| ABATERUSSO e GUERRA. - Al Ministro del lavoro e della
previdenza sociale. - Per sapere - premesso che:
l'Italia, con 476 milioni di paia, è il terzo produttore
mondiale di calzature dopo Cina e Brasile;
l'Italia, con 427 milioni di paia è, sempre dopo la
Cina, il secondo esportatore di calzature mondiale;
l'Italia copre il 43,1 per cento della produzione
dell'intera Unione europea;
l'Italia non ricopre solo le nicchie di mercato di alto
prezzo, come comunemente si tende a pensare, ma esprime la sua
valenza anche e soprattutto sul prodotto di massa, ovvero sul
prodotto industriale nel quale riesce, comunque, a mantenere
l'impronta artigianale che le è caratteristica;
dalla metà degli anni settanta si sono affermati sul
mercato mondiale paesi competitori nei quali il costo del
lavoro è molto basso e le condizioni di lavoro particolarmente
precarie; questi paesi hanno conquistato quote di mercato in
maniera molto rapida, dato che non hanno avuto bisogno di una
politica commerciale particolarmente aggressiva;
senza prendere in considerazione paragoni impropri con
alcuni paesi socialmente non evoluti, emergono alcuni punti da
tenere in considerazione:
a) Germania occidentale e Danimarca a parte,
paesi in cui l'industria calzaturiera è in via di estinzione,
l'Italia ha nettamente il costo più alto, fortemente
influenzato dagli oneri sociali;
b) il settore calzaturiero italiano consiste in
15.840 aziende, 190.000 addetti e 22,7 mila miliardi di
export ed oggi è chiamato a confrontarsi sul mercato
mondiale in condizioni difficilissime;
un declino della valenza del prodotto finito
trascinerebbe anche tutti i settori a monte in una spirale
inarrestabile;
dal 1994 (accordo Pagliarini - Commissario europeo sulla
fine della fiscalizzazione degli oneri sociali per le aziende
del Mezzogiorno) ad oggi sono emersi pericolosi segnali di
malessere, soprattutto per le aziende operanti nel
Mezzogiorno, che aumenteranno certamente dal 2001 in poi; la
situazione più drammatica rischia di crearsi in Puglia e in
particolar modo nella zona di Barletta, dove molte aziende
stanno chiudendo, e nel Capo di Leuca dove operano tutte le
quattro aziende che, nel settore calzaturiero italiano,
occupano più di 500 addetti;
la più grande azienda italiana ed europea, Filanto, ha
già collocato 600 dipendenti in cassa integrazione
ordinaria;
alla situazione sopra descritta, e al fine di
identificare strumenti che possano supportare l'industria
calzaturiera italiana affinché mantenga e/o accresca il ruolo
che attualmente ricopre sul mercato mondiale, vi è da
aggiungere che nelle regioni del sud, che potrebbero essere
sia un bacino di mano d'opera per iniziative provenienti dal
resto del Paese, sia una palestra per nuova imprenditoria
locale, saranno gradualmente aboliti, fino a raggiungere
livello zero nel 2001, gli sgravi fiscali precedentemente
esistenti -:
quali iniziative si intendano porre in essere per
affrontare urgentemente la questione della crisi del settore
calzaturiero italiano ed in particolar modo quello del
Mezzogiorno.
(3-03598)
(16 marzo 1999)
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