| ALBERTO SIMEONE. Signor Presidente, vorrei essenzialmente
integrare quanto testé riferito dall'onorevole De Simone.
La storia della sanità a Benevento andrebbe osservata con
occhio molto più attento da parte del Governo. Ho avuto la
sfortuna di verificare in più occasioni come la sanità a
Benevento sia a livello di terzo mondo. Ho presentato due atti
di sindacato ispettivo: il primo risale al 25 luglio del 1997,
mentre l'altro al 21 ottobre del medesimo anno. A tali
documenti il Governo rispose senza riuscire ad individuare le
cause del degrado che veniva denunciato. Eppure, quelli erano
tempi non sospetti rispetto agli attuali in cui si è
verificato quest'ultimo tragico evento. L'episodio è ancora
più inquietante se si rapporta all'incapacità del Governo di
individuare le responsabilità che erano state allora
denunciate e di accertare le carenze che venivano chiaramente
indicate dall'interrogante.
Allora - parlo di circa due anni fa - si parlava solo di
razionalizzare il servizio sanitario nazionale come se questi
termini la volessero dire lunga sulla situazione della sanità
nel nostro paese. Sembrava si trattasse di una sanità di
prim'ordine, ma che in realtà non fosse tale lo dice
chiaramente la storia costellata di episodi, che elencherò in
seguito, dell'azienda ospedaliera Gaetano Rummo di Benevento.
Si tratta di un'azienda ospedaliera che è stata dichiarata di
rilievo nazionale: non so come si possa dichiarare di rilievo
nazionale un ospedale che presenta carenze veramente forti e
in cui si verificano episodi inquietanti quale quello (mi
riferisco alle condizioni in cui essa è avvenuta) della morte
del piccolo Tonino avvenuta il 9 marzo ultimo scorso.
Ebbene, in quegli atti ispettivi denunciavo come quella
razionalizzazione del servizio sanitario andava a comprimere
il diritto alla salute costituzionalmente riconosciuto ad ogni
cittadino. I criteri privatistici, che avrebbero dovuto
ispirarsi ad una esigenza di più spiccata efficienza e qualità
del servizio sanitario nazionale, andavano invece a tradursi e
ad esaurirsi in una privazione del cittadino di quel diritto
alla salute costituzionalmente sancito. Il management -
così adesso viene definita l'attività della dirigenza
ospedaliera - si sottraeva spesso ai principi di legalità ai
quali avrebbe dovuto sempre e comunque informare la propria
azione.
I criteri privatistici che avrebbero dovuto operare uno
stravolgimento in senso positivo, secondo le intenzioni di
coloro che avevano tanto sollecitato quella riforma, e che
avrebbe dovuto dare alle aziende ospedaliere un tasso di
qualità altissimo si rivelavano invece come un autentico
sopruso commesso nei confronti del povero cittadino
indifeso.
Vi era tutta una serie di denunce che l'interrogante
all'epoca sollevava e che trovavano il conforto in una
denunzia fatta dalla CGIL-funzione pubblica di Benevento e
dall'associazione sindacale medici dirigenti e coordinamento
italiano medici ospedalieri, che rappresentavano come anche la
riduzione dei posti letto rispondeva a quei principi
ragionieristici che avrebbero dovuto sempre e comunque
contraddistinguere e contrassegnare l'attività manageriale
della struttura ospedaliera pubblica di Benevento. Mentre
appunto si tentava, da un punto di vista medico, di
razionalizzare il servizio sanitario
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e quindi la spesa pubblica attraverso la riduzione dei posti
letto ospedalieri, veniva approvata il 30 giugno 1997 una
delibera, in evidentissima contraddizione con la delibera
soppressiva dei posti letto, con la quale gli stipendi del
direttore sanitario e del direttore amministrativo aumentavano
del 50 per cento rispetto a quelli iniziali. Forse la
razionalizzazione della spesa pubblica doveva sì tener conto
della riduzione dei posti letto di una sanità terzomondista,
ma non poteva non tenere nella giusta considerazione le grandi
qualità del management aziendale!
A fronte di questa politica della riduzione dell'offerta
sanitaria pubblica, si aveva uno scompenso veramente forte non
solo nella specializzazione dell'ospedale Rummo ma anche nella
rete ospedaliera periferica di pronto soccorso attivo come a
Sant'Agata de' Goti, a Cerreto Sannita e a San Bartolomeo in
Galdo. Sono tre paesi che potremmo definire di frontiera, non
solo da un punto di vista meramente sanitario, ma anche
sociale. La gestione manageriale produceva, come conseguenza
naturale, un drastico calo dell'occupazione, in una zona già
fortemente depressa, sempre in omaggio al principio della
razionalizzazione della spesa pubblica.
Si chiedeva un'ispezione ministeriale che potesse
accertare le motivazioni che avevano provocato la diminuzione
dei posti letto e, nel contempo, l'aumento del 50 per cento
dei compensi del management aziendale. Ma, il precedente
documento ispettivo, pur sollevando i problemi di assoluto
interesse, non trovava alcun recepimento da parte del
sottosegretario che dava risposte estremamente vaghe.
Proprio in virtù di questo primo atto ispettivo che
sollevava il problema della razionalizzazione del servizio
sanitario pubblico, presentai, in data 21 ottobre 1997,
un'altra interrogazione. I sindacati - parlo del sindacalismo
nazionale, signor Presidente, non di quello di categoria che
cerca di farsi pubblicità sotto una sigla qualsiasi sollevando
problemi anche laddove non esistono - vedevano negli atti del
management aziendale la lesione del diritto alla salute
del cittadino. In base a quelle specifiche accuse, riportai
pedissequamente nella mia interrogazione le denunce mosse dal
sindacalismo nazionale: attivazione precaria del day
hospital, mancata istituzione dei protocolli
diagnostico-terapeutici, non rilevazione dei carichi di
lavoro, non definizione delle piante organiche, non
organizzazione del DEA e dei dipartimenti, non attivazione
delle divisioni di alta specialità, non informatizzazione
globale. Rispetto a tutti questi settori di intervento, la
dirigenza si limitava soltanto a dichiarazioni di intenti e ad
operazioni di facciata senza realizzare iniziative concrete
che potessero favorire in quell'azienda ospedaliera una reale
salvaguardia della salute pubblica. Si trattava di interventi
riconducibili ad aspetti del bilancio, perché tutto avveniva
in termini ragionieristici ed è veramente grave constatare che
si valutino solo gli aspetti finanziari, trascurando la salute
del cittadino.
Solo il management aziendale si preoccupava di
trovare le capacità di autofinanziamento dell'azienda
ospedaliera, che era di gran lunga inferiore all'ammontare
delle spese gestionali sostenute. Il tutto con un saldo
negativo di circa 3 miliardi e 500 milioni, cifra destinata ad
incrementarsi per effetto della riduzione dei ricoveri e resa
ancora più grave dalla contestuale riduzione dei posti letto.
Il tasso di utilizzazione degli ambulatori dell'azienda ha
fatto registrare, in seguito a questa politica aziendale, un
netto decremento. Le conseguenze sono state quindi
assolutamente negative, con la rilevazione dei carichi di
lavoro affidata a ditte esterne senza che a tutt'oggi se ne
conoscano assolutamente i risultati, con sospetti di gravi
irregolarità sulla gestione del processo di informatizzazione,
con carenze organizzative a livello funzionale di un'estrema
gravità riscontrate con riferimento al centro unico di
prenotazione telematica.
Anche in questo caso si è ritenuto opportuno ribadire la
necessità di arrivare ad una Commissione d'inchiesta cui fosse
affidato l'espletamento di una scrupolosa
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indagine sulla gestione dell'azienda ospedaliera, non però
dal punto di vista giudiziario. Infatti, è la magistratura
ordinaria che accerta se sussistano o meno responsabilità di
ordine penale, mentre la Commissione d'inchiesta di cui si
faceva richiesta avrebbe avuto il solo compito di verificare
se la gestione dell'azienda fosse rispettosa delle regole.
Anche in questo caso, però, le nostre preoccupazioni, che
erano assolutamente fondate, non venivano accolte.
Signor Presidente, la storia recente - mi riferisco agli
anni 1997, 1998 e 1999 - la dice lunga sull'incapacità della
dirigenza ospedaliera del Rummo, se è vero come è vero, ad
esempio, che il 10 novembre 1997 veniva chiusa una prima volta
la camera iperbarica e poi definitivamente il 6 ottobre 1998
(attualmente è ancora chiusa). Aggiungo che il reparto
psichiatria veniva chiuso il 7 febbraio 1999 e riaperto il 9
marzo scorso. La cosa strana - sono fatti che accadono
nell'ospedale Rummo di Benevento - è che il reparto di
psichiatria è stato parzialmente riaperto, ma la dirigenza
sanitaria del presidio non sa se esso sia stato effettivamente
riaperto o meno, perché la comunicazione è avvenuta tra un
manager ed un altro, tra un dirigente ed un altro.
Nell'ambito del reparto di cardiologia, inoltre, l'unità di
terapia intensiva coronarica è stata chiusa l'11 marzo scorso.
L'ultimo episodio è la morte il 9 marzo del piccolo Tonino in
una culla che si è trasformata tragicamente in una bara dove
quel neonato, che si apprestava a lasciare l'ospedale per
tornare a casa perfettamente guarito, subiva ustioni di
secondo e terzo grado su tutto il corpo.
Questa è la sanità a Benevento, signor Presidente. Mi
auguro che da questa relazione, forse fin troppo scarna, ma
certamente appassionata e veritiera, il Governo possa trarre
le giuste conseguenze.
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