneficio della sospensione
condizionale della pena per tutti gli imputati, nonché, fatta
eccezione per l'onorevole Bossi, con il beneficio della non
menzione.
La Giunta ha esaminato la questione nel corso di varie
sedute.
Nel corso della seduta del 29 luglio 1998 la Giunta ha
proceduto all'audizione dell'onorevole Calderoli richiedendo
l'acquisizione della sentenza della pretura di Milano. Il
collega Calderoli ha messo in primo luogo in evidenza la
sostanziale illegittimità della perquisizione svolta dalla
polizia presso la sede della lega, in quanto essa, traendo
spunto da indagini nei confronti di un esponente della lega
stessa, il signor Corinto Marchini, si era risolta, di fatto,
in un'attività invasiva nei confronti dell'intero partito,
anche tenendo conto della presenza di numerosi giornalisti e
cameramen, pronti a riferire sull'evento, il che aveva dato
luogo ad una ferma protesta di carattere simbolico da parte di
tutti i militanti, con in testa ovviamente i parlamentari.
Nel corso della discussione della questione presso la
Giunta, svoltasi prevalentemente nella seduta del 4 novembre
scorso, la valutazione del caso è stata distinta fin
dall'inizio con riferimento ai due capi di imputazione.
Per quanto attiene al primo, una parte largamente
prevalente della Giunta ha ritenuto che un'ipotesi di reato di
violenza, quale la resistenza a pubblico ufficiale, non possa
in alcun modo configurarsi come manifestazione di opinioni
espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari. La
corrispondenza al vero dei fatti ipotizzati come reato dal
pubblico ministero - che pure non compete alla Camera di
accertare - emerge del resto in tutta evidenza anche da una
serie di testimonianze filmate, tutte opportunamente e
debitamente richiamate nella sentenza di condanna.
L'opposta opinione, secondo la quale la resistenza doveva
in qualche misura considerarsi una sorta di prosecuzione
dell'opinione, espressa in modo particolarmente veemente, è
risultata largamente minoritaria. Anche il primo relatore
presso la Giunta, il collega Deodato, che successivamente, nel
corso della discussione, ha mutato il suo iniziale
orientamento formulando, anche con riferimento al primo capo
di imputazione, una proposta nel senso della insindacabilità,
aveva in un primo tempo sostenuto una proposta volta a
ritenere manifestamente estranei al primo comma dell'articolo
68 della Costituzione i comportamenti succitati dei
colleghi.
Con riferimento al secondo capo di imputazione, viceversa,
la discussione è stata più problematica e complessa. Da
taluni, infatti, è stato messo in evidenza il carattere
assolutamente ingiurioso e gratuito degli appellativi rivolti
dai parlamentari all'indirizzo delle forze dell'ordine, tali
da configurarli come nient'altro che meri insulti e non già
opinioni, men che meno espresse nell'esercizio di funzioni
parlamentari. Per la maggioranza della Giunta e, all'interno
di essa, per chi vi parla è apparso invece dirimente il
particolare contesto in cui si sono svolti i fatti. Non può,
infatti, negarsi che le espressioni utilizzate dai colleghi
possono inquadrarsi in un contesto di protesta e di
resistenza, di valore anche simbolico, da parte di esponenti
di un movimento politico a fronte di un atto della forza
pubblica che, sia pur assolutamente e pienamente legittimo,
appariva comunque agli occhi degli astanti ed anche della
pubblica opinione - presente attraverso gli esponenti della
stampa e delle televisioni - come in qualche misura invasivo
nei confronti di una forza politica di opposizione e delle
particolari opinioni dalla stessa propugnate. In questo senso
anche le particolari espressioni usate, astrattamente
diffamatorie, attingevano ad un universo simbolico proprio
degli esponenti della forza politica in questione, in una
chiave chiaramente dimostrativa e divulgativa di una critica
politica, sia pure rozzamente espressa.
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In questo senso va valutata l'attinenza con le funzioni
parlamentari che, da tale prospettiva, sia pure con un certo
sforzo interpretativo, non può che ritenersi sussistente. E'
ben noto infatti che i colleghi della lega nord hanno
condotto, anche in sede parlamentare, una decisa battaglia in
favore delle loro tesi politiche, tanto da ottenere la
legittimazione anche della denominazione del loro gruppo
parlamentare il cui fine è individuato nella "indipendenza
della Padania". In questo senso la viva protesta, anche
attraverso epiteti ingiuriosi, a fronte di un'attività della
polizia che, sia pur legittima, appariva simbolicamente come
una minaccia nei confronti di tali fini, può essere
qualificata come manifestazione di opinioni espresse
nell'esercizio di funzioni parlamentari.
Naturalmente, ciò vale fino a che si manifestano opinioni.
Il ragionamento illustrato sopra non può essere, infatti,
esteso agli atti di violenza.
Per tali motivi, per ciascuno dei deputati interessati,
con separate votazioni, la Giunta ha deliberato di riferire
all'Assemblea per ciò che riguarda il primo capo di
imputazione (resistenza a pubblico ufficiale) nel senso che i
fatti per i quali è in corso il procedimento non concernono
opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio
delle sue funzioni; per quanto attiene, invece, al secondo
capo di imputazione (oltraggio a pubblico ufficiale) nel senso
che i fatti per i quali è in corso il procedimento concernono
opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio
delle sue funzioni.
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